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martedì 6 giugno 2023

One Piece-Red


Titolo: One Piece-Red
Regia: Gorō Taniguchi
Anno: 2022
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Uta, la cantante più amata del mondo, decide di svelare la sua vera identità durante un concerto. Il concerto inizia e il pubblico scopre che l'eccezionale potere della voce di Uta nasconde un pericolo che potrebbe cambiare il mondo.
 
Tra gli ultimi One Piece-Stampede (il migliore) e One Piece Gold, questo ultimo sembra essere in assoluto il meno ispirato nonostante qualche elemento positivo ma con una storia già di per sè tediosa e noiosa.
Purtroppo manca un vero antagonista, manca una galleria di personaggi che possano condire la vicenda alimentando linee e trame narrative aggiungendo spessore e carattere.
Red purtroppo si concentra troppo su un personaggio minore ed è esageratamente cantato con un mix da musical che anzichè avvalorare la causa la rende pesante e mai suggestiva.
Un'occasione purtroppo mancata a tutti gli effetti dove la tecnica e il budget non mancavano di certo. Dove si è arrivati ad un livello messo a confronto con l'anime dove ci sono tanti nuovi personaggi interessanti e dove già soltanto sfruttando l'1% della storia si poteva scrivere qualcosa di sontuoso e invece per qualche strano motivo si è affondati in questa storia fine a se stessa, boriosa e che di sè non dice e mostra nulla.

venerdì 3 marzo 2023

RRR


Titolo: RRR
Regia: S.S. Rajamouli
Anno: 2023
Paese: India
Giudizio: 5/5

Due leggendari rivoluzionari intraprendono un viaggio lontano da casa prima di iniziare a combattere per il loro paese negli anni '20.
 
Devo dire che pur essendo appassionato di cinema indiano e quindi bollywoodiano per la maggior parte, RRR è davvero qualcosa di faraonico e mastodontico nel suo prendersi esageratamente sul serio come dramma storico ma anche azzerando ogni etichetta e diventando di tutto e di più.
Comicità, musical, dramma, azione, politico e sociale, un film sulla disuguaglianza e la discriminazione, sull'amore l'amicizia, sul sacrificio e la crudeltà, sul viaggio dell'eroe, il revenge movie e molto altro ancora. La lotta per l'indipendenza contro l'oppressore britannico qui raggiunge i fasti per la messa in scena, per toni da romanzo, con intrecci da melodramma che pervadono la pellicola come se fosse una sorta di epopea dove anche la religione assume significati importanti come la scena finale dove i nostri due protagonisti incarnano le vesti di divinità indiane raggiungendo l'apoteosi del kitsch. Perchè in questo film tutto è doverosamente e incredibilmente kitsch però funziona perchè straborda ma allo stesso tempo frena e tiene le redini per spostare la narrazione su altri fronti e lasciando così una pluralità di sotto trame da narrare.
Tutti i sentimenti, in questo film, sono portati all’eccesso. L’amore è sconfinato, l’odio è totale, assoluto; l’amicizia virile assurge ai massimi livelli, l’amore per la patria è senza limiti, il sacrificio, anche, la decisione, la volontà, la perseveranza…non conoscono ostacoli. Non siamo più abituati a vedere in un film questi straordinari eccessi…ma questo film è una cosa sorprendente. I balli poi sono meravigliosi come quello di Nacho Nacho per mostrare agli inglesi come gli indiani abbiano balli locali ancora più eccentrici e complessi dei loro e sfidandoli apertamente ad una gara di ballo che è una delle più belle e insolite della storia del cinema.

sabato 18 giugno 2022

Eega


Titolo: Eega
Regia: S S Rajamouli
Anno: 2012
Paese: India
Giudizio: 3/5

Sudeepa è un industriale d'alto profilo che ottiene sempre quello che vuole e ha un debole per le belle donne. Per riuscire nei suoi intenti è pronto a qualsiasi cosa: anche a macchiarsi anche le mani di sangue, come accade quando incontra Bindu, una artista che gestisce un'organizzazione no profit. Quando scopre infatti che Bindu ama Nani, l'uomo che la segue ovunque, Sudeepa non esita ad uccidere il rivale. Nani, però, una volta morto rinasce incarnandosi in un mosca: l'unico suo desiderio sarà quello di vendicarsi.

Era da tempo che non mi sparavo un filmone indiano. Essì perchè di fatto trattasi di action, thriller o musical si parla sempre di almeno due ore di visione e passa. Eega è un mix di generi dalla commedia, al musical, al dramma, all'action, al revenge movie, al folklore e alla potenza dell'amore se così possiamo definirlo. Un GHOST americano dove anzichè un fantasma c'è una mosca.
Un film assurdo come spesso capita per questo tipo di film ma connotati da tanta energia, un buon ritmo e delle maestranze e un comparto tecnico che promettono bene e danno dalla loro dei buoni risultati come le prove attoriali. Eega forse dura troppo, forse in alcuni momenti abbassa leggermente i toni, eppure ha moltissime trovate e riesce sempre a suo modo, pur trattando una vendetta, ad essere ironico con delle slapstick che seppur demenziali trovano la maniera di inserirsi bene nella narrazione. Eega è la riprova di quanto una mosca possa essere estremamente invasiva e fastidiosa. Per un pubblico che accetta le stranezze di Bollywood, Eega riesce dalla sua a sciorinare tanti temi facendolo in maniera mai banale o pretestuosa ma lasciandosi travolgere da una favola pop moderna e colorata con tanta musica, pochi balletti e una serie di gag strampalate.

martedì 7 gennaio 2020

Guava Island


Titolo: Guava Island
Regia: Hiro Murai
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Sull'Isola di Guava un musicista locale è intenzionato a organizzare un festival per tutta la popolazione.

