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martedì 1 novembre 2022

Giant god warrior appears in Tokyo


Titolo: Giant god warrior appears in Tokyo
Regia: Shinji Higuchi
Anno: 2012
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Sembra una giornata normale nella frenetica Tokyo, una giornata come tante altre: il traffico fluisce caoticamente lungo la rete stradale, la popolazione vaga per le vie armeggiando con tablet e cellulari, del tutto ignara del pericolo che incombe imminente sulle loro teste. Nell’indifferenza generale fra i monumentali grattacieli edochiani inizia a delinearsi la figura di un gigantesco meccanoide intenzionato, una volta sceso a terra, a cambiare per sempre il volto della metropoli.
 
Prodotto dallo studio Ghibli, questo corto di 10 minuti molto scifi e live action sembra portare ormai all'imminente catastrofe e fine del mondo da parte dei guerrieri invincibili, coloro che come per il tempo della creazione, in quella stessa settimana distruggeranno pianeti e poi chissà..
Con la voce narrante di una ragazza che racconta come sia stata una profezia annunciata dal fratello, dell'arrivo dei giganti, questo omaggio ai mostri kaiju non poteva che avere le sigle e le influenze del creatore di NEO GENESIS EVANGELION, GAMERA e gli stessi guerrieri di NAUSICAA NELLA VALLE DEL VENTO. Dimenticate qualsiasi tipo di redenzione, missione salvifica, qualche eroe che subentra a combattere la minaccia. Niente di tutto questo. Arrivano e purgano il genere umano con raggi potentissimi e nel giro di poco il mondo è ko.

sabato 18 giugno 2022

Eega


Titolo: Eega
Regia: S S Rajamouli
Anno: 2012
Paese: India
Giudizio: 3/5

Sudeepa è un industriale d'alto profilo che ottiene sempre quello che vuole e ha un debole per le belle donne. Per riuscire nei suoi intenti è pronto a qualsiasi cosa: anche a macchiarsi anche le mani di sangue, come accade quando incontra Bindu, una artista che gestisce un'organizzazione no profit. Quando scopre infatti che Bindu ama Nani, l'uomo che la segue ovunque, Sudeepa non esita ad uccidere il rivale. Nani, però, una volta morto rinasce incarnandosi in un mosca: l'unico suo desiderio sarà quello di vendicarsi.

Era da tempo che non mi sparavo un filmone indiano. Essì perchè di fatto trattasi di action, thriller o musical si parla sempre di almeno due ore di visione e passa. Eega è un mix di generi dalla commedia, al musical, al dramma, all'action, al revenge movie, al folklore e alla potenza dell'amore se così possiamo definirlo. Un GHOST americano dove anzichè un fantasma c'è una mosca.
Un film assurdo come spesso capita per questo tipo di film ma connotati da tanta energia, un buon ritmo e delle maestranze e un comparto tecnico che promettono bene e danno dalla loro dei buoni risultati come le prove attoriali. Eega forse dura troppo, forse in alcuni momenti abbassa leggermente i toni, eppure ha moltissime trovate e riesce sempre a suo modo, pur trattando una vendetta, ad essere ironico con delle slapstick che seppur demenziali trovano la maniera di inserirsi bene nella narrazione. Eega è la riprova di quanto una mosca possa essere estremamente invasiva e fastidiosa. Per un pubblico che accetta le stranezze di Bollywood, Eega riesce dalla sua a sciorinare tanti temi facendolo in maniera mai banale o pretestuosa ma lasciandosi travolgere da una favola pop moderna e colorata con tanta musica, pochi balletti e una serie di gag strampalate.

Abc of death


Titolo: Abc of death
Regia: AA,VV
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

27 differenti registi mettono in scena 26 modi differenti, perversi, brutali e violenti, di morire. Ogni cortometraggio è realizzato a partire da una lettera dell'alfabeto, iniziale di una parola scelta per dare sfogo alla fantasia horror.
 
In Abc of death ad ognuno è stato dato modo di esprimersi nella piena libertà sfruttando ogni strumento cinematografico e stile possibile. Qualcuno ci ha preso gusto, qualcuno è risultato particolarmente ispirato e qualcun altro ha fatto il suo senza incidere o lasciare nulla di originale. 26 cortometraggi sono tanti. I nomi in cabina di regia vantano la creme de la creme dell'horror internazionale. Ci sono alcuni dei miei registi preferiti come Weathley, Gens, Vigalondo, Iguchi, Yamaguchi, Tjahjanto, West, Cattet & Forzani. Il livello generale soddisfa in parte, dal momento che il limite più grosso è proprio la durata e molti autori chiamati in causa avevano storie e sceneggiature da lungometraggi o mediometraggi per cui la narrazione a volte viene stroncata di netto. Alcune suggestioni sono visivamente stimolanti soprattutto nell'animazione e nella stop motion (Klutz) ma anche in scelte complesse come Removed di Spasojevic dove un ospedale pratica rimozioni chirurgiche di pezzi di pelle su una cavia umana, i quali diventano – immersi in soluzione – pezzi di pellicola. Oppure Pressure di Rumley dove una madre per comprare la bici alla figlia sarà disposta a tutto, oppure ancora esperimenti molto fantasiosi come Hydro-Electric Diffusion o Unearthed girato in pov proprio sui vampiri dell'outsider Weathley.

