Titolo: Mute
Regia: Duncan Jones
Anno: 2018
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5
Nel 2046, in una Berlino carica di
immigrati e dove si incontrano e si scontrano Oriente e Occidente,
come in una sorta di fantascientifica Casablanca, Leo Beiler è un
barista muto disperatamente alla ricerca della sua amata. La donna è
scomparsa e la ricerca nei bassifondi della città porta Leo in
contatto con una coppia di chirurghi americani, che sembrano in
qualche modo collegati al caso e di cui lui non sa se può fidarsi o
meno.
Mute è un film che è stato distrutto
praticamente da tutti critica e pubblico.
Invece ho trovato tantissimo pathos in
questo film, un concentrato di sentimenti, senza essere melenso e
banale, che soprattutto lascia un finale amaro e profondo (anche se
non originale ma non è questo il punto). Il film certo non è
scritto benissimo e alle volte scivola in malo modo o si dimentica
nel tracciato pedine e indizi importanti.
Mute è un film d'amore molto
drammatico e con alcune trovate e una messa in scena calibrata,
funzionale e suggestiva. A farla da padrone nel film sono alcune
caratterizzazioni e la messa in scena, tutta, dalla fotografia viola
e blu, ai costumi e allo stile scenografico e stilistico.
Paul Rudd è forse la cosa che rimarrà
più impressa del film. Un personaggio border che riesce a dare una
svolta interessante al film diventando il vero protagonista nel senso
che subisce il cambiamento più forte pur rimandendo un villain.
Jones è un regista strano e dinamico
che passa da un estremo all'altro amando e prediligendo comunque la
fantascienza. Questo noir sporco e difettoso è come un sistema che
regala forti emozioni ma va velocemente in corto circuito.
Il regista infine cita e forse
omaggia suo padre, richiamando direttamente in causa il difficile
tema del rapporto padre-figlio e dedicando l’intera opera a Maron,
la donna che lo ha cresciuto come un figlio pur non essendone la
madre biologica.