Titolo: Hanna Arendt
Regia: Margarethe Von Trotta
Anno: 2012
Paese: Germania
Giudizio: 4/5
Il film ricostruisce un periodo fondamentale della
vita di Hannah Arendt: quello tra il 1960 e il 1964. All'inizio della vicenda,
la cinquantenne intellettuale ebrea - tedesca, emigrata negli Stati Uniti nel
1940, vive felicemente a New York con il marito, il poeta e filosofo tedesco
Heinrich Blücher. Ha già pubblicato testi fondamentali di teoria filosofica e
politica, insegna in una prestigiosa Università e vanta una cerchia di amici
intellettuali. Nel 1961, quando il Servizio Segreto israeliano rapisce il
criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, nascosto sotto falsa identità a
Buenos Aires, la Arendt si sente obbligata a seguire il successivo storico
processo che si tiene a Gerusalemme. Nonostante i dubbi di suo marito, la
donna, sostenuta dall'amica scrittrice Mary McCarthy, chiede e ottiene di
essere inviata in loco come reporter della prestigiosa rivista 'New Yorker'.
Hannah nota che Eichman, uno dei gerarchi artefice dello sterminio degli ebrei
nei lager, è un mediocre burocrate, che si dichiara semplice esecutore di
ordini odiosi e, d'altro canto, si sorprende nell'ascoltare testimonianze di
sopravvissuti che mettono in evidenza la condiscendenza dei leader delle
comunità ebraiche in Europa, di fronte ai nazisti.
"Ma sai che io non posso amare gli ebrei, come non amo
il popolo, non amo la folla; io amo solo i miei amici, amo la gente che
conosco"
Necessario. E’ questo l’aggettivo che più si confa alla
femminista tedesca e al suo ultimo film.
Necessario perché sono in troppi a non conoscere la vicenda
che ha portato la giornalista più coraggiosa dell’ultimo secolo a denunciare il
suo paese e ha rivedere uno dei capitoli più tragici della storia.
Straordinariamente interpretata da Barbara Sukowa, il film
narra con taglio televisivo, le sue amicizie, il rapporto con il marito, i suoi
continui impegni e la sua necessità di affrontare i temi della storia contemporanea
seguendo i fatti e non le sensazioni.
Dai suoi resoconti, e in seguito dal suo libro, "La
banalità del male: Eichman a Gerusalemme" (un libro che andrebbe letto in
tutte le scuole, dalle medie in avanti e quindi non solo come testo d’esame
universitario), emerge la controversa teoria per cui proprio l'assenza di
radici e di memoria e la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie
azioni criminali farebbero sì che esseri spesso banali (non persone) si trasformino
in autentici agenti del male.
Il coraggio e la neutralità insegnano, purtroppo, che al
prezzo della giustizia e del coraggio si perdono gli amici, la cattedra
all’università, la notorietà distrutta dai media, ma d’altro canto resta il
marito, restano gli studenti (chiaro esempio di come le nuove generazioni non
sono sempre controllabili e omologate).
Hanna Arendt cristallizza su di sé un coraggio emblematico
che dovrebbe essere manifesto in tutti noi soprattutto in tempi in cui i mass
media e l’era digitale sfalsa la realtà e a volte cerca di ridipingere la storia a proprio
piacimento. Allora la settima arte ci mette anche lei il suo importante
contributo, soprattutto quando, ed era vergognoso aspettare il 2012, che si
arrivasse a fare un film su questo importantissimo personaggio di rilievo
storico e che ha segnato un’epoca e il bisogno di capire fino in fondo i
problemi per esaminarli lucidamente senza totem o ideologie pre-confezionate ad
hoc.