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domenica 11 ottobre 2020
Relic(2020)
Titolo: Relic(2020)
Regia: Natalie Erika James
Anno: 2020
Paese: Australia
Giudizio: 4/5
Quando Edna, la matriarca anziana e vedova della famiglia, scompare, sua figlia Kay e la nipote Sam si recano nella loro sperduta casa di famiglia per cercarla. Poco dopo il ritorno della donna, iniziano a percepire una presenza sinistra che perseguita la casa e prende il controllo di Edna.
Relic come spesso accade per la cinematografia australiana è abbastanza anomalo, un film che nel suo seguire pedestremente alcuni sottogeneri, riesce a smarcarsi da quanto visto finora per diventare un'importante riflessione sociale sulla vecchiaia. Ancora una volta la scrittura si impone fin dal primo minuto per portare risultati mai scontati con alcuni tasselli importanti concernenti la crescita impressionante di un'autorialità horror al femminile in grado di regalare numerose sorprese.
In questo caso riuscendo a rimanere per quasi tutto il tempo all'interno di una casa e di mettere in scena un'ambiguità legata al soprannaturale e ai comportamenti della nonna che rendono il film molto più realistico di quanto sembra. Senza contare alcuni stravolgimenti importanti a livello di struttura narrativa, il film si impegna in alcuni cambi di traiettoria funzionali traghettando sempre l'atmosfera macabra in un sotto testo realistico che riesce spesso e volentieri a imprimersi ancora meglio di presenze, mostri o fantasmi giocando e creando labirinti da cui si rischia di rimanere intrappolati in quello che possiamo definire un haunted house movie.
Verso il finale Relic regala tanto, svuotando tutto quel rancore accresciuto nei primi due atti portando a casa un climax minimale e spontaneo riuscendo a tradurre con poche immagini come la paura e l'affetto possano andare a braccetto. Un film emotivamente molto coinvolgente, personale, un dramma famigliare con tinture horror ma che non lesina dall'avere intenti precisi che portano soprattutto ad un atto d'amore diramato sotto tanti e controversi punti di vista.
mercoledì 1 luglio 2020
Wretched
Titolo: Wretched
Regia: Brett Pierce & Drew T.
Pierce
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Un ragazzo adolescente ribelle, alle
prese con l'imminente divorzio dei suoi genitori, affronta una strega
millenaria, che vive sottoforma della donna della porta accanto.
Il secondo film della coppia di registi
dopo DEADHEADS nasce dal bisogno di confrontarsi con i caposaldi
dell'horror, prima gli zombie e ora le streghe. In quella che dal
2015 possiamo chiamare la nuova "witch renaissance", si
cerca di mischiare parte delle tematiche hollandiane di Fright Night
immettendone possessione, luogo maledetto, presenze, vicinanza
pericolosa, trasformazione mostruosa, omicidi, sacrifici e strega
appunto. La diversità è giocata sulla casa del vicino che diventa
un luogo da sondare e scoprire per i suoi orrori nascosti all'interno
e il fatto che il giovane protagonista sarà l’unico a rendersi
conto della gravità degli eventi, ovviamente senza essere creduto da
amici e familiari. L'elemento da favola che colpisce per la sua
semplicità e forse materia ormai inflazionata in questi ultimi anni
come quello di far nascere ancora una volta la famelica fattucchiera
dalle profondità brulicanti di un antico tronco d’albero alla
ricerca di carne di fanciullo, mischiando folklore antico e
post-moderno.
Da qui prende piega la scelta di
buttarla sulla possessione di come i mariti siano incauti senza
rendersi conto di chi o cosa ha preso il posto della loro moglie e
prove iniziatiche fino al bisogno di confrontarsi con il sacrificio e
un suggestivo climax finale.
sabato 16 maggio 2020
Other lamb
Titolo: Other lamb
Regia: Malgorzata Szumowska
Anno: 2019
Paese: Irlanda
Giudizio: 2/5
La vita con il Pastore è l’unica
vita che Selah abbia mai conosciuto. La loro comunità
auto-sufficiente non possiede tecnologia moderna ed è nascosta nei
boschi, lontana dalla civiltà moderna. Il Pastore è il guardiano,
maestro e amante del gruppo. Ciascuna delle molte donne che fanno
parte del gruppo è o sua moglie o sua figlia. Selah è pura nella
sua fede, ma anche pericolosamente risoluta. È stata cresciuta come
figlia del Pastore, ma è solo questione di tempo prima che ne
diventi anche moglie. Dopo che un incontro con le autorità ha
costretto le donne e il Pastore a costruire un nuovo Eden ancora più
in là nell’entroterra, Selah comincia a dubitare della sua fede, e
ha delle visioni strane e sanguinose. L’arrivo della pubertà porta
con sé nuovi e severi rituali, e un primo assaggio di cosa accada
alle donne del Pastore a mano a mano che invecchiano.
Devo ammetere che non conosco il cinema
di Malgorzata Szumowska. Da quel che ho letto mi sembra impegnata in
temi sociali e drammi ambigui di qualsivoglia genere connotati dal
sentimento religioso. Ora anche lei come molti altri autori ha
deciso, in tempi in cui è ritornato in auge il sotto genere, di
confrontarsi con il folk horror o potremmo anche definirlo un
racconto di stampo rurale e pagano.
Religione, setta, iniziazione, fedeltà
assoluta al proprio leader. Questi e altri temi sono alla base del
dramma sociale che sfocia nell'horror della regista polacca. Un film
che aspettavo e sui cui speravo di vedere all'interno qualcosa di
nuovo, come lo è stato ma con esiti nefasti, arricchendo l'analisi e
l'approfondimento sulle dinamiche presenti all'interno di una
comunità con le proprie leggi e i propri rituali.
Ci sono senza dubbio dei meriti
imprescindibili che prima di tutto emergono dal punto di vista
tecnico e dei costumi, delle interpretazioni e di alcune scelte
coraggiose di montaggio e di dialoghi.
