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venerdì 11 agosto 2023

Profondo Rosso


Titolo: Profondo Rosso
Regia: Dario Argento
Anno: 1975
Paese: Italia
Giudizio: 5/5

Il musicista inglese Marc Daly, in Italia per motivi professionali, è casualmente testimone del sanguinario omicidio della sensitiva Helga Ullman, che abita nel suo stesso palazzo. Poco prima, durante un congresso di parapsicologia, Helga aveva avvertito in sala una presenza malevola, di una persona che aveva già ucciso e che avrebbe ucciso ancora. Marc è turbato e incuriosito da quanto ha visto e decide di indagare per conto suo, trovando una sponda nella giornalista Gianna Brezzi che vede la possibilità di uno scoop. La pista investigativa che segue porta Marc in direzione di una scrittrice, Amanda Righetti, ma, quando arriva a casa sua per parlarle, la trova morta assassinata. Il killer ha colpito ancora e sembra in grado di prevedere tutte le mosse di Marc e Gianna, in una scia di sangue che si fa sempre più lunga e tortuosa.
 
Profondo Rosso è uno dei capolavori dell'horror italiano. Un film audace che ha saputo grazie al talento di tutte le maestranze coinvolte, dare originalità, estro, colpi di scena, momenti di puro cinema, brividi, splatter ma soprattutto un thriller mai scontato dove addirittura viene mostrato il killer all'inizio del film e dove come spesso accade, per parte del film l'assassino/a potrebbe sembrare proprio l'innocente partner di Marc. Le musiche dei Goblin, l'uso della fotografia e delle luci, le cromature, il montaggio perfetto, la scelta di alcuni personaggi mai sopra le righe ma memorabili. E' il film dopo il quale Argento ha cominciato ad alternare thriller e soprannaturale inserendo temi demoniaci e possessioni. Il tutto con quella vena creepy nel saper mischiare e intensificare l'atmosfera di alcune scene grazie all'inserimento di nenie infantili deformate e ossessionanti. Ci sono troppe scelte stilistiche importanti che si alternano regalando momenti di memorabile cinema che non è in primis solo e puro orrore ma racconta anche una storia d'amore tra Marc e Gianna. Le scene mostrate solo per il valore del regista, senza peraltro essere mai spiegate, compaiono e hanno una loro forza estetica determinante come la sequenza dell’automa semovente psicopombo che sbuca da una cortina di tende, muovendosi come un soldatino di latta e ridendo come il Diavolo, introducendo di fatto la morte.

mercoledì 2 ottobre 2019

Bug-Insetto di fuoco

Titolo: Bug-Insetto di fuoco
Regia: Jeannot Szwarc
Anno: 1975
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

In seguito a un terremoto, un tipo di insetto mai visto prima esce dalle viscere della Terra. L'entomologo James Parmiter scopre che questi insetti hanno la capacità di inescare fuochi. Gli insetti iniziano ad uccidere gli umani ed una delle vittime è proprio la moglie di Parmiter. Le cose peggiorano quando, in seguito ad un esperimento d'ibridazione compiuto da Parmiter, gli insetti dimostrano di essere divenuti intelligenti.

Bug è un pregevole film di sci-fi con risvolti catastrofici e spunti eco-vengeage che di fatto viene spesso associato alla categoria fanta-horror o il sotto filone degli animali assassini, tratto dal romanzo La piaga Efesto (The Hephaestus Plague), un romanzo di fantascienza apocalittica del 1973 scritto da Thomas Page.
Szwarc che non ha avuto una filmografia felice, riesce come mestierante ad infondere fin da subito un'atmosfera allucinata dove il film non si prende molto tempo prima di mostrare i piccoli insetti resi in maniera verosimile e in grado, nonostante il film sia del '74, di infondere allo stesso tempo una sensazione di orrore e di inquietudine risultando al contempo ripugnanti e facendo scaturire tutte le paure ancestrali dei blattofobi.
Blatte plaeistoceniche da un altro tempo che volano, alloggiano nei tubi di scappamento, non sembrano temere nulla  a parte i giochi di pressione e che ormai a detta del professore hanno esaurito le scorte del sottosuolo con l'evidente bisogno di andare a procacciarsi cibo e sostentamento sulla superficie dopo l'incidente scatenante, un terremoto a suo modo reso in maniera apocalittica come il discorso del prete.
Il film calca molto lo sci-fi, studiando l'anatomia e le caratteristiche degli insetti piuttosto che in una vera caccia, cercando di sterminarli. Proprio la fase evolutiva della creatura, per quanto in certi versi troppo repentina, diventa uno degli aspetti più interessanti di pari passo con la paranoia del professore, il suo bisogno di chiudersi in una casa isolata per poter fare tutti gli esperimenti del caso lasciando di fatto che il film evolva esso stesso in una sorta di sottile horror psicologico. Ci sono alcune scene sicuramente deliziose, l'attacco degli insetti, la metamorfosi finale, il senso di impotenza degli umani, l'aver sottovalutato il pericolo e poi il film non ha un happy ending, muoiono tutti e gli insetti vincono.

