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martedì 17 novembre 2020

Bulldozer


Titolo: Bulldozer
Regia: Michele Lupo
Anno: 1978
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Bulldozer è un marinaio solitario che, durante una sosta nel porto di Livorno a causa di un problema alla sua barca, si imbatte nelle prepotenze del sergente Kempfer e dei suoi uomini, stanziati nella vicina base USA di Camp Darb, che dileggiano i ragazzi del posto. Finito suo malgrado in un'improvvisata rissa in un locale, Bulldozer si attira sin da subito le antipatie di Kempfer e la stima dei giovani locali. Dopo una serie di schermaglie infinite, i ragazzi chiedono al marinaio, in realtà ex-campione oltreoceano di football americano, di allenarli per una partita che si terrà da lì a venti giorni. Nonostante le iniziali reticenze Bulldozer accetta la sfida.

Michele Lupo ha firmato con Carlo Pedersoli questo film indimenticabile assieme a Bomber.
Entrambi per me rappresentano due inni alla comicità senza prendersi troppo sul serio con il rugby di facciata per una storia di redenzione e crescita. Tantissimi ruoli, alcuni personaggi azzeccatissimi, gag indimenticabili, risse cult, un buon ritmo e una convincente prova attoriale e messa in scena.
Un film che riesce come il successivo ad avere dalla sua delle buone musiche degli Oliver Onions, Gigi Reder in una piccola parte dove cerca di trovare un motore Thompson per la barca di Bulldozer pensando che in realtà nasconda una Roll Royce, Joe Bugner indimenticabile in una sorta di lupo che si trasforma in agnello, il solito Raimund Harmstorf che pur essendo tedesco rappresenta bene quella presunzione americana che esige rispetto e deraglia ogni regola dovendola far pagare al protagonista per una scommessa persa in passato. Piero del Papa come aiuto degli strozzini e infine altri ruoli come tutta la squadra dei giovani con Nando Paone a vincere la palma del più idiota ma divertentissimo.
E poi l'astuzia di Lupo non è quella di puntare nella partita finale a vincerla ma a riuscire a fare semplicemente un punto.




mercoledì 1 luglio 2020

Ingorgo


Titolo: Ingorgo
Regia: Luigi Comencini
Anno: 1978
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Un corteo di macchine procede sempre più lentamente lungo la tangenziale di Roma, sino a che ogni possibilità di movimento si blocca. L'ingorgo durerà 36 ore. Sin dai primi momenti il nervosismo dei viaggiatori è evidente. Quando sfumano le speranze di una veloce soluzione, mancano notizie, si palesano le prime necessità, la tensione sale al massimo e non pochi trascendono. La circostanza permette di scoprire i lati peggiori dell'umanità presente.

L'ingorgo è un film importantissimo. Una metafora dolorosa e amara che ritrae in maniera cupa alcuni aspetti della nostra cultura, dei valori, della differenza tra le classi sociali e molto altro ancora. Un film corale che vanta una galleria di attori straordinari. Un film di denuncia sull'immobilità della nostra società, in questo caso il progresso e la difficoltà a considerare il fatto che si possa restare immobili nonostante si abbia tutti gli strumenti a disposizione per percorrere molti chilometri. Ma poi la metafora più bella è stata quella di usare le macchine come celle di alluminio dove ci si auto isola e dove può succeder di tutto, tra amori ormai giunti alla fine, paradossale il festeggiamento delle nozze d'argento, un avvocato che pensa solo gli affari e che crede sia giusto comprare qualsiasi cosa, attori che ormai non c'è la fanno più e vengono coinvolti in strani giochi perversi, amanti irregolari e ancora drammi e pochissime risate. La scena dello stupro dove i testimoni sono un gruppo di malavitosi che però non osano mettersi in mezzo ma poi tra di loro esibiscono le pistole come massimo simbolo del potere è potentissima così come la battaglia per l'acqua, il prezzo che ogni cosa sembra dover avere per i ricchi mentre per i poveri no.
L'ingorgo come è solita la politica di un autore complesso e fondamentale per il nostro cinema cerca sempre di dare al film una certa verosimiglianza, precludendo la via del paradosso ed è proprio per questo che le singole scene sembrano tutte così incredibilmente realistiche.
La location, se così possiamo chiamarla, è stata ricostruita nella Cinecittà della fine degli anni ’70, nello specifico, un raccordo autostradale con tanto di distributore e un cimitero per auto che accresce la metafora già esplicita che il film possiede.




