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venerdì 26 aprile 2024

Morto Nao Fala


Titolo: Morto Nao Fala
Regia: Dennison Ramalho
Anno: 2018
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Stênio lavora in obitorio e parla con i cadaveri. Uno di questi gli rivela segreti che innescano una spirale di violenza: per vendicarsi di un tradimento, Stênio incrocia i passi di una gang criminale.
 
Finalmente dopo averlo cercato insistentemente per ormai sei anni, quando pensavo ormai di doverci rinunciare, sono riuscito a mettere le mani su questo film che ancora una volta è la dimostrazione di come il cinema brasiliano sia più vivo che mai, con una forza narrativa e carica dirompente di voler comunicare temi di ogni genere, riuscendo a creare una sua filmografia di genere di grandissimo impatto narrativo e di messa in scena.
Ghost story, grottesco, gore, thriller, dramma sociale e personale dimostrano ancora una volta quanto il soprannaturale e le tematiche folkloristiche siano nel dna di questo paese e delle sue forme per raccontarsi e mostrare uno spaccato di degrado umano e di alcune favelas sempre più abbandonate a loro stesse e alla lotta tra clan. I cadaveri rianimati dalle parole di Stenio riescono sempre grazie all'uso tra mascheroni e digitale a brutalizzare e rendere dei veri e propri mostri alcune anime che chiedono solo perdono quando invece si troveranno a cercarsi giustizia da sè.
La discesa all'inferno finale e la scelta di Stenio per salvare i pochi cari che gli rimangono è qualcosa di davvero toccante sapendo bene che non potrà mai esistere un happy ending.

martedì 20 dicembre 2022

King Car


Titolo: King Car
Regia: Renata Pinheiro
Anno: 2022
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Il figlio del proprietario di una compagnia di taxi ha un legame straordinario con le auto: sa parlare con loro. Fa amicizia con l'auto che lo ha salvato da un incidente stradale da bambino, ma sente anche i vecchi rottami lamentarsi della legge che vieta le strade alle auto di età superiore ai 15 anni. Insieme a suo zio, converte le auto da rottamare in veicoli futuristici che sono coscienti e parlano. Quindi assumono lo status quo sotto la bandiera di King Car. Tuttavia, gli zombi del capitalismo si dimostrano più malvagi del previsto.
 
Di nuovo un film di genere dal cinema più che mai vivo ed energico del Brasile. King Car è un film apertamente politico, un dramma e una denuncia che cresce piano piano insinuandosi nella mente dello spettatore che come un astante aspetta di ricevere i comandi giusti per diventare il gregario perfetto al soldo della macchina. Un film molto teatrale come impostazione e ricerca degli attori. Alcune scene sono indimenticabili come quando il gruppo dell'officina meccanica beve questa sorta di liquido emesso dall'auto e cominciano come dei robot a muoversi creando un sipario molto d'impatto divenendo i seguaci perfetti del nuovo ordine mondiale King Car.
Abbiamo poi uno straordinario Matheus Nachtergaele nel ruolo di zio Macaco, il quale sembra in grado di costruire qualsiasi cosa diventando il fil rouge e l'incaricato designato dalle macchine per creare e continuare la connessione. La sua versatilità e interpretazione nonchè fisicità mi hanno ricordato un Jack Black ai massimi livelli. Per certi versi rimane davvero incoraggiante la voglia e la spregiudicatezza dei brasiliani nel loro cinema che dimostra ispirazione, talento, originalità, scelte tecniche e coraggio nel creare qualcosa di nuovo e brillante come in questo caso e dove pur prendendosi qualche licenza poetica termina con un finale molto aperto su come potranno andare le cose e la vendetta della King Car.
Avevamo già visto una ragazza fare l'amore con un auto e strofinarsi contro le lamiere da Cronemberg a Ducournau ma forse senza mai avere un colloquio post coito dove macchina e ragazza commentano l'atto sessuale. King Car è un film sconosciuto purtroppo di cui non si è mai parlato e che invece a mio avviso avrebbe e dovrebbe trovare una distribuzione coraggiosa che possa puntare su prodotti di qualità e di spinta sul genere.

giovedì 15 dicembre 2022

Inferninho


Titolo: Inferninho
Regia: Pedro Diogenes e Guto Parente.
Anno: 2019
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Il bar di Deusimar è molto speciale. È un luogo dove un cliente vestito come un Topolino qualsiasi può sedere accanto a uno vestito come Wolverine, mentre il barista indossa un abito da coniglietto rosa e le vocalist non sono proprio intonate. Gay, etero, drag queen e fan della Disney popolano il locale per vivere a pieno i loro sogni e non nascondersi da nessuno.
 