Guava Island è un film che sprigiona così tanto amore, umanità, colori, freschezza, danze e bellezza che fa quasi commuovere nella sua breve durata di un'ora scarsa. Una fiaba metropolitana con sognatori, amori che non finiscono mai, leggende folkloristiche, boss locali e tanta, tanta musica e finalmente il concetto di musical che riesce a configurarsi perfettamente con alcune canzoni di Childish Gambino potenti e frenetiche che poi altro non è che il nome d'arte dell'attore che interpreta il protagonista.
Il film è di un regista americano di origine giapponese in una località tutta africana e con attori del luogo più alcune star che non hanno bisogno di presentazioni. Una combo strana di elementi che si rivela frizzante e funzionale, di fatto regalando un film squisitamente acceso e politicamente schierato. Un film che parte con una favola folkloristica locale d'animazione per poi prendere una piega che dalla quotidianità tira fuori tutta la vitalità e la voce di chi crede strimpellando una chitarra di poter cambiare le cose e creare un mondo migliore.
Deni è il vero protagonista della vicenda il quale sceglie e non potrebbe vivere in un altro luogo, nonostante il regime dittatoriale del boss dell'isola che detiene e controlla tutto. Deni è parte così attiva e integrante della comunità, conoscendo tutti, essendo amico di quasi tutti, con una vitalità contagiosa in una non meglio specificata isola esotica che sembra esteticamente e tecnologicamente rimasta fuori dal tempo. Tutto sembra convergere sul protagonista il quale deve barcamenarsi tra un impiego al porto e una trasmissione radiofonica propagandistica, nella quale è costretto - sempre col sorriso, sempre con le buone maniere - a tessere le lodi e osannare il leader di Guava Island, il boss Red Cargo. Il mediometraggio assume così un contesto socio-politico più ambizioso e complesso che se è vero viene affrontato con una certa facilità e forse prevedibilità degli scenari riesce ad essere sempre calzante nel ritmo e funzionale sia dal punto di vista narrativo che formale.
«Guava Island è il risultato finale di quattro incredibili settimane trascorse a Cuba con alcuni dei più creativi talenti che abbia mai incontrato», ha dichiarato il regista in una nota, «Designer, artisti, musicisti e attori si sono uniti da tutto il mondo per creare questo folle sogno»


lunedì 30 dicembre 2019

Beetlejuice-Spiritello porcello


Titolo: Beetlejuice-Spiritello porcello
Regia: Tim Burton
Anno: 1988
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Una coppia di giovani sposi muore in un incidente stradale. Tornano come fantasmi nella loro vecchia casa che però è abitata da una famiglia di cialtroni di città. Dopo aver cercato di spaventarli, i due chiamano in aiuto uno spiritello simpatico, sboccato e pasticcione, a nome Beetlejuice, che, dopo alcune difficoltà iniziali, riuscirà nell'impresa

Beetlejuice è in assoluto uno dei miei film preferiti di Burton. Inquietante, colto, maturo, con tanto horror e tante risate, con un aldilà pressochè perfetto dove tra le tante cose ci viene mostrata una burocrazia assurda come succedeva in Brazil e per finire alcune canzoni e balletti indimenticabili.
Beetlejuice poi crea e distrugge, mondo normale e mondo straordinario, una casa che sembra infestata dove all'interno c'è un plastico della stessa città in cui è ambientata la vicenda e dove all'interno dimora il demone evocato. Un gioco di scatole congeniale e sempre perfetto che riesce a dare quel taglio particolareggiato alla storia, rendendolo un film indefinibile e una prova di riuscita coniugazione di generi.
Un cult assoluto dove a conti fatti non sembra mancare proprio niente e dove anzi Burton sembra inventarsene sempre una nuova senza mai smettere di aggiungere elementi nuovi e quasi sempre solidi per la narrazione. Di fatto crea forse involontariamente una sua piccola mitologia del soprannaturale con personaggi indimenticabili, libri esoterici e soprattutto la costruzione del ruolo narrativo di spirito. Tra i ghost-movie, tra le tante etichette che il film si porta a casa, sicuramente è uno dei più ambiziosi, originali, uno dei più ben fatti e divertenti anche se come dicevo con alcune scene grottesche che rimandano molto anche ad un certo espressionismo contaminato dalla pop art del regista. Una creatività fortissima che sembrava non avere confini, un esperimento fino ad allora che non si era mai visto in una commedia, diventando un unicum nel panorama cinematografico del periodo e un’autentica lezione di scrittura cinematografica moderna


giovedì 26 dicembre 2019

Sweeney Todd


Titolo: Sweeney Todd
Regia: Tim Burton
Anno: 2007
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Ingiustamente arrestato ed esiliato ai lavori forzati dal giudice Turpin, interessato a sua moglie Lucy, il barbiere Benjamin Barker torna dopo 15 anni con il nome di Sweeney Todd e, scoperto che sua moglie si è avvelenata in seguito ad una violenza di Turpin, trama vendetta.

Sembra strizzare l'occhio al conte di Montecristo di Dumas il musical gotico e drammatico di Burton. Un'opera molto ambiziosa, un revenge movie dove ancora una volta il protagonista come gli anti-eroi burtoniani, non sono altro che personaggi fragili, spesso inadeguati, che non riescono mai a comunicare il loro stato d'animo se non attraverso dei gesti che spesso non vengono capiti.
Un film che si muove su poche location ma quelle che mostra del sempre presente Dante Ferretti sono vittoriane e oscure come se nascondessero orrori indicibili dietro ogni angolo della strada riuscendo al contempo a farlo diventare un thriller, un giallo, un horror passando per alcuni squarci del From Hell di Moore fino a citare senza velature Allan Poe e rendendo soprattutto la difficile gestione del musical in un palcoscenico macabro e funzionale, inquietante e profonda.
Sweeney Todd è pur sempre una fiaba gotica come ormai l'autore ci ha formati nel corso della sua importante filmografia, dove la vendetta finale si sposa con il lieto fine che tutti si aspettano.
Il film in assoluto con più sangue tra le sue opere, creando un'icona dell'insensatezza come protagonista, dove ancora una volta il discorso sulla pazzia e il concetto di normalità nella società lascia ampie riflessioni. E poi il protagonista Benjamin rappresenta il ritratto di un'anima disincantata che nasce dal buio, che torna all'oscurità, celando un incolmabile dolore espresso soltanto dai suoi straordinari occhi felini in cui è possibile scorgere, di tanto in tanto, un esile barlume riflesso dai suoi rasoi d'argento.