giovedì 13 settembre 2018

Black Moon


Titolo: Black Moon
Regia: Louis Malle
Anno: 1975
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Alla guida della sua auto, Lily investe un tasso, resta coinvolta in una guerra tra eserciti di sessi opposti, avvista un unicorno e giunge a una fattoria. Qui incontra una vecchia signora forse moribonda, convinta che le sue esperienze siano frutto dell'immaginazione. Con qualche difficoltà, si integrerà nella strana vita della casa.

Capita spesso che i più grandi registi facciano delle incursioni in quello che potrebbe essere definito una sorta di trip, un sogno allucinato, un'esperienza onirica, un viaggio nel paese delle meraviglie.
Black Moon dalla sua ha alcune analogie con due capolavori assoluti che sono CHE di Polanski, uscito nel '72, e la CITTA'DELLE DONNE del'80 di Fellini.
Il background è assurdo quanto molto interessante per creare gli intenti che l'opera ricerca nei suoi continui rimandi filosofici e psicologici.
Una guerra tra i sessi dove a farne le spese sono in particolar modo le donne, prese e fucilate tutte in fila come nella peggiore delle esecuzioni che si possa immaginare.
Il perchè ci è sconosciuto ma Malle porta subito Lily in questa villa abbandonata dal tempo, con un unicorno parlante, la natura che vive, un gatto che suona il pianoforte, bambini nudi che corrono dietro ad un maiale enorme e un bicchiere di latte sempre pieno nel salone di casa.
Demolito dalla critica il film del noto autore in realtà ha dei meriti singolari e si spinge attraverso una metafora politica su un'amara e personalissima allegoria di come pensiamo di essere visti all'interno di una comunità quando scopriamo di non essere al centro dell'attenzione e che spesso e volentieri le parole non hanno alcun significato ma le azioni e i gesti hanno una grossa importanza.
Quando l'unicorno sentenzia a Lily di essere cattiva perchè ha strappato dei fiori che altro non erano che dei bambini, la stessa risponde all'unicorno dicendogli che lui deve cibarsi proprio degli stessi.
Tra psicoanalisi, sogno e realtà, visioni oniriche di cosa in realtà si crede e cosa no e una vecchia malata che deve essere allattata dalle proprie figlie o presunte tali.
Un film che seppur non perfetto è affascianante sotto il piano visivo ed estetico fotografato spendidamente e in grado di riassumere nella sua durata e nel fatto che tutto il film a parte i primi dieci minuti è ambientato nella villa, una satira sociopolitica forte e suggestiva dove i richiami all'opera di Carrol sono evidenti ma non così importanti, mentre invece lo sono a tutti quegli elementi legati all'esposizione enigmatica dei fatti che si prestano a varie letture psicoanalitiche ma soprattutto metaforiche per una favola senza morale, un incubo tutto sommato tranquillo, finchè si rimane nell'aura magica della villa e non si pensa che là fuori il mondo ha raggiunto ormai la fine.



domenica 23 ottobre 2016

Fango Bollente

Titolo: Fango Bollente
Regia: Vittorio Salerno
Anno: 1975
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Ovidio Mainardi è, all'apparenza, un tranquillo impiegato addetto ai calcolatori elettronici in una grande azienda. La monotonia del lavoro, la solitudine esistenziale di un matrimonio mal combinato, ove per la moglie, più del marito conta la carriera, spinge Ovidio, con altri due soci, a sfogarsi in atti di vandalismo e di crudele cinismo, che si manifesta in una serie di delitti, vere esplosioni di crudo sadismo.

