Visualizzazione post con etichetta Queer. Mostra tutti i post
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mercoledì 27 marzo 2024

Patagonia


Titolo: Patagonia
Regia: Simone Bozzelli
Anno: 2023
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Nonostante abbia una ventina d'anni, Yuri viene trattato come un bambino dalle zie con cui vive in un paesino sulla costa adriatica dell'Abruzzo. Sarà l'incontro con Agostino, l'animatore che viene a lavorare a una festa per il cugino piccolo, a far scattare qualcosa in lui. Attrazione, desiderio di libertà, un interesse per lo stile di vita di un ragazzo che vive in camper e sembra non dover sottostare a nessun legame. Scappato di casa, Yuri si stabilirà in una comunità di gente simile ad Agostino, che vive alla giornata tra un rave e l'altro.

E' un'opera fresca e intensa quella di Bozzelli. Un film semplice e maturo che parla di scoperta, di incontri di amore e sottomissione. Un viaggio dell'eroe quello di Yuri alla scoperta della vita in un girotondo di esperienze che lo porteranno a riflettere e soffrire, amare ed essere amato, manipolato e abusato in una danza di prevaricazione che porterà il protagonista a crescere molto velocemente e costantemente messo alla prova per mantenere un autocontrollo suo e su Agostino che sembra una scheggia impazzita e con alcuni valori anarchici assolutamente discutibili.
Tutto il film è concentrato su questo amore omosessuale che non sfocia mai quasi come se volesse essere soltanto annusato e questa sembra essere la chiave del loro complesso rapporto

venerdì 8 marzo 2024

Nimona


Titolo: Nimona
Regia: Nick Bruno, Troy Quane
Anno: 2023
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un cavaliere viene incastrato per un crimine che non ha commesso, e l'unica persona che potrebbe aiutarlo a dimostrare la sua innocenza è Nimona, un'adolescente mutaforma che potrebbe anche essere uno di quei mostri che ha giurato di uccidere.
 
Da ricordare più per la forza dei suoi mezzi, per le tecniche adottate, per lo stile quanto mai innovativo e spregiudicato e per essere politicamente scorretto (a modo suo) nel tratteggiare sempre temi sociali come l'inclusione di qualcuno di diverso, le diseguaglianze sociali e molto altro ancora con tematiche gender fluid e cavalieri che non vedono l'ora di amarsi l'un l'altro.
In Nimona come sempre il ritmo è concitato si vede che c'è stato un bel lavoro di ricerca e di creazione di un world building dove convergono proprio gli influssi tra animazione e videogame, confezionato in un look and feel da medioevo cyberpunk.
Nimona poi ha un flash back che arrotonda quello stile d'animazione rendendolo forse l'elemento più tradizionale seppur poi mostri la nostra protagonista come un vaso di Pandora quando deve scagliarsi contro l'avversario diventando in pochi minuti un complesso nugolo di trasformazioni da far impallidire la lotta tra Merlino e maga Magò.

Nuovo Olimpo


Titolo: Nuovo Olimpo
Regia: Ferzan Ozpetek
Anno: 2023
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

1 novembre 1978. Il 25enne Enea Monti è uno studente di cinema che sogna di diventare regista e lavora come volontario sui set della Capitale. Fra i curiosi intorno vede Pietro Gherardi, e fra i due c'è subito un'intesa silenziosa fatta di sguardi. Più tardi Enea ritrova Pietro al Nuovo Olimpo, un cinema d'essai che è anche un luogo di incontro per omosessuali. I due si appartano in bagno, ma Pietro non vuole un rapporto casuale consumato di fretta e di nascosto: ed Enea lo asseconda, fissando con lui un appuntamento in una casa temporaneamente vuota. Lì inizia la loro storia d'amore intensa e passionale, che però subirà una brusca e inaspettata battuta d'arresto. Da allora, attraverso quattro primi di novembre nel corso di quasi quarant'anni, il ricordo e il rimpianto di quei momenti iniziali di intimità e di tenerezza rimarranno permanentemente nel cuore di Pietro ed Enea, nonostante le loro vite siano in apparenza consolidate con compagni e carriere professionali diverse.

L'ultimo film del prolifico Ozpetek sembra quasi una sorta di spot pubblicitario dell'epoca per mischiare una storia gender, Ladri di Biciclette e The Dreamers. Nel voler esplorare un contesto storico, una fase politica e una storia d'amore con tutti i sotterfugi e sotto storie, Ferzan finisce per non riuscire mai veramente a delineare nessuno degli intenti lasciando un polpettone raffazzonato attorno ad un teorema trito e ritrito e realizzato in modo davvero maldestro. Se ci mettiamo poi dentro anche la scelta di un cast disfunzionale dove non riesci a provare enfasi e pathos per nessuno degli attori allora il risultato è tutto detto.

domenica 19 novembre 2023

Strange way of life


Titolo: Strange way of life
Regia: Pedro Almodovar
Anno: 2023
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Silva attraversa il deserto per raggiungere colui che è stato suo compagno di avventure e amante Jake. I due non si incontrano da venticinque anni e ora il secondo è diventato sceriffo. La passione tra loro non si è mai davvero estinta ma Jake sospetta che il vero motivo di questo incontro sia un altro.
 