mercoledì 2 ottobre 2019

Labyrinth

Titolo: Labyrinth
Regia: Jim Henson
Anno: 1986
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

Sarah, adolescente sognatrice, una sera in cui rimane sola a casa con il fratellino e innervosita dai suoi pianti, invoca il re degli gnomi Jareth, pregandolo di portarlo via. Toby scompare. Sarah, pentita, corre a riprenderselo affrontando ogni sorta di pericoli: nani, paludi, porte magiche.

Labyrinth è uno dei quei cult che non sfigura mai. Passano gli anni e il film invecchia molto bene. Scritto da Terry Jones e diretto dal padre dei Muppets, il film è una storia d'avventura, una fiaba dark, un viaggio dell'eroina perfetto, una corsa contro il tempo, uno dei fantasy più interessanti della storia del cinema.
Si potrebbe parlare per ore dei meriti del film. Un labirinto spettrale e affascinante, cupo e misterioso, una galleria di personaggi che sono rimasti nel cuore dei cinefili, Jared interpretato dal trasformista Bowie che è diventato leggenda e per finire un semi musical che riesce dove tanti hanno fallito.
E'un film per bambini ma di quelli che consacrano la magia, l'animatronic, i pupazzi, le scelte narrative mai banali, le fiabe riproposte e adattate per un soggetto che riesce a fare meglio di tanti suoi simili, spostando la narrazione su temi adulti e riuscendo a far aderire tutte le componenti in maniera funzionale e divertente con un ritmo che riesce sempre a imporsi e alcune scene indimenticabili.
Tutti i mostriciattoli parlanti in cui s’imbatte Sarah sono stati realizzati partendo dai disegni di Brian Froud, che aveva già collaborato con Jim Henson e Terry Jones in DARK CRYSTAL, un film fantasy del 1982 tutto girato coi pupazzi e in cui nel film in questione tutto viene impreziosito dalla raffinatezza figurativa più europea che americana.
Progetto ambiziosissimo per le tecniche disponibili e realizzato con cura, ne pagò economicamente le conseguenze incassando al botteghino appena la metà dei 25 milioni di dollari spesi per metterlo a punto, per restare eternamente prezioso nella memoria degli amanti di genere.

lunedì 11 marzo 2019

Chillerama



Titolo: Chillerama
Regia: AA,VV
Anno: 2011
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Anche l’ultimo drive-in americano sta per chiudere i battenti. Durante la serata di chiusura, milioni di coppiette parcheggiano le loro numerose auto per assistere alla maratona cinematografica di pellicole dell’orrore talmente rare da non essere mai state proiettate. Ma se, improvvisamente, un pazzo riesumasse il corpo di una sposa cadavere e rimanesse infetto trasformandosi in zombie?

Con tutto il bene che gli voglio e per tutta la libertà e il coraggio di fregarsene altamente di tutto, Chillerama anche se mi sono divertito a vederlo, mi ha lasciato schierato tra i moderati soprattutto contando che tra i diversi episodi, nonostante il fil rouge, ci siano delle importantissime differenze.
Prima di tutto la standing ovation alla location. Il drive-in. Dimora incontrastata di Lansdale.
Poi c'è il virus e infine il trash e tante tette e cazzi che volano.
Detta così dovrebbe essere una sorta di droga per i fan di genere, una vera e propria antologia horror sulla scia di Creepshow 2, e almeno così appariva prima di veder modificate alcune regole e godere da parte dei registi di una totale libertà che in alcuni casi è stata provvidenziale ma in altri ha siglato un totale imbarazzo.
L'omaggio ai b movie del secolo scorso può essere una possibilità enorme per cambiare le regole dei vecchi classici.
Il migliore in assoluto è il primo, quello girato dal regista del divertentissimo 2001 maniacs
remake di TWO THOUSAND MANIACS. In questo caso l'omaggio è riferito al sotto genere dei monster movie che arrivavano come missili dal Sol Levante.
Wadzilla infatti parla brevemente di un giovane che si sottopone ad una cura per incrementare la forza del proprio sperma che, ben presto, diventerà un mostro che mangia le persone.
"Lo sperma che uccide" è una log line simpatica per un corto divertente che al di là dello stile tecnico, assolutamente senza prendersi mai sul serio, esagera senza mezzi fini per arrivare al climax finale. Infine l'ultimo episodio Zom-b- movie, una parodia di tutti gli stereotipi dei film di zombie degli anni ’70 e ‘80 non esalta, ma strappa qualche risata.
Quelli che pur avendo delle idee godibili, a mio avviso, non hanno alzato la bandierina dell'ok sono stati I was a teenager werebear, orsi omosessuali sulla scia di GREASE, RAGAZZI PERDUTI e HAPPY DAYS e The diary of Anne Frankenstein dove Hitler è il dottor Frankenstein e la Cosa è un rabbino ebreo nerboruto che uccide tutti i nazisti.


mercoledì 20 febbraio 2019

Climax


Titolo: Climax
Regia: Gaspar Noè
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Un gruppo di giovani viene drogato senza apparente motivo ma non tutti reagiscono allo stesso modo.