Ormai è da anni che sono un fan sfegatato delle produzioni indipendenti brasiliane. Inferninho è semplicemente favoloso, adorabile, tenero, emozionante. Un film tutto concentrato sulle dinamiche che si intrecciano dentro il bar Inferninho, che qualcuno vorrebbe chiudere per costruire in quella favelas un resort di successo ma una sorta di patto magico vuole invece che non chiuda mai per dare la possiblità alla sua combriccola di personaggi di continuare a sognare. E'un film molto semplice nella meccanica, nella messa in scena, ma penetrante per quanto concerne emozioni e sentimenti, romantico nel suo sentimentalismo mai scontato. Girato con trentamila euro il film doveva essere una piece teatrale e la sceneggiatura infatti lo mostra pedestremente trascurando tutto ciò di superfluo come l'azione o le location per concentrarsi sulle interpretazioni e i dialoghi. Un film colorato e musicale dove le forme, le mode, i gusti sessuali sono tutti mai scontati ma profondamente bizzarri e allo stesso tempo sono manifesto della pietà umana e dell’empatia come l’unico rimedio a un mondo altrimenti freddo e inospitale.
La scena del sogno e la canzone di Vermelho Azulzim- Soledad lo dimostrano. Guto Parente è poi il regista dell'interessante CANNIBAL CLUB

giovedì 12 maggio 2022

Mal Nosso


Titolo: Mal Nosso
Regia: Samuel Galli
Anno: 2017
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Arthur ha lo straordinario potere di poter comunicare con gli spiriti. Uno degli spettri con cui entra in contatto è il suo mentore, che gli dice come un demone abbia intenzione di distruggere l'anima di sua figlia. Arthur dovrà allora prendere misure drastiche per impedire il peggio, anche se ciò vorrà dire immergersi nel deep web e mettersi sulle tracce di un serial killer che sembra fare al caso suo.

Che ormai il Brasile per l'horror indipendente stia diventando una garanzia ultimamente lo dimostrano pellicole come Cannibal clubO lobos atras da porta e As boas maneiras. Qui siamo di fronte ad un film soprannaturale con varie diramazioni drammatiche per sfociare nel torture e in una critica al deep web. Flashback, piani temporali, sacrifici, il potere di poter comunicare con gli spiriti e infine gli esorcismi.
Galli firma un film decisamente ambizioso che si prende molto sul serio e riesce a rimanere impresso per le impennate di violenza davvero macabre e realistiche come dall'altro per la sua anima drammatica regalando un finale di forte impatto. Quasi esente da difetti il film è una commistione di generi, di registri narrativi, senza uscire mai dalla storia e creando un colpo di scena che nel terzo atto regala tutte le risposte che lo spettatore cerca. Se da un lato la storia di Arthur è molto interessante, dall'altra seguiamo il killer commissionato per la grande impresa che a sua volta si lascerà dietro un nugolo di vittime godendo della sofferenza e della tortura ai danni di essi.
Un'opera davvero originale che stravolge e reinterpreta alcuni topoi di generi giocando con alcuni stereotipi e sostituendo regole ormai basilari per scelte più coraggiose e mature.

mercoledì 15 dicembre 2021

Casa de antiguidades


Titolo: Casa de antiguidades
Regia: João Paulo Miranda Maria
Anno: 2020
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Cristovam lavora in un caseificio del ricco sud gestito da austriaci, ma lui viene dal nord del Paese dove la povertà lo ha spinto all’emigrazione. Vive da solo, con un cane. Ma nella sua casa si materializzano le memorie sepolte del passato, i riti antichi e le forme misteriose di una animalità che si fa umana.
 
Medium di una casa abbandonata, xenofobia, folklore, razzismo della società brasiliana, ritorno alle origini, maschere, senso di isolamento, capitalismo, contrasto nord-sud, ricchi-poveri, insomma l'opera dell'autore seppur con uno stile lento e minimale, riprende tutto un corollario di contenuti proponendo una storia misteriosa e silenziosa, con un protagonista che sembra sempre fuori dal tempo come se vivesse in un'altra dimensione.
Intellettuale anche se su un piano prettamente metaforico diventando solo nella seconda parte visionario e surreale con una società che sembra minacciare e minare costantemente la libertà del protagonista violando continuamente la sua privacy e la sua casa. Il film riesce con rimandi potenti e un uso meticoloso degli effetti speciali, in realtà poi solo l'ombra dell'animale totemico e quel luccichio negli occhi di chi riesce a mettere a fuoco Cristovan, a far sì che João Paulo Miranda Maria porti un altro ottimo esempio di cinema autoriale impegnato e politico dove negli ultimi anni i brasiliani stanno davvero dimostrando di aver tanto da dire e mettere in scena senza mai farsi prendere da sensazionalismi, ma rimanendo fedeli a delle storie classiche e più che mai catalizzatrici di mali sociali ancora molto radicati e intensi.

mercoledì 1 luglio 2020

Carandiru


Titolo: Carandiru
Regia: Hector Babenco
Anno: 2003
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

A Carandiru, la prigione piú grande del Brasile, il potere è in mano ad assassini, stupratori e drogati. Ma il giorno della rivolta 300 poliziotti fecero irruzione nel carcere uccidendo 111 detenuti disarmati. La storia vera del massacro di Carandiru nell'ottobre del 1992.