Una storia gay ambientata nel western. Un mediometraggio dove Silva per salvare la vita di suo figlio dall'arresto imminente del suo amante ricorrerà a tutto.
Una storia già vista e rivista attraversata da quel pathos inestinguibile dell'autore spagnolo dove dal cowboy che suona la chitarra ad alcune confessioni d'amore viene siglato il suo marchio di fabbrica. Grazie a due attori che non hanno bisogno di presentazioni, Almodovar filma un esercizio di stile come a dire guardate cosa ancora non avevo fatto e presentando una storia di fatto banalissima diretta tecnicamente molto bene e quasi inverosimile per quanto sia così esageratamente patinata.

mercoledì 18 ottobre 2023

Cassandro


Titolo: Cassandro
Regia: Roger Ross Williams
Anno: 2023
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Saúl Armendáriz, un wrestler amatoriale gay di El Paso, diventa famoso a livello internazionale dopo aver creato il personaggio di Cassandro, il "Liberace della Lucha Libre"

Ogni tanto mi chiedo se Gael Garcia Bernal sia rimasto ancora in parte racchiuso nel personaggio della MALA EDUCATION di Almodovar. La sua trasformazione in personaggi omosessuali è semplicemente fantastica riuscendo sempre a dare enfasi, pathos, caratterizzando molto bene ogni passaggio drammatico del film. Cassandro porta alla luce una vicenda piuttosto curiosa parlando dei lottatori "exotici" che cominciarono a salire sui ring vestiti da drag queen o con look palesemente diverso dalle maschere tipiche e locali dei lottatori messicani.
E qui scopriamo come sia stato difficile accettare questa categoria, da parte in primis del padre di Saul, della scelta di fare outing, dei primi outfit e infine la trasformazione finale che lo porta a diventare quasi un campione nella sua categoria. Ci sono tanti elementi sul sociale, mai troppo drammatici, ma intersecati bene i quali almeno non sono così esageratamente melodrammatici o stereotipati. Il film spinge molto sul coming out in una scena particolarmente bella prima di un incontro con un tifoso che ringrazia Saul diventando punto di riferimento per tutti quei ragazzi che grazie a lui riescono a trovare il coraggio di dirsi tanto in famiglia quanto al mondo.

martedì 18 aprile 2023

Bussano alla porta


Titolo: Bussano alla porta
Regia: M. Night Shyamalan
Anno: 2023
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Eric e Andrew sono una coppia che insieme alla figlia adottiva Wen passano una vacanza in un cottage sperduto e immerso in un bosco. La loro tranquillità viene travolta dall’arrivo di due uomini e due donne che invadono la loro casa e li legano. Arrivati a seguito di visioni che annunciano delle profezie di catastrofi, chiedono che credano alla loro storia e che sacrifichino volontariamente uno di loro per impedire l’Apocalisse e la distruzione dell’umanità.
 
Shyamalan è uno di quegli autori che fa sempre discutere. Da un lato bisogna apprezzare la sua voglia di mettersi sempre in gioco con temi e film di una certa caratura senza scomporsi mai troppo rimanendo sulla cresta dell'onda tra l'horror, il thriller, lo scifi e il fantasy oltre che il dramma.
Dall'altra sembra quasi che da un'idea suggestiva la resa non sia mai quella giusta come se mancassero sempre degli elementi o la sceneggiatura commettesse degli errori grossolani.
Da questo punto di vista Bussano alla porta si apre in maniera molto politically correct dove
il regista ancora una volta mette sempre in scena una qualche forma di famiglia con al centro dei bambini o degli adolescenti che si confrontano con il mondo degli adulti attraverso esperienze traumatiche, trascendentali o soprannaturali, traghettandoli verso una consapevolezza sulla durezza della vita adulta. Qui l'aspetto queer è molto presente come una scelta doverosa del regista dove però al di là di una quasi unica location e di una messa in scena straripante, il nostro si auto infligge un tradimento che compie nel mostrare a tutti i costi che il sacrificio reale di un componente del nucleo familiare porti alla salvezza in un mezzo happy end. Questa scelta depotenzia del tutto la forza del racconto che appare fin da subito chiaro e lineare, in cui il climax non raggiunge mai la tensione e non abbiamo nessun twist rivelatore come nei suoi grandi finali precedenti.
Quando vediamo il sacrificio e gli intenti della "setta" diventa subito chiaro e dove una volta avrebbe invece giocato invertendo le aspettative (come in the VISIT ad esempio). Qui l'Apocalisse sembra investire lo stesso reparto narrativo che rimane vittima di uno stesso potenziale che andava sfruttato meglio.

sabato 18 giugno 2022

ABCs of death 2


Titolo: ABCs of death 2
Regia: AA,VV
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Sequel della più ambiziosa antologia cinematografica mai realizzata. Ciascuno dei 26 registi coinvolti - tra i massimi talenti a livello mondiale del cinema contemporaneo - dirige uno dei 26 capitoli individuali, libero di scegliere una parola - che inizia con la lettera a lui assegnata - per creare una storia dedicata alla morte.