Il cinema di Gaspar Noè è come una nuova droga chimica che arriva sul mercato. Se ti piace la droga non puoi che esserne affascinato. Prima c'era Araki ora c'è Noè.
Il risultato cambia come gli effetti della sostanza ma il processo è sempre lo stesso.
Cercare di provocare e stupire. Solo che da un lato c'è gente come Von Trier che riesce e regala anche arte e citazioni a profusione, dall'altra c'è Noè altro egomaniaco con degli intenti leggermente più bassi rispetto al collega danese.
Climax è un'altra esperienza doverosa, complessa, anarchica, schizzata e pompata come solo l'outsider argentino riesce ogni tanto a fare illuminandola d'immenso e facendoti venire voglia di ballare in qualsiasi luogo fruisci questa lisergica esperienza.
Cast di giovani, tante acrobazie e coreografie, musica strepitosa, luci e gelatine che regalano eccessi in sovrabbondanza e divertimento quasi assicurato, prima di entrare nel terzo atto che quasi sempre per i film del regista significa incubo, tunnel della privazione, fare i conti con se stessi e disperarsi e piangere.
Si inizia ridendo e scopando e si finisce a terra paralizzati dall'Lsd o per aver scoperto che in fondo non siamo speciali e facciamo pure un po schifo.
Ecco Climax parlando di altre cose rispetto alle tematiche del regista (anche se poi le questioni quelle sono) ci dice ancora una volta di andarci piano con la droga se non sappiamo gestirla.
Il cinema di Noè rimane un'esperienza sempre visivamente molto affascinante, impossibile sfuggire a questo caleidoscopio allucinato, dove i giovani scherzano con il fuoco, le istituzioni non esistono e il fai da te rimane la scelta convenzionale a cui sembrano sottoporsi con rituali e pratiche i millenial di questa generazione.

giovedì 13 settembre 2018

As boas maneiras


Titolo: As boas maneiras
Regia: Marco Dutra E Juliana Rojas
Anno: 2017
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Clara, infermiera dalla periferia di São Paulo, viene assunta dalla misteriosa e ricca Ana come bambinaia, ancor prima che nasca il suo bambino. Presto le due donne sviluppano un forte legame, ma una notte fatale cambia i loro piani

In Brasile esiste una tradizione di storie legate alla licantropia, che di villaggio in villaggio si tramandano e si trasformano (come gli zombi ad Haiti).
Ma che bella sorpresa questo dramma con venature horror sui licantropi.
Il duo del collettivo "Film to caixote" hanno avuto sicuramente tanta voglia e tanto coraggio per scoperchiare una bella metafora politica attraverso un film di genere.
Dramma, horror, musical e in parte fantasy. Con una netta divisione in tre atti che ne sancisce una narrazione mai banale, ma anzi continuamente supportata da una costruzione e alcuni colpi di scena e passaggi di testimone molto colti e funzionali. As boas maneiras passa da un primo atto più intimista ed erotico agli ultimi due decisamente più ritmati e violenti per finire con un'esplosione di avvenimenti che riescono ad essere essenziali nella loro descrizione di un fenomeno tutt'altro che conosciuto.
I registi riescono a trattare l'eroticità in maniera intimista, affascinante, tenera con diverse scene saffiche davvero semplici e molto dolci, presentando due protagoniste assolute che riescono nella loro diversità e situazione economica, ha convolare in una storia d'amore che vive di contrasti e di spaccature legate al misterioso passato di Ana.
Il merito essenziale della pellicola è quello di scardinare i generi cambiando registro narrativo di atto in atto, con un crescendo nell'ultimo e un climax finale esplosivo che riesce a mantenere una grande coerenza narrativa alternando stupore paura e pathos
Un film profondamente politico e in alcune scene volutamente sanguinolento senza mai eccedere nel gratuito. Per alcuni versi potrebbe essere ricondotto ad una sorta di Rosemary's Baby ambientato a San Paolo con pochissime scene in esterno e un'ottimo impianto tecnico con dei dialoghi che riescono a non essere mai banali ma invece profondamente incisivi.



sabato 1 settembre 2018

League of God


Titolo: League of Gods
Regia: AA,VV
Anno: 2016
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Durante il regno di King Zhou un funzionario si introduce nella sua camera da letto e viene divorato dalle mostruose code di Daji che e la sua concubina. Nel frattempo fuori città un gruppo di guerrieri dentro un carro metallico stanno decidendo le loro strategie per liberare il popolo invisibile assieme al loro capo. Si scopre così che il re Zhou anni indietro si fece conquistare dal drago nero per compiere la sua ricerca di potere.

League of Gods, è un'epopea fantasy, un’avventura d’azione che, a partire da un’opera letteraria del XVI secolo di Xu Zhonglin, il “Fengshen Bang”, mescola elementi della storia cinese, della mitologia locale e di fantasia pura per raccontare la storia di dei, mostri, demoni e personaggi dai poteri sovrumani che si schierano da un lato e dall’altro in una guerra che contrappone lealisti e non in seguito alla deposizione con l’inganno di un re da parte di uno spirito maligno che si era finto una sua concubina.
Una risposta agli ultimi capitoli della Marvel con un budget faraonico e troppi colori sgargianti e un tripudio di c.g con la piccola differenza che almeno qui si attinge dal folklore e dalla mitologia mentre dall'altro lato dell'oceano solo dai fumetti.
Il film in questione, come tanti mega blockbuster a cui questo non fa una piega, sono un pieno concentrato di gag, di ironia, dove tra balletti e musical si assiste a combattimenti molto pirotecnici, a volte esagerati fino al midollo come la battaglia in fondo al mare. Tutti sembrano riprendere comunque glu spunti dei combattimenti dallo Scimmiotto, il romanzo capolavoro di Ch'eng-en Wu
Un film coloratissimo con un ritmo invidiabile, troppa carne al fuoco, personaggi che riescono a rimanere poco impressi e creature leggendarie e mitologiche che fino ad un decennio fa ci sognavamo di vedere su un grande schermo come purtroppo non accade da noi a causa della distribuzione e rimane così solo la carta dei festival.
D'altra parte forse gli elementi su cui uno dovrebbe andare a sindacare potrebbero essere quelli di trovarsi di fronte ad un film vuoto e inoffensivo votato al meraviglioso e continuo florilegio di scene madre ed evocazione dell’eccesso spettacolare diventando tutto ricco ma esageratamente patinato.
League of Gods intrattiene, il suo vero compito e perchè no svela qualche piccola curiosità mitologica poi ripresa da altri registi in progetti ambiziosi almeno quanto questo come l'ultimo Tsui Hark e Stephen Chow

