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mercoledì 7 giugno 2023

Huesera


Titolo: Huesera
Regia: Michelle Garza Cervera
Anno: 2022
Paese: Messico
Giudizio: 3/5

Valeria sogna da tempo di diventare madre. Dopo aver appreso di essere incinta, si aspetta di sentirsi felice, ma qualcosa non va.
 
Huesera è un indie horror semi folkloristico di quelli che trattano il tema della maternità e del sodalizio con la fede e le superstizioni. Un esordio coraggioso e importante che sigla il talento e l'attenzione ancora una volta innegabile per questo tipo di tematiche per regalare nonchè restituire pezzi di cultura locale e tradizioni del proprio paese. Huesera parte anche con un'impennata che lascia presagire una deriva da ghost stories fino a che Valeria vede questa sorta di persone sfigurate e assiste a suicidi che poi così non sono. Il film non risparmia una certa dose di violenza a profusione così come sangue e tutto il resto..d'altronde la Cervera arriva da quel Mexico Barbaro davvero grandguignolesco. E nella storia di emancipazione di Valeria scopriamo il suo passato, la sua propensione sessuale, il fatto che crescendo sembra essersi macchiata di alcune colpe che le streghe locali collegano con il fatto che non possa essere una buona madre arrivando a prendere in esame un rito oscuro e pericoloso. Lo sdoppiamento di personalità, la presenza che sembra oscurarla, il suo bambino rapito e nascosto addirittura per tutta la notte nel frigorifero, sono tutti elementi che portano ad un continuum di un'atmosfera quando mai congeniale e ispirata che riesce a creare e depositare ansia nello spettatore attraverso gli occhi spaesati della sua ottima protagonista

mercoledì 15 dicembre 2021

Animales Humanos


Titolo: Animales Humanos
Regia: Lex Ortega
Anno: 2020
Paese: Messico
Giudizio: 4/5

Una coppia e la loro giovane figlia sono terrorizzati dal cane dei vicini dopo che l'animale ha morso la ragazza. Sacrificano il cane, con sgomento dei suoi proprietari.
 
Ortega è stato definito il regista horror più estremo dopo il suo ATROZ, film che non credo vedrò mai dal momento che trattasi di torture porn, un genere che non amo affatto.
Questo titolo nel corso della storia del cinema è stato affibiato a diversi autori come Buttgereit, Schnaas e gente di questo tipo. Animales Humanos è una sorta di FUNNY GAMES meno intellettuale ma più cinico e con un finale di macabra bellezza. Partendo dal presupposto che Ortega gira divinamente, con un'ottima padronanza dei mezzi, un cast eccellente e una trama che se di fondo può apparire semplice in realtà trova soprattutto negli intenti e nello sviluppo dei personaggi una variante funzionale e in grado di non salvare nessuno dei protagonisti.
Colpa vs responsabilità, animalisti e tutto ciò che ne deriva negli effetti più perversi, conseguenze inattese dopo il gesto disperato di porre fine al cane dei vicini e infine una lotta impari dove di fatto nessuno ne esce vincitore ma meglio prova a riappropriarsi in maniera malata e disfunzionale di ciò che ha perso. Quanto può valere in termini di perdita la vita di un cane rispetto a quella di una persona o meglio ancora di una bambina?
Animales Humanos è colto, per niente ingenuo, cinico e grottesco, malato e iper violento quando diventa un home invasion a tutti gli effetti e prova a far ragionare molto lo spettatore sulle scelte e gli obbiettivi portati avanti dalle due coppie.

domenica 21 novembre 2021

Alucarda


Titolo: Alucarda
Regia: Juan Lopez Moctezuma
Anno: 1977
Paese: Messico
Giudizio: 5/5

Nel 1865 la madre di Alucarda, poco prima di morire, esprime il desiderio di affidare la figlia alle suore di un convento. Da adolescente, la figlia stringe una forte amicizia con un'altra ragazza di nome Justine. Un giorno incontrano un misterioso zingaro che propone alle due ragazzine l'acquisto di amuleti per allontanare i demoni. Le due ragazze si spaventano e fuggono nel bosco finchè non si imbattono in un castello. Allora Alucarda propone a Justine di entrarci e lì troveranno una bara che apriranno senza pensare alle conseguenze.
 