venerdì 21 febbraio 2014

Hardcore(1978)

Titolo: Hardcore(1978)
Regia: Paul Schrader
Anno: 1978
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Jake Van Dorn, membro influente di una comunità religiosa, assume un investigatore privato per ritrovare la figlia minorenne scomparsa a Los Angeles. Quando ha in mano un film porno dove compare la ragazzina, assume in prima persona l'indagine che si trasforma in una discesa all'inferno

Dopo aver scritto la sceneggiatura di TAXI DRIVER per Scorsese, Schrader, nel suo momento idilliaco nel cinema, ha scritto e diretto questo thriller davvero insolito con venature atipiche e una solida struttura narrativa.
E'facile vedere nel film di Schrader, quanti abbiano dopo di lui copiato la struttura, le idee, le trovate e via dicendo (8MM è imbarazzante per le analogie in comune).
Hardcore è un film che parla di video pornografici e solo verso il finale apre sul tema degli snuff-movie, ma più di tutto scava alla radice del problema, cioè sul rapporto padre-figlia (memorabile il dialogo finale) quindi diciamo che in chiave psicoanalitica, tutto può essere riportato ad una mancanza d'affetto. Ora l'indagine oltre ad essere approfondita è pure interessante poichè a farne le spese è un padre e la sua scoperta nel mondo del porno e dei tabbo sarà la nostra scoperta.
Partendo da una fotografia di ottimo livello che accentua molti momenti clou della vicenda, bisogna però dare tutti i meriti alla sceneggiatura, perfetta e lucida, che esalta tutte le circostanze del film, tutti i passaggi narrativi e con alcuni dialoghi fa un lavoro di gran classe nel far cogliere il marcio della società.
George C. Scott come protagonista e soprattutto come padre nel film è funzionale, caricandosi sulla schiena una bella performance. Ovviamente pone le basi sulla sua ricerca e sul nostro bisogno di conoscere, assieme a lui, i contenuti di questa materia "scandalosa", e di cui in quegli anni cominciavano a girare strane voci e spesso si esagerava con le definizioni.


domenica 29 settembre 2013

Barracuda

Titolo: Barracuda
Regia: Harry Kerwin, Wayne Crawford
Anno: 1978
Paese: Usa
Giudizio:2/5

Un giovane professore deve analizzare il grado di inquinamento delle acque marine di Palm Cove, ma le autorità non si fermano davanti a nulla, nemmeno all'omicidio, per impedirgli di fare correttamente il suo lavoro.

Diciamo che non capita spesso di trovare degli apparenti beast-movie che poi scopri non esserlo proprio per niente. Un particolare interessante soprattutto quando punta il dito contro l'inquinamento nei mari, le sostanze tossiche gettate nelle acque, qui l'elemento sociale ed ecologico incontra quello fantascientifico e purtroppo forse da questo strano sodalizio inziano le incongrueza del film.
Sicuramente con dei mezzi molto limitati rispetto a film come LO SQUALO e compagnia bella che almeno potevano puntare su effetti molto forti per l'epoca e su mostri marini costruiti ad hoc.
I due registi devono fare i conti dunque con queste ristrettezze cercando dunque di dare realisticità e forma ad un b-movie che non sembra nemmeno aver protagonisti ma insiste su questa emorragia del sistema che sembra colpire tutti. Qualcosa più grande di loro, un qualcosa che si muove nell’ombra d’accordo con multinazionali ciniche mentre la città vittima predestinata è ignara di tutto.
Un film dunque che diventa qualcosa di più complesso, meno commerciale dello SQUALO e di PIRANHA ma cercando di immergere gli intenti su un piano fanta-politico.
Il risultato è spesso inconsistente con le scene marine davvero debolucce e una musica sottotono che sembra trasmettere l'ineluttabilità degli eventi.
Il Barracuda da cui è tratto il titolo, più che dell'animale, sembra far riferimento ai denti aculei delle grandi multinazionali.