Carandiru è stato attaccato duramente dalla critica. Uno dei due importantissimi film di Babenco assieme a PIXOTE racconta le dinamiche del più grande carcere del Brasile nonchè il più affollato, il più degenerato e il più violento. Come un organismo, tutto al suo interno fatica a mantenere un ordine prestabilito, un'umanità feroce e disperata, che lotta per la sopravvivenza quotidiana, tra ordinaria sopraffazione e squarci di solidarietà, violenza onnipresente e rara speranza, secondo regole non scritte di convivenza. Il governo agisce tardivamente e male, l'incidente finale che a reso tragica una delle pagine più vergognose dei penitenziari ci mette molto tempo a decollare prima del doloroso terzo atto.
Un film molto romanzato, dove Babenco si prende tutto il tempo che gli occorre come uno storytelling per ascoltare e vedere le storie dei protagonisti, raccontando senza lesinare violenza e linguaggio con sofisticata leggerezza, matrimoni, tradimenti, screzi e quant'altro, tutto attraverso noi/lui, il protagonista, dottor Drauzio Varella chiamato a controllare i casi di Hiv presenti nella struttura.
Con il teorema del flashback assistiamo alle gesta a volte grottesche e spregiudicate di alcuni personaggi, del loro modo di prendere ciò che vogliono dalla vita vivendo e seguendo precisi codici d'onore.
“Attraverso quale sistema d’esclusione, eliminando chi, creando quale divisione, attraverso quale gioco di negazione e di rifiuto la società può cominciare a funzionare?”. Questa è una della domande centrali che Michel Foucault si pone nella sua trattazione di “A proposito della prigione d’Attica” e che sembra essere a tutti gli effetti la matrice alla base del film, la domanda che continuamente siamo chiamati a porci.




sabato 16 maggio 2020

Cannibal club


Titolo: Cannibal club
Regia: Guto Parente
Anno: 2018
Paese: Brasile
Giudizio: 3/5

Una coppia molto ricca organizza cene eleganti sul proprio yacht. Il menu di queste serate è composto dalla griglia di carne umana e da sesso sfrenato. Quando scoprono che il capo di questo club di cannibali nasconde un segreto ancora più scabroso, per loro le conseguenze saranno devastanti.

Negli ultimi anni il cinema brasiliano sta diventando sempre più interessante soprattutto quando punta sulla denuncia sociale, sulla politica, sul dramma dell'enorme divario economico e altri temi di attualità.
Nell'horror fino ad ora As boas maneiras rimane la summa di un cinema di genere in grado di essere multi variegato e consapevole di saper affondare la propria critica verso una pluralità di temi.
Cannibal club è un film con pochi intenti, molte scene di contorno discutibili nel loro essere state abusate nell'horror in troppe occasioni. Una sorta di Zona come il film fondamentale di Plà, dove i ricchi abitano in zone residenziali con tanto di guardie private per delle paure latenti legate a bande di poveri ragazzini disposti a tutti che possano minare la loro tranquillità. Dall'altro l'apatia, la noia quotidiana di chi ha scelto la reclusione e ingaggia agenzie interinali per portare carne fresca nel loro mattatoio.
Gli esponenti della classe dirigenziale brasiliana per il loro doversi auto conservare e auto proteggere inscenano banchetti snuff, si vantano delle loro acrobazie sessuali quando in realtà sono così frustrati da farsi sodomizzare dalle minoranze che loro stessi sacrificano.
Da questo punto di vista, il merito più grande del film è di scoperchiare lo squallore in maniera ciclica, come un cane che si insegue la coda e che finisce per fare del male a se stesso in primis.
Un film che soprattutto denuncia i rapporti liquidi, il non sense di alcune relazioni che pur di mantenere agli occhi del pubblico esterno una normalità sono costretti a pratiche fuori dal comune come quella della moglie che ama farsi possedere da sconosciuti mentre il marito, quando lei raggiunge l'orgasmo, ha l’abitudine di correre a uccidere con una grossa scure l’amante della moglie in un lago di sangue, prima di iniziare a fare a pezzi il malcapitato insieme al consorte, per poi condividerne le carni in un elegante pasto.
Ovviamente questo impianto non può durare in eterno e a furia di esagerare con le scorpacciate di vittime sacrificali e osservando ciò che non si deve, gli effetti non tarderanno ad arrivare..

sabato 14 marzo 2020

O lobos atras da porta


Titolo: O lobos atras da porta
Regia: Fernando Coimbra
Anno: 2013
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Una bambina viene rapita. Alla stazione di polizia, Sylvia e Bernardo, i genitori della vittima, e Rosa, la principale indiziata del rapimento nonchè amante di Bernardo, forniscono testimonianze contraddittorie che rivelano un tenebroso triangolo amoroso fatto di desideri, bugie, e malvagità.

As boas maneiras e Bacurau sono state scintille in un cinema, quello brasiliano, davvero poco conosciuto e quasi senza distribuzione da noi. Entrambi prendevano tanto dal cinema di genere plasmandolo con metafore politiche e sociali attuali e interessanti.
Il film di Coimbra si accende però su un dramma davvero che lascia basiti per quanto il colpo di scena finale riveli una violenza senza eguali, un film che farà discutere, non piacerà, scioccherà senza mezzi termini.
Tra i tre però è quello più urbano, che tratta di gelosie e tradimenti portandoli quasi al paradosso e alzando l’asticella del dramma in alcune performance davvero esplosive sia per quanto concerne la violenza che nelle scene di sesso. Un film dove la disperazione della solitudine porta a fare azioni che non si credevano possibili. La gelosia, l’ambizione, il voler prendersi qualcosa a tutti i costi, sono le linee su cui il film si regge dove l’incidente scatenante lascia subito spazio ad un lungo flash back che si delinea durante tutto l’arco narrativo.
Rio de Janeiro nella sua povertà diventa lo scenario perfetto incarnando la perfetta metafora dove una macchina sportiva sembra un bene di lusso, dove il lavoro e i ritmi non lasciano tempo libero, dove tutto appare come un caos e dove il sogno di poter vivere una vita più felice e più appagante porta a sogni allucinati che straziano la realtà.
Un film con un ritmo incredibile, dove i dialoghi hanno il sopravvento, dove gli attori ci mettono quel qualcosa in più, dove è tutto un rincorrersi tra vittime e carnefici e dove la fiducia è il sentimento che paga il prezzo più forte di tutto il film.