Alucarda può essere considerato uno dei film baluardi sul tema stregoneria, possessioni, sabba, magia nera e molti altri elementi. Un film particolarmente morboso dove al di là degli scontri tra fanatismi religiosi e scienza, c'è un impressionante uso di urla con la finalità di portare lentamente lo spettatore allo sfinimento. Un film esoterico, magico, denso di elementi e simbologie nonchè personaggi emblematici nella loro trasfigurazione. E' un film controcorrente, politicamente scorretto, incredibilmente coraggioso per l'anno in cui è stato girato. Un film assorto da una strana e affascinante atmosfera in grado di dare splendore e sostanza per la ricercatezza delle immagini, una fotografia pungente e delle scenografie come i costumi (in particolare la scelta di cosa far indossare alle suore e come mettere in scena l'orfanotrofio) totalizzanti. Insieme poi a delle musiche che riescono a creare quel tono ancora più surreale e onirico in grado di fondersi con le struggenti interpretazioni delle due protagoniste. Ci sono moltissime scene cult dal sigillo e il patto di sangue con lo zingaro, Alucarda che pronuncia il nome di Belzebù facendo incendiare suore e preti, a Justine trovata nella bara di sangue. Da bravo seguace e collaboratore di Jodorowsky, Moctezuma sembra sposare la teoria per cui il male trionfa sul bene, rappresentato come falso e bigotto, attorno ad un sistema di valori cristiani, trovando spazio anche per criticare la scienza, dove la provocazione del desiderio prova indignazione in chi non ne riesce a condividere lo spirito, come la suggestiva scena dove Alucarda prova a tentare sessualmente il prete.


Poison for the fairies


Titolo: Poison for the fairies
Regia: Carlos Enrique Taboada
Anno: 1984
Paese: Messico
Giudizio: 4/5

Una bambina arriva in una nuova scuola. lei è facilmente suggestionabile e diventa preda inconsapevole di una compagna di classe che invece più per vezzo che per cattiveria è capace di suggestionarla raccontandole storie di streghe, fino alle estreme conseguenze.
 
Il Messico e le streghe. Veneno para las hadas in realtà è molto di più. E'un dramma sociale, un film di formazione, sulle diseguaglianze, sull'importanza delle storie e della suggestione delle fiabe sui bambini, un film che parla di come viene iniziata una bambina, come vengano portati avanti dei rituali. Lo sposalizio con il male, il voler essere una strega, l'innocenza perduta, l'abbandono totale al male. Il film di Taboada è importantissimo è sigla come viene stipulato un patto col demonio e come venga sviluppato un crescendo di simbolismi e simbologie per arrivare all'obbiettivo finale.
Flavia in particolare subisce il fascino delle storie raccontate dalla Nenia la quale non si rende conto di cosa stiano provocando nella bambina. Veronica d'altra parte è colei che viene ipnotizzata da Flavia e cerca senza riuscirci di staccarsi dal suo capezzale, combattuta da un fascino perverso per il male e l'istinto che le dice di scegliere il bene. Il film poi ha una semplicità nel mettere in scena tutte le componenti scegliendo quasi sempre la luce e parlando di tenebra, senza mostrare mai gli adulti in viso ma lasciandoli di spalle o a mezzo busto, fatta eccezione per la maestra di piano di Flavia vediamo in viso solo quando è morta. Un finale poi di una cattiveria tale da scardinare tutte le certezze dello spettatore, arrivando come nel capolavoro spagnolo di Narciso Ibáñez Serrador, a sostenere che in fondo i bambini non sono così innocenti.

martedì 11 maggio 2021

Nuevo orden

 

Titolo: Nuevo orden
Regia: Michael Franco
Anno: 2020
Paese: Messico
Giudizio: 4/5

Città del Messico, 2021: il divario tra classi sociali si fa sempre più marcato. Un matrimonio dell'alta società viene interrotto da un gruppo di rivoltosi armati e violenti, parte di una più ampia sommossa dei meno abbienti, che prendono in ostaggio i partecipanti. L'esercito messicano sfrutta il disordine causato dalle rivolte per instaurare una dittatura militare nel paese.
 
E' il popolo divenne l'angelo sterminatore direbbe forse Bunuel. Nuevo orden è un film pieno di azione senza fine e colpi di scena imprevedibili che picchia duro, arrivando come un pugno nell'esofago lasciandoti in ginocchio a cercare di respirare.
Una critica sociale e audace incessante e brutale della disuguaglianza di fortissimo impatto con un livello di violenza a volte esagerato ma mai gratuito nemmeno quando vediamo infilato un manganello in culo ad un prigioniero.
Il cinema messicano come tutta la new generation di film sudamericani sembrano più che mai incazzati e desiderosi di mostrare potenziali scenari nemmeno così utopistici prendendo di mira un ordine dispotico che tiene al guinzaglio la servitù diventando uno straziante dramma senza happy ending, con un finale davvero amaro e per finire una giostra degli orrori in cui il potere, però, è qualcosa di tanto labile da finire per tornare sempre nelle stesse mani. Dall'evolversi all'interno della villa, al viaggio nell'inferno di Marianne che lasciando la villa entra nel cuore dei disordini sociali di una manifestazione contro gli abusi sociali e di potere. La prigionia diventa una macelleria messicana come per la scuola Diaz, dove l'esercito farà ciò che vuole seviziando di continuo con i corpi dei presunti detenuti vittime senza avere una colpa se non quella di appartenere a un ceto aristocratico.