lunedì 24 dicembre 2012

Pomodori Assassini


Titolo: Pomodori Assassini
Regia: John De Bello
Anno: 1978
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

La razza umana si trova improvvisamente attaccata da pomodori senzienti, con l'intenzione di conquistare il mondo. Dopo una serie di inutili provvedimenti da parte del governo statunitense per debellare la minaccia, il detective Mason Dixon scoprirà che i pomodori non sopportano una canzone, intitolata "Amore in pubertà", in grado di indebolirli e mettendo fine all'invasione.

Diciamo che di nemici l’America è piena zeppa. Di tutte le forme e di tutte le misure. Poi arriva un b-movie, un trashone di quelli spessi. Il film feticcio da un lato puntava il dito contro eventuali nemici rossi e che da poco tempo avevano destabilizzato lo spirito reazionario americano, dall'altro la vena satirica cercando di puntare su un nemico che entra nelle nostre case con una facilità sorprendente e quindi ci porta a dover diffidare di tutto e tutti(?).
Se non fosse per il ritmo lento fino allo sfinimento, con questi pomodori che a parte fare versi assolutamente anomali, rotolano con una lentezza allarmante.
Il tema poi della musica ripresa da Burton in uno dei suoi film migliori MARS ATTACK! è solo il climax finale di una pellicola che non aveva senso ancor prima di uscire. Il valore commerciale però della pellicola, ha fatto sì che uscissero ben tre seguiti, su cui non spendiamo molte parole dal momento che il risultato, se sono in rari casi, faceva ancora più spiego ed era ancora più nutrito di non-sense.
Durante le riprese un elicottero Hiller UH-12 E, in prossimità del suolo, colpì di coda il terreno, causandone la perdita di controllo del mezzo e subito dopo lo schianto e l'esplosione. Fortunatamente il pilota ne uscì illeso. Il regista decise di non tagliare la scena, soprattutto per le ristrettezze del budget.(Wikipedia)

giovedì 14 giugno 2012

Blue Movie


Titolo: Blue Movie
Regia: Alberto Cavallone
Anno: 1978
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Una ragazza scampata ad uno stupro trova rifugio nello studio di un fotografo. Questo ha un rapporto intriso di sadismo con una sua modella-amante. La ragazza non riesce a superare l'incubo dello stupro.

Uno dei motivi per cui la pellicola di Cavallone non decolla probabilmente è  legato alla trama troppo complessa e sul messaggio che il regista voleva fare intendere.
Il significato del film a tratti è sconnesso, o meglio, è imperlato di scene erotiche a volte frizzanti, a volte estremamente lunghe e monotone, o a volte come nelle scene di fellatio molto realistiche, sembra quasi di vedere un film di Franco.
Un thriller con delle buone potenzialità e una fotografia molto accesa e colorata che però deraglia dai binari sconfinando più volte con il soft-porn.
Il montaggio, dello stesso regista insieme alla sceneggiatura, riesce alle volte a spezzare la reale prolissità della trama senza però convincere sul piano dei dialoghi, a volte troppo didascalici e metafisici.
Sembra che la vena erotica piaccia al regista milanese così tanto da farla diventare la componente principale di quasi tutti i suoi film. Se però, come in questo caso, il regista milanese voleva apportare una critica feroce sulla violenza sessuale dell’uomo sulla donna, allora il tentativo è smorzato dai continui rimandi alle esplicite scene di sesso.

