Titolo: Belve
Regia: Oliver Stone
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Due imprenditori di Laguna Beach, Ben, pacifico e
caritatevole buddista, e il suo migliore amico Chon, ex Navy Seal ed ex
mercenario, conducono una lucrativa attività fatta in casa, producendo la
migliore marijuana mai coltivata prima d'ora. Condividono inoltre un amore
unico nel suo genere per la bellissima Ophelia. La vita è idilliaca nella loro
cittadina nel sud della California, almeno fino a quando il cartello dei
trafficanti della Mexican Baja decide di irrompere nei loro piani imponendosi
come socio. Quando Elena, lo spietato capo del cartello, e Lado, il suo
scagnozzo, sottovalutano l'infrangibile legame che tiene uniti i tre amici, Ben
e Chon, attraverso l'ambiguo aiuto di un viscido agente della DEA, scatenano
una battaglia, a prima vista già persa, contro il cartello. Così hanno inizio
una serie di piani e manovre ad alto rischio.
La cosa più sorprendente dell’ultimo film di Stone è che
non sembra affatto un film del noto autore che in passato aveva regalato dei
bei film al pari con le denuncie su pesanti questioni attuali di quel tempo.
Le Belve è quanto di più banale ci si potesse aspettare
in questo momento, un film spiacevole per la leggerezza con cui tratta alcune
importanti e attuali tematiche concernenti cartelli della droga, corruzione e
via dicendo.
Al di là del cast pompato ma decisamente in forma, quello
che manca veramente, tale da renderlo un qualsiasi film d’azione, è una critica
e un equilibrio nell’organizzare la storia.
E’un film costellato di assurdi:
1-i due machi sembrano dei piccoli Jung che non sembrano
aver nessun problema a gestire un traffico di erba internazionale
2-la storia del menage a tre sembra la trama di una
commedia adolescenziale
3-il fatto di vedere sempre i due machi scontrarsi e
avere quasi la meglio con uno dei cartelli della droga messicana più feroci
risulta quanto di più arrogante possibile e ritaglia l’idea della vendetta fai
da te.
Sono troppi i buchi e le cadute di stile all’interno
della pellicola. Per quanto Stone abbia cercato di inserire una serie di
accessori utili alla forma come vari elementi pulp, montaggi violenti, frame
che sembrano anche citare gli snuff, una fotografia iperrealista e piena di
colori, il tutto non basta a soddisfare il palato di uno spettatore sazio di
questi pretesti.
E’doloroso vedere sprecata una possibilità che avrebbe
potuto risultare più efficace e meno irreale.
Tante cose si sarebbero potute risparmiare cercando di
analizzare meglio quel certo tipo di microcosmo.
Del romanzo di Don Winslow non rimane che il titolo è un
imbarazzante storia d’amore senza contare un finale davvero penoso.