martedì 17 novembre 2020

Werewolf: The Beast Among Us


Titolo: Werewolf: The Beast Among Us
Regia: Louis Morneau
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Un villaggio europeo del XIX secolo vive sotto la terribile e mortale minaccia di una bestia leggendaria: il lupo mannaro, che fa strage di cittadini a ogni luna piena.
In città giunge quindi un gruppo di cacciatori di licantropi, guidato da un misterioso e carismatico individuo. Il giovane Daniel, che sta studiando medicina sotto la direzione del medico locale, decide di unirsi ai cacciatori e aiutarli nella loro missione, ignorando il parere contrario alla cosa di sua madre Valdoma.
Trovare, catturare e uccidere la bestia assassina non è però impresa facile: questo lupo mannaro si dimostra infatti ben più forte, furba e pericolosa della media dei suoi pari. In città le morti si moltiplicano, il contagio si diffonde e la frenesia nel cercare di scoprire l'identità del licantropo sale alle stelle...

Film a basso costo, un direct-to –video, una sorta di prequel del recente Werewolf anche se in chiave completamente diversa. Ci troviamo di fronte ad un film horror neanche dei peggiori se non ci si mettesse una sceneggiatura rovinosa a peggiorare le sorti del film dopo la prima mezz’ora.
Sembra voler trovare una strada a metà tra Patto dei lupi e VAN HELSING. Alcune scene sono girate piuttosto bene, le location in Romania sono ottime così come i costumi a differenza della c.g della creatura che palesa effettivi problemi di budget. Da un lato forse il migliore apprezzamento di questa pellicola è dovuto ad una forte componente splatter che cerca di aggiungere qualcosa alla rovinosa e lacunosa messa in scena della bestia.
Anche il cast non è male e cerca di mettercela tutta ma il risultato finale, anche se si può dire il miglior film di Morneau, non è ancora all’altezza di un robusto film sui licantropi.

lunedì 20 luglio 2020

Sushi girl


Titolo: Sushi girl
Regia: Kern Saxton
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Dopo sei anni di prigione, Fish è un uomo libero. Il giorno in cui viene liberato, i suoi compari organizzano una festicciola: in cinque si ritrovano a mangiare sushi sul corpo di una giapponese, stile yakuza. Sarà l'occasione per saldare i conti rimasti in sospeso.

Sushi girl è un esercizio di stile molto pulp con dialoghi e una certa scelta di cast la quale cerca di trovare la sua verve mostrando tanta violenza e scegliendo una narrazione di per sè già vista mille volte soprattutto se contiamo che è una sorta di IENE con qualche deviazione.
Candy Man, Luke Skywalker, Atreyu, Kyle Reese, Machete, l'attore feticcio di Gregg Araki e Hattori Hanzo. Queste o meglio alcune di queste solo le maestranze sedute attorno al tavolo dove sdraiata immobile si trova questa ragazza nuda vestita solo con sushi in una pratica quella chiamata Nyotaimori.
Il film infarcito di dialoghi, flashback, tante scene di tortura, complotti e raggiri, sfrutta bene l'impianto della location praticamente senza muoversi mai e alla fine ovviamente punta tutto sulla paranoia che si insisua tra i colleghi e la vendetta finale che appare abbastanza scontata e figlia di KILL BILL. La scena della rapina è forse la parte più noiosa anche se mostra un plotone di attori tutti in parte e Hamill vince a piene mani un confronto tra personaggi tutti fuori dalle righe e tagliati con l'accetta.


lunedì 4 maggio 2020

Per molti euro in più


Titolo: Per molti euro in più
Regia: Alberto Nikakis
Anno: 2012
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Due amici, un viaggio, l'imprevisto e il destino che sembra giocare un brutto gioco.