mercoledì 31 gennaio 2018

Ammore e Malavita


Titolo: Ammore e Malavita
Regia: Manetti Bros
Anno: 2017
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Don Vincenzo Strozzalone, 're del pesce' e boss camorrista, scampa a un attentato e decide di cambiare vita. Stressato e braccato da criminali e polizia, si finge morto per ricominciare altrove con donna Maria, la consorte cinéphile che trova la risoluzione a tutto nelle trame dei film. Ma il suo segreto, condiviso dalla moglie e dai fedeli Ciro e Rosario, ha il fiato corto. Fatima, una giovane infermiera, ha visto quello che non doveva vedere. L'ordine adesso è di eliminarla. Ciro è il primo a trovarla, risparmiandole la vita. Perché Fatima è il suo primo grande amore. Un amore perduto ma mai dimenticato. Messa in salvo la fanciulla, Ciro deve rispondere della sua insubordinazione. Davanti a Napoli, a don Vincenzo e alla sua malafemmina.

In tempi dove le serie tv italiane e le pellicole sulla criminalità organizzata stanno spopolando ci sono produzioni dal basso che con il loro taglio indie e anti commerciale continuano a portare avanti un certo tipo di cinema nostrano fortemente incentrato sul territorio.
Come non amare i Manetti che seppur molto giovani hanno già una nutrita e appassionante filmografia nonchè una serie tv con diverse stagioni all'attivo.
AMMORE E MALAVITA sembra una continuazione di Song'e Napule dove torna preponderante il musical che ancora una volta nelle mani dei due registi riesce ad essere funzionale così come il cinema di genere che in mano ai due fratelli cerca di trovare una sua collocazione precisa staccandosi dalle altre produzioni e realtà per messaggi culturali, intenti e una differente concezione della fiction.
Si ride, si piange, si perdona e si ama e più di tutto si gioca con le maschere gli stereotipi e il folklore culturale che in questo film non cessa mai di pulsare regalando alcune scene d'azione intense e un ritmo che riesce sempre ad essere a dei buoni livelli.
Dall'horror alla commedia, dal poliziesco al crime-movie, dal musical alla serie tv, il curriculum diventa impressionante essendo il risultato di tanto cinema visto e seguito che crea una sconfinata serie di personaggi e caricature mai eccessive ma quel tanto da renderle grottesche.
Un cinema indie alto e colto che seppur non entrando e non volendo misurasi con una storia complessa e difficile punta tutto sulla messa in scena, sui protagonisti e sulle voci che qui quasi tutte riescono a non ammorbare mai regalando una tragedia contemporanea e divertente che seppur in toni che alternano anche un certo tipo di comicità non smette mai di essere una critica e un messaggio politico sulla malavita.



domenica 24 dicembre 2017

Riccardo va all'inferno

Titolo: Riccardo va all'inferno
Regia: Roberta Torre
Anno: 2017
Paese: Italia
Festival: 35°Torino Film Festival
Giudizio: 2/5

In un Fantastico Regno alle porte di una città di nome Roma, vive in un decadente Castello la Nobile Famiglia Mancini, stirpe di alto lignaggio che gestisce un florido traffico di droga e di malaffare. Qui, Riccardo Mancini è da sempre in lotta con i fratelli per la supremazia e il comando della famiglia, dominata dagli uomini ma retta nell'ombra dalla potente Regina Madre, grande tessitrice di equilibri perversi. Tornato a casa dopo un lungo ricovero in un ospedale psichiatrico, Riccardo inizia a tramare per assicurarsi il possesso della corona, assassinando chiunque ostacoli la sua scalata al potere.

"L'unico perdono possibile resta sempre la vendetta"
Riccardo va all'inferno è uno dei film trash italiani più costosi degli ultimi anni.
Al TFF come sempre nella sezione After Hours il pubblico sembrava "domandarsi il perchè" dopo la prima del film. Qualcuno rideva, qualcuno agitava la testa confuso come per chiedersi cosa avesse visto, ma l'atmosfera generale era di stupore anche se in senso negativo.
E'difficile cercare di essere critici e seri con un film che diciamoci la verità "si prende sul serio" pur non riuscendoci. Torre vuole portare la tragedia quella shakespiriana di Riccardio III ai giorni nostri. Vicende di mafia mischiate in un mondo che prende prestiti un po ovunque dal cinema e inserisce un nutrito cast di attori che pur scimmiottando e recitando sopra le righe, riescono almeno a creare un'impalcatura che per certi versi regge la tragicommedia.
C'è da dire che non è mancato il coraggio alla regista. Di questi tempi in cui è sempre più difficile provare il cinema di genere in Italia, quest'opera al di là dei pregi e dei difetti ha coraggio da vendere. Alcuni momenti e squarci che la scenografia disegna sono interessanti come il Regno del Tiburtino, il bestiario periferico, alcuni settings visionari, i mascheroni che sembrano uscire da Trash Humpers, ma poi tutto comincia a diventare tessera di un mosaico non suo dai costumi e una vena dark che sembra uscire da DARK CITY, un'amore incondizionato per Terry Gilliam, la cura Ludovico Bis di ARANCIA MECCANICA, etc
Quello che non regge è il taglio da musical che in diverse parti spezza quanto di buono e orrorifico l'atmosfera e il ritmo cercavano di fare, in alcuni momenti davvero noiosi e in cui per quanto Ranieri si sforzi di dare dignità e spessore al personaggio, assume in dei momenti un taglio farlocco e volontariamente o involontariamente comico.
Nel cast Sonia Bergamasco riesce ad essere utilizzata bene con un personaggio, una genitrice mefistotelica, che seppur già visto ha i suoi momenti di svago e di potenziale originalità. Camei a volte non sfruttati a pieno come quello della Calderoni e di Frezza purtroppo potevano regalare qualcosa di più.
Come film corale, revenge-movie e dramma grottesco Riccardo non sempre vince alternando momenti statici e tragicomici con altri in cui allo sforzo non è conseguita la riuscita.
L'unico successo al di là del coraggio, è che questo è il più bel film della regista finora.
Nel suo disordine e caos, nella sua ossessione per il corpo e la mutilazione, per i freak e quanto di più storpiato e deturpato, quest'opera con tutti i suoi infiniti limiti ha qualcosa di affascinante.