Anche qui troviamo alcuni dei master dell'horror contemporaneo: Robert Morgan , Aharon Keshales e Navot Papushado, Jim Hosking, Jen e Sylvia Soska, Vincenzo Natali, Steven Kostanski, Julien Maury e Alexandre Bustillo. Nonostante la critica abbia bocciato il primo capitolo per dare risalto a questo secondo penso invece che in un modo o nell'altro siano sullo stesso piano anche se in questa seconda tranche sicuramente si verte meno sul weird quindi sulle flautulenze e le merde assassine del primo capitolo.
A is for Amateur (di E. L. Katz) è assolutamente ironico e grottesco allo stesso tempo dove un killer rimane imprigionato nell'impianto di ventilazione ma riuscirà lo stesso, anche da morto, a svolgere la propria missione.
B is for Badger (J. Barratt) Barratt al suo esordio dirige un mockumentary sulle radiazioni e delle talpe cannibale in pochissimi minuti se non fosse che non le vediamo mai..ma di per sè la prova non è affatto male
C is for Capital Punishment (J. Gilbey) un uomo viene incolpato ingiustamente per la morte di una ragazzina di cui non è il responsabile. Finirà davvero molto male..
D is for Deloused (R. Morgan) R.Morgan non compare tra i registi eppure il suo corto in stop motion è forse uno dei risultati più originali, malati che meglio coglie lo spirito del progetto
I is for Invincible (E. Matti) sembra la parodia dei classici risultati in cui si cerca di uccidere i parenti per avere l'eredità..ma con gli ultracentenari sarà molto difficile.
J is for Jesus (D. Ramalho) un torture porn lgbt su un omosessuale che come Gesù torna in vita per vendicare il suo compagno..blasfemo ma originale
O is for Ochlocracy (H. Ohata) una corte di morti viventi giudica una donna per aver ucciso alcuni di loro..
W is for Wish (S. Kostanski) chi, da bambino, non ha mai desiderato di vivere le avventure del suo eroe preferito?
Ecco, gli (s)fortunati ragazzini protagonisti di questo corto scopriranno, a loro spese, che il loro sogno è diventato realtà. Crudelissimo, violentissimo, bellissimo dall'autore di Psycho Goreman e Manborg.


giovedì 12 maggio 2022

Open Wounds


Titolo: Open Wounds
Regia: Momir Milošević
Anno: 2016
Paese: Serbia
Giudizio: 3/5

L'amicizia tra Sara e Alisa finisce dopo che Sara ha parlato dei suoi impulsi sessuali. Man mano che Alisa diventa sempre più distante, Sara scende sempre più nella solitudine, portandola infine in uno stato emotivo orribile.

Oper Wounds è un dramma sul sociale con tematiche lgbt dal momento che in Serbia sono vietate le relazioni omosessuali. Dall'altra parte il sesso viene sempre più visto come valvola di sfogo e alternativa alla noia come succede per la madre di Alisa che porta in casa sempre uomini diversi. Tutto il film è girato in un ottimo b/n, la produzione è piccola e il film a basso budget riesce con mezzi e strumenti a far riflettere molto sui personaggi di Sara e Alisa caratterizzandoli al meglio anche se l'opera non è affatto esente da difetti e da limiti della sceneggiatura che aumentano la durata con scene fisse dove non succede nulla e dove seguiamo solo Sara in particolare nel suo tedio e nella disfatta. Si poteva costruire e allargare il dramma delle due protagoniste senza renderlo così minimale e silenzioso.

martedì 12 aprile 2022

Alone with you


Titolo: Alone with you
Regia: Emily Bennett e Justin Brooks
Anno: 2022
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Charlie che prepara il suo appartamento per la fidanzata Simone per festeggiare insieme il loro anniversario. Simone, una fotografa professionista, è via per un viaggio di lavoro e Charlie sta facendo del suo meglio per accogliere il suo partner a casa. Tuttavia, non tutto va bene. Tra la ricezione di videochiamate condiscendenti dalla sua amica Thea e una videochiamata dalla madre prepotentemente religiosa, Charlie inizia a sentirsi sempre più nervosa, soprattutto con Simone che non risponde affatto alle sue chiamate. Le cose diventano inquietanti molto rapidamente: scorci di una figura inquietante all’interno della casa possono essere visti alla periferia di alcune scene, i video iniziano a presentare problemi in un modo piuttosto inquietante e la porta d’ingresso si rifiuta di muoversi, lasciando Charlie intrappolato all’interno.
 
