Titolo: Un padre, una figlia
Regia: Cristian Mungiu
Anno: 2016
Paese: Romania
Giudizio: 4/5
Romeo Aldea è medico d'ospedale una
cittadina della Romania. Per sua figlia Eliza, che adora, farebbe
qualsiasi cosa. Per lei, per non ferirla, lui e la moglie sono
rimasti insieme per anni, senza quasi parlarsi. Ora Eliza è a un
passo dal diploma e dallo spiccare il volo verso un'università
inglese. È un'alunna modello, dovrebbe passare gli esami senza
problemi e ottenere la media che le serve, ma, la mattina prima degli
scritti, viene aggredita brutalmente nei pressi della scuola e rimane
profondamente scossa. Perché non perda l'opportunità della vita,
Romeo rimette in discussione i suoi principi e tutto quello che ha
insegnato alla figlia, e domanda una raccomandazione, offrendo a sua
volta un favore professionale.
Mungiu è uno dei nuovi talenti del
cinema internazionale. Un regista rumeno che in soli tre film è
riuscito ad essere determinante sotto molti punti di vista
intersecando tematiche attuali e drammatiche e unendole ad uno stile
personale assolutamente riconoscibile.
La normalità diceva Matheson è un
concetto di maggioranza, la norma di molti e non quella di uno solo.
In questo caso lo scambio reciproco di favori, il compromesso, la
corruzione e il pessimismo sembrano essere le icone di un paese che
in fondo non si è riusciti a cambiare.
Il futuro visto come la fuga per i
giovani, e l'educazione al cambiamento fuori dalla terra natia,
diventa l'unica ancora di salvezza per una generazione, quella dei
genitori, troppo preoccupati e timorosi per poter cercare altre
soluzioni e prima di tutto ascoltare il volere dei propri figli.
E'davvero attuale e intelligente, un film che muove al punto giusto
il bagagliaio dei sentimenti in maniera come sempre naturale e ricca
di dialoghi efficaci e funzionali all'impianto della semina e della
raccolta.
Nell'ultimo film di Mungiu quasi
nessuno è simpatico.
Tutti sembrano mogi e tristi, derelitti
di un paese condannato che permette solo ad una piccola elite di
andare avanti senza troppi ostacoli.
La conseguenza di una scelta, come nei
suoi due film precedenti diventa la scheggia da cui far partire il
film, l'incidente scatenante di una circolarità di scelte e di
azioni che portano ad essere inghiottiti e fagocitati dalla proprio
orgoglio. Il bisogno e l'esigenza di un padre che vuole tenere tutto
sotto controllo, alla ricerca di impossibili equilibri e manovre
disperate per mantenere l'autocontrollo e il decoro nella speranza che
la fuga da uno sfortunato paese sia il bene più prezioso da regalare
a sua figlia.
Il punto cruciale del film è che alla
base c'è una decisione immorale. Questo porta soprattutto gli onesti
a dover fare i conti con la realtà, con le conseguenze inattese e
gli effetti perversi.
Un film che riesce a tenere incollato
lo spettatore nella sua intricata serie di dialoghi e
differenziandosi su più piani e problematiche, riuscendo infine a
trovare, come spesso capita, un equilibrio proprio nella redenzione e
nella capacità di saper trovare nell'ascolto e nel libero arbitrio
il bene più prezioso.
"Errare humanum est" sembra
ripetere il regista dall'inizio alla fine del film.