venerdì 8 settembre 2017

Lure

Titolo: Lure
Regia: Agnieszka Smoczynska
Anno: 2015
Paese: Polonia
Giudizio: 4/5

Polonia anni ’80. Spinte dalla curiosità di scoprire le meraviglie della vita sulla terra, Srebrna e Zwota, due sirene carnivore, si mischiano agli esseri umani trovando lavoro in un nightclub. Assunte nel locale per la loro bellezza e per le loro incantevoli doti canore, le due creature si ciberanno degli esseri umani, vittime del loro fascino. L’amore però si insinuerà nel cuore di una delle sirene creando problemi fra le due.

Finalmente anche le sirene tornano in voga nel migliore dei modi. La tradizione e il folklore che avevano dato vita al celebre racconto di Andersen qui sembrano di nuovo approcciarsi all'idea di partenza, attingendo da questo nuovo aspetto del folklore scandinavo, per raccontare tutt'altro, riuscendo a dare atmosfera a questa fiaba dark davvero bizzarra che unisce teatralità e umorismo in un modo talvolta sarcastico e a volte enigmatico e quasi da b-movie.
Cinema d'autore a tutto tondo come poche sanno fare in questi ultimi anni sono diverse le registe ad aver contribuito a rendere multiforme il cinema di genere come Evolution della Hadzihalilovic e Raw
di Ducournau.
Due film straordinari che ora con questo film scritto da Robert Bolesto, e che sembra strano che arrivi dalla Polonia, invece danno l'idea di quanto sia importante scoprire questi paesi e le interessanti opere indipendenti di alcuni registi e sempre per rimanere in Polonia bisogna ricordare l'ottimo Demon del mancato Wrona.
The Lure è sporco, mostra due bellezze inusuali, un corpo e una coda che non hanno niente della Sirenetta e sguardi famelici per due sorelle che cercano di capire come funzionano gli esseri umani e diventando freaks di turno e concubine ideali per la loro grande madre nel nightclub.
Un film girato in modo assurdo, con continui cambi di regia, una fotografia coloratissima e un sacco di intuizioni originali contando che il film spesso ricorre ad una sorta di musical atipico e grottesco con tante stranezze cinematografiche e come è stato definito da qualche critico trattasi di cinema predatorio contando che ha un timbro molto poco commerciale ed è adatto ad un pubblico di nicchia. Splendida inoltre l'enigmatica colonna sonora e i brani che sanno dare risalto e spessore.
Un film bellissimo che dimostra cosa si vuol fare a tutti i costi senza pensare all'aspetto commerciale ma disegnando una storia nuova con queste due sorelle della mitologia e del folklore che mancavano nel cinema in modo intenso come questo che sicuramente diventa il più importante film di genere sul tema delle sirene finora contando anche l'interessante opera ma minore sempre sullo stesso tema ovvero il Siren di Bishop americano del 2016.
Un film magnifico Lure dove però dal secondo atto la trama si perde leggermente lasciando spazio a guizzi di regia e ad una galleria di scene molto belle ma in alcuni momenti slegato narrativamente, riuscendo comunque a regalare un sacco di elementi nuovi e preziosi su queste creature a differenza del film di Bishop caratterizzandole molto di più e uscendosene con alcune particolarità che riportano e descrivono alcune caratteristiche di questi esseri mitologici e magici e della loro adattabilità alle regole e ai codici della nostra società.





domenica 30 aprile 2017

La la land

Titolo: La la land
Regia: Damien Chazelle
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Los Angeles. Mia sogna di poter recitare ma intanto, mentre passa da un provino all'altro, serve caffè e cappuccini alle star. Sebastian è un musicista jazz che si guadagna da vivere suonando nei piano bar in cui nessuno si interessa a ciò che propone. I due si scontrano e si incontrano fino a quando nasce un rapporto che è cementato anche dalla comune volontà di realizzare i propri sogni e quindi dal sostegno reciproco. Il successo arriverà ma, insieme ad esso, gli ostacoli che porrà sul percorso della loro relazione.

La la land ha incantato le folle, fatto sognare coppie di giovani e adulti lasciando sulla bocca di tutti una melodia da fischiare e un sorriso per un'altra bella storia d'amore. Eppure Chazelle di Whiplash
fa un altro passo in avanti e non solo regala un finale che lascerà interdetti ma a differenza del film precedente adotta la formula del musical che significa un rischio enorme e una follia di fondo interessante da studiare.
In quasi due ore Gosling e la Stone provano di tutto e ovunque regalandoci performance e siparietti eleganti e pieni di colori e sorrisi. Gli scenari si alternano come in una commedia anni '50 prendendo come nella scena iniziale il tram tram quotidiano spezzato da un balletto in piena autostrada che rimarrà una delle cose più belle del film.
E poi sancisce la forza dell'amore, la fiducia in se stessi, l'altro/a come un pezzo mancante nelle nostre incomunicanti vite. E'un raggio di sole di speranze e buoni sentimenti che seppur scavalcando la realtà in alcune scene rimane ben ancorato coi piedi per terra come nel finale.
Chazelle sembra un insegnante musicale, un coreografo e tante altre cose. E'giovane e bisogna sperare che questo talento e questa carica eversiva non si fermi ma riesca ad essere uno dei motori centrali della sua politica d'autore.