martedì 7 gennaio 2020

Bacurau


Titolo: Bacurau
Regia: Juliano Dornelles, Kleber Mendonça Filho
Anno: 2019
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Una vicenda che accadrà tra pochi anni...Bacurau è un piccolo villaggio situato nel nordest del Brasile nello stato di Pernambuco. Vi si piange la morte della novantaquattrenne matriarca Carmelita. Qualche giorno dopo gli abitanti scoprono che il villaggio è scomparso dalle carte geografiche e che un misterioso gruppo di 'turisti' americani è arrivato nella zona.

Il bacurau è un uccello notturno molto abile nel mimetizzarsi e non farsi prendere dai predatori che invadono la sua terra.
Potente. Così può definirsi il film brasiliano passato a Cannes che ha saputo tradurre in termini post-contemporanei ma allo stesso tempo arcaici, un conflitto di classe, la metafora perfetta delle rapine culturali a danno di paesini deserti in paesi del terzo mondo. Un film che concentra così tante metafore e riflessioni politiche, socio-culturali, in cui pur di ottenere una manciata di voti si ha il coraggio di minacciare e mettere in ginocchio una comunità molto unita e profondamente segnata da perdite e da chi ha scelto la strada del banditismo non riconoscendosi più nei valori politico-sociali del suo paese. Bacurau sembra voler dare un segnale prima di tutto a coloro che vivono in questi villaggi, la sopraffazione di coloro, i politici, che si servono di contractors stranieri, che pensano di poter giocare con le vite altrui senza dimenticare che spesso queste popolazioni pur di rivendicare la propria identità sono capaci di spingersi ad azioni estreme e disperate.
Bacurau è ancor più interessante perchè gioca bene con il cinema di genere, inserendo storicità sulla vita del villaggio, il revenge-movie, lo sci-fi fatto di droni e di una sorta di Grande Fratello che cerca di mantenere il controllo mediatico del villaggio introducendo elementi che ne destrutturalizzino l'ordine (cancellare dalla mappa la città, togliere ogni tipo di segnale nella zona, fotografare con i droni, uccidere cominciando da chi vive ai margini del villaggio fino ad entrare dentro il centro), ma ancora a tratti il genere grottesco, lo splatter e lo slasher, il western e il cangaco.
Bacurau sembra senza tempo, rimane distante da ogni altra realtà cercandone una sua e diventando una favola politica che si svolge nel futuro, aderendo perfettamente all’attuale situazione del Brasile e alle profonde disuguaglianze sociali, etniche e culturali. Potrebbe sembrare una triste metafora di quello che Bolsonaro sta facendo con gli indios.


martedì 30 aprile 2019

Meninas Formicida


Titolo: Meninas Formicida
Regia: Joao Paulo Miranda Maria
Anno: 2017
Paese: Brasile
Festival: Torino Underground Cinefest
Giudizio: 4/5

In una piccola città brasiliana, un’adolescente lavora ogni giorno in una foresta di eucalipti come disinfestatrice di formiche. Tuttavia, non è l’allontanamento degli insetti la vera sfida, bensì la sua lotta interiore.

La giovane protagonista di questo insolito cortometraggio vive in una roulotte con la sorella, la madre e un bimbo piccolo. Sono tutte povere e le condizioni di vita scarse e precarie.
La sua lotta è soprattutto interna sperimentando la sessualità e non sapendo come approcciarsi con i ragazzi (la scena in cui viene presa a schiaffi da un'altra ragazza è funzionale quanto per certi versi abbastanza gratuita). Allora forse l'unica forma di vita silenziosa, piccola e instancabile lavoratrice diventa proprio quella stessa formica che per necessità tocca quotidianamente sopprimere.
Girl, così possiamo chiamare la protagonista senza nome, viene sempre inquadrata di spalle quando è sommersa dal brusio e dal caldo soffocante delle piantagioni di eucalipti.
Sembra catapultata in un altro mondo e in un'altra realtà. In parte è così ma forse questo bisogno di estraniarsi è legittimo contando la lotta per cercare di non essere sopraffatte dalla società soffocante in cui vive.



mercoledì 6 febbraio 2019

Motorrad


Titolo: Motorrad
Regia: Vicente Amorim
Anno: 2017
Paese: Brasile
Giudizio: 2/5

Un gruppo di motociclisti decide di andare a percorrere insieme un percorso mozzafiato. Ma il viaggio si rivelerà pieno di insidie e ciò che sembrava meraviglioso si trasformerà in un incubo.