giovedì 26 dicembre 2019

Untamed-Regiòn salvaje


Titolo: Untamed-Regiòn salvaje
Regia: Amat Escalante
Anno: 2016
Paese: Messico
Giudizio: 3/5

Guanajuato, Messico. L’incontro con la misteriosa Véronica ha ripercussioni inaspettate sulla vita dei fratelli Fabián e Alejandra, ed in particolare su quest’ultima, intrappolata in un matrimonio difficile e soffocata dal machismo ipocrita del marito Angél.

Regiòn salvaje ha almeno due scene indimenticabili. Tutte e due riguardano il sesso, tutte e due sono collegate tra loro, liberando i sensi e lasciandosi andare ad amplessi o altro.
In una vediamo tante specie diverse di animali in un unico luogo "magico", un angolo del mondo dove il selvaggio domina sul civilizzato, fare sesso senza problemi, di quale altro animale stia loro accanto (magari un predatore..). La seconda scena verso il finale, anche se viene già preannunciato all'inizio del film, l'amplesso tra Alejandra e la Cosa, una sorta di ibrido tentacolare sci-fi metafisico con tanto di tentacoli che si diramano in ogni dove che riaccende pulsioni antiche e primordiali.
Il film di Escalante è molto lento, ha una trama che poteva aggiungere molto di più in termini di scrittura, colpi di scena, fatti e avvenimenti che vengono presi in esame in maniera piuttosto mediocre senza andare oltre se non nel voler essere presuntuoso e provocatorio.
Una storia malsana dove alcuni messaggi di portata fantascientifica, per fortuna solo accennati, danno risalto a quella lotta tra eros e thanatos per tutta la durata del film, denunciando come dramma sociale l'ipocrisia dell'eterosessualità e in un qualche modo mostrata nella sua fragilità e debolezza.
Le donne sono le vere protagoniste alla ricerca di profondità oscure del piacere femminile che i maschi "alfa" non riescono a dar loro, dove subiscono passivamente il sesso e l'infedeltà del marito o il disinteresse del compagno e in cui ogni divergenza dal rigido canone sociale viene nascosto con vergogna, costrette così a rifarsi su una creatura aliena dalle sembianze multi-falliche, cui è attribuito il duplice compito freudiano di seminare piacere erotico e allo stesso tempo la distruzione mortale. Un film che più dei due incidenti e fati di cronaca successi in quegli anni in Messico che il film ricalca, sembra concentrarsi maggiormente sugli istinti, spesso frustrati, abbandonati, assopiti e dimenticati.
Quando si viene incontro con questa creatura, entrambi i sessi danno inizio ad un effetto domino inarrestabile in cui entrandone in contatto, in tutti i sensi, si diventa immediatamente succubi e vogliosi di ritornarci.



lunedì 7 ottobre 2019

Comprame un revolver

Titolo: Comprame un revolver
Regia: Julio Hernandez Cordon
Anno: 2018
Paese: Messico
Giudizio: 4/5

In un mondo dove le donne vengono costrette a prostituirsi e uccise, una ragazza indossa una maschera di Hulk e una catena intorno alla caviglia per nascondere il fatto di essere una donna e aiutare suo padre a prendersi cura di un campo da baseball abbandonato dove giocano gli spacciatori. Tutto scorre finchè il padre viene invitato a suonare ad una festa e decide di portare la figlia con sé. Durante la festa avviene una sparatoria. Le conseguenze sono drammatiche e la ragazza deve fare di tutto per fuggire.

“Messico. Nessuna data precisa. Tutto, assolutamente tutto, è gestito dai cartelli. La popolazione è in diminuzione per la mancanza di donne”
Era dai tempi di Gillian che non vedevo di nuovo un rapporto per certi versi malato tra padre e figlia, quando quest'ultima lo aiuta a drogarsi e procurargli ciò che gli serve.
Il mondo è dominato dai narcotrafficanti e il film c'è lo dice subito mettendo in risalto un territorio completamente dominato da eccessi, soprusi, violenza, bambini lasciati a se stessi con arti mozzati e le donne sono disperse, o meglio sono costrette a prostituirsi o finiscono uccise.
Huckleberry Finn nel paese di Mad Max in un futuro distopico, lo ha definito Cordon, regista assai esplicito e particolare, avvezzo ai generi e i territori inesplorati dell'indie estremo a basso budget, qui di nuovo alle prese con un dramma sconvolgente in cui sembra impossibile non essere invischiati con la malavita locale.
Un regista cazzuto che mostra senza veli la realtà e i disagi senza edulcorare nulla ma lasciando basiti di fronte a dei personaggi che hanno perso l'umanità raffigurando un manifesto inquietante di un universo probabilmente non troppo distante dal presente pieno di pathos e di sguardi sofferti dove non ci sono eroi e sconti per nessuno.
Un braccio mancante, una sparatoria che lascia tutti a terra, i bambini costretti ad un viaggio dell'eroe e di sopravvivenza che gli porterà verso la libertà. Il film ha un bel ritmo si prende i suoi tempi, è minimalista ed è persuaso dall'inizio alla fine di un atmosfera dove quella che permane in assoluto soprattutto per gli adulti è la paura e il malessere e il disagio sembrano non staccarsi mai dalle difficoltà e le dipendenze dei suoi personaggi.