Un film in cui l'elemento dei rapporti
fisici e soprattutto spirituali assume contorni fondamentali in
termini di relazioni incestuose e malsane. L'uomo scelto da Dio
raccoglie le proprie discepole e ingravidandole ridà loro vita e
speranza in un circolo vizioso in cui non vengono meno i legami tra
consanguinei (le donne del gruppo sono sempre le stesse e così pure
per le figlie). Poi c'è la terra promessa, la metafora sul popolo
d'Israele, tutto negli intenti delle donne e nella loro assoluta
obbedienza altrimenti tutto andrebbe in malora. Ovviamente imbevuto
di un certo simbolismo a volte fine a se stesso come il peggiore
degli esercizi di stile a cominciare dalla natura, gli animali morti,
i corpi femminili che affondano nel "Giordano" dopo essere
battezzati dal "Battista".
Il problema alla base a parte la
lentezza disarmante e che non ci sono colpi di scena, l'azione è
centellinata in uno stile minimale che anzichè lasciare a bocca
aperta crea uno dopo l'altro sbadigli a raffica e cerca soprattutto,
osando ma fallendo miseramente, di provare con il pretesto religioso
di parlare di sfruttamento sessuale in una pseudo setta religiosa, in
un mix che termina con un climax telefonatissimo e scontato.
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mercoledì 10 luglio 2019
Pledge
Titolo: Pledge
Regia: Daniel Robbins
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Justin, Ethan e David sono tre
sgraziati studenti costantemente respinti dalle varie confraternite
del college, finché accettano l'invito ad un party da parte
dell'attraente Rachel (Erica Boozer). Convinti di essere stati presi
in giro, anche per via dell'insolito indirizzo, i tre giungono invece
in una splendida villa riuscendo a trascorrere una vivace nottata tra
alcol, ragazze bellissime e disinibite. Al mattino non rifiutano
quindi l'ulteriore invito, per quella sera stessa, fatto da Max
(Aaron Dalla Villa), il padrone di casa. Questa volta, però,
all'appuntamento non trovano sexy fanciulle ma un gruppo di affiliati
alla Crypteia, un club elitario dal quale -a seguito di prove
durissime- escono solo i migliori. Quelli cioè destinati a posti di
rilievo in ogni settore socialmente significativo. Un marchio a fuoco
vivo sulla pelle, intrugli disgustosi fatti ingerire a forza ed altri
indicibili prove, sono solo il preambolo a torture e sevizie sempre
in crescendo, e sconfinanti sino alla morte.
I film sul bullismo o meglio sulle
confraternite da sempre sono una tematica cara agli americani nel
thriller e nell'horror cercando di raccontare come le pratiche per
diventare membri esclusivi possano essere di una violenza e di una
barbarie incontrollata.
Robbins firma un teen movie dove a
differenza di GOAT giusto per fare un esempio, la cattiveria gratuita
porta ad una violenza anch'essa gratuita, che purtroppo svanisce ogni
minima premessa o speranza per la continuità del film, sacrificando
ogni azione e ogni gesto ad un'opera che diventa di un'ipocrisia fine
a se stessa.
Pledge vorrebbe diventare un horror ma
non lo diventa mai, cerca nell'incidente scatenante una scusa che non
regge, un impianto assurdo (la villa esclusiva nascosta in mezzo al
bosco pieno di modelle che fino a prova contraria sono pure
abbastanza inutili nella storia tolta una scena) diversi buchi di
sceneggiatura e alcune azioni che non portano a nulla di buono.
L'unico elemento positivo è dato dalla
fretta con cui muoiono i protagonisti, una mattanza in fondo
necessaria, infine il climax finale che non poteva che mostrare il
disgraziato nerd sfigato e grassottello vincere a mazzate, in un
fight club tra i più brutti mai visti, contro il leader dei bulli.
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lunedì 11 febbraio 2019
A dark song
Titolo: A dark song
Regia: Liam Gavin
Anno: 2016
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5
Sophia ha affittato una casa in mezzo
al niente. Ha anche pagato una cifra extra affinché nessuno le
chieda nulla. La sua unica compagnia sarà quella di Michael Solomon,
un occultista che deve aiutarla con un rituale lungo e faticoso a
mettersi in contatto con il figlio. Il problema è che Sophia non è
stata del tutto chiara con Michael.
Negli ultimi anni soprattutto in Europa
i film che trattano la magia in una forma quasi sconosciuta,
primitiva e senza fronzoli cominciano a non essere così pochi. I
risultati sono altalenanti, diciamo che la maggior parte di coloro
che non ricorrono agli effetti speciali o alla c.g riescono ad avere
i risultati più interessanti e con delle storie articolate e
complesse. Una risposta a questo fenomeno potrebbe essere anche
quella per cui siamo stufi e annoiati di vedere storie anche
interessanti messe in scena con il solito compito di intrattenere
A dark song è uno di questi. Forse è
l'indie con il budget più scarno e al contempo un film che ha tutto
nella rigorosità nella messa in scena, l'obbiettivo e gli intenti
più nobili e complessi.
Un esordio difficile, anti commerciale,
anti modaiolo e tutto sembra interessare a Gavin purchè piacere ai
gusti del pubblico. Un'esamina molto più dottrinale e intellettuale
che non un film denso di colpi di scena, momenti artificialmente
privi di un contesto dove collocarli o jump scared inutili.
Qui si entra, con sacrifici e tanto
dolore, dentro un limbo dove all'interno si dimentica o si rimette in
gioco tutto quello che si è sempre stati convinti di sapere
accettando di diventare strumento per il volere di un'altra persona
dato che quel potere è stato conferito dalla medesima e per la
medesima ragione.
Un luogo che pur essendo una casa,
perde quasi subito la sua connotazione geografia per condurti fuori
dal tempo in un luogo irriconoscibile dove è possibile perdersi,
morire, risorgere, annegare dentro una vasca e infine trovarsi in
mezzo alla luce.
Un horror intimista, implicito,
perfettamente supportato da un duo di attori che si immerge dentro i
personaggi trasmettendogli dolori, sofferenze, allucinazioni, stati
d'animo che sembrano lasciar aperta ogni porta e incontrare di fatto
qualsiasi realtà (magica, religiosa, divina).
Stregoni, gran cerimonieri, cerchi
magici, "sesso magico", libri magici, demoni, angeli
custodi, grimori, invocazioni, rituali. Il film parla di tutto questo
senza però renderlo mai bistrattato e più di ogni cosa, senza mai
palesare allo spettatore quasi nessuna di queste realtà.