Pandemia, disorientamento, isolamento (forzato), incubi, allucinazioni e infine la follia.
Emily Bennett scrive, dirige e interpreta questo indie horror casalingo low budget dove seppur i canoni utilizzati non portano a nulla di sofisticato, l'impianto regge quasi interamente sulle spalle dell'autrice/attrice. Coppia queer, amiche di sostegno al telefono, videochiamate con una madre che non accetta la fede e la sessualità della figlia e poi la consorte che non risponde.
Alone with you lascia presagire sin dal titolo nella sua immediatezza come Charlie comincerà una vera discesa all'inferno tutta tra le mura di casa partendo dalle voci incessanti e inquietanti dalla presa d'aria che inizialmente partono come una richiesta d'aiuto e poi cominciano a perseguitare la protagonista. Una porta che non si apre e dunque si rimane bloccati in balia delle forze dell'ordine che non arrivano e di un'amica che comincia a delirare dal locale in cui si trova.
In più se ci mettiamo una figura misteriosa nella casa, una macchina fotografica che comincia a dare i numeri, una figura che si palesa davanti alla porta e dei manichini inquietanti, il risultato seppur raffazzonato in alcuni momenti riesce ad avere sempre un'atmosfera intrigante contando che Charlie parla solo al telefono e non ha dialoghi con nessun essere umano fatta eccezione per degli squarci di flash back dove vediamo che fine sta facendo o ha fatto la consorte Simone.

martedì 17 novembre 2020

Jamie Marks is dead


Titolo: Jamie Marks is dead
Regia: Carter Smith
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Nessuno sembrava preoccuparsi di Jamie Marks fino a quando non è morto. Sperando di trovare l'amore e l'amicizia che non ha mai avuto in vita, il fantasma di Jamie visita l'ex compagno di classe Adam McCormick, attirandolo nel tetro mondo che si trova tra i vivi e i morti.

Un teen movie di stampo quasi “queer” con delle interessanti atmosfere ma che cede troppo all’introspezione risultando noioso e a tratti ingenuo contando l’età dei protagonisti. Ormai sta quasi diventando una moda in Usa girare questi pseudo-horror con venature e tinte da drammoni psicologici che tendono a psicanalizzare ogni cosa. In questo caso poi Jamie porta i suoi ospiti in luoghi non meglio precisati che potevano contribuire a qualcosa di interessante mentre invece tutto è lasciato all’immaginazione all’interno di un armadio… Alla seconda opera, il regista del buon Rovine si lascia conquistare da una novella di Christopher Barzak, intitolata One for Sorrow, che nell’atmosfera e nel make-up ha il suo maggior punto di forza, ma oggi come oggi non basta, soprattutto in territori in cui al reparto tecnico e tutto il resto non manca nulla. Il problema per cui il film non convince e in diversi momenti crea l’effetto sbadiglio, è proprio quello di non essere così accattivante e il ritmo davvero centellinato e minimale certo non aiuta. Rimangono alcuni buoni momenti, una regia che si sa muovere e un cast che risulta quasi convincente soprattutto grazie alla buona performance del giovane Noah Silver. Un triangolo amoroso spettrale, così è stato definito!

mercoledì 1 luglio 2020

Lesbian vampire killers


Titolo: Lesbian vampire killers
Regia: Phil Claydon
Anno: 2009
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Mentre tutte le donne della ridente cittadina di campagna Welsh vengono morse e rese schiave da un manipolo di vampire lesbiche risvegliate grazie ad un'antica maledizione, la popolazione maschile congiunge le proprie speranza in una coppia di due giovani smidollati, inviati come sacrificio nella brughiera.

Gli inglesi e le parodie di solito vanno sempre a braccetto. Lesbian vampire killers dal titolo molto accattivante cerca di infilare in un cocktail di sangue svariati ingredienti vampiri, lesbismo, satira, ultra gnocche, paesino sconosciuto e pieno di bifolchi e giovani protagonisti ingrifati che fuggono dalla realtà scegliendo il paesino in questione dove troveranno di tutto in pub affollati da redneck e cacciatori di vampiri con figlie vergini.
Il film in sè ha un buon ritmo, non si avvale di una storia corposa dove a metà del secondo atto diventa un film d'azione/horror tra combattimenti, preti che inseguono leggende millenarie e streghe che cercano di tornare in vita grazie alle loro adepte per conquistare il mondo.
Insomma un bel troiaio che però riesce a divertire e intrattenere senza nulla di originale ma dosando con astuzia un budget di certo non oneroso e l'idea di non prendersi mai davvero sul serio.



giovedì 16 aprile 2020

Totally fucked up


Titolo: Totally fucked up
Regia: Gregg Araki
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il film racconta l'esistenza e gli amori tormentati di un gruppo di ragazzi gay (quattro omosessuali e due lesbiche) nella Los Angeles.

A mio malgrado per la prima volta mi tocca recensire una delle opere minori di uno dei miei registi cult.
Araki poi ho avuto modo di stringergli la mano a Venezia mentre presentava il suo capolavoro Mysterious Skin, un film che finora si mantiene come una delle vette più alte dei film che trattano il tema sulla pedofilia e molto altro ancora.
Totally fucked up non lo vidi al tempo perché non trovai mai i sottotitoli, ma avevo avuto modo di fruire gli altri due tasselli della trilogia i successivi Doom Generation (cult assoluto) e EXTASY GENERATION.
Con il primo della Teenage apocalypse trilogy, Araki si confronta con la solitudine e i turbamenti devastanti accresciuti dai toni malinconici dei Cocteau Twins una delle band preferite del regista per un gruppo di ragazzi che vogliono solo ricevere attenzioni ed essere visti dalla società per quello che sono.
Realtà marginalizzata, dialoghi che cercano sempre di farsi portatori di un bisogno di mostrarsi e sperimentare il più possibile, il sesso visto come un bisogno naturale e una consumazione di corpi a volte senza nemmeno i sentimenti. Araki qui è decisamente delicato, sperimenta con delle riprese tradizionali e amatoriali, mostra il suo attore feticcio che sarà per diversi film James Duval. Araki comincia ad esplorare e analizzare la sub cultura che lo interesserà per quasi tutta la sua filmografia, eppure il film sembra una docu intervista dove di fatto non c’è una storia vera e propria e il ritmo è sancito solo da un continuum di interviste e monologhi dove spesso assistiamo a scene chiuse in una stanza dove nella noia mortale i nostri protagonisti cercano di inventarsi qualcosa per smorzare la loro frustrazione.