giovedì 19 luglio 2018

El incidente



Titolo: El incidente
Regia: Isaac Ezban
Anno: 2014
Paese: Messico
Giudizio: 4/5

Due storie parallele hanno per protagonisti personaggi intrappolati in illogici spazi senza fine: due fratelli e un detective sono alle prese con una scala infinita mentre una famiglia deve fare i conti con una strada che non termina mai.

Interessante l'esordio indie e low budget del regista messicano Ezban. Fin da subito ci immergiamo in due storie, con un sunto finale, che seppur la seconda sia in un esterno hanno qualcosa di claustrofobico che come per i dialoghi assorbe i personaggi in un limbo senza scampo e facendoli "lottare" quasi sempre in spazi ristretti come può essere una scala di un edificio o l'interno di un auto. Scappi per poi tornare al punto di partenza.
Un monito che sembra per alcuni aspetti una delle costanti di una politica d'autore che attraverso lo sci-fi ingabbia i suoi protagonisti in scenari da incubo.
La regia è già precisa e si vede che con i mezzi a disposizione, il regista sa già quello che vuole, studiandosi tutto alla perfezione scena per scena, inquadratura per inquadratura.
A livello tecnico il film è girato molto bene con gli stacchi al punto giusto, un buon montaggio che non annoia mai, una fotografia che riesce a mettere in luce i particolari che servono e alcuni piani sequenza importanti.
Una storia complessa che seppur scritta molto bene contiene alcuni piccoli errori da capire se fanno parte della scrittura o della realizzazione (come nella prima storia la confusione tra i piani da dove salgono e scendono i personaggi in particolare il poliziotto) ma che in fondo servono anche per far capire come sia difficile avere una visione a 360° di tutto ciò che si ha tra le mani.
Ezban si era fatto notare per uno dei corti mostruosi del bellissimo film corale a episodi Mexico Barbaro

giovedì 7 giugno 2018

Desierto



Titolo: Desierto
Regia: Jonas Cuaron
Anno: Messico
Paese: 2015
Giudizio: 3/5

Moises viaggia con un gruppo di immigrati attraverso l'infernale deserto di Sonora nel tentativo di attraversare il confine con gli Stati Uniti quando improvvisamente si imbatte in Sam, un vigilante squilibrato che detta legge alla frontiera. Inizia così una caccia, durante la quale Moises dovrà cercare di vincere in astuzia il suo rivale per sopravvivere e non diventare l'ennesima vittima di una terra abbandonata da tutti.

Nel 2014 è uscito un film per alcuni aspetti simile. Si chiama Beyond the Reach americano, c'era Michael Douglas ha fare il cecchino, era pure lui ambientato nel deserto ma la trama era diversa meno politicamente e socialmente interessante del film del figlio del celebre regista.
Qui i confini sono fatti apposta per dividere e provocare tensioni, scontri e morti in una fascia desertica dove non solo non cresce nulla ma anche i confini sembrano labili senza nessuno a pattugliare ma lasciando mercenari liberi di fare ciò che vogliono.
In questo senso l'elemento più incredibile del film è proprio dato dal fatto che questa gente potrebbe morire e nessuno mai lo verrebbe a sapere dando così un'occasione ghiotta a tutti gli psicopatici (di cui l'America ne è piena).
Molto meglio dunque rispetto al film di Leonetti, qui l'intento e l'idea seppur abbastanza elementare e con alcuni copi di scena abbastanza telefonati (pensando soprattutto al finale) il ritmo è formidabile, il cast è perfetto, e l'ansia e l'atmosfera da incubo sotto un sole famelico fanno tutto il resto.
Un film anche questo senza una distribuzione ma passato direttamente in home video.