martedì 22 marzo 2011

Papaya dei Caraibi

Titolo: Papaya dei Caraibi
Regia: Joe D'Amato
Anno: 1978
Paese: Italia/Repubblica Dominicana
Giudizio: 3/5

Geologi e ingegneri sono inviati da una multinazionale in un villaggio di Santo Domingo per costruirvi una centrale nucleare. Gli abitanti del luogo, sfrattati dalle loro terre, con la complicità della procace creola Papaya li attirano, ad uno ad uno, in una trappola mortale.

"La violenza ha un senso solo quando serve ad opporsi ad altra violenza"
Cinema erotico-esotico. Mah...
Non c'è tanto da dire su questo debole thriller che non vuole essere dichiaratamente splattere ed erotico anche se sotto certi aspetti lo rispecchia eccome, ma trattasi di tentativo di voler condannare i colonizzatori e i loro intenti espansionistici.
Eppure la trama è il pretesto per uno svolgimento che si dipana in ben altri intenti e che forse ottiene quello che vuole proprio grazie ad un alternarsi di scene ad alto impatto senza avere i pretesti di sceneggiatura per dire veramente qualcosa.
O forse D'Amato esprime il messaggio con i segnali del corpo....
E'così la cavia che gioca nella vasca con i due piccioncini(lui bruto,lei bionda)per poi capire che il bruto e il maschio cattivo e quindi va scopato per bene prima di essere punito e lei bionda che per ribellarsi a questa condizione si lascia travolgere dall'immancabile tipo di colore.
Qualche momento lo regala come la bionda inseguita dai bambini, scene inutili di squartamenti di animali e combattimenti tra polli per arrivare all'immancabile scena finale lesbica in cui le due si ricongiungono e ripartono assieme per una nuova avventura.
Questo in sostanza è lo spiacevole andamento di questa pellicola lenta e straziata da passaggi insostenibili e noiosi.
La regia è quantomeno anomala contando il regista in questione e salvo le location e qualche musica lounge il resto è assolutamente trascurabile.

lunedì 21 marzo 2011

Silent Flute

Titolo: Silent Flute
Regia: Richard Moore
Anno: 1978
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Cord, guerriero alla ricerca di Zetan, è alla ricerca del Libro della Via, in un luogo fuori dal tempo, leggendario e mitologico. Tra combattimenti, arti marziali ed avventura si sviluppa la metafora del ‘cercatore’ e della ‘trasmissione’.

Scritto nel 1970, "The Silent Flute" è tratto da una storia di Bruce Lee in collaborazione con l'amico James Coburn. Diffusosi in Italia con il nome: "Messaggi da forze sconosciute" è stato girato in Israele nel 1979.
Il film è molto bello e racconta di come Cord, guerriero forte ma impulsivo, voglia assolutamente mettere mano sul libro custodito da Zetan senza sapere che la risposta altri non è che dentro di sé. .
Richard Moore, fotografo di vari film esordisce qui con la sua opera prima che dirige e fotografa.
Lo stile è buono senza uno sfoggio particolare di movimenti di macchina. I combattimenti sembrano mescolare un gusto primitivo con sprazzi di arti marziali. Moore sfrutta un soggetto molto usato nel cinema analizzabile con il viaggio dell’eroe e cade poche volte nel banale regalando buone scene e azione. A questo proposito si può citare qualche discorso retorico di Blind Man e Zetan.
Nel cast figura David Carradine nei panni di ben quattro personaggi: Blind man, Monkeyman, Death e Changsha. Cord è Jeff Cooper. Zetan è Christopher Lee.
Un film che non tramonta mai.

