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sabato 14 febbraio 2015

Hanna Arendt

Titolo: Hanna Arendt
Regia: Margarethe Von Trotta
Anno: 2012
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

 Il film ricostruisce un periodo fondamentale della vita di Hannah Arendt: quello tra il 1960 e il 1964. All'inizio della vicenda, la cinquantenne intellettuale ebrea - tedesca, emigrata negli Stati Uniti nel 1940, vive felicemente a New York con il marito, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher. Ha già pubblicato testi fondamentali di teoria filosofica e politica, insegna in una prestigiosa Università e vanta una cerchia di amici intellettuali. Nel 1961, quando il Servizio Segreto israeliano rapisce il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, nascosto sotto falsa identità a Buenos Aires, la Arendt si sente obbligata a seguire il successivo storico processo che si tiene a Gerusalemme. Nonostante i dubbi di suo marito, la donna, sostenuta dall'amica scrittrice Mary McCarthy, chiede e ottiene di essere inviata in loco come reporter della prestigiosa rivista 'New Yorker'. Hannah nota che Eichman, uno dei gerarchi artefice dello sterminio degli ebrei nei lager, è un mediocre burocrate, che si dichiara semplice esecutore di ordini odiosi e, d'altro canto, si sorprende nell'ascoltare testimonianze di sopravvissuti che mettono in evidenza la condiscendenza dei leader delle comunità ebraiche in Europa, di fronte ai nazisti. 

"Ma sai che io non posso amare gli ebrei, come non amo il popolo, non amo la folla; io amo solo i miei amici, amo la gente che conosco"
Necessario. E’ questo l’aggettivo che più si confa alla femminista tedesca e al suo ultimo film.
Necessario perché sono in troppi a non conoscere la vicenda che ha portato la giornalista più coraggiosa dell’ultimo secolo a denunciare il suo paese e ha rivedere uno dei capitoli più tragici della storia.
Straordinariamente interpretata da Barbara Sukowa, il film narra con taglio televisivo, le sue amicizie, il rapporto con il marito, i suoi continui impegni e la sua necessità di affrontare i temi della storia contemporanea seguendo i fatti e non le sensazioni.
Dai suoi resoconti, e in seguito dal suo libro, "La banalità del male: Eichman a Gerusalemme" (un libro che andrebbe letto in tutte le scuole, dalle medie in avanti e quindi non solo come testo d’esame universitario), emerge la controversa teoria per cui proprio l'assenza di radici e di memoria e la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali farebbero sì che esseri spesso banali (non persone) si trasformino in autentici agenti del male.
Il coraggio e la neutralità insegnano, purtroppo, che al prezzo della giustizia e del coraggio si perdono gli amici, la cattedra all’università, la notorietà distrutta dai media, ma d’altro canto resta il marito, restano gli studenti (chiaro esempio di come le nuove generazioni non sono sempre controllabili e omologate).

Hanna Arendt cristallizza su di sé un coraggio emblematico che dovrebbe essere manifesto in tutti noi soprattutto in tempi in cui i mass media e l’era digitale sfalsa la realtà e a volte cerca  di ridipingere la storia a proprio piacimento. Allora la settima arte ci mette anche lei il suo importante contributo, soprattutto quando, ed era vergognoso aspettare il 2012, che si arrivasse a fare un film su questo importantissimo personaggio di rilievo storico e che ha segnato un’epoca e il bisogno di capire fino in fondo i problemi per esaminarli lucidamente senza totem o ideologie pre-confezionate ad hoc.