Con el tiempo

Titolo: Con el tiempo
Regia: Nicole Vanden Broeck Macias
Anno: 2017
Paese: Messico
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 5/5

Don Mateo e Doña Francisca: una coppia di anziani che ha vissuto lavorando la terra con ciò che la natura forniva loro. L’esperienza di una vita che oggi si fa invito all’uso responsabile delle risorse e a una produzione alimentare capace di dare spazio ai produttori locali, favorendo la sostenibilità.

Sembra quasi uno spot della Lavazza con quelle foto che ritraggono i coltivatori nelle loro terre natie. Da quegli spot sembra quasi che questa gente venga aiutata dalle multinazionali.
Ecco quando vedrete questo corto, in un attimo intuirete subito come vanno realmente le cose, i rischi, il capitalismo sempre più imperante, la lotta per la sopravvivenza, l'agricoltura vera, il futuro del pianeta, lo sviluppo sostenibile, il concetto di km 0 che qui viene mostrato nel modo più semplice e diretto che possa esistere.
E se non si fa qualcosa per aiutarli, rischiano come nella scena finale di scomparire sotto gli occhi di un mercato che non tollera i piccoli agricoltori.

mercoledì 9 maggio 2018

Julkita


Titolo: Julkita
Regia: Humberto Busto
Anno: 2017
Paese: Messico
Festival: Torino Underground Cinefest 5°edizione
Giudizio: 4/5

Contro la violenza di ogni genere e il disonore dei politici messicani arriva Julkita e il suo ciclo mestruale....se solo fosse coraggiosa abbastanza da distruggere i suoi nemici famigliari...

Blasfemo, trasgressivo, esplosivo, assurdo, esagerato.
Il corto di Busto in 18' riesce a generare e provocare una quantità di stati d'animo a metà tra l'exploitation, lo schifo assurdo, il trash e il weird fino ad arrivare ad un finale davvero senza senso.
Fratello e sorella. Praticamente un'unica location. Sangue, lingue che si attrversano, ancora sangue ma quello mestruale. Un rapporto intimo ossessivo compulsivo, rapporti tra consanguinei, le personalità multiple di Julkita, la protagonista che si inneggia a paladina mettendo a sacrificio proprio il suo corpo e la sua femminilità.
Credo che ci troviamo di fronte al corto più feroce e frenetico del festival.
Un atto anche politico con una metafora che riesce solo in parte a raggiungere l'intento che si era dato, rimanendo troppo ancorato a qualcosa che sembra un braccio di ferro tra una sessualità deviata e un bisogno di scindere una parte di se stessi quando ci si trova lontano dalle mura domestiche.

martedì 27 giugno 2017

Los Bastardos

Titolo: Los Bastardos
Regia: Amat Escalante
Anno: 2008
Paese: Messico
Giudizio: 4/5

Ventiquattro ore nella vita di Fausto e Jesus, due immigrati messicani illegali a Los Angeles che, come molti loro connazionali, aspettano ogni giorno che qualcuno gli offra un lavoro giornaliero. Oggi il lavoro che gli è stato offerto è molto ben pagato, invece. Un uomo gli ha chiesto di uccidergli la moglie. E Jesus esce di casa portandosi una pistola nello zainetto. Con lunghi piani sequenza, Escalante racconta la drammatica normalità degli eventi, che porteranno a un'esplosione di violenza improvvisa, disperata e incontrollabile.

“Sei mai stato all’inferno?” “Sì.”
Escalante ci mostra un inferno su cui si parla poco. Quello del dramma e della profonda inquietudine dei giovani precari messicani.
I due protagonisti del film sembrano per alcuni aspetti, o vagamente, ricordano l'indiano Deep di THE BRAVE anche se in quel caso erano 50 dollari per partecipare ad uno snuff-movie, un modo come un altro per tirare a campare sacrificando la propria vita per la sopravvivenza dei propri cari.
Anche il mondo di Escalante è lo stesso. Soldi per campare in cambio di favori da parte della classe media borghese. Soldi che anche in questo caso servono per sopravvivere.
In questo caso la realisticità e la messa in scena nonchè la scelta d'intenti del regista è formidabile perlomeno nell'aver realizzato un film formalmente raffinato e interessante, ma pur sempre brutale nelle scene all'interno della casa, mantenendo una forza interna e una struttura di fondo invidiabili.
Los Bastardos (il titolo è profetico e non risparmia la critica nell'individuare chi è il vero bastardo). Un film d'impatto e brutale che nella sua apparente staticità prende forma velocemente in una risposta esplosiva e incontrollata.
Un'opera che si prende il suo tempo con le sue pause nonchè i suoi silenzi. Un film che fagocita e cita tra le righe tanto cinema contemporaneo e Escalante si vede che ha voglia di farsi prendere la mano almeno dal punto di vista della messa in scena con alcuni virtuosismi e piani sequenza.
Uno spaccato sociale forte, ambiguo, un'opera morale che chiede e vorrebbe dare voce e speranza ad una fetta di popolazione messa alla gogna dallo stesso sistema capitalistico che li esclude, di fatto, per renderli gregari di tutti e di nessuno.