Fango Bollente è un robusto film di genere in quello che è stato uno dei periodi cinematografici più fertili in Italia. Un'opera intensa, un noir violento e avanti con i tempi che rappresenta come per altri registi le nevrosi della società contemporanea.
I punti di forza del film sono l'ottima messa in scena, un montaggio serrato, dialoghi taglienti e interpretazioni memorabili come quella di Joe Dalessandro. Se a tutto questo uniamo le musiche elettroniche di Franco Camparino e alcune notevoli scene di violenza, come quella nel magazzino sulle due donne e della moglie del protagonista, allora si riesce ancora meglio a comprendere come in un film come questo che sembra mischiare polizziottesco e alcune citazioni al cinema di Bava come Rabid Dogs, notiamo come sia l'ennesimo film che attraverso il cinema di genere denuncia lo stress della vita moderna, l'alienazione e il lavoro in catena di montaggio, tutti mali che andavano già delineandosi tra la classe operaia ed esponenti di un cento medio logorato di cui ancora non si parlava tanto.





giovedì 4 agosto 2016

Albero di Guernica

Titolo: Albero di Guernica
Regia: Fernando Arrabal
Anno: 1975
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

E'la storia di un nobile e di una contadina che si incontrano sotto un bombardamento durante la guerra civile spagnola. I due abbracciano la causa dei repubblicani e riescono a salvarsi dopo che gli assediati hanno messo a ferro e fuoco Guernica.

Un Arrabal schierato tra il politico e il bellico che nonostante i rimandi storici non risparmia il suo cinema surreale e costipato di simbolismi e di una certa visione di cinema che rimanda a Jodorowsky, il movimento panico e tutta una galleria di personaggi e immagini incredibili.
Forse proprio questa contaminazione appare in alcune parti un po forzata e fuori luogo, infarcendo intenti politici e visioni surrealiste ma preferendo comunque la fantasia e la sregolatezza alla misura della rievocazione documentaria.
Con una straordinaria Melato, il regista spagnolo cita comunque alcune sue esperienze per quanto concerne il regime franchista vissuto sulla propria pelle, mettendo in scena un’apologia in chiave surrealista e visionaria dell’ideologia marxista, apertamente schierato con la fazione repubblicana.

Il film più storico e politico di un regista che in soli tre film è riuscito a costruirsi comunque una propria identità cinematografica oltre a tutte le diverse esperienze e identità artistiche.

mercoledì 18 novembre 2015

Salò e le 120 giornate di Sodoma

Titolo: Salò e le 120 giornate di Sodoma
Regia: Pier Paolo Pasolini
Anno: 1975
Paese: Italia
Giudizio: 5/5

Quattro Signori (il Duca, il Monsignore, Sua Eccellenza e il Presidente) al tempo della Repubblica Sociale di Salò si riuniscono in una villa assieme a 4 ex prostitute ormai non più giovani insieme a un gruppo di giovani maschi e femmine catturati con rastrellamenti dopo lunghi appostamenti. Nella villa i Signori per 120 giorni potranno assegnare loro dei ruoli e disporre, secondo un regolamento da essi stessi stilato, in modo assolutamente insindacabile dei loro corpi. La struttura del film è divisa in 4 parti: Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue.