lunedì 23 marzo 2020

Papi Chulo


Titolo: Papi Chulo
Regia: John Butler
Anno: 2018
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Sean è un trentenne gay, fa il presentatore meteo per una stazione televisiva di Los Angeles ed è in crisi per una relazione terminata di recente. Dopo una crisi di pianto in diretta TV, viene costretto dalla direzione dell’emittente a prendersi dei giorni di vacanza e, con il pretesto di dover ridipingere il parquet del suo balcone di casa, arruola Ernesto, manovale messicano di mezza età sposato e con figli. Da qui inizia un rapporto d’amicizia alquanto improbabile tra i due

Papi Chulo è un film che in parte tratta la tematica queer e della gerontofilia in maniera approfondita, intensa, originale, ironica, drammatica e mai banale. Come potrebbe essere visto un rapporto tra un bell’uomo sportivo, giovane, elegante e ricco e un tuttofare messicano decisamente più anzianotto, di umili origini che sbarca il lunario come può?
C’è una scena che sembra gridare tutta la sua complessità e in parte anche il disagio. Un momento in cui da entrambe le parti vengono analizzate molto bene le reazioni dei due protagonisti ed è la festa gay dove Ernesto si guarda attorno incredulo parlando con ragazzi e uomini ma non sapendo l’inglese quindi annuendo ad ogni cosa che gli viene detta trovandosi come un pesce fuor d’acqua. Allo stesso tempo però per i soldi accetta qualsiasi cosa, ma Butler non cade mai nel patetico o nella faciloneria, dimostrando di non essere mai scontato intessendo sempre quella carica in più legata al rapporto tra i due, all’amicizia per superare il dolore e i monologhi di Sean che di fatto cerca qualcuno che non abbia per forza delle aspettative da lui. Papi Chulo è una piacevole sorpresa, fotografata magnificamente con paesaggi e una messa in scena molto limpida e pulita, senza macchie se non interiori come la scena in cui Sean ubriaco invita un uomo conosciuto sulla chat a casa sua per fare sesso non essendo assolutamente nella condizione per riuscirci.
Interessante poi il nome del film che gioca su un doppio significato tra pappone e papà.
I protagonisti sono straordinari riuscendo e dimostrando una sinergia attoriale che se non ci fosse stata da subito avrebbe sancito di fatto il fallimento di tutto il film. Butler poi si vede che conosce molto bene la commedia giocando molto sui tabù ma di fatto ponendo e vincendo la sfida più grande ovvero quella di non essere mai volgare.

domenica 8 marzo 2020

Les Garcons sauvages


Titolo: Les Garcons sauvages
Regia: Bertrand Mandico
Anno: 2017
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Un gruppo di ragazzi commette un orribile crimine. Un capitano si prende carico di loro ma il rapporto diventa sempre più difficile.

«Volevo provare a fare un film marittimo, con scene di tempesta, scene ambientate in una giungla con dei ragazzi. Scene difficili da filmare nell’ambito di un cinema d’autore che non è troppo fortunato, perché a basso budget. È il tipo di riprese che si può trovare nella grande produzione americana. Ma mi piaceva molto l’idea di riuscire a farcela.»
Les garcon sauvages è un film estremo per stomaci forti e per chi è avvezzo al cinema di genere, l’exploitation, il queer portato all’estremo. Una fiaba provocatoria e costipata di simbolismi fallici.
Un film gigantesco che al tempo stesso produce sentimenti ed emozioni contrastanti, con questi ragazzi alle prese con un mondo sconosciuto in cui la Natura comincia a trasformarli letteralmente in altro, nei loro opposti sciogliendo ogni tabù e travolgendoli tra amori allucinati e prove iniziatiche.
Un film perverso, volgare, romantico, che trova un suo registro specifico, una politica d’autore che verrà condannata per l’estrema libertà e provocazione di cui il film è costellato in ogni suo frame.
Un film fuori dal tempo, magico ed erotico come non capitava da tempo di vedere sullo stesso asse due elementi di questo tipo. Un film mutaforma che mi è rimasto così impresso forse perché innovativo, sperimentale ed estraneo a schemi e tendenze di tanto cinema indipendente con cui faccio i conti quotidianamente. L’opera di Mandico che dopo svariati cortometraggi presentati ai più prestigiosi festival internazionali, esplode come un vaso di Pandora tra suggestioni, scene ipnotiche e oniriche, diventando un sogno surrealista, una prova difficile da inquadrare e comprendere del tutto dopo una sola visione.
Un film che sembra un trip andato a male che genera turbolente allucinazioni visive e sensoriali, difficilissimo da catalogare per tutti i registri e i generi utilizzati soprattutto per questo immaginario sfrenato che coglie e cita così tanti universi letterari e cinematografici che bisognerebbe studiarlo a fondo per elencarli tutti.