Motorrad pur essendo una sorta di slasher con le moto non riesce a regalare nulla di più.
E diciamolo in un'era dove il cinema riesce nonostante tutto ad essere la forma d'arte più dinamica e multiforme, un prodotto come questo ricicla perfettamente alcuni canoni del cinema di genere senza però riuscire ad avere qualcosa di innegabilmente suo.
A partire dal cast dove gli attori non funzionano, troppo inespressivi, per assurdo sembrano più animati la gang dei motociclisti che non tolgono mai i caschi, impazziti i quali girano con il solo gusto di uccidere anche qui senza una logica che ne descriva motivazioni o intenti.
Motorrad è basato sul lavoro del fumettista Danilo Beyruth che ha collaborato molto con la Marvel. Il risultato è un'operazione che sicuramente si presta molto di più nella grapich novel che non nel cinema, o forse è Amorim che non riesce a coglierne le potenzialità facendolo diventare presto un film trascurabile con un ottimo reparto tecnico dietro, dove a dare lo spessore maggiore è la fotografia, una palette cromatica desaturata tutta strutturata sul grigio metallico.


giovedì 13 settembre 2018

As boas maneiras


Titolo: As boas maneiras
Regia: Marco Dutra E Juliana Rojas
Anno: 2017
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Clara, infermiera dalla periferia di São Paulo, viene assunta dalla misteriosa e ricca Ana come bambinaia, ancor prima che nasca il suo bambino. Presto le due donne sviluppano un forte legame, ma una notte fatale cambia i loro piani

In Brasile esiste una tradizione di storie legate alla licantropia, che di villaggio in villaggio si tramandano e si trasformano (come gli zombi ad Haiti).
Ma che bella sorpresa questo dramma con venature horror sui licantropi.
Il duo del collettivo "Film to caixote" hanno avuto sicuramente tanta voglia e tanto coraggio per scoperchiare una bella metafora politica attraverso un film di genere.
Dramma, horror, musical e in parte fantasy. Con una netta divisione in tre atti che ne sancisce una narrazione mai banale, ma anzi continuamente supportata da una costruzione e alcuni colpi di scena e passaggi di testimone molto colti e funzionali. As boas maneiras passa da un primo atto più intimista ed erotico agli ultimi due decisamente più ritmati e violenti per finire con un'esplosione di avvenimenti che riescono ad essere essenziali nella loro descrizione di un fenomeno tutt'altro che conosciuto.
I registi riescono a trattare l'eroticità in maniera intimista, affascinante, tenera con diverse scene saffiche davvero semplici e molto dolci, presentando due protagoniste assolute che riescono nella loro diversità e situazione economica, ha convolare in una storia d'amore che vive di contrasti e di spaccature legate al misterioso passato di Ana.
Il merito essenziale della pellicola è quello di scardinare i generi cambiando registro narrativo di atto in atto, con un crescendo nell'ultimo e un climax finale esplosivo che riesce a mantenere una grande coerenza narrativa alternando stupore paura e pathos
Un film profondamente politico e in alcune scene volutamente sanguinolento senza mai eccedere nel gratuito. Per alcuni versi potrebbe essere ricondotto ad una sorta di Rosemary's Baby ambientato a San Paolo con pochissime scene in esterno e un'ottimo impianto tecnico con dei dialoghi che riescono a non essere mai banali ma invece profondamente incisivi.



martedì 5 dicembre 2017

Shala

Titolo: Shala
Regia: Joao Inacio
Anno: 2017
Paese: Brasile
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

La delicata storia di Shala che in orfanotrofio che non rinuncia alla propria identità per
conquistare potenziali genitori adottivi.

Shala è un corto tenero quanto drammatico sui bambini che vengono dati in adozione.
In questo caso la vicenda si sposta in Amazzonia dove Pedro, il giovane protagonista, riceve una bambola da un'amica che presto dovrà lasciarlo. Proprio l'amica assieme alla responsabile dell'orfanotrofio cercheranno di cambiare Pedro affinchè risulti funzionale e adatto da parte delle coppie di genitori benestanti che fanno visita ai ragazzi.
Molto interessante lo stile di ripresa con queste carrellate su questi bambini tutti puliti e sorridenti per cercare di trovare un eden diverso e consolatorio.
Shala, il nome della bambola, è funzionale perchè potrebbe essere anche il nome del piccolo protagonista che nasconde un impeto di rabbia nel momento in cui gli si chiede di dimostrare di essere un bambino maschio. Bellissimo e intenso, con un cast misurato, bambini straordinari e una regia attenta e colta nel saper individuare tutti gli elementi necessari della vicenda in soli '11.





martedì 16 maggio 2017

Più forte del mondo

Titolo: Più forte del mondo
Regia: Alfonso Poyart
Anno: 2016
Paese: Brasile
Giudizio: 3/5

La storia del lottatore José Aldo, che mentre mira a diventare campione di arti marziali deve affrontare i propri demoni dovuti a un'infanzia difficile.