"E' un film che i giovani non capiranno perchè ormai hanno perso quei valori imprescindibili con cui la nostra generazione è cresciuta" così a grandi linee Pasolini descriveva l'impatto che il suo ultimo film poteva avere sulle giovani generazioni in un'intervista prima del film.
Rivisto per la seconda volta in versione restaurata al cinema Massimo, la sala del film era composta per l'ottanta per cento da giovani.
Un dato che probabilmente avrebbe fatto piacere o forse sorpreso l'autore.
Un elemento che connota un interesse e una lettura del cinema come forma d'arte immortale che riesce ancora, a distanza di decenni, a risultare iconica e fondamentale per descrivere la realtà.
Il potere come forse pochi cineasti si sono presi il coraggio di mettere in scena.
Abbruttendolo nei modi più atroci e realistici possibili, cercando lo scandalo e trovandolo, insistendo a suo modo sui particolari più turpi, Pasolini firma il suo film maledetto, censurato e ritirato al tempo da numerosi cinema internazionali.
Sfruttando De Sade, l'autore riesce finalmente a coniugare il massimo dell'esagerazione sessuale, arrivando a criticare quella mercificazione dei corpi con cui spesso descriveva queste pratiche e che sotto questo punto di vista, è stato un abile precursore dei tempi a venire, in cui la falsa e apparente libertà non ci sarebbe mai stata.
"Deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere, spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori dai confini di ogni legalità. Nessuno sulla Terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo, voi siete già morti." dice il Duca nel suo regolamento.
Un attacco alla nostra infinita sopportazione significa provocare una reazione morale alla presunta immoralità di un'opera indiscutibilmente necessaria e affascinante. Una pellicola che descrive l'abuso di potere come nessuno vorrebbe mai immaginare, ma che di fatto la storia ha dimostrato più volte essere così efferato e diabolico.
Allo stesso tempo una metafora dell'impotenza al potere come una ritualizzazione mondana della trasgressione.
Cosa significa scioccare in fondo? Dare vita a cannibal-movie o naziexploitation come il film è stato etichettato, ovvero film che si sa fin dove possono arrivare con la loro messa in scena, oppure dar vita a un incubo reale e possibile.
Io credo fortemente che Pasolini sia stato il primo ad abbattere questo muro, per la prima e forse per l'ultima volta nella storia del nostro cinema, prendendosi la responsabilità e la fermezza di dover affrontare un tumore che si stava allargando sempre più, dandogli un nome, e per questo purtroppo, ne è diventato un martire, pagando con la stessa vita l'affronto alle più alte cariche da lui prese di mira.


mercoledì 1 gennaio 2014

Picnic ad Hanging Rock

Titolo: Picnic ad Hanging Rock
Regia: Peter Weir
Anno: 1975
Paese: Australia
Giudizio: 5/5

Nel giorno di San Valentino del 1900, durante la gita scolastica di un collegio australiano per fanciulle, tre ragazze e l'insegnante di scienze salgono verso la sommità delle rocce vulcaniche. Soltanto una viene ritrovata nove giorni dopo, ferita e senza memoria. Le altre scompaiono.

Mentre le ragazze si avviano lungo il sentiero, Miranda si gira verso l'insegnante per un sorriso e un saluto,quasi un addio.
"Oh,adesso so!" - esclama M.lle che sta sfogliando un libro d'arte.
"Che cosa sa?" - chiede Greta McGraw.
"Che Miranda è un dipinto di Botticelli."

Il tema natura/cultura come non si era ancora visto. Scegliere poi un posto così sconosciuto e inquietante come l'Australia non poteva che rivelarsi perfettamente funzionale alla critica e alla impressionante descrizione di questo microcosmo naturale pieno di meraviglie e luoghi pericolosi.
Non nascondo neanche la mia ammirazione per un regista che al suo secondo film spiazza completamente con un film difficile, onirico e sperimentale.
Dal romanzo di Joan Lindsay è stato tratto un film anticonvenzionale che se è vero che non parla di episodi realmente accaduti, riesce a provocare un'enorme angoscia e ansia nello spettatore catturato
dall'aspetto mistico alla più profonda inquietudine nel cercare di dare una spiegazione a qualcosa che non verrà mai spiegato. Infatti la storia scritta dalla Lindsay è completamente d'invenzione, anche se alcune frasi tratte da interviste con la scrittrice, hanno lasciato credere che vi sia qualche riferimento ad alcuni fatti di cronaca ma d'altronde spesso l'Australia viene usata per questo motivo ovvero per le innumerevoli sparizioni che avvengono, a tal proposito negli ultimi anni molti horror recenti sfruttano proprio questo fattore.
Non era facile per il tempo provocare con un film così difficile da inquadrare sotto il contesto culturale e che lascia sempre spiazzati quando si cerca di dare una spiegazione razionale.
Rispetto al romanzo non ci sono troppe contraddizioni come ogni storia che sfugge ad una classificazione di genere. La soluzione proposta dalla Lindsay nel suo libro, che non è stata accolta favorevolmente tanto è vero che il capitolo XVIII non è stato più pubblicato dopo il 1987, per capire di cosa parlo andate a leggere lo svolgimento del romanzo da cui il film è tratto, è dunque quella di trovare in fondo il significato che ognuno di noi preferisce.
Dunque il mistero non celato, cosa nasconde la natura e le cave di Hanging, alcune coincidenze anomale come la vecchia cipolla che si ferma alle ore 12 sia per il sig. Hussey che per la professoressa McCraw, Edith Horton che aveva accompagnato le altre tre per un tratto verso la Roccia in preda a una crisi isterica e non in grado, né allora né mai più in seguito, di rammentare qualcosa di quanto era accaduto in quel breve lasso di tempo. Tutti questi elementi sicuramente consolidano l'aspetto misterioso, per certi aspetti con qualcosa di macabro e forse esoterico.
Un film con degli intenti molto alti tali da non farlo mai sfociare nel genere fantastico o nell'orrorifico, dove peraltro alcuni critici hanno preteso di confinarlo, ma utilizzando alcune caratteristiche del gotico e del romanticismo per sviluppare la dicotomia tra irrazionale e consueto.
"L'impressione suscitata da quei picchi elevati induceva ad un silenzio così saturo della formidabile presenza della Roccia che persino Edith ammutolì.
Enormi massi,all'origine vomitati incandescenti dalle viscere ribollenti della terra,adesso si erano fermati,freddi e arrotondati nell'ombra dell foresta.Così camminavano silenziose verso i pendii più bassi,in fila indiana,ognuna rinchiusa nel mondo privato delle proprie percezioni,non rendendosi conto delle pressioni e delle tensioni della massa fusa che la tengono ancorata alla terra gorgogliante,degli schricchiolii e dei fremiti,dei venti vaganti,e delle correnti note solo ai saggi pipistrelli appesi a testa in giù nelle viscide caverne."
Un cult, sacro, da vedere e rivedere che non perde mai il suo splendore e l'aura di mistero ma anzi facendo ogni volta riflettere e cercare forse di trovare nuovi significati.