Gerontophilia


Titolo: Gerontophilia
Regia: Bruce LaBruce
Anno: 2013
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

l giovane Lake viene licenziato dalla piscina in cui lavora come bagnino perché durante un’operazione di salvataggio di un anziano cliente ha avuto un’erezione. Grazie alla madre trova un impiego come portantino in una casa di cura, dove fa amicizia con Melvin, un ex-attore di teatro abbandonato lì dal figlio. Lake, che ha una relazione con la coetanea Desirée, appassionata cultrice delle rivoluzionarie femministe, si innamora ben presto di Melvin, e vorrebbe esaudire il suo ultimo desiderio, quello di rivedere l’Oceano Pacifico

Spero tanto che il cinema di Bruce LaBruce cresca come questo film senza paralizzarsi troppo sul dover mostrare e cercare di scandalizzare in un epoca in cui non ci scandalizza più di nulla. Forse questo prematuro film è un inizio mettendo da parte i suoi primi indie dove zombie gay si inchiappettavano.
Vedere comunque un’ottantenne che si slingua con un adolescente non è un elemento da poco.
A volte l’omosessualità di alcuni registi non esita a mostrarsi in tutta la propria spregiudicatezza. Questo è un vantaggio e un’arma nel cinema quanto ti chiami Gregg Araki o Dolan. LaBruce deve affinare questa tecnica cercando di lavorare di più sul plot, sulla storia, quando invece dal punto di vista tecnico ormai è abile nel saper condurre una sua idea di cinema e inquadrarlo a dovere.
Sembra che il regista canadese in mancanza di idee o di storie affascinanti vada alla continua ricerca dei pochi tabù rimasti in un film che per fortuna ha una storia anche se prematura e asciutta che parte con lingue tra giovani per finire con quelle date ai vecchi. Per fortuna sembra e forse in questo l’età che avanza è un fattore importante che cominci a cercare di essere meno provocatorio almeno nel fatto di celare ciò che prima era orgogliosamente esibito. Se il protagonista del film è inesistente per espressività e coinvolgimento, è la sua curiosità prima intrappolata e poi sdoganata quando si rende conto di essere da sempre passivo e intrappolato tra due donne che decidono per lui e fanno di lui ciò che vogliono a venir fuori e sentire quel bisogno di rendersi autonomo e provare senza i consigli di nessuno.

sabato 16 novembre 2019

Couteau dans le coeur


Titolo: Couteau dans le coeur
Regia: Yann Gonzalez
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Anne, dopo aver prodotto film porno, decide di cambiare registro ma gli attori del nuovo film sono al centro dell'obiettivo di un serial killer.

Una volta c'era Sconosciuto del Lago dove un killer sconvolgeva le vite di una comunità gay. Ora Gonzales senza attingere da Guiraudie, sembra lanciarsi in un omaggio citazionista a volte forzato anche se esteticamente molto interessante. Un thriller che esamina il mondo porno gay francese degli anni '70 puntando sul cromatismo, sugli eccessi della fotografia, delle gelatine, dei colori saturi, su un voyeurismo delirante e delle belle scenografie anni '70.
Un film dove al sangue si oppongono le scene di sesso, al delirio del killer le risate sui set dei film porno d'autore. Tutto questo attraverso gli occhi della bellissima Paradise, Anne, intenta a dare un senso alla sua vita, a ricongiungersi con la sua amata e a cercare di scovare l'assassino attraverso dei deliri e degli incubi premonitori.
Gonzales fa un film che cerca d'essere esageratamente d'effetto, marcato da una minimalità nel tentativo di rendere delizioso ogni piccolo dettaglio, insistendo sulla forma e rimanendo derivativo sulla sostanza. Il film procede con un ritmo notevole, il cast è ottimo, le musiche ipnotiche, lo stile impeccabile, eppure soprattutto nel finale tutto sembra procedere in maniera troppo lineare senza particolari incidenti o azioni che possano ribaltare l'effetto dei telefonati colpi di scena.
Tra pompini, cazzi che nascondono lame, pellicole, il sesso e la coazione a ripetere come le coltellate dell'omicida, la folla nel cinema porno che uccide la stessa essenza del male, i sogni altalenati alle allucinazioni e alle visioni di Anne e infine la famiglia allargata dove sembrano rifugiarsi tutti i membri della troupe Gonzales infarcisce inserendo davvero di tutto. Couteau dans le coeur esteticamente è molto bello colorato e acceso, però tutto questo appare quasi una lezione di stile, un esercizio di maniera per una storia in fondo estremamente già vista, cambiando solo il sotto genere e infilando tematica queer e tanti, tanti falli oltre che rimandi a profusione su un certo tipodi cinema thriller anni '70 in particolare quello italiano.

lunedì 21 ottobre 2019

Dolor y gloria

Titolo: Dolor y gloria
Regia: Pedro Almodovar
Anno: 2019
Paese: Spagna
Giudizio: 4/5

Il regista Salvador Mallo si trova in una crisi sia fisica che creativa. Tornano quindi nella sua memoria i giorni dell'infanzia povera in un paesino nella zona di Valencia, un film da cui aveva finito per dissociarsi una volta terminato e tanti altri momenti fondamentali della sua vita.