Il film è criptico da questo punto di
vista facendo una ricerca attenta e minuziosa sugli studi esoterici,
citandoli ma senza mostrargli, sfuggendo a tutti gli stereotipi uno
dei quali ci ritrae il personaggio di Solomon come un eremita isolato
e semi alcolizzato che sembra uscire del tutto dalla visione che
abbiamo degli stregoni. Ricorda su diverse scelte e nel non
comunicarci mai veramente quali siano gli intenti profondi un altro
bellissimo film come quella perla rara di Kill
List
da cui questo film attinge tanto
soprattutto per quella che è la politica di un autore come Weathley.
E'un film dove il cerimoniere tratta
argomenti profondi e inquietanti, che spesso mettono a nudo la
purezza spirituale e l'anima del predestinato. Quando poi non si è
davvero sinceri con quello che si vorrebbe andare a sondare, allora
gli effetti perversi possono essere spaventosi.
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sabato 15 dicembre 2018
Clovehitch killer
Titolo: Clovehitch killer
Regia: Duncan Skiles
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Tyler Burnside è un boy-scout, fa
volontariato nella chiesa locale e si comporta come il devoto figlio
di un uomo rispettabile. Solo una cosa turba la tranquilla cittadina
in cui vive: gli omicidi irrisolti di dieci donne brutalmente
torturate e uccise da uno psicopatico, avvenuti una decina di anni
prima. Quando scopre alcune disturbanti immagini che il padre
conserva in gran segreto, Tyler inizia a sospettare che l'uomo di cui
si fida di più al mondo potrebbe essere il serial killer, pronto a
colpire ancora.
La sfida non è facile. Parlare di
serial killer è trovare una narrazione originale, lenta, ma
travolgente, è una di quelle sfide che rimangono aperte.
Sul piano tecnico ormai nel 2018 sono
bravi quasi tutti a realizzare un buon film, ma le storie, le
sceneggiature, sempre di più rappresentano l'ostacolo principale.
E qui Christopher Ford si supera
scrivendo un dramma che fin da subito mostra come c'è qualcosa che
davvero non ci aspettiamo, infatti la storia è tutt'altro che
convenzionale e il rapporto tra vittima/carnefice, figlio/padre,
nonchè il rapporto del primo con l'amica/compagna, rimangono in
assoluto i passaggi che il film sviluppa meglio soprattutto a livello
di psicologia.
Una buona caratterizzazione che non
toglie mai forza e atmosfera alla suspance, che seppur minimale,
esaspera soprattutto verso la fine del secondo atto, per un climax
finale comunque funzionale e che riesce a chiudere nella maniera
migliore senza fronzoli una buona storia, drammatica all'inverosimile.
Il secondo atto in assoluto è quello
che tiene lo spettatore incollato allo schermo per monitorare questo
strano legame, che poi aumenta la sua drammaticità proprio perchè
mette a confronto un figlio che scopre i crimini del padre e quando
quest'ultimo sembra capire e collaborare con il figlio come a
buttarsi indietro il passato, è proprio l'amica che ricorda al
protagonista che i killer seriali non perdono mai la loro voglia o il
loro bisogno di uccidere.
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mercoledì 5 dicembre 2018
What Keeps you alive
Film: What Keeps you alive
Regia Colin Minihan
Anno: 2017
Paese: Canada
Giudizio: 3/5
Montagne maestose, un lago tranquillo e
tradimenti velenosi inghiottono una coppia sposata che tenta di
celebrare l'anniversario di matrimonio.
Colin Minihan è un regista canadese
con 5 o 6 film all'attivo e diverse collaborazioni.
Il primo film in cui mi ero imbattuto
era qualcosa di quasi vergognoso di nome Extraterrestrial
uno dei quei film che lo guardi e ti
fai il segno della croce sperando che il mestierante non metta più
mano su una telecamera.
Così non è stato. Il film in
questione è un indi per certi versi molto anomalo dove la trama
seppur non così originale riesce ad entrare nella psiche dello
spettatore e da lì in avanti il film riesce dalla sua a trovare
diversi elementi d'interesse.
Una coppia di lesbiche, una casa nella
montagna sperduta, una coppia di vicini che sembrano conoscere una di
loro e tante domande e misteri che la scrittura riesce bene a dosare
senza rivelare tutto se non nel climax finale, piazzando almeno due
scene difficili da dimenticare ( per chi come me soffre di vertigini
dovrà fare molta attenzione).
Una carneficina che viene affrontata e
messa in scena in modo atipico, dove l'azione e la violenza ci sono, ma sembrano sempre secondari alla psicologia dei personaggi e al
genere che il film sembra scegliere, un mix tra giallo e thriller.
Le protagoniste entrambe riescono a
trasmettere con le loro paure e i disagi quelle sensazioni che reggono per tutto il film e
l'apoteosi di cattiveria messa in atto da una di loro non sembra poi
così forzata di questi tempi, ma anzi ricalca diversi fatti di
cronaca recenti.
Un film molto lento, con tantissimi
primi piani, dialoghi dosati e la macchina da presa sempre sul punto
di farci vedere il crollo delle protagoniste, in una storia che piano
piano s'intensifica mettendole faccia a faccia in un duello mortale.
Un film molto indipendente che come
stile di narrazione e messa in scena mi ha ricordato un altro film
sconosciuto e da vedere assolutamente per i fan del genere, ancora più bello, di nome
Butter
on the latch
sabato 10 novembre 2018
Sweet Virginia
Titolo: Sweet Virginia
Regia: Jamie M.Dagg
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
In una piccola cittadina dell'Alaska,
un ex star del mondo del rodeo fa amicizia con un ragazzo. Non sa che
è proprio lui il responsabile di un omicidio che ha scosso la
comunità.
Sweet Virginia è un film con John
Bernthal.
Parto citando il nome dell'attore, che
di solito non faccio mai, perchè è lui l'epicentro della storia o
meglio è colui che riesce a portarsi sulle spalle tutto il peso del
film come ha dimostrato in altre pellicole dal momento che qui
nonostante le buone intenzioni ci sono degli sbadigli importanti.
