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venerdì 23 settembre 2016

Need for Meat

Titolo: Need for Meat
Regia: Marijin Frank
anno: 2015
Paese: Olanda
Festival: Cinemambiente 19°
Giudizio: 4/5

Marijin, diventata madre da poco, cerca di capire da dove provengano l’attrazione e la repulsione che prova per la carne e come sia possibile dimenticare che la fetta di carne che finisce nel suo piatto sia stata un essere vivente.

Da circa dieci anni pensavo a questo documentario. Mia madre era vegetariana, ma io ho iniziato a mangiare carne da piccola ‘costringendo’ la mia famiglia a cambiare. Ho provato più volte a tornare vegetariana senza mai riuscirci. Quando è nata mia figlia Sally ho deciso che era venuto il momento per una riflessione più approfondita e ho scelto di raccontare la mia esperienza individuale perché ritenevo più facile poterla rendere universale”
Ci sono alcune scene molti forti in questo interessante documentario della regista e protagonista olandese. Come ad esempio quando impara al mattatoio a uccidere le mucche con un colpo solo per evitare di farle soffrire. Una tecnica che vista dagli occhi del suo mentore è qualcosa che và oltre la semplice catena di montaggio.
Una scena impressionante che non può suscitare un certo disgusto e un'inquietante consapevolezza su come ormai la società pur di rispondere al fabbisogno carnivoro dei consumatori, tratti con sempre più distacco un momento così cruciale come la morte di un animale.
Sono tante le questioni che la neo mamma affronta mettendosi in prima persona per cercare di capire da dove arrivi un'assuefazione così grossa che ha dell'incredibile quando si sottopone ad un test celebrale e scopre che il desiderio della carne è spesso superiore a quello per il sesso.
Ed è come per molti documentari del festival, che continua ad essere sempre più interessante in tutte le sue diversificate forme e temi che tratta, che si indaga prendendo studiosi, terapisti, neurologi, chef, per finire con le ricette vegane della figlia che sembra una delle uniche non alienate sul concetto su cui si dipanano gli intenti del documentario.
Poteva chiamarsi diario di una dipendenza.

Ed è vero perchè per molti di noi è proprio così, dunque nulla di cui stupirsi, però il lungo lavoro della regista offre una pista per prendere atto e cercare di capire il perchè, quello sì di alcune scelte(a meno che allora significhi disinteressarsi completamente all'argomento) così forse non rimmaremo basiti nel 2050, quando finiremo a mangiare insetti per nutrire la nostra gola.