sabato 28 dicembre 2013

Bersaglio di Notte

Titolo: Bersaglio di Notte
Regia: Arthur Penn
Anno: 1975
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

L’investigatore Harry Moseby, dalla vita familiare tormentata, deve rintracciare la sedicenne Danny, figlia di un’ex attrice del cinema. Danny è dal patrigno, in Florida. La tragica e misteriosa morte dell’amico Marv la convince a tornare da mamma, ma da qui prende il via una catena di delitti. Moseby ha messo le mani senza saperlo su un traffico di opere d’arte in cui è coinvolta troppa gente

Scritto da Alan Sharp, il film di Penn esce in un periodo davvero interessante dal punto di vista del noir americano proponendone una rilettura rilettura, più critica e malinconica cambiando di fatto la struttura e l'archetipo dell'investigatore privato.
Se da un lato il Jimmy 'Papà' Doyle di Friedkin, uscito nello stesso anno, aveva dei connotati ben diversi e per certi versi più violenti, l'Harry Moseby sembra veicolare da un'altra parte in un ruolo più sofferto e malinconico, meno fisicamente “tutto d’un pezzo” ma invece diventando pedina inconsapevole di processi sfuggenti e più grandi di lui come capita per il Jake "J.J." Gittes di Polanski, capendo troppo tardi, quando non ha più modo di intervenire, le dinamiche di cui è vittima stessa.
Ma mettendo da parte l'analisi sul detective, il contributo di Penn al genere e delle interpretazioni davvero efficaci, bisogna anche ammettere che il film, a differenza proprio di alcuni suoi coetanei, manca dopo il primo atto di un coinvolgimento appropriato diventando spesso un intreccio confuso, incapace di mordere dove dovrebbe, riuscendoci forse in un finale davvero cattivo.



lunedì 24 dicembre 2012

Matti da slegare


Titolo: Matti da slegare
Regia: Marco Bellocchio
Anno: 1975
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Oltre dieci anni fa lo psichiatra Franco Basaglia indicò un obiettivo determinato da perseguire nella cura delle malattie mentali e del disadattamento: svuotare lentamente i manicomi, da lui considerati i ghetti dell'emarginazione ed evitare nuovi ricoveri con un lavoro di prevenzione nei quartieri, nelle fabbriche, nelle scuole. Per documentare questa tesi, il film penetra all'interno dell'ospedale psichiatrico di Colorno (Parma) oppure segue all'esterno alcuni dei ricoverati dimessi e impegnati, grazie alle esperienze delle amministrazioni interessate, in fabbriche in fattorie e così via. In alcuni casi le dichiarazioni degli intervistati sono discusse tra loro stessi e tra persone chiamate in causa, come un anziano sacerdote. Il tutto finisce con una delle feste da ballo organizzate nell'istituto di Colorno. Il documentario è diviso diviso in tre blocchi, ciascuno dedicato a uno dei tre principali intervistati: Paolo, Angelo, Marco.