Un attore molto fisico, un fisic du
role, ma anche un attore molto drammatico che ha saputo
caratterizzare e dare spessore a personaggi che altri attori
avrebbero interpretato alla solita maniera.
Siamo di nuovo in America, quella
selvaggia, dove la giustizia è affar proprio e la vendetta personale
o i killer spietati (contractors) si muovono all'interno di locali
notturni uccidendo a sangue freddo.
Il secondo film di M.Dagg, pur senza
trovarci di fronte a niente di impressionante e suggestivo, ha
comunque dei lati essenziali che danno prova di come nell'intricata
matassa narrativa, la vicenda procede per frammenti diegetici,
mostrando diversi personaggi e diverse storie in un'alternanza che
non convince sempre ma che alla fine funziona.
Una violenza senza fine, quasi
misteriosa e nascosta o taciuta, in cui non tutto riesce a quadrare
perfettamente, dimostrando la volontà, ma non la completa riuscita
di un noir di stampo indie che cerca di procedere per accumulo e
finire con un climax finale di violenza e di scontro a fuoco tra due
personaggi che seppur sulla carta sembrino molto distanti, in realtà
hanno diversi fattori in comune e la loro battaglia dipende anche da
questo.
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giovedì 18 ottobre 2018
Ghost Stories
Titolo: Ghost Stories
Regia: Andy Nyman
Anno: 2017
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5
Un docente di psicologia che non crede
ai fenomeni soprannaturali. L'arrivo di una misteriosa lettera lo
porterà a imbarcarsi in un viaggio alla scoperta di ciò che non può
essere spiegato razionalmente.
"La mente vede ciò che vuol
vedere"
Ghost Stories è un bel film sui
fantasmi. Forse il più bello degli ultimi anni.
Un ghost movie accattivante, girato
molto bene con una messa in scena evocativa e misteriosa, un cast
perfetto e una sceneggiatura che seppure con qualche strafalcione nel
finale (alla fine si è scelta la modalità "Polanski")
riesce nelle sue tre storie ha creare tante belle scene, un mood
claustrofobico in alcuni casi, strizzando l'occhio alle leggende, ai
bambini scomparsi ma anche alle creature che infestano i boschi e
quanto anche un interno di una casa può creare un sistema di jump
scared infinito.
Ghost Stories per quanto la storia lo
preveda non è propriamente un film a episodi.
Ne ha bisogno per creare la storia e il
filo conduttore, con un finale che come appunto dicevo da un lato
sembra negare tutto in funzione o meglio in virtù di una verità o
una lezione che viene sfruttata forse troppe volte nel cinema.
Dal canto suo avrei preferito un finale
diverso dove soprattutto nei colpi di scena che arrivano uno dopo
l'altro, l'interesse dei due registi, comprendesse la scoperta di
altri misteri.
Ciò detto il film è compatto, solido,
con delle musiche che senza mai distrarre consentono di entarre
ancora di più nel cuore del brivido.
Di fantasmi come il cinema di solito ci
mostra, il film prende le dovute distanze rivelandosi fin da subito
ottimo nella costruzione dell'ansia e nel creare quella sensazione di
orrore senza far troppo ricorso alla c.g
Come per molti altri film, la sfida dei
due registi vince quasi subito, appena notiamo con quanta cura il duo
ci tenga a confezionare al meglio la storia.
E poi parla di cacciatori di storie. Un
investigatore che deve fare delle immagini per confermare se le
testimonianze rese da quei tre personaggi sono vere.
Scoprirà ovviamente qualcosa che non
avrebbe mai immaginato, ma di più non si può dire altrimenti si
rischia di spoilerarlo, e questo è un film che fa dell'atmosfera la
sua chiave magica.
martedì 25 settembre 2018
Desolation
Titolo: Desolation
Regia: Sam Patton
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Abby decide di spargere le ceneri del
marito defunto in un bosco dove sembra trovare una pace interiore.
Fino a quando incontra un uomo misterioso.
Il sotto filone del backwoods-horror è
sempre stata una peculiarità americana anche se qui prende una
deviazione quantomeno diversa rispetto ad altre pellicole.
Il bosco o la foresta sono location
suggestive dove possono spuntare dal nulla bifolchi o serial killer
pronti come sempre in America a volerti uccidere mentre da noi in
Europa magari riesci pure a farti qualche amico. In questo caso la
seconda scelta.
I serial killer ma di quelli
caratterizzati così male che se questo era lo scopo, ovvero renderlo
misterioso ma anche nel non-sense di fondo, allora il regista ci è
proprio riuscito.
Il grosso problema del film di Patton
che gira un indie con una buona messa in scena anche se dalla sua ha
evidenti lacune per quanto concerne la fotografia, è l'intento o
meglio come tutta una serie di azioni accadono
assolutamente ingiustificate e gratuite oltre che senza senso.
A partire dall'arrivo
dell'escursionista che viene visto dal bambino e che per tutta la
durata del film risulta davvero imbarazzante con un rape e revenge
finale piuttosto fiacco e assolutamente senza senso. In particolar
modo nemmeno alla fine ci viene svelato il perchè di tanta
voglia di uccidere chiunque si incroci durante il cammino e
soprattutto c'è una scena abbastanza ironica, quasi trash, dove
l'escursionista cammina trenta metri dietro le protagoniste senza un
obbiettivo e con i dialoghi delle stesse veramente assurdi (si finisce
con il gas urticante per orsi).
Con un primo atto descrittivo che già
pone i suoi dubbi sul perchè evadere dopo la morte del marito
proprio in un bosco e portando un ragazzino che sembra ancora nel
mondo dei sogni per non aver elaborato il lutto.
L'amica poi molto carina che cerca di
far rilassare la protagonista con erba e vino e dei dialoghi che
servono a prendersi il giusto tempo per arrivare ad un ritmo
soporifero, una totale mancanza di colpi di scena, sparizioni che
avvengono dal nulla e ripeto una difficoltà nel mettere insieme
degli elementi disordinati, piuttosto scontati e con un finale happy
ending veramente brutto e senza senso.
lunedì 3 settembre 2018
Vampires(2010)
Titolo: Vampires
Regia: Vincent Lannoo
Anno: 2010
Paese: Belgio
Giudizio: 4/5
Le prime due troupe che hanno tentato
di fare questo documentario sono scomparse, racconta il regista. Ma
la terza ce la fa: entra nella casa dei Saint-Germain, la famiglia
belga di vampiri che ha accettato di raccontarsi davanti alle
telecamere, intervista i loro amici e i vicini, registra le crisi tra
genitori e figli.