Mais Forte que o Mundo è un film drammatico, biografico e solo alla fine un film sulle arti marziali, le cosiddette Mma che negli ultimi anni stanno portando diversi prodotti nelle sale e un certo fascino da parte dei fan che possono ammirare i combattimenti senza esclusione di colpi nella gabbia. La prima impressione guardando il film è di una certa confusione nell'arco in cui si concentra la vicenda mostrando uno spaccato di vita di Aldo ma senza rifletterne e coglierne alcune battute soprattutto per quanto concerne alcune sue vicende personali. E'un film di formazione ma anche di redenzione e di riscatto in un paese in cui è difficilissimo emergere soprattutto nelle discipline marziali.
Prima di passare però al Brazilian Jiu-Jitsu e poi al Vale tudo, Poyart disegna la storia della vita del lottatore diviso tra speranze e una sua missione personale che ne segna obbiettivi e intenti del personaggio motivato e condizionato a portare a termine il suo piano.
La prima parte mostra delle location bellissime portandoci dentro i villaggi e facendoci ballare con l'atmosfera di festa che sembra in molti momenti condizionare la vita dei personaggi e di una prima parte del film appunto più legata all'ambiente e meno agli spazi asettici e i ring dove avverranno gli incontri.
Poyart sembra cercare di mostrare le paure e i compromessi proprio nel momento in cui Josè Aldo sale sul ring e decide di essere il numero uno senza abbassare mai lo sguardo diventando un'animale nel vero senso della parola pur finendo la sua carriera appunto in una mission educativa e di redenzione che sembra spesso una vicenda nota per alcuni lottatori o sportivi particolarmente talentuosi.
I combattimenti sono girati bene senza avere quei guizzi di regia che gli Stati Uniti e l'Oriente ormai padroneggia con una rigorosa e straordinaria messa in scena.

E'una storia che ancora una volta ci racconta il difficile percorso di un giovane ragazzino delle favelas con un sogno nel cassetto, una famiglia povera e tanta voglia di essere il numero uno.  

venerdì 9 gennaio 2015

Rio 2096-Una storia di amore e di furia

Titolo: Rio 2096-Una storia di amore e di furia
Regia: Luiz Bolognesi
Anno: 2013
Paese: Brasile
Giudizio: 3/5

Seicento anni fa "Brasile" era solo il nome di un albero e il territorio su cui oggi sorge Rio era popolato dagli indios Tupinambas. Un uomo tra loro, profondamente innamorato, venne prescelto dal destino e dagli dei per condurre il suo popolo "alle terre libere dal male". Dal tramonto del 1500 fino al 2096, passando dalla guerra tra francesi e portoghesi, dai campi di cotone degli schiavi, dalla dittatura militare del '68 fino alla guerra per l'acqua del prossimo futuro, quell'uomo ha obbedito alla sua missione di combattente contro l'avanzata inarrestabile del buio e dell'odio, armato solo dell'amore per Janaìna e della vocazione a non arrendersi mai.


L'animazione spesso ha il merito di sintetizzare e concettualizzare dove spesso è volentieri la fiction non riesce. In particolar modo poi è utile come genere per contrapporre miti e leggende, trasformazioni e cambiamenti radicali.
Bolognesi, il quale ha collaborato come sceneggiatore per diversi lavori prima dell'ultimo film di Bechis, crea una sorta di Avatar storico d'animazione, in cui l'obbiettivo sul traguardo storico non era certo facile, trovando la costante nella città di Rio, vera capitale di una lotta esistenziale tra amore e potere.
Senza disporre di un budget sorprendente come capita per le produzioni Usa o Nipponiche, strizza più l'occhio all'animazione italiana, distante anni luce dalle sorprendenti scoperte nella c.g che hanno portato negli ultimi anni, alla creazione di alcuni "live action" straordinari.
Piace e forse in alcuni passaggi, anche se un po troppo didascalico e melanconico, potrà far commuovere qualche anima sensibile.

mercoledì 3 dicembre 2014

Branco Sai Prieto Fica

Titolo: Branco Sai Prieto Fica
Regia: Adirley Queiros
Anno: 2014
Paese: Brasile
Festival: TFF 32°
Giudizio: 2/5

A Brasilia la polizia fa irruzione in una festa da ballo di persone di colore e rovina per sempre la vita di due partecipanti: uno finisce sulla sedia a rotelle, l’altro, calpestato da un cavallo delle forze dell’ordine, perde una gamba. Ma i due uomini non vogliono raccontare la loro storia in modo tradizionale: vogliono mentire, cercare nuove forme di narrazione del passato, inventare un futuro avventuroso dove storpi e amputati non sono corpi prigionieri. Un futuro in cui arriva un agente per mettere i potenti di fronte alle loro responsabilità: lo stato brasiliano è colpevole? Sarà mai messo sotto processo?

Il film di Queiros, una sorta di docu-fiction molto sperimentale, parte bene con una calda fotografia, alcuni disabili che dovranno rendersi interessanti. In più un'eccellente musica unita a un collante sociale che vuole essere di denuncia nei confronti di un'eguaglianza sociale sempre più distante (soprattutto in Brasile o nei paesi del "vecchio terzo mondo") in cui i neri, come nel titolo, vengono sempre dopo i bianchi.
Il problema del film è che sembra esaurire tutta la componente narrativa dopo pochissimi minuti per girare tutto su se stesso, elaborando uno strano scenario distopico che non è mai chiaro fino in fondo, o forse rappresenta la metafora con cui i poveri abbandonati dalle istituzioni e dallo Stato, temono il loro futuro incerto.
Seguendo alcuni personaggi arriviamo poi in un furgone al cui interno vive un disadattato in costane collegamento con una sorta di governo che gli comunica cosa fare e chi colpire.
A tratti sembra citare il cinema di Sganzerla soprattutto nella scena in cui il disadattato è convinto di essere seguito e spara raggi laser contro ipotetici nemici.
E'allora e proprio qui, quando tutto acquista una sorta di ironia drammatica unita però ad uno humor trash e scadente, che non ci si ritrova più nell'immaginario e negli intenti del regista.

domenica 29 settembre 2013

Bandito della luce rossa

Titolo: Bandito della luce rossa
Regia: Rogerio Sganzerla
Anno: 1969
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Jorge, un emarginato della città di San Paolo, dopo aver messo in subbuglio tutta la popolazione, e soprattutto dopo aver sfidato la polizia con le sue "imprese", diventa famoso come "il bandito della luce rossa". Il soprannome gli deriva dalla particolare tecnica con cui mette a segno i furti.