domenica 20 marzo 2011

Martin

Titolo: Martin
Regia: Gorge A.Romero
Anno: 1978
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Il giovane Martin si sta recando a Braddock, Pennsylvania, per trascorrere qualche tempo con un cugino più anziano, Tati Cuda. Sul treno, avendo disperato bisogno di sangue, uccide una passeggera. Giunto a destinazione, viene subito accusato di essere un vampiro. Christina, la nipote di Tati, ritiene che il ragazzo abbia soltanto dei problemi psichici e non crede alla maledizione che pesa sulla loro famiglia. Secondo Tati, infatti, se Christina dovesse avere dei figli dal suo futuro marito Arthur, anch’essi potrebbero nascere vampiri. Martin, intanto, ha trovato un lavoro e ne approfitta per mietere vittime. Tormentato dal rimorso, si confessa telefonicamente durante un programma radiofonico. Tati decide di far intervenire padre Howard un esperto di vampiri e padre Zulemas un esorcista.

Martin è un film anomalo e straordinario. Romero a mio giudizio gira il film più maturo della sua filmografia oltre che il più affascinante. Martin rompe tutti gli schemi del vampiro tradizionale e lancia anche frecciatine contro i luoghi comuni dei vampiri classici.
Il film è girato in maniera impeccabile con citazioni in b/n su vecchi film e la scena col mantello e i denti finti è da annali, così come quella in cui appunto Martin spiega al tipo della radio le differenze tra lui è un potenziale vampiro Stokeriano.
Ciò che più sconvolge ancora una volta è la serie di dinamiche che tendono ad approfondire la natura umana in cui un Cuda riesce veramente ad essere più terrificante di un vampiro(la religione può arrivare a sfoggiare i peggior mostri, ma questo si sa…)e il modo in cui viene approfondita la natura, i dubbi, la sensibilità e curiosità di un ragazzo che normale non è e che purtroppo deve ogni tanto fare una piccola scorta di cibo in modo poco inusuale…

Serpente all’ombra dell’aquila

Titolo: Serpente all’ombra dell’aquila
Regia: Yuen Woo-Ping
Anno: 1978
Paese: Hk
Giudizio: 4/5

Il film è ambientato in Cina. Due scuole d’arti marziali: l’artiglio del falco e il morso del serpente.
La prima scuola decide di imporre la propria potenza e superiorità uccidendo svariati allievi della scuola del morso del serpente. Il maestro del serpente decide così di sfidare il maestro dell’artiglio, ma muore e gli unici due eredi della disciplina rimangono un giovane ragazzo(Chan)ed un vecchio pratico dello stile dell’ubriaco.
Il vecchio prenderà in custodia il giovane insegnandoli la sua tecnica e alla fine il giovane riuscirà a sconfiggere il maestro dell’artiglio.

Il film oltre ad omaggiare vari stili cinesi di arti marziali riesce grazie alla verve di Chan ad essere divertentissimo.
La scena che più mi ha divertito è stata quella del combattimento finale, in cui Jackie usa la sua nuova tecnica imitando i gesti del gatto. Infatti durante tutto il combattimento sentiamo i miagolii.
Le coreografie sono studiatissime e rendono interessanti i combattimenti, mostrando diverse tecniche a confronto. Il film inizia subito, mentre presenta i titoli di coda, con una forma di wushu di Jachie Chan. La forma e lo stile sono perfetti e vengono magicamente accostati da una bella musica elettronica.
Alla fine del film Jackie contamina le due tecniche delle due scuole formando lo stile del serpente all’ombra dell’aquila. Tutti gli attori sono stati convincenti. In particolare il vecchio che ho già visto in numerose pellicole di genere.
Il ritmo è costante e riesce ad unire i numerosi combattimenti con una storia in ogni modo non troppo scontata, in cui non mancano personaggi di contorno come un prete russo che lavora per l’artiglio dell’aquila.
Insomma un film che non stufa mai, riesce a coinvolgere pur tenendo sempre accesi i riflettori sui combattimenti e le sempre innovative trovate coreografiche.