Ci ho messo quasi una settimana per fare il download di questo documentario. Possibile che spesso e volentieri le cose più belle del cinema militante italiano vengano nascoste o tenute sotto chiave quasi per paura che vengano a galla alcune noti dolenti della politica etc.
Bellocchio è uno dei pochi registi italiani che meritano stima. Se poi pensiamo che il suo lavoro più che apparire come una critica, prende la forma di una lunga analisi sul tema della “pazzia”e le esperienze di alcuni giovani, allora il lavoro diventa ovviamente decisivo e importante sotto molti punti di vista.
Dalle esperienze di recupero con gli operai emiliani ad opera di persone di una sensibilità davvero notevole, alle stesse testimonianze dei protagonisti e degli educatori con le loro lotte antipsichiatriche, allora ci si trova davanti ad un’opera che spinge ancora più in là l’analisi del fenomeno.
Partendo dal fatto che gli interpreti sono degenti ed ex degenti dell’ospedale psichiatrico di Colorno a Parma e che inizialmente dove a chiamarsi “Nessuno o tutti” con una durata di 180’, la nostra politica sul cinema ha fatto sì che il film finisse per avere una durata di 140’ e che non ci fosse mai una distribuzione nelle sale, eccezion fatta per il festival di Berlino.
Nel mio caso ho dovuto scaricare il film dopo che qualche angelo della rete lo ha riversato da vhs a dvd. Il risultato certo non gode di un’ottima risoluzione e soprattutto i problemi maggiori sono legati alla qualità audio del prodotto.
Anche la distribuzione come la produzione ha avuto numerose difficoltà a vedere nascere questa opera, passando per l’assessorato provinciale della sanità di Parma e della Regione Emilia-Romagna per la produzione fino ad arrivare agli indipendenti regionali che lo hanno distribuito con la Itanoleggio.
La cosa più originale è che non si può criticare il lavoro di Bellocchio poiché non ha pretese di alcun tipo mostrando i fatti e lasciandoli commentare dai suoi protagonisti senza pressioni di alcun tipo.
La tesi è racchiusa nel titolo: i malati mentali sono persone "legate" in molti modi e per diverse cause. Se si vuole curarli (non guarirli, ma almeno impedire che vengano guastati dai metodi tradizionali) occorre slegarli, liberarli, reinserirli nella comunità.
Da educatore sono rimasto colpito e in più di un’occasione toccato dal peso delle riflessioni di un Paolo, ragazzino che mostra con un’intensa lucidità le ragioni dei suoi gesti in un clima che lo relega semplicemente perché non ha strumenti di contatto e di avvicinamento.
In questo caso è meno attuale del previsto vedere come l’intervista sul peso delle sue azioni venga postulato in classe di fronte a tutti e senza nessun filtro che possa mettere distanze tra i numerosi punti di vista.
Dalle origini sociali del fenomeno, alla fredda insensibilità delle istituzioni e della società a riguardo di un tema ancora poco conosciuto per arrivare infine al ruolo che dovrebbe offrire la psichiatria. Un ruolo che non sia solo uno strumento di segregazione ma come assistenza e non quindi unica figura di tutore dell’ordine mentale.
In ultima analisi il quadro più importante. L’universalità dei diritti dell’uomo sancita dalla carta dei diritti umani. Il rispetto e l’amore per l’uomo, di qualsiasi etnia, aspetto e ragione sociale che deve includere tutto, a maggior ragione quello che in quel periodo storico veniva etichettato come “diverso”e su cui per evidenti paure si precludeva un cammino d’investimento per arrivare a un piano individuale che non cercasse di prevedere lo scopo ultimo di una certa autonomia di forma e di pensiero.
Alcuni nel film ci hanno scommesso tutta una vita, altri lo hanno fatto con naturalezza senza neanche andare a ricercare motivi o ragioni di fondo, ma semplicemente perché sapevano che era la cosa più giusta da fare per aiutarsi e per aiutare l’altro.
Ed è per questo che il lavoro di Bellocchio ha quel qualcosa di più che arriva a toccare le corde dell’anima e che cerca di arrivare a convergere verso riflessioni che più che mai, in una società in cui sta scomparendo il Welfare, trovano un’emergenza di dialogo e di pensiero.


sabato 4 agosto 2012

Squalo


Titolo: Squalo
Regia: Steven Spielberg
Anno: 1975
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

La cittadina di Amity, situata su un'isoletta dell'oceano atlantico, deve al turismo la sua prosperità. Una sera, una ragazza viene dilaniata da uno squalo enorme. Davanti alla denuncia del fatto, lo sceriffo Martin vorrebbe far sospendere le balneazioni, ma si trova di fronte l'opposizione del sindaco, preoccupato per gli inconvenienti economici di una tale decisione. Il mostro però colpisce ancora. Martin organizza una squadra con l'anziano pescatore Quint e con l'oceanologo Matt Hooper.