Vampires è quella chicca che non ti
aspetti. Un'opera che non deve essere passata inosservata al
mockumentary di Waititi What
we do in the shadows.
Sono davvero tanti gli elementi in
comune. Il mockumentary di Lannoo purtroppo senza aver ancora trovato
una distribuzione, è qualcosa di innovativo, un documentario che non
perde mai la sua forza riuscendo in maniera straordinaria a dire
ancora tante cose originali sui signori della notte, fondendo
l'orrore quotidiano e le risate con un'atmosfera che diventa sempre
più inquietante.
Tra le comunità mondiali, quella belga
si distingue per la grande nobiltà dei suoi elementi, famiglie di un
certo prestigio, come i Saint-Germain; George, il capofamiglia,
Bertha, la devota moglie, e i due figli, Samson e Grace, quest'ultima
in piena crisi adolescenziale, visto che si veste ostinatamente di
rosa, con la speranza un giorno di ridiventare umana. Di questo
allegro gruppo familiare fanno parte anche "la carne", una
giovane prostituta che ogni giorno rifornisce di sangue gli abitanti
della villa, e due inquilini per nulla amati, relegati per questo in
cantina, Elisabeth e Bienvenu, appartenente ad una nobile casata di
succhia sangue la prima, ex aiutante di Louis Pasteur il secondo, i
quali sembrano vivere ancora più all'estremo se pensiamo a Elizabeth
che vorrebbe avere figli ma li divora appena nascono o alla passione
di Bienvenu per i bambini.
La vita di tutti viene sconvolta quando
Georges commissiona ad un canale televisivo nazionale un documentario
che dovrebbe aiutare il pubblico a comprendere meglio chi siano in
realtà quelle creature così strane. Dopo due tentativi falliti (i
giornalisti sono stati tutti sbranati), il terzo sembra funzionare.
La telecamera della troupe tv entra nei meandri di questa società
basata su regole ferree, impartite da un leader supremo che è un
bambino di otto anni, vampirizzato secoli prima, e svela particolari
sconosciuti ai più, assistendo a crisi di nervi o a confessioni
incredibili quando un amico della famiglia sostiene di essere uno dei
membri del gruppo The Doors.
Chi alla fine, tra vampiri e uomini,
abbia davvero compreso qualcosa dell'altro è tutto da vedere.
I Saint German amano il sangue umano,
non si fanno problemi ad uccidere i bambini o gli handicappati, sono
promiscui, incestuosi, il figlio va spesso con la madre mentre la
figlia che vuole diventare umana si porta il ragazzo nella bara e
perlopiù ninfomani fino a che non vengono violate delle leggi che i
vampiri devono rispettare e allora succede l'irreparabile.
Sotto questa superficie di apparente
leggerezza, che permette di sdrammatizzare anche i momenti più
sanguinolenti (la cena in una casa di vampiri non è esattamente un
galà), si allude, infatti, anche a tematiche profonde e
profondamente disturbanti senza negare una certa preferenza in campo
culinario (sono stufi di mangiare i tipi di colore che tanto non
verrà mai a cercare nessuno).
Un film che solo verso la fine quando
il nucleo viene mandato in Canada dove addirittura vampiri e umani
sembrano collaborare per via di una certa politica democratica e
infatti alcune azioni sembrano susseguirsi dando l'idea di aver perso
con la loro casa anche una parte d'anima dell'opera.
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giovedì 19 luglio 2018
Super
Titolo: Super
Regia: James Gunn
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Ordinario e mediamente vile, Frank si
accende di rabbia non tanto quando la bellissima moglie di cui è
innamorato lo pianta in asso, ma quando vede per chi è stato
lasciato. Lo stile di vita lascivo e condito di droga ora condotto da
quella che era la sua sposa è intollerabile per lo strisciante
bigottismo di Frank il quale, seguendo le orme di The Holy Avenger
(un supereroe cristiano che agisce per mano di Dio la cui serie tv
Frank è solito guardare), si cuce un costume comincia a distribuire
violenza a piene mani.
Super ha tratti sembrerebbe la classica
commedia demenziale sui super eroi. Una parodia quasi per mettere in
luce l'americano medio e confrontarlo con il resto della società.
Forse questo film messo in mano a
chiunque avrebbe generato un filmetto dimenticabile dopo poco.
Gunn che ho conosciuto a ritroso
partendo da TROMEO AND JULIET passando per l'universo Marvel e infine
arrivando a Slither
e questo suo piccolo gioiello fa parte di quegli outsider che
Hollywood ama e disprezza allo stesso tempo perchè semplicemente
vogliono fare come gli pare.
La storia è delle più classiche della
storia del cinema, un canovaccio da prendere e rimodellare secondo un
universo culturale pop fantastico come quello del regista, la solfa
del già visto che però fin da subito ha qualcosa, vuoi nel
montaggio, vuoi nella scrittura, in grado di essere da subito
politicamente scorretto e diventando un vero concentrato di trovate
divertentissime dove se ho riso di gusto, e non mi capita quasi mai,
un perchè ci sarà.
Un cast che funziona sebbene tutti
recitino uno stereotipo, qualcosa di telefonato e tagliato con
l'accetta fatta eccezione per i due protagonisti e la loro
caratterizzazione molto più complessa di quanto ci si possa
aspettare. In più qua i colpi di scena sono potenti arrivano come
schiaffoni in faccia rafforzando il plot e la trama arricchendola di
momenti niente affatto scontati e uccisioni che arrivano implacabili
quando nessuno se le aspetta.
Davvero un film molto bello, quasi anti
hollywoodiano nei carismi, indie a tutti gli effetti e con un regista
che se è vero che ha lavorato poco quello che ha fatto finora è
stato tutto molto bello.
Curioso che il cuginetto Kick
Ass sia uscito lo stesso
anno.