Spit on your Grave

Titolo: Spit on your Grave
Regia: Meir Zarchi
Anno: 1978
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La giovane scrittrice Jennifer Hill si trasferisce in campagna per terminare il suo romanzo, ma invece della pace naturale del luogo campestre troverà prima l’orrore di un gruppo di ragazzi che la stuprano e la seviziano nella più cruda delle maniere e poi l’acre sapore della volontà di vendetta.

I spit on your grave, questo il titolo originale è un film difficile da collocare. Tosto, ogni tanto insopportabile (come la scena in cui Jennifer viene stuprata sul tronco e in cui urla come una dannata), è tuttavia scioccante per l’epoca ,classe ’78. Fa parte di quel filone dell’exploitation che prevede quella chicca di La casa sperduta nel parco, Cane di paglia, anche se qui il fascino della violenza si impone in maniera totalmente diversa. C’è il gusto del regista con un certo esibizionismo nel voler mostrare uno stupro che dura mezz’ora con intermezzi strani per la dinamica del gruppo in cui nel ritardato trova il mezzo per giustificare in parte le sue azioni. La motivazione nei giovani nasce dalla frustrazione e dalla noia in un paesino sperduto. Il regista ne ha per tutti in particolare partendo dal mezzo ritardato che sembra lo sguardo sulla trasformazione del branco. Altro che un tranquillo wee-kend di paura (film comunque più articolato e meglio strutturato).
Assistiamo alla distruzione psicologica di Jennifer abbastanza velocemente per poi vedere una giustizia veloce e anche questa in alcune parti troppo negativa. Perché mi chiedo Jennifer, quando può uccidere facilmente i suoi assalitori, perde tempo arrivando addirittura ad avere nuovi rapporti prima di ucciderli? E qui annoto una notevole scena di castrazione.
Brava la bella Camille Keaton, impersonifica molto bene la parte di una donna che perde quasi tutta la dignità per poi riconquistarne solo una parte dopo un’efferata vendetta.

domenica 13 marzo 2011

Ciao Maschio!

Titolo: Ciao Maschio!
Regia: Marco Ferreri
Anno: 1978
Paese: Italia/Francia
Giudizio: 4/5

In una New York metastorica l'elettrotecnico Lafayette è in rapporto con il megalomane direttore di un museo delle cere di Roma antica, un solitario anarchico italiano, un gruppo di femministe teatranti (fra cui Angelica che s'innamora di lui) e soprattutto con un piccolo scimpanzé di cui diventa padre putativo

Ferreri gira questo strabiliante film decisamente onirico e svariato nella molteplicità di scene, momenti catartici che attribuisce mano a mano che il film incalza.
Lafayette viene all’inizio “stuprato” scegliendo di prendere parte ad un tenero gioco erotico di cui è l’unico che come ricorda ad Angelica ha la possibilità di punire.
E’ un messaggio sulla perdita degli affetti più cari analizzato sotto diverse linee narrative come quella che lega Lafayette a Luigi (anarchico che non riesce a vivere serenamente, ipotetico padre che lascia il testimone al suo figlio legittimo dandogli responsabilità), ad Angela e alla scimmia Cornelius trovata completamente spaesata tra le braccia di un gigantesco King Kong che ogni tanto muove le dita e che finisce per morire proprio quando infine trova una casa ed una famiglia che preferisce accudire una scimmia anziché una bambina.
Finale tragicissimo e pessimista come risposta alla disgregazione della società occidentale. Una riposta ottimista con madre e figlia che giocano e che quindi non possono che regalare speranza comunque da un risvolto alle tematiche che il soggetto si propone.
Tecnicamente perfetto si avvale della partecipazione della squadra allora più in forma che c’era come Ruggero Mastroianni al montaggio, Luciano Tovoli alla fotografia (il quale regala una New York evocativa, surreale e profondamente affascinante) e Dante Ferretti alla scenografia.