domenica 19 febbraio 2017

Sing

Titolo: Sing
Regia: Garth Jennings
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il koala Buster Moon si è innamorato del teatro all'età di sei anni e al teatro ha dedicato la sua vita. Ha anche accumulato una discreta serie di fiaschi e di debiti e ora è ricercato dalla banca a cui ha chiesto un prestito e dai macchinisti che reclamano lo stipendio. Come salvare capra e cavoli? Buster ha un'idea geniale: un talent show. Apre quindi le porte del suo teatro ad una lunga fila di aspiranti cantanti e performer e sceglie i suoi gioielli: Rosita, maialina madre di 25 figli piccoli, Mike, topino vanitoso e vocalist d'eccezione, Ash, porcospina dal cuore rock e Johnny, scimmione dall'animo blues. Ci sarebbe anche Meena, elefantina portentosa, apparentemente troppo timida per esibirsi in pubblico...

Faccio difficoltà a trovare la giusta dose di empatia quando mi ritrovo a vedere film d'animazione per ragazzi quasi sempre al cinema con uno o più di loro affianco che si aspettano ovviamente che da un momento all'altro la risata.
Ho sempre sofferto di una rara forma di presa di distanza da alcuni personaggi troppo carichi di buoni sentimenti e dalla lacrima facile da quando sono piccolo e mi portarono a vedere la vaccata per eccellenza di nome ET, film cinematograficamente perfetto ma che a me è sempre stato in culo.
Sing muove le corde dell'anima, canta e suona senza mai fermarsi, crede in ognuno di noi, si fa portatore di sogni e speranze facendo pure una piccola critica sui nuovi talent show e le dinamiche di coppia che rischiano di saltare per una clausola del contratto discografico.
Sono così tanti e strutturati in modo diverso i personaggi da lasciare basiti per l'ottimo lavoro di caratterizzazione e performance di ognuno di loro.

Alcuni fanno più ridere di altri questo è chiaro ma Jenning che non dimentichiamoci è il regista di GUIDA GALATTICA PER AUTOSTOPPISTI è uno che sa far ridere e ragionare unendo in un mood splendido e con delle ottime canzoni ironia e temi sociali attuali e importanti come l'amicizia, l'autostima, l'empatia, il lavoro di squadra e tanto altro ancora.

sabato 28 gennaio 2017

Sing Street

Titolo: Sing Street
Regia: John Carney
Anno: 2016
Paese: Irlanda
Giudizio: 3/5

Conor vive nella Dublino di metà anni '80, ha 16 anni e un talento nella scrittura di canzoni. L'incontro con l'aspirante modella Raphina, di cui s'innamora perdutamente, lo spinge a fondare una pop band per attirare la ragazza come attrice di videoclip. Nel frattempo il matrimonio dei genitori va in frantumi: saranno la musica, l'amore e l'inossidabile rapporto col fratello maggiore a dare al ragazzo un coraggio che non credeva possibile.

Carney come il protagonista del suo ultimo film, sembra un artista che si porta sempre appresso il suo canzoniere personale. Finora in tutti i suoi film è riconoscibile un filo conduttore legato alla musica e ai rapporti di coppia. La playlist di Sing Street è qualcosa che rimane impressa almeno quando i video musicali girati dalla band con il super 8, le prime performance e il bisogno di non omologarsi agli altri. Sono diversi i contributi europei alla musica degli anni '80, quella con cui sono cresciuti i registi, qui in particolare la scelta e le imitazioni chiamano in ballo i Duran Dran, i Depeche Mode e gli Spandau Ballet. Sing Street ha molte parti biografiche in cui l'autore sembra voglia raccontarci qualcosa che era nell'aria in quegli anni e che era destinato a generare un cambiamento. Il film descrive il microcosmo dell'adolescenza in modo mai banale e con alcune riflessioni e scene di vita significative e molto realistiche. E'la versione maschile del bel film di Moodysson WE ARE THE BEST con cui i film hanno diverse analogie. Entrambi catapultati negli anni '80 uno a Stoccolma l'altro a Dubino, due mete che descrivono senza bisogno di troppe parole l'energia che si stava incanalando senza però avere i fasti di realtà come Londra o Berlino.
E'un film nostalgico quello di Carney, in cui la musica è ancora al centro della scena.
Nonostante tutto e la bravura indiscussa del giovanissimo cast, Sing Street rimane il film più compiuto di Carney, quello in cui i personaggi e lui stesso riescono a comunicare anche nelle pause della musica e allo stesso tempo però un'operazione che seppur riuscita non riesce ad andare oltre, analizzando per l'ennesima volta una realtà ormai ampiamente abusata.


martedì 15 novembre 2016

Tokyo Tribe

Titolo: Tokyo Tribe
Regia: Sion Sono
Anno: 2014
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

In un futuro imprecisato Tokyo è un territorio diviso tra gang rivali, con la polizia inerme a osservare le gesta dei delinquenti. Signore e padrone della rete malavitosa è il disgustoso Lord Buppa, dedito al cannibalismo e a sordide pratiche sessuali. Quando la figlia di una gang straniera, a Tokyo in incognito, finisce prigioniera di Buppa, tra le bande rivali si scatena la guerra, a colpi di mazze da baseball e rime hip hop.