"Il terzo mondo esploderà e solo chi non ha le scarpe sarà risparmiato”.
"Questo mondo è vuoto: io non so se lo stiamo costruendo o distruggendo".
Un dramma basato sulla storia vera di Caryl Chessman, il famoso bandito californiano soprannominato «il bandito della luce rossa», che venne catturato nel 1948 e trascorse 12 anni nel braccio della morte prima di venire giustiziato nel 1960.
Erano anni difficili ma cinematograficamente parlando gli anni del "Cinema Novo" in cui Sganzerla, grandissimo fan e discepolo di Welles, esce completamente dai canoni con questa opera fuori dagli schemi con una sorprendente libertà di stile e quant'altro.
Girato estremamente low-budget come quasi tutto il cinema e i documentari del regista, questo film ho avuto la possibilità di ammirarlo in una grande retrospettiva fatta dal Cinema Massimo di Torino proprio sul regista brasiliano.
Si può ricondurre la matrice ai film polizieschi classici americani come QUANDO LA CITTA'DORME in cui si delineano chiaramente le due figure opposte del delinquente e del poliziotto che gli da la caccia, ma il tutto è sovraccaricato dalla verve esplosiva del suo autore che non è intenzionato a confezionare un film di guardie e ladri: vuole raccontarci la malinconia del Brasile, la povertà e la disperazione in cui molti sono costretti a vivere, come il protagonista che acceca le sue vittime con un faro rosso ma in fondo è solo un povero disgraziato che ha preso coscienza delle amarezze della vita troppo presto perché viene dalle favelas, un posto in cui ci dice lo speaker due disgraziati hanno tentato di derubarsi a vicenda per poi accorgersi che non c’era niente da rubare.
In effetti però la scelta tecnica e lo stile del regista sono davvero anomali in certi passaggi, cambiando drasticamente la fotografia, il b/n, il montaggio, voci narranti e voci esterne, i discorsi apocalittici sul destino dell'umanità e interventi del radiogiornale sulle scorribande del nemico pubblico del momento (in alcuni momenti sembra quasi un parente alla lontana dei lottatori mascherati), le prime scritte a display luminoso sopra i negozi forniscono informazioni sul film, dal film, per il film, la voce fuori campo del protagonista si mescola al notiziario mentre le immagini si alternano fra un passato presente e un presente passato dove convivono violenza e samba, il buono e il cattivo, o bandido da luz vermelha durante le sue scorribande nelle abitazioni altrui e l’ispettore Sadi che gli da la caccia disprezzando però le vittime delle azioni criminali, vista la loro ricchezza.

lunedì 25 luglio 2011

Blindness


Titolo: Blindness
Regia: Fernando Meirelles
Anno: 2008
Paese: Giappone,Brasile,Canada
Giudizio: 3/5

Un uomo sta guidando nel traffico cittadino. D'improvviso la sua auto, ferma a un semaforo, non riparte più. Non si tratta di una panne tecnica. Molto più tragicamente, l'uomo non vede piuù nulla se non un biancore lattiginoso. Dopo che un passante, con la scusa di accompagnarlo a casa, gli avrà rubato l'auto, l'uomo andrà a farsi visitare da un oftalmologo il quale, al risveglio il mattino dopo, si ritroverà privo della vista. L'epidemia si espande a macchia d'olio e i primi colpiti vengono internati in un ospedale nel quale si fa ricoverare anche la moglie del medico che è l'unica a non essere stata colpita dal morbo. Da quel momento utilizzerà il proprio vantaggio (che non rivelerà agli altri) per cercare di sopravvivere all'inferno in cui si trasforma la società.