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Comico,
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Grottesco,
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Usa
giovedì 7 giugno 2018
Lowlife
Titolo: Lowlife
Regia: Ryan Prows
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Le sordide vite di un
tossicodipendente, di un ex detenuto e di un lottatore si scontrano
tra loro.
Tra Jodorowski e Dupieux, l'indie di
Ryan Prows è davvero una piccola chicca interessante.
Un film che dentro ha un'amore per il
cinema e un desiderio di mettercela tutta che sembra suggerirtelo
minuto dopo minuto.
Un film dove dentro c'è la passione,
la voglia di creare e credere in qualcosa di difficile ma di
possibile e quindi senza avere un grosso budget riesce a misurarsi
bene con ciò che possiede e parlo ovviamente dei mezzi contando
comunque l'ottima messa in scena.
Un film che arriva dritto dritto dai
festival di quelli che stai pur certo che non ti capiterà mai di
vedere a meno che tu non sia un soggetto con una dipendenza forte da
cinema.
Tra ironia, scene splatter, vuoti di
memoria che portano le persone a fare cose o a svegliarsi
imbracciando arti di persone, inseguimenti che fanno morire dal
ridere, il film corale di Prows è di sicuro qualcosa di non
convenzionale intuibile già dal mix di generi passando dal Mostro,
un disgraziato wrestler messicano che lavora come scagnozzo al saldo
di un boss a Cystal, una tossicodipendente che è alla disperata
ricerca di un rene nel mercato nero degli organi per salvare la vita
di suo marito e infine Randy, appena uscito dal carcere.
Un PULP FICTION dei poveri verrebbe da
dire ma averne di film del genere. Tanto di cappello
domenica 25 marzo 2018
Mediterranea
Titolo: Mediterranea
Regia: Jonas Carpignano
Anno: 2015
Paese: Italia
Giudizio: 4/5
Ayiva lascia il Burkina Faso per
cercare di raggiungere l'Italia dove spera di poter trovare un lavoro
che gli consenta di aiutare sua figlia che è ancora una bambina e
sua sorella che se ne occupa. Parte come clandestino con l'amico Abas
e, dopo la traversata del deserto in Algeria, si imbarca. Trova
lavoro come raccoglitore di arance a Rosarno in Calabria. Le
difficoltà sono numerose ma si accrescono quando parte della
popolazione locale aggredisce gli immigrati.
Lo dico di nuovo. Jonas Carpignano è
uno dei registi più interessanti del nostro cinema.
Giovane, impegnato, contemporaneo in
tutti i sensi e con un interesse appassionato verso la comunità dei
rom in particolare quella insediata a Gioia Tauro dove il regista ha
deciso di trasferirsi.
Mediterranea prima di A
ciambra apre il sipario su
una questione drammatica di cui come sempre nessuno parla in
particolare il nostro cinema. Quando lo fa finisce nascosto in
qualche festival per dare la possibilità solo agli appassionati di
averne accesso.
Mediterranea quando si parla appunto di
stranezze produttive e distributive fa davvero arrabbiare per il
fatto che sia stato presentato alla semaine de la critique a Cannes
nel 2015 senza mai uscire nei cinema nonostante raccontasse una
storia che ci appartiene.
Forse la distribuzione nelle sale di A
ciambra potrà risolvere
questo problema.
Rosarno e la tratta. O meglio la tratta
che spesso e volentieri porta a Rosarno dove per chi non lo sapesse
scoppiò nel 2008 la faida tra gli immigrati e la gente del luogo. Il
film mostra quindi come climax finale della storia il primo conflitto
esplicito e cruento tra migranti e cittadini e dove forse avviene
anche l'unico ostacolo del film. L'apice dello scontro a parte essere
macchinoso, sembra portare solo un punto di vista ovvero quello dei
nordafricani e non invece degli abitanti del posto che non si vedono
quasi mai se non in pochissime scene dove abusano delle donne,
toccano il culo ad una ragazza e dicono dalle finestre ai
protagonisti di fare silenzio.
Ancora una volta il giovane regista
sospende il giudizio narrando per immagini e sguardi il dramma delle
vite di alcuni protagonisti, di chi fino alla fine non molla e non si
ribella e chi invece sopraffatto dal dolore e dalle ingiustizie
decide di armarsi con quello che trova.
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2015,
Drammatico,
Ifc,
Italia,
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Mediterranea,
Politico,
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giovedì 4 gennaio 2018
A Ciambra
Titolo: A Ciambra
Regia: Jonas Carpignano
Anno: 2017
Paese: Italia
Giudizio: 4/5
Pio, 14 anni, vive nella piccolo
comunità Rom denominata A Ciambra in Calabria. Beve, fuma ed è uno
dei pochi che siano in relazione con tutte le realtà presenti in
zona: gli italiani, gli africani e i suoi consanguinei Rom. Pio segue
e ammira il fratello maggiore Cosimo e da lui apprende gli elementi
basilari del furto. Quando Cosimo e il padre vengono arrestati tocca
a Pio il ruolo del capofamiglia precoce che deve provvedere al
sostentamento della numerosa famiglia.
Carpignano è un autore giovane e molto interessante. Questo lungometraggio assieme a Mediterranea
rappresentano temi di attualità e
contenuti scomodi a cui l'italo americano con madre afro-americana
ha deciso di prestarsi e focalizzarsi.
Il risultato và oltre l'aspettativa
almeno per questo esordio dopo il corto che ha vinto alla Mostra del
cinema di Venezia. A Ciambra mostra prima di tutto una comunità con
tutte le sue regole e lo fa molto bene, tenendo conto di tutto, dagli
aspetti antropologici, dando ampio spazio ai personaggi, facendo un
lavoro squisito per quanto concerne il dialetto e infine è un film
sul sociale di formazione con un ritmo invidiabile.
I film controcorrente destinati al
cinema che parlano di rom non sono molti. Il regista si trova ad aver
tra le mani un esordiente che spacca la quarta parete dando
un'interpretazione magistrale e un cambiamento al suo personaggio
impressionante quanto spontaneo e realistico.