L'ultima opera del maestro spagnolo è un film fortemente autobiografico.
Una galleria di passaggi personali, nostalgici, un film sul ricordo e sull'importanza della memoria. Un puzzle molto ben bilanciato di situazioni vissute ai limiti, dall'esperienza acquisita nel bene e nel male da tante situazioni e nel dare forma ad un identità precisa che il peso degli anni e degli eccessi finiscono per attecchire.
La bellezza del film e la forma con cui Almodovar descrive e narra le situazioni vanno verso una direzione precisa, riuscendo ad essere poetiche e romantiche come un saggio sulla bellezza. Si unisce a questo straordinario scenario ottimamente fotografato, un manipolo di attori che entrano con sostanza dentro i personaggi riuscendo a fargli loro e mettendo un pathos e una voglia di vivere che riesce a dare quella carica maggiore e quell'elemento in più ad un film che non ha bisogno di molte descrizioni. E' un'esperienza come tutto il cinema dell'autore e in quanto esperienza và vissuta fino in fondo nel bene e nel male.
Per Pedro come per altri registi che decidono di concedersi alla settima arte, la stessa vita è stata il cinema, un'esperienza cinematografica vissuta sui set e a dar vita ai racconti e lavorare con gli attori.
L'autore passa dall'altra parte come se la sua esperienza, dopo una carriera tra le più coinvolgenti del cinema spagnolo, abbia deciso di concedersi esplicitando una sua complessa forma di tormento.
Diari, madri, geografia, malattia, tempo perduto, il suo stesso cinema del passato che era migliore del presente, auto citazionismo, auto manierismo. La simbologia e l'eterna mutazione di Sabor si collega e ricollega con tutti i tasselli del cinema unito alle esperienze di vita del regista. Il risultato è unico.

mercoledì 2 ottobre 2019

Tormenting the hen

Titolo: Tormenting the hen
Regia: Theodore Collatos
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Una paranoia profonda si impossessa di Monica quando si unisce al suo fidanzato Claire in un ritiro di artisti in mezzo al nulla. La coppia non è preparata alle  conseguenze agghiaccianti di fronte ad un misterioso uomo, il guardiano del terreno, che li spinge in una spirale continua verso una rottura psicologica.

Tormenting the hen è quel film che probabilmente abbiamo visto solo io, il regista e qualcuno di Film per evolvere. Credo neppure il cast o la troupe c'è l'abbiano fatta.
Un film girato con due lire dove ci si immerge nell'indie estremo, composto di micro particelle, pochissime location, camera a mano, improvvisazione pura e un abbozzo di storia che devo dire poteva cercare di regalare qualcosa di più.
Un affresco di come il bisogno di fare cinema porta spesso quando ci si immerge in queste produzioni, a sposare scelte registiche e monologhi nonchè dialoghi senza curarsi del loro peso specifico, di come possano apparire eterni nella durata e nel pasticcio dove non sempre c'è sodalizio tra intenzioni e messa in scena.
Sulla carta la trama del film non è poi così male, certo non originale, ma per come si dipana almeno inizialmente nel primo atto lasciava ben sperare verso qualcosa di atipico dove alle volte la paranoia della protagonista viene espressa attraverso un montaggio furibondo di immagini slegate tra loro ma funzionali alla resa scenica.
Alla fine al di là delle scene saffiche, dei dialoghi che non sembrano mai finire, l'antagonista se così vogliamo chiamarlo, ha un epilogo per certi versi davvero strano, dove non ci sono climax o scene efferate, tutto sembra prendere la strada meno ovvia ma forse la più realistica, come a dire che in questa società ci si allarma davvero anche per delle situazioni che seppur strane sono del tutto normali senza per forza sfociare in qualcosa di macabro.

domenica 29 settembre 2019

Mysterious Skin

Titolo: Mysterious Skin
Regia: Gregg Araki
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

L'estate del 1981 segna una svolta definitiva per due ragazzini di otto anni, per motivi diversi. Uno (straordinario Joseph Gordon-Levitt) è oggetto dell'abuso continuato e non rifiutato del coach della squadra di baseball; l'altro viene rapito dagli alieni, con conseguenze irreparabili sulla sua maturazione