martedì 17 gennaio 2017

Tenemos la carne

Titolo: Tenemos la carne
Regia: Emiliano Rocha Minter
Anno: 2016
Paese: Messico
Giudizio: 3/5

Fratello e sorella si introducono in un edificio fatiscente. All'esterno, una non meglio precisata situazione post-apocalittica. A dispetto delle apparenze, i due non sono soli e ben presto si trovano a spartire la convivenza con un terzo personaggio, una mefistofelica presenza che li inizia a viaggio interiore all'insegna del piacere e della violenza più estremi.

We are the flash è l'opera prima del giovane regista messicano Emiliano Rocha Minter di ventisei anni. Tenemos la carne, il titolo originale, è un film potente, mistico ed "esoterico", messicano quanto cileno per alcuni aspetti sui guru e gli sciamani, e un film sull'iniziazione con una quantità di scene menzionabili impressionanti e allo stesso tempo quel tipico film che come per BASKIN aspettavi con ansia per rimanere invece solo parzialmente soddisfatto.
La prima impressione è quella di trovarsi di fronte ad un esordio che grida a Noè (il giovane regista ha sottolineato le sue aspirazioni e ambizioni e i punti di riferimento) in un film che trova nel lato estetico e nella forma i punti di forza, ma che quando deve confrontarsi con la trama, mostra tutti i suoi limiti. Proprio se avesse lavorato di più sulla storia e gli obbiettivi dei personaggi e non sui particolari anatomici e le scene di sesso tra fratello e sorella avrebbe giovato di più, concretizzando idee che qui sembrano solo espedienti per ingranare la marcia del politicamente scorretto.

Sono tanti i temi e sotto-temi presenti nel film: incesti, necrofilia, cannibalismo, violenza, orge, scenario post-apocalittico, un mentore luciferino che sembra di nuovo uscito da BASKIN, rituali di purificazioni, vittime sacrificali, il grembo materno (l'edificio come metafora di ciò che sta fuori anche qui per l'ennesima volta riconducibile a BASKIN) e prodotto fra gli altri da Yann Gonzaleze da Carlos Reygadas, con il sostegno di Alejandro G. Iñárritu. Secondo me il lavoro di Minter, da tenere comunque d'occhio d'ora in avanti, è troppo spesso un esercizio di stile sulla politica della violenza, ovvero detto in modo molto veloce, denunciare con la scusa del voler scandalizzare a tutti i costi, le atrocità del paese sfruttando l'horror e le sue caratteristiche. Un principio ormai ampiamente sfruttato nel genere che può portare anche, ma non in questo caso, ad importanti spunti di riflessione. Qui se le basi c'erano tutte e il prodotto è suggestivo e malato quanto basta se non di più...alla fine appare esagerato e plateale come una sorta di opera autoreferenziale. Il problema di questi film è che sono per gli amanti del genere fastidiosamente affascinanti proprio come BASKIN.

domenica 20 dicembre 2015

Sopladora de Hojas

Titolo: Sopladora de Hojas
Regia: Alejandro Iglesias
Anno: 2015
Paese: Messico
Festival: TFF 33°
Giudizio: 3/5

Lucas ha un pallone sotto braccio, Emilio una merendina in tasca, Ruben un pacchetto di sigarette sempre a portata di mano e uno spray per l'asma. Sono tre amici alla ricerca del mazzo di chiavi che uno di loro ha perso in un mucchio di foglie nel parco, sul quale si è lanciato per vincere una scommessa. Il pomeriggio se ne va tra chiacchiere, rastrelli, cani inopportuni e il sogno di un soffiatore di foglie, che elimini magicamente il problema. Al calar della sera, dovranno recarsi al funerale dell'amico Martin, caduto dalla moto.

L'esordio del giovane Iglesias, da non confondere con Alex, è quello di una commedia agrodolce, una pausa strappata all'odissea di diventare grandi e in fondo, più di tutto, fare i conti con ciò che non è reversibile, con ciò che si perde e non torna, ciò per cui non c'è una soluzione, la vecchiaia.
Suddiviso in capitoli introdotti da una grafica semplice e divertente, a suon di rock, viviamo il quotidiano di questi tre ragazzi goffi e sognatori, tutto in unico pomeriggio, vivendo dai loro occhi una piccola mission impossible, tra mucchi di foglie secche “alla ricerca delle chiavi perdute” .
L'assurdo del film è legato alla domanda drammatica e agli obbiettivi del film che sembrano voler dire allo spettatore che non sta succedendo assolutamente nulla e questo Iglesias non sembra nasconderlo.
Eppure sotto alcune foglie secche che sembrerebbero vuote e inconsistenti, c'è un universo di messaggi e dubbi tutti legati alla crescita e al cambiamento.