Come nel precedente film ci troviamo di
nuovo in Calabria, per raccontare il rapporto tra rom e africani
nella zona di Gioia Tauro, dove c’è una sorta di enclave, la
Ciambra appunto, con casermoni in cui le due comunità vivono gomito
a gomito.
Interessante notare come per il film il
regista prediliga una messa in scena con un montaggio morbido e
telecamera e inquadrature fisse, per il resto seguiamo le
vicissitudini di Pio e della sua famiglia allargata. In quasi due ore
non manca praticamente nulla. Forse l'unica critica è una certa
voglia di narrare il più possibile inserendo anche alcuni passaggi
che ho trovato eccessivi come il gruppo di fasci che lancia le
molotov contro il campo rom (attuale e doveroso sottolineare questa
barbarie ma forse andava trovato un altro momento nel film) ma a
parte davvero piccoli elementi e alcune ripetizioni, il film è
davvero una bomba e questo Carpignano sembra proprio sapere il fatto
suo.
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giovedì 14 dicembre 2017
Beau soleil interieur
Titolo: Beau soleil interieur
Regia: Claire Denis
Anno: 2017
Paese: Francia
Festival: 35°Torino Film Festival
Giudizio: 3/5
Artista parigina insicura dei propri
mezzi ma di indubbio fascino, Isabelle, divorziata, è alla ricerca
dell'amore che finalmente potrebbe assicurarle una vita rassicurante.
L'ennesimo film della Denis si avvale
di un'altra sacerdotessa del cinema francese dopo la Huppert.
Juliette Binoche appare sempre più
affascinante ed elegante col passare del tempo che per lei sembra
essersi fermato e il pubblico non può che trarne gioia.
Il cinema della Denis tratto da un
racconto "Frammenti di un discorso amoroso" di Roland
Barthes è un film ricco di sfumature che potrebbe non finire mai
addentrandosi in quelle lande scoperte e infinite dei rapporti di
coppia, problematiche sentimentali indagate già in tanto cinema
francese che riescono per qualche strana ragione a riuscire ad
assorbire il pubblico pur trattando temi e scene di vita cui è
facile assistere nel quotidiano.
Ci sono alcuni momenti che per qualche
strana ragione mi sono rimasti impressi come l'insistenza finale del
monologo di Depardieu, la scena di sesso della protagonista con l'ex
marito e il "dito", eppure quel tormento e quella
inadattabilità a qualcosa di continuativo e stabile sembra essere da
un lato il punto fermo degli intenti del film ma anche il suo punto
debole dal momento che ad un tratto pur avendo Isabelle come punto di
riferimento, ilpersonaggio tende aad essere come la macchina
sfuggevole, come lo schema corale che in alcuni casi si impossessa
della pellicola passando in una rapida galleria di personaggi,
amanti, ex, giovani intelettuali spensierati e infine quella strana
voglia di ricominciare tutto da capo.
Alla fine Isabelle sconta da sola le
sue pene, paga con il sesso e attrverso i corpi trasmettendo
vibrazioni positive ma anche ansie e una fragilità mai così moderna
come capita in questa società liquida.
venerdì 8 dicembre 2017
Cured
Titolo: Cured
Regia: David Freyne
Anno: 2017
Paese: Irlanda
Festival: 35°Torino Film Festival
Giudizio: 3/5
Molti umani si sono trasformati in
creature simili a zombie. Una cura c'è ma gli infettati dovranno
essere isolati da tutto e da tutti.
Nella sezione After Hours continuano come ogni anno le sorprese e le delusioni.
Quest'anno riaffiorano alcuni film a
tematica zombie con quest'opera prima che è una bella via di mezzo.
A differenza del film francese Les
Affames, piccolo vero
gioiellino pur non dicendo nulla di nuovo, The Cured, irlandese,
cerca invece di aggiungere nuovo materiale in termini di soluzioni
all'epidemia e ad un messaggio politico nemmeno tanto velato.
In questo caso, come in altri film,
viene trovata una cura al virus che ha trasformato parte della
popolazione in zombi, in cui il 75% delle persone colpite è stato
guarito dal virus mortale denominato Maze, lasciando però il 25%
ancora infetto, una fascia di cosiddetti “resistenti”, che, cioè,
non reagiscono alla cura come gli altri e vengono rinchiusi in
ospedale, in attesa di un’altra terapia.
Da qui in avanti le reazioni verso gli
individui all'interno della società sono diversi per chi sta
cercando di rifarsi una vita, alle persecuzioni che vedono questi
individui marchiati ormai come capri espiatori e vittime sacrificali
perfette in una società sempre più paurosa e xenofoba.
Come poter perdonare e accettare
qualcuno che nonostante la cura si è macchiato di assassini brutali
e in alcuni casi arrivando a cibarsi di bambini molto piccoli.
Inoltre l'aspetto peggiore (ma direi quello più interessante) è
quello legato ai ricordi, dal momento che gli ex infetti conservano i
ricordi delle carneficine commesse, con relativi disturbi
post-traumatici. Proprio questo elemento nella buona e nella cattiva
sorte non sempre riesce a dare la giusta dose di empatia in
particolare legata alla sofferenza del co protagonista e i dialoghi
con Ellen Page a capo dei non infetti.
La messa in scena di Freyne è dura e
non lesina sul sangue, sull'elemento gore, su una fotografia
freddissima e glaciale e dialoghi tagliati con l'accetta senza
nessuna traccia di salvezza ma forse solo di redenzione.
Un'opera indipendente e solida che
seppur non entra nella cerchia dei film memorabili sugli zombie,
rispetto alla stragrande maggioranza dei film in circolazione,
propinando sempre lo stesso assetto, questo the Cured ha diversi
elementi maturi e politici per cercare di fare nel suo piccolo la
differenza.
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Zombie
sabato 23 settembre 2017
American Fable
Titolo: American Fable
Regia: Anne Hamilton
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Negli anni Ottanta, nel bel mezzo della
crisi agricola del Midwest, l'undicenne Kitty vive in un mondo oscuro
e talvolta magico. Quando scopre che l'amato padre nasconde un uomo
ricco nel silo di famiglia al fine di salvare la loro fattoria in
difficoltà, Kitty stringe in segreto amicizia con il prigioniero. Si
ritroverà costretta a dover scegliere tra l'impulso a salvargli la
vita e il bisogno di proteggere la sua famiglia dalle conseguenze del
caso.