Credo che quasi tutti abbiano letto Cecità di Saramago. Per chi non lo avesse letto, beh direi che dovrebbe correre in libreria perché è davvero fondamentale sotto svariati punti.
Lo scrittore non voleva che diventasse un film, ma forse a parte il merito di una sceneggiatura di Don Mc Kellar , che recita pure nel ruolo del ladro, che  seppur veicola più sull’azione che sui momenti riflessivi, il film non è affatto male.
E’un’impresa difficile perché il romanzo è un concentrato melanconico di emozioni,riflessioni,quadri mica poi tanto apocalittici, critica feroce alla società e agli organi istituzionali nonché il governo.
Se da un lato il regista fa un lavoro incredibile di ricostruzione, di dispiegare al meglio gli ambienti e cercare di dare più enfasi possibile agli attori, dall’altro sembra lasci aperte delle incognite o forse sono elementi della regia trascurata, come l’elemento spazio-tempo(dove siamo?) oppure l’impiego anche se a mio avviso in questo caso necessitava, di una voce narrante dettata dall’uomo con la benda sull’occhio.
La fortuna, se così possiamo chiamarla, è di avere al timone Meirelles(CITY OF GOD,THE CONSTANT GARDENER), regista dal grande talento e dalle indubbie capacità artistiche, che non lesina di risparmiare condanne o  critiche sociali e tutto il resto, premiando un cinema fisico e sempre scandito da un ottimo ritmo come i suoi precedenti film.
In questo caso la storia è davvero emozionante così come lo sviluppo e i tre atti che la costituiscono entrambi giocati su una location diversa. Fernando non mette dei paletti alla violenza mostrando ed in alcuni casi esagerando sulla efferatezza dei gesti compiuti dai non-vedenti dell’ala B , veri cani idrofobi disperati e così la scena delle donne che in fila di dirigono al calvario e la giustizia della Moglie sono elementi assolutamente magnifici e girati con grande maestria e arricchita da una bellissima fotografia intrisa di un bianco candido (ad opera di César Charlone).
Un altro punto a favore è la scelta degli attori, molto diversi etnicamente e fisicamente, tra cui spiccano Ruffalo, Moore e Glover nonché Bernal che riescono tutti grazie proprio ad uno schema corale a dare e d esprimere la loro sofferenza nello stato di degenza in cui sguazzano.
Dunque capiamo come mai ci è voluto così tanto tempo per trasporre dal libro al film un romanzo così complesso nella sua apparente semplicità.
Un messaggio poi quello finale che sembra davvero profetico in merito alle barbarie e all’aumento di violenze sparse su tutto il globo.
"Non penso che siamo diventati ciechi. Lo siamo sempre stati. Ciechi che vedono. Persone che possono vedere ma non vedono"

sabato 16 luglio 2011

Tropa De Elite 2


Titolo: Tropa De Elite 2
Regia: Josè Padilha
Anno: 2010
Paese: Brasile
Giudizio: 3/5

Il capitano Roberto Nascimento viene promosso a capo dell'intelligence militare, mentre l'ufficiale Matias lo sostituisce al comando del BOPE, la squadra speciale che opera nel difficile scenario delle favelas brasiliane

Vi ricordate quando finalmente uno di nome Josè Padilha confezionò un capolavoro come Tropa De Elite per dare un quadro abbastanza fedele su quanto stesse capitando e capita tutt’ora nelle favelas brasiliane di Rio De Janeiro. Nessuno si aspettava un film di quel tipo.
Poi arriva il secondo.
Crudo,necessario,disperato,cupo e assolutamente realistico è sicuramente tra i migliori film del 2010 e tra i migliori film in generale degli ultimi anni.
Viene quasi da dire che quando le cose non cambiano allora continua la denuncia per cercare di far luce su una realtà che come quella messicana mette in ginocchio le sorti di un paese e di un popolo costretto ad abituarsi ai massacri giornalieri, faide e conflitti tra cartelli del narcotraffico.
Gli agenti del Bope, ottima analisi di come agisce la milizia e quadro impietoso su chi sta dentro,Matias sempre lui, e chi controlla da fuori,Nascimento(Moura in stato di grazia) e su chi cerca di negoziare tentando una deriva di speranza che non potrà mai esserci  e anzi continuando con una critica spietata e spregiudicata della denuncia politica e della corruzione che dilania le sorti del paese.

L’analisi condotta in questo caso è scioccante.
Quando Nascimento ormai investito di carica politica cerca di attuare delle campagne per mobilitare e accrescere la forza spietata del Bope, ma a differenza degli altri interessati per ragioni etiche e per cercare di riuscire a debellare un tumore che sta mettendo in ginocchio il paese, si rende presto conto di quanto sia l’unico a credere nella giustizia a differenza di tutto l’apparato politico che se lo lavora e poi lo inchiappetta con la stessa facilità con cui i ragazzi nelle favelas fanno uso di crack.
Ed è proprio dal clientelismo e i legami di parentela che esce fuori un ennesimo mostro, parente di un altro mostro che sta ai vertici, ha dettare legge uccidendo molti narcotrafficanti e instaurando un regime corrotto militare nelle stesse favelas che sembrano produrre ricchezza a palate.

A livello tematico il film è superlativo nel senso che non si abbassa di fronte a nulla, non cede e anzi aumenta sempre il ritmo e la carica emotiva facendoti prendere parte in questo assedio e questa lunga e disperata guerra civile che sembra non aver mai fine come appunto denuncia con ancora più cattiveria lo stesso regista a distanza di pochi anni.
Fantastica l’analisi sul futuro delle prigioni elaborata da un personaggio davvero da icona come il deputato di sinistra, Diogo Fagra che convive con la ex-moglie di Nascimento, una piccola chiave di volta a livello narrativo che mostrerà alllo sconcertato Nascimento, la corruzione devastante dei suoi colleghui e di tutto l’apparato poliziesco e oltre.
Lui che prova da negoziatore a cercare di essere l’elemento che può dare una risposta ai criminali più pericolosi in una magnifica e profetica scena, circa venti minuti, dall’inizio del film in cui è riassunto già tutto.
Un film come non mai, coraggioso, spietato e infallibile nella sua pesante denuncia in cui proprio l’elemento politico-mediatico è portato ai massimi livelli riuscendo sempre ad essere un microcosmo descrittivo di tutto ciò che capita nei rapporti umani,famigliari,politici,militari e malavitosi.
Padilha sei un figo, continua così!