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domenica 8 marzo 2020

Destruction babies


Titolo: Destruction babies
Regia: Tetsuya Mariko
Anno: 2016
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Mitsuhama, una noiosa cittadina portuale in Giappone. Abbandonati dai genitori, Taira e Shouta Ashiwara, due fratelli adolescenti, abitano in un cantiere navale in prossimità del mare. Taira si azzuffa spesso con studenti provenienti da altre parti della città, ma un giorno ha la peggio e scompare. Mentre Shouta lo cerca dappertutto, Taira, spinto dal proprio ego ostinato che rifiuta la sconfitta, si imbarca in un viaggio di violenza attraverso le strade della città, alla ricerca di altri contendenti da battere

Il film sembra una costola impazzita di Crow Zero II oppure Agitator, insomma quei missili disobbedienti e cult istantanei del maestro nipponico Mike Takashi che venero da ormai circa trent’anni avendo visto praticamente tutto tra rassegne e avendo avuto modo di conoscere di persona il maestro. Il cinema giapponese tra i primi in assoluto ha saputo consolidare l’arte di saper fare cinema che viene alle mani e che sa come picchiare e rendere realistiche scorribande giovanili e massacri tra appartenenti alla yakuza.
Tetsuya Mariko che non so in quali rapporti sia con Takashi, crea un suo mondo ibrido desolato dove l’esistenza sembra ormai una piaga e la noia e la disillusione diventano importanti scenari in cui imbastire e proliferare il proprio caos esistenziale interno. Il vuoto assoluto del protagonista, della società, che in Giappone assume proporzioni estreme, si esprime in un grido disperato verso il bisogno di essere vivi e Taira sceglierà di esprimere il suo disagio in una lotta impari contro chiunque attraversi la sua strada prima di impazzire del tutto e inquadrare un altro nemico “ovvero la donna“. Destruction babies è la deriva anche dei social dove tutto viene filmato e condiviso, dove il bisogno di mostrarsi passa sempre di più attraverso imprese ai limiti della legalità e del buon senso. Dove ormai i like richiedono prove estreme di sacrificio o di brutalità e in questo caso la seconda parte del film, quando interviene quello che poi diventa il co-protagonista, il suo seguace Yuya che impazzirà del tutto, allarga la metafora del film inquadrando altri obbiettivi e diventando ancora più brutale nella sua desamina di un vuoto culturale e di un abbandono fisico e sociale in cui il governo è il primo responsabile.
Il germe della follia una volta che attecchisce può portare altri individui repressi ad esplodere? Ebbene sì e il cinema nipponico c’è lo ricorda di continuo.