Il film della Hamilton è uno squisito
film di formazione con un unico piano narrativo che entra ed esce
continuamente dai suoi confini "magici". Pur trattando una
vicenda reale e tutto ciò che succede è realistico, il film e la
narrazione assumono tratti e scenografie mutevoli e conturbanti a
partire dai campi di granoturco in cui passeggiano allegramente e
soli i bambini a giocare e scoprire nuove avventure. Proprio la
scoperta, il viaggio e altri meccanismi ben oliati sono gli strumenti
che la regista adotta in un film molto misurato con alcune scene
decisamente inaspettate e un buon climax.
Kitty è la protagonista che tira fuori
il coraggio, combatte una maledizione che si impossessa del nucleo
familiare, supera le sue paure e combatte una dura lotta contro le
stesse persone che ama.
Un film che gioca molto bene la carta
dell'atmosfera con una colonna sonora che si inserisce in modo
pienamente funzionale nell'intero arco narrativo dando pathos a
diversi momenti decisivi e a tratti inquietanti. Un film per molti
aspetti già visto, con una struttura che ricorda tanto un film
italiano venuto bene e un cast misurato che assolve il ruolo.
Che cosa fareste dunque per tenere la
casa che amate e continuare così a vivere le proprie avventure?
Quello che possono fare gli adulti a volte è straziante e pericoloso
ma il senso di giustizia che traina i più piccoli può essere a
tratti commovente.
American Fable ha qualcosa di antico,
di classico, di magico e di simbolico che toccherà ad ognuno
scoprire.
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domenica 3 settembre 2017
Let's be evil
Titolo: Let's be evil
Regia: Martin Owen
Anno: 2016
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 2/5
Disperatamente alla ricerca di soldi,
Jenny accetta un lavoro come supervisore presso un centro di
apprendimento per studenti dotati. Quando però con altri due nuovi
dipendenti ha accesso a un bunker sotterraneo di massima sicurezza in
cui dei bambini robot vengono equipaggiati con occhiali per la realtà
aumentata, Jenny si ritrova al centro di un inquietante esperimento
tecnologico che la vede come giocatore inconsapevole di un gioco
virtuale terrificante.
Let's be evil mi aveva colpito per
l'atmosfera sci-fi, lo pensavo come una specie di episodio di BLACK
MIRROR allungato magari con la possibilità, ma non il dovere, di
doverne ampliare temi e struttura narrativa.
Questo è una locandina onesta erano i
motivi oltre ad un amore spassionato per la fantascienza unita a temi
post-contemporanei e alcune tecniche o strumenti digitali
all'avanguardia.
Purtroppo pur sapendo che il film di
Owen viaggiava su livelli low budget e con un cast di attori
sconosciuti, immerso in un contesto claustrofobico di un bunker
sotterraneo, avevo le mie buone riserve che ho cercato di mettere da
parte sin dall'inizio del film. Ma poi mi hanno travolto...
Pur non avendo una cifra di soldi e una
location ricompattata in c.g e in post produzione e after effects
come se piovessero da una scena all'altra, è proprio la
sceneggiatura ad essere mediocre e creare verosimilmente dei buchi
nella storia che poi fino a prova contraria non vengono chiariti come
la sequenza del prologo che ogni tanto si ripresenta o una
caratterizzazione davvero scarsa dei tre protagonisti per altro
antipatici e che lo spettatore immagina muoiano velocemente quando
devono recarsi a dormire e spegnere "le luci".
Dal secondo atto la narrazione è
macchinosa e noiosa trovando tanti elementi di disturbo che attaccano
l'intelligenza artificale e gli apparecchi ma contaminano anche la
nostra capacità di sopportazione e di prendere sul serio anche gli
elementi più complessi.
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Sci-Fi
domenica 28 maggio 2017
From a house on a Willow Street
Titolo: From a house on a Willow Street
Regia: Alastair Orr
Anno: 2016
Paese: Sudafrica
Giudizio: 2/5
Hazel e il suo tirapiedi elaborano un
piano all'apparenza infallibile per arricchirsi nel corso di una
notte. Tutto ciò che devono fare è sequestrare la figlia di un
milionario e aspettare comodi il riscatto. Non hanno però previsto
che la ragazza è posseduta da un demone letale.
"Il più vecchio e completo testo
della Bibbia si chiama Codex Vaticanus. Si trova a Roma nella
biblioteca del Vaticano. Si dice che questo manoscritto è stato
redatto da Dio stesso, non da eruditi o profeti o appartenenti ad
altre religioni". Questa possiamo definirla l'ultima chicca
tirata fuori per cercare di trovare sprazzi di originalità in un
genere che da anni ormai è abbastanza in crisi.
From a house on a Willow Street è un
bello specchio per le allodole. Una interessante locandina, un mood
che prevede demoni e un home invasion in salsa splatter e infine
qualche citazione a caso sistemando qualche accessorio ai classici
mostri di turno (le lingue che sembrano tentacoli di un polipo è
abbastanza scontato anche se ci piace sempre da vedere come
riferimento all'orrore cosmico che noi tutti conosciamo).
Una storia prevedibile, diretta a
livello tecnico in ottimo stato con una buona fotografia quasi tutta
giocata in interni, un cast che ce la mette tutta e un ritmo che
almeno riesce a tenere alto il livello di intrattenimento. Un livello
che però si abbassa di livello lentamente, rifugiandosi in territori
ormai abusati a dovere, che non sviluppa e caratterizza al meglio i
personaggi, spostandosi da Hazel a Katherine senza aver mai chiaro a
chi spetta il timone e in più senza avere quell'originalità che pur
non trattando un tema nuovo spesso riesce ad essere l'ancora di
salvataggio per horror d'esordio come questi.
Un film che tutto sommato divertirà
parecchio alcuni affezzionati che come me non hanno magari visto
quasi tutti i film di genere. Gli effetti in CGI si superano in
alcuni momenti diventando addirittura esagerati come le note musicali
pedanti e troppo invasive.
Certo il taglio gore lascia ben sperare
così come il cinema di genere e una pellicola che arriva da un paese
che non è tanto avvezzo all'horror.
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