Al film non sembra mancare nulla, dietro le azioni e le scelte, c'è un mondo su cui affacciarsi, doppi segni e un'immaginazione fervida (la scena di Ruben e della madre di Lucas), genitori distaccati e attenti a cosa deve fare il figlio senza sapere cosa vuole, ad una polizia corrotta, un clochard atipico e un rasta che fingendosi farmacista regala ad Emilio una crema per problemi vaginali dicendogli che lo aiuterà a curare i morsi d'insetto.

lunedì 17 novembre 2014

Narco Cultura

Titolo: Narco Cultura
Regia: Saul Swarz
Anno: 2013
Paese: Messico/Usa
Giudizio: 3/5

Un documentario che analizza l'influenza dei cartelli messicani della droga nella cultura pop su entrambi i versanti del confine, come dimostrato dall'esperienza di un cantante di Los Angeles esponente della musica "narcocorrida", che coltiva il sogno di celebrità, e di un investigatore della scena del crimine di Juarez, in prima linea nella dura guerra alla droga in Messico.

Nel documentario Saul Schwarz racconta due storie. Da un lato quella di Richi Soto, perito investigativo del locale CSI, il quale si reca al lavoro il mattino senza sapere se tornerà vivo a casa la sera. Sulla scena del delitto i periti sono tenuti a presentarsi a volto coperto, neanche stessero per rapinare una banca, per evitare di essere riconosciuti. Dice che Juarez è molto cambiata, una volta era una bella città, adesso non più. Poi, fermo al semaforo, si accorge che la macchina davanti non ha targa e dice: ecco, questo è il genere di situazione che ci preoccupa. Solo negli ultimi anni tre dei suoi colleghi sono stati giustiziati dai narcos perché erano andati troppo a fondo nelle indagini. Alla radio, sulle frequenze della polizia, a un certo punto parte un corrido. È il modo che usano i narcos per dire che è appena stato fatto fuori qualcuno. Parte la canzone e Richi Soto sa che dovrà andare a recuperare un cadavere.

E poi c’è la seconda storia, quella di Edgar Quintero e della sua band, i Buknas de Culiacan, gruppo di musica tradizionale messicana, specializzata innarcocorridos. I narcocorridos sono canzoni in forma di corrido cha parlano di vicende legate ai narcos. Esaltano le gesta di questo o di quel cartello. I gruppi dinarcocorridos compongono una canzone per un capo o un sottocapo e in cambio ricevono protezione (nel limite del possibile), serate in cui suonare (pubbliche o private), di tanto in tanto una pistola in omaggio. Rispetto alla tradizione deicorridos, i si accontentano più di santificare la vita del fuorilegge romanzandone le gesta, ma sono diventati dei bollettini di guerra o, meglio ancora, dei truci resoconti da horror movie, a immagine e somiglianza delmodus operandi ormai adottato dalla nuova generazione di narco trafficanti. E quindi ecco spiegate le teste mozzate, i bagni di sangue, l’uso dei bazooka quando i kalashnikov non bastano più, eccetera. Finché si tratta di suonare nei club della California meridionale (dove il genere impazza), i musicisti fanno gli spacconi (della serie: Hollywood, arriviamo), ma non appena gli tocca tornare a suonare in Messico, hanno l’aria di soldati mandati al fronte. Sanno che laggiù, a Juarez, può succedere di tutto. E quindi prima di partire si recano dalla fattucchiera di turno, salutano moglie e figli, si infilano la pistola nella cintura e poi via, salgono sul SUV.