Tokyo Tribe è l'ennesima prova che Sono è uno sperimentatore che non ha intenzione di fermarsi nel suo viaggio di nozze con il cinema di genere. Tratto da un manga, in questo caso un mix coinvolgente di più di due ore che mischia, musical, azione mimando il combattimento fisico detto up-rock e fronteggiandosi a colpi di dissing, dramma, virate pulp e tanto tanto ritmo scandito dagli ottimi brani hip hop cantati dai protagonisti.
Tokyo è il caos amplificato e messo a ferro e fuoco da band locali che con le dovute divisioni dovranno trovare un accordo per combattere un nemico più grande.
Un film travolgente e anarchico, un live-action che tra pianisequenza e cambi di ritmo impressionanti conferma l'amore per il cinema e proprio la prolificità del regista riesce a dare successo e un'attenzione meticolosa al gusto corrente in fatto di mode, tendenze, stili e tutto il resto.
Tokyo Tribe è un film in realtà molto complesso da girare con tanti personaggi e gang, tutte al contempo caratterizzate a dovere e tutte che cercando di ritagliarsi una propria fetta di fama.
Un film che molto probabilmente dato in mano ad un altro regista che non lo sentiva come qualcosa di importante avrebbe comportato un sicuro fiasco. Qui è sprigionata la follia e la creatività e sono proprio questo insieme di elementi uniti ad un corollario di scelte originali e spesso anche politicamente scorrette (la poliziotta svestita per strada che finisce tra le mani di Mera unita alle scene sado-mado e quelle di cannibalismo).
Visivamente folle, sembra ironizzare su tanto hip hop moderno e l'esagerazione del fenomeno che sta dietro, dando risalto e forma a personaggi improbabili che pur non diventando mai del tutto delle macchiette funzionano proprio nella maniera in cui esagerano un fenomeno di massa che ha ripreso forma e successo.



mercoledì 30 dicembre 2015

Love & Peace

Titolo: Love & Peace
Regia: Sion Sono
Anno: 2015
Paese: Giappone
Festival: TFF 33°
Giudizio: 3/5

Un uomo che in passato aveva sognato di diventare un cantante punk rock, sta lavorando come impiegato per una compagnia di strumenti musicali. È segretamente innamorato di una sua collega. Un giorno trova una piccola tartaruga sul tetto, e la chiama Pikadon...

Nel senso buono e metaforico del termine, Siono, che ha girato qualcosa come 5 film solo nel 2015,trova in questo ultimo delirante racconto di formazione, la possibilità di contaminare al massimo due dei temi che più lo appassionano come le mutazioni repentine della realtà sociale del Giappone e la vessazione della società sull'individuo, trovandone una buona alchimia.
Love & Peace, il titolo è già profetico, è un film che procede per accumulo infarcendolo di elementi, simboli, trasformazioni, tutto in perfetta sintonia e riuscendo ad equilibrare Kaijū Eiga, fantasy, i christmas movie yankee e l’animazione stop motion tutto con fantasia e una trasversalità di generi cinematografici incredibile, ludica e originale.
Il tutto poi sapendo sottolineare la tragedia di Fukushima e Hiroshima, il peso della società, la cronaca del dopobomba, l'alienazione dei giapponesi, le multinazionali e più di tutto l'affermazione dell'ego in una società turbo capitalista che ha dimenticato la propria storia e parte dei valori.
Love & Peace è prima di tutto esagerato e sfrontato, infatti non per altro ma come per la prolificità dei film, spesso il regista viene paragonato al maestro Miike Takashi per quell'esplosione pop, quella anarchia di fondo che lo vede come un autore libero di poter creare l'opera che preferisce e con i toni e l'ironia che più lo ispirano.
Una ricompensa che non viene data proprio a tutti e che se come in questo film viene esplosa a 360° rischia di poter diventare anche un flop incredibile.
Eppure come tutti gli outsider che si rispettino, Sono sa quello che vuole e dunque dietro una maschera che contamina cultura e altro, riesce a levigare il suo cinema dandogli una sorta di riflessione che continua a mettersi in gioco e far riflettere sui temi più disparati.

Il problema di queste pellicole, in particolar modo della tradizione nipponica è quello che proprio avendo così tante libertà e un umorismo molto diverso dal nostro, rischia di esagerare proprio lì nell'esasperazione, sconfinando prepotentemente e lasciando più volte basiti e di stucco per la mole incredibile di potenza buttata via.


domenica 19 aprile 2015

Leggenda di Kaspar Hauser

Titolo: Leggenda di Kaspar Hauser
Regia: Davide Manuli
Anno: 2012
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Giunto su una spiaggia disabitata del Mediterraneo, in un tempo e un luogo imprecisati, Kaspar Hauser è costretto a confrontarsi con la malvagità di una Granduchessa che sente minacciato il potere da lei esercitato sulla comunità. Per liberarsi dell'intruso biondo, costei chiede aiuto al Pusher, un criminale con cui ha una relazione, che sa come liberarsi del "nemico". Peccato che non abbia fatto i conti con lo Sceriffo, un dj che considera Kaspar come il nuovo Messia.

Penso che l’esordio di Manuli sia uno dei film italiani esteticamente più belli degli ultimi cinque anni.
I meriti sono tanti e doverosi. 
In primis la fotografia di Tarek Ben Abdallah. 
In secondo luogo le musiche dei Vitalic davvero ipnotiche e suggestive. In terzo luogo le scenografie naturali della Gallura scarne e infinite. 
In ultimo il cast, bizzarro e atipico, quindi, in questo caso, un’operazione riuscita (eccezion fatta per la Gerini che stona).
Un film sperimentale (un western di fantascienza?) di quelli che si amano o si odiano, ma quando si amano, il risultato è lasciarsi invadere mente e corpo da immagini mozzafiato, alcuni sketch che ricordano Cipri e Maresco e la Calderoni e Gallo che ballano in modo divino.
Con un calvario produttivo di tre anni, questo film vide la co-produzione di Bruno Tribboli, Alessandro Bonifazi della Blue Film e dalla Shooting Hope Production di Davide Manuli, con in più la collaborazione di Fourlab e il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione Autonoma della Sardegna e della Regione Lazio.
Pochissimi e coraggiosissimi i distributori che in Italia hanno creduto in questo film. Uno scandalo dall’altra parte che un’opera coraggiosa e insolita come questa non sia rimasta per più di una settimana nelle sale.
Un film, un’opera, una colonna sonora da ascoltare con le cuffie della protagonista e con cui lasciarsi proiettare verso mondi lontani su di un’astronave magica come quella che appare all’inizio.