Non sempre ma arriva un momento di svolta per un regista. Quel momento di maturità che sembra consolidarsi come se di fatto tutte le sue più significative componenti erano già lì da sempre, pronte ad aspettare quel momento per emergere tutte. Così è stato grazie ad un bellissimo libro diventato un film che nella tematica queer ha pochi eguali nel cinema.
Gregg Araki ha tormentato la mia adolescenza con film ai limiti che osavano, che non risparmiavano nulla, che regalavano scene esagerate e fantastiche, finali censurati passati su uno schermo nero per tutto un secondo tempo alla televisione e poi un linguaggio fuori dal normale, sboccato, provocatorio, dissacrante, ma valido e funzionale a rendere una generazione per quello che era veramente. Di fatto almeno per ora Mysterious Skin è l'unico film veramente drammatico e di spessore del regista. Una filmografia spesso discontinua con alcuni film mai distribuiti e un talento spesso messo in discussione soprattutto dalla critica.
Doom Generation è stato un cult almeno per il sottoscritto e forse il capitolo più interessante della trilogia. Traumatico e realistico, Mysterious Skin non fa sconti, sbatte la realtà e la pedofilia trattandola in una maniera atipica e speciale come non si è mai vista nel cinema, parlando di rapporti di una violenza psicologica alienante portando chi a prostituirsi rivivendo e rimettendosi sempre in discussione, oppure chi ha cercato di estraniarsi addirittura chiamando in causa gli alieni.
Una città popolata di bifolchi dove le istituzioni non esistono o sono complici, le famiglie sono spezzate e distanti dai problemi dei figli, l'unica salvezza è l'amicizia fatta di outsider che ancora una volta nel cinema di Araki riflettono una lucidità e una profondità importante e sempre valorizzata. Di una violenza reale e mai risparmiata, alcune scene davvero sono un grido disperato e messo in scena in maniera perfetta senza mai sbavature. Come sempre una colonna sonora importante e figlia di un'epoca che Araki si porta sempre dietro, un cast formidabile per scelta e spessore nell'immedesimazione dei personaggi.
Mysterious Skin è un film che colpisce, fa male davvero, porta a tanti pensieri e riflessioni, non perde mai la sua potenza narrativa e attoriale e andrebbe rivisto più e più volte per dare anche un contesto diverso, mai tracciato in questo modo sulla pedofilia e sui rapporti tra vittima e carnefice.

giovedì 18 luglio 2019

Sauvage


Titolo: Sauvage
Regia: Camilla Vidal-Naquet
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Léo ha ventidue anni, batte sulla strada e non fa segreto dei suoi tesori coi clienti: bocca, lingua, muscoli, sesso, culo. Più corpo che persona, lo vende senza risparmiarsi, così come ama, senza ritorno. Gli uomini sfilano, lui resta là, aspettando l'amore. Perché Léo è un romantico, innamorato senza speranza di un altro ragazzo che risponde alla sua ossessione a colpi di baci e pugni. Tra le umiliazioni e le carezze, tra un cliente e una visita medica, Léo è affetto da tubercolosi, incontra un angelo borghese che gli offre l'America. Ma lui declina e corre via.

Era forse dai tempi di MYSTERIOUS SKIN che un film con tematiche queer non mi colpiva così profondamente e mettiamoci dentro anche alcune affascinanti scene lesbo di As boas maneiras
e la pedofilia di Desdè Allà.
Un film incredibile, molto stratificato, ricco di situazioni grottesche e curiose, un film selvaggio come la natura del protagonista qui in una performance totale nell'offrirsi e il brutale abuso che il suo corpo subisce da tutti gli strati sociali con cui entra in contatto.
Leò è un ingenuo, non nasconde la sua natura, ma anzi pur senza esaltarla, la accetta senza farsi tante domande come risponde alla dottoressa che vorrebbe sapere qualcosa di più della sua storia.
Il corpo di Lèo lo mette a disposizione di tutti, preferendo un abbraccio e un sorriso ad un conflitto o momenti di rabbia, cercando di scansare i pericoli e la violenza della strada tra sadici e malati che captano immediatamente la sua innocenza.
Il film ha una profonda metafora disperata e attuale, risultato di anni di inchiesta nel mondo della prostituzione maschile. Parla di chi come Lèo non pensa alle conseguenze esplorando ed essendo esplorato senza preoccuparsi delle malattie e dei pericoli, ingoiando tutto quello che trova senza fare distinzioni in una ricerca spasmodica del piacere senza mezzi termini.
Dall'inferno al paradiso. La regista non fa nessuno sconto, il risultato vince una sfida almeno per quanto concerne la realisticità delle scene e delle circostanze in cui Lèo viene catapultato.
Dalla piazza con i suoi "colleghi" di lavoro, dove non tutti come lui sono "froci" cercando un piccolo riscatto, magari trovando l'anziano che gli mantiene per tutta la vita.
Nel viale della miseria passano tutti, dai macellai, agli sprovveduti con cui Lèo sempre molto curioso e affascinato dal genere umano intrattiene rapporti, scene di sesso a tre girate benissimo con una ferocia in alcune scene e quel senso di libertà che lascia sempre paralizzati e scioccati, portando il ritmo del film da un eccesso all'altro, da una situazione di calma ad una di rabbia e mortificazione (la discoteca o il covo di tossici dove tutti vanno a farsi).
Non saprei cos'altro dire di un film meraviglioso che ti catapulta in una Francia sempre più abbandonata a se stessa, dove la gente è sola e cerca di trovare riparo alla disperazione anche solo con una carezza o facendosi "inculare".
La scena dei due arabi che sodomizzano il protagonista è di una potenza e di una crudeltà che non vedevo dai tempi di Doom Generation con la famosa scena finale censurata della madonnina.