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martedì 16 ottobre 2012

Magnifica Presenza



Titolo: Magnifica Presenza
Regia: Ferzan Ozpetek
Anno: 2012
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Magnifica presenza vede protagonista Pietro, 28 anni, che arriva a Roma dalla Sicilia con un unico grande sogno, fare l'attore. Tra un provino e l'altro sbarca il lunario sfornando cornetti tutte le notti. E' un ragazzo timido, solitario e l'unica confusionaria compagnia è quella della cugina Maria, apprendista avvocato dalla vita sentimentale troppo piena. Dividono provvisoriamente lo stesso appartamento legati da un rapporto di amore e odio in una quotidianità che fa scintille. Ma arriva il giorno in cui Pietro trova, finalmente, una casa tutta per sé, un appartamento d'epoca, dotato di un fascino molto particolare e Pietro non vede l'ora di cominciare la sua nuova esistenza da uomo libero. La felicità dura solo pochi giorni: presto cominciano ad apparire particolari inquietanti. E' chiaro che qualcun altro vive insieme a lui. Ma chi?

Ozpetek ritorna  al suo schema corale, al suo bisogno di trovare una spontaneità e una tenerezza che hanno in qualche modo sempre contraddistinto i suoi film.
La Magnifica presenza scelta dal regista è quella per certi aspetti più leggera e nascosta (come l’omosessualità del protagonista, alter-ego dell’attore) mentre dall’alta drammatica e piena di colpi di scena.
Germano forse in questo appare davvero la scelta giusta, tornando a una recitazione più teatrale e posata rispetto al suo bisogno alle volte di alzare i toni.
La solitudine del protagonista è la solitudine della vita ancora una volta vengono liberate grazie a stratagemmi fantastici e irreali piuttosto che non da personaggi esterni in grado di trasformare l’atmosfera.
Ritorna il suo amore per il cibo e ritornano i temi più cari del regista.
Alcune scene non si capisce se vogliano cercare di disinibire lo spettatore coinvolgendolo in un viaggio a  luci rosse (la sartoria-harem di trans) oppure trasportarlo da una situazione all’altra come appare per il flash-back della guerra per arrivare alle divine anni ’40 e i personaggi pirandelliani.
Un cocktail amalgamato bene in alcuni punti mentre dall’alto sembra a metà tra la ricerca di qualcosa di personale e a tratti solo un pretesto per ritornare sul grande schermo.
Ancora una volta l’architettura drammaturgica del regista evidenzia i suoi aspetti positivi e quelli negativi, innegabili nel suo cinema dopo il clamoroso caso IL CUORE SACRO.
Forse è vero che in questo caso sembra un po’ meno confuso, ma il bisogno di mostrare oniricità a palate e lo strumento del fantastico segna un limite importante.
Una scena davvero buffa per certi aspetti a metà tra la più profonda vergogna e l’autoironia è quella in cui il tipo arriva da Pietro e gli dice di smetterla di chiamarlo e minacciandolo quasi di picchiarlo, un involontario stalking in piena regola.