Uno dei padri dell’horror e padre dei blockbuster.
Ha creato nello stesso tempo un capolavoro cinematografico e un modello commerciale distributivo e di marketing.
Lo squalo non ha bisogno di presentazioni. La sua carica eversiva è unica.
Spielberg partendo dal best-seller di Peter Benchley riesce probabilmente in un’impresa quasi titanica contando le difficoltà tecniche e logistiche che hanno portato alla lavorazione del film.
Uno dei punti principali per cui il film è a tutti gli effetti un capolavoro è proprio quello per cui è lo squalo a essere il protagonista a differenza degli altri film in cui invece i protagonisti erano gli esseri umani.
Qui invece assolvono solo il compito di essere vittime, funzione dell’azione, creando un sistema di suspance davvero incredibile che relega lo spettatore a identificarsi con i tre protagonisti della vicenda.
Il secondo motivo è quello di creare per la prima volta anche in questo caso la paura legata a qualcosa che davvero spaventa la psiche di ogni essere umano. Il vuoto, tutto ciò che sta sotto di noi e non siamo in grado di vedere e percepire.
E’praticamente impossibile trovare delle pecche in questa pellicola. I quattro squali meccanici sono fantastici, il cast è perfetto, il lavoro con la cinepresa di Bill Butler e eccezionale così come gli effetti speciali di Robert A. Mattey.
Una lezione di cinema che nessun cinefilo può esentarsi dal definirlo tale. Un film che ancora adesso a distanza di quasi quarantacinque anni tiene incollato, lascia basiti di fronte a tanta suspance e fa in un qualche modo rimpiangere alcuni vecchi capolavori del passato.
Si potrebbe anche dire che per tutti i fan di Melville e di Moby Dick, l’idea di vedere uno scontro tra uomo e forza della natura giocato così bene come è il caso di questo film fa quasi commuovere per la forza che il cinema riesce ad esercitare.
E’vero qui non abbiamo una balena gigante e il capitano Acab ma abbiamo uno squalo bianco enorme e un cacciatore di squali. Una strizzatina d’occhio ci sta tutta.

venerdì 6 gennaio 2012

In corsa con il diavolo


Titolo: In corsa con il diavolo
Regia: Jack Starret
Anno: 1975
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Due coppie in vacanza verso il Colorado sono perseguitate da una setta satanica che non perdona loro di aver assistito involontariamente a un rito con sacrificio umano.

Dopo UN TRANQUILLO WEEK-END DI PAURA la provincia americana svela il suo lato oscuro che si parli di rozzi bifolchi o gruppi di persone dedite al satanismo o ad alcune delle 4.100 religioni che attualmente ci sono al mondo. Il film di Boorman del ’72 è stato un precursore oltre che  uno dei principali punti di riferimento dell’horror contemporaneo e non solo.
Le analogie tra i due film non sono poche e il film di Starret anche se con qualche piccolo difettuccio di sceneggiatura(purtroppo non approfondisce nulla sul tema delle sette sataniche bensì si dimostra un infallibile film d’azione con degli inseguimenti davvero niente male e una struttura piuttosto anomala per il generes).
Un altro film con delle analogie rispetto al film di Starret è il film di Weir sempre del 75(sembra fatto apposta)ovvero PICNIC AD HANGING ROCK con cui il film condivide alcune atmosfere e gli incubi e le paure di Kelly.
Un film che deve molto al funzionalissimo cast che ci mette tutto il coraggio e alcune scene come la rivincita di Roger(Peter Fonda)alla guida del camper contro i seguaci della setta sono da antologia.
Un finale che non concede  e non regala nulla in un contesto cittadino che ancora una volta sottolinea il concetto che Matheson esprimeva nei suoi libri di fantascienza.
La normalità è un concetto di maggioranza. La norma di molti e non quella di uno solo.