Narco Cultura per alcuni aspetti e tradizioni, anche se diverse, ha degli interessanti punti in comune con la nostra cultura mafiosa. I boss dei cartelli come denunciava Saviano e molti prima di lui, sono diventati in alcune regioni d'Italia, delle vere e proprie celebrità, proprio cercando di assomigliare il più possibile ad alcuni personaggi cinematografici e in alcuni casi prendendone pure il nomignolo.
Allo stesso tempo, quando penso al Messico, al documentario e ai cartelli del narcotraffico, non posso che non pensare, a quell'enorme contributo frutto di un lavoro pericoloso che ha portato alla morte del regista, sto parlando di Christian Poveda e il suo LA VIDA LOCA.
“Cantami le gesta del narcotrafficante”
Nel lavoro di Swarz, regista e fotografo israeliano, ugualmente pericoloso, e con un particolare sguardo rivolto al rapporto tra musica e narcotraffico, si parte dalle "narcocorridos” un vero e proprio genere molto apprezzato, una sorta di trasformazione moderna dei vecchi giullari e poi cantastorie.
Saul come Moore, non commenta, ma lascia al pubblico il giudizio e la capacità di farsi un'idea sulla piega presa da questo fenomeno che grazie anche ad un consolidamento rituale e antropologico, si è inculcato nell'anima di questo paese e dei suoi abitanti.
"L'accesso è la fiducia che abbiamo ottenuto sono un po' l'anima del film”, dice Schwarz. "Volevo anche dare un esempio per molti fotogiornalisti che stanno entrando nel mondo del documentario filmato, perché credo che noi fotogiornalisti abbiamo la capacità di andare oltre, di essere crudi, di affrontare i rischi che vanno affrontati”
Alla fine Schwarz e il suo tecnico del suono Juan Bertran hanno ripreso Edgar con armi e droghe, e lo hanno seguito in un folle viaggio attraverso il Culiacan, in Messico, dove ha suonato per (e festeggiato con) diversi gangster dei cartelli della droga.
Per rendere il film il più realistico possibile, Schwarz ha convinto Edgar e Richie a permettergli di documentare momenti intimi delle loro vite, anche se ciò significava mostrare attività illegali o scene raccapriccianti di morte.
Un lavoro coraggioso e importante che ancora una volta rende il documentario, il vero strumento della settima arte che possa dare veridicità e spessore alle vicende moderne di cui spesso e volentieri, poco si parla.

giovedì 27 dicembre 2012

Sleep Dealer


Titolo: Sleep Dealer
Regia: Alex Rivera
Anno: 2008
Paese: Messico
Giudizio: 3/5

Sleep Dealer è ambientato in un futuro non troppo distante dove le persone possono collegarsi a una rete informatica globale utilizzando prese impiantate nei loro corpi in grado di interfacciarsi al sistema nervoso. Gli Stati Uniti hanno innalzato un muro lungo il confine col Messico, ma il paese consente ancora l'assunzione di lavoratori messicani che una volta collegati possono controllare a distanza dei robot. Gli sbocchi lavorativi sono molteplici e vanno dalla classica raccolta delle arance fino al babysitting. In questo contesto, una compagnia privata si è appropriata del rifornimento idrico, mediante la costruzione di una diga, di una vasta regione del Messico. Per gli abitanti della zona, costretti a comprare un bene che appartiene loro da sempre, la vita non è facile. Sullo sfondo, un gruppo ribelle per la ridistribuzione dell’acqua ingaggia una lotta impari contro lo strapotere militare, altamente tecnologico, della compagnia.
Memo Cruz è un ragazzo che vive in un isolato villaggio non tecnologico, che sogna di lavorare in una fabbrica high-tech a Città del Messico, una delle Sleep Dealer che danno il titolo al film. Un giorno costruisce una trasmittente che gli permette di captare segnali dal resto del mondo, unico modo di evadere dall’antiquato contesto agricolo che sembra stritolarlo. Riesce a origliare casualmente le comunicazioni di un’azione antiterrorismo ma la trasmissione viene intercettata e la sua vita cambierà per sempre.

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un buon lavoro, risultato di chi crede nel cinema e di chi pur sapendo di potendo contare su un budget modesto ma risicato (due milioni di dollari) non si lascia scoraggiare e tirando fuori unghie e tenacia riesce in un compito difficile. Il perché è semplice:una storia di fantascienza funzionale, realistica e girata con pochi soldi è un compito arduo che negli ultimi anni pochi registi hanno saputo adattare senza cadere nel patetico e uscendo fuori dai binari. Ad esempio anche se con una storia del tutto diversa c’era riuscito MOON. Rivera parte da alcune idee sviluppate in maniera ottima da EXIXTENZ di Cronemberg e BRAZIL di Gillian.
Interessante poi la riflessione sugli schiavi(i lavoratori) e il rapporto tra vittime(messicani) e carnefici(statunitensi). Da un certo punto di vista la frase “Abbiamo dato agli americani tutto quello che hanno sempre voluto: tutto il lavoro e nessuno dei lavoratori.” è fondamentale per capire la presa di posizione di Rivera. Inoltre un’altra riflessione sembra quella per cui l’unica forma di alleanza da parte del paese più potente del mondo arriva sotto forma di produzione cinematografica e non altro.
Se bisogna vendere, gli yankee sono sempre ai primi posti senza stare a vedere il risultato o gli interessi comuni.
La forza creativa di Rivera è forte sin alle prime immagini ma probabilmente l’unico punto debole è il fatto di aver voluto mettere troppa carne al fuoco in una mistura di archetipi della fantascienza davvero ben nutrita e in cui la contaminazione Cyber-punk poteva scommettere su qualcosa in più.