L'opera di Nikakis è un mediometraggio indie autoprodotto con moltissimi limiti ma uno sforzo di rendersi accattivante e giocare al meglio con i pochi mezzi a disposizione.
Purtroppo con un cast che non aiuta a parte i bifolchi, il film è una riflessione sul valore dell'amicizia quando subentrano i soldi, in questo caso un gratta e vinci. Detto questo il film si concentra nel primo atto con dialoghi lunghissimi che sottolineano la pochezza di risorse (tutto all'interno di un auto in tornanti e strade di montagne), il resto è una sorta di thriller action con richiami palesi al cult di Boorman senza tutta quella violenza e senza sodomizzare nessuno.
Il film e’ stato girato nel 2012 in Liguria, e’ stato girato con un gruppo di amici, nessuno e’ un attore professionista, con un budget stimato di 500 euro. Ha vinto il premio del pubblico nel Genova film festival 2013 e il primo premio al concorso “Boddinale 2014” un concorso di cinema indipendente a Berlino. La soundtrack è originale e rimane la cosa migliore a dispetto di un montaggio e una fotografia che alterna colori e b/n in un sodalizio imperfetto e disturbante (nel senso che fa schifo).
L'unica menzione che salva da un esito che poteva essere ancora più disastroso è il non voler regalare in nessun modo un happy ending. Anzi..


lunedì 30 dicembre 2019

One Piece-Z


Titolo: One Piece-Z
Regia: Tatsuya Nagamine
Anno: 2012
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

La trama vede protagonista come sempre la nostra ciurma, che questa volta deve affrontare un personaggio davvero potente e determinato, "Zephyr". Ex ammiraglio della marina, Z vuole cancellare dalla terra tutti i pirati, andando contro persino alla marina militare, rubando da una delle loro basi la "pietra Dyna", una pietra esplosiva di grande impatto paragonabile alle armi ancestrali. Dopo uno scontro con l'ammiraglio Kizaru, Z viene soccorso dai mugiwara, ma, appena scopre che sono dei pirati, ha inizio lo scontro.

One Piece nel giro di vent'anni ancora non accenna a frenare il suo meritato successo.
Z è il dodicesimo film della serie animata senza contare One Piece-Stampede uscito nel 2019.
Il film di quasi 100' ha una storia semplice con interessanti colpi di scena e retroscena e un finale davvero drammatico e di forte impatto. E'un film che trasmette davvero tanto a livello emotivo e di empatia legata ad alcuni personaggi in particolare al villain di turno e al suo sacrificio finale.
Le ottime scene di combattimento e azione riescono a creare il giusto livello di suspense, ma non quanto nel finale, ricco di un mix di sentimenti e drammaticità in grado di strappare facilmente una lacrima soprattutto contando che il nemico di turno decide di mettersi contro l'intera Neo-Marina, sapendo benissimo che vuol dire andare incontro a morte certa.
Tutto questo in una caratterizzazione del personaggio molto complessa dove a dare ancor più spessore alla storia ci sono un sacco di contenuti all'apparenza senza uno scopo preciso ma in realtà molto profondi e di fatto un'enorme critica al potere.
Zephyr detto "Z" è un ex-ammiraglio della marina, che, sentendosi tradito dalle politiche errate di chi dovrebbe mantenere la giustizia, ha deciso di fondare una Neo-Marina e rimpiazzare quella già esistente, così da spazzare via tutti i pirati; ovviamente la ciurma di Cappello di Paglia che se ne sta in un'isola a festeggiare si troverà coinvolta con Z e la sua ciurma.
Questo è Zephyr. Il vero volto del villain della pellicola non è altro che un uomo, un padre, un marito, un soldato e un eroe smarrito in cerca di un'involontaria redenzione che ha visto traditi tutti i suoi valori e cerca vendetta.
Per ora il film più maturo della saga.



giovedì 11 aprile 2019

Me Too



Titolo: Me Too
Regia: Aleksei Oktjabrinovič Balabanov
Anno: 2012
Paese: Russia
Giudizio: 3/5

Quattro passeggeri (Bandit, il suo amico Matvei, il vecchio padre di Matvei, Musician, e la sua bella ragazza) sfrecciano a tutta velocità a bordo di un’enorme jeep nera lungo una strada deserta in cerca del “Campanile della Felicità”. Secondo una vecchia credenza, la torre si celerebbe da qualche parte fra San Pietroburgo e la città di Uglic, non lontano da una vecchia centrale nucleare abbandonata. Il campanile fa scomparire la gente, ma non accetta chiunque. Ciascuno dei quattro passeggeri è convinto che sarà prescelto

Il viaggio alla ricerca della felicità di solito nel cinema siamo abituati a guardarlo immergendoci in location esotiche, posti affascinanti e resi tali spesso e volentieri dall'impiego di effetti speciali o per la scelta di un cast affascinante. Ora Balabanov è uno dei miei registi russi contemporanei preferiti perchè è avvezzo a scegliere temi e forme di cinema scomode e alternative e a volte ammettiamolo anche particolarmente lente e noiose.Cargo 200 è un film che quando ci penso ancora mi arrivano i pugni allo stomaco.
Me Too non tratta le vicissitudini umane portate alle estreme conseguenze ma ci parla di nuovo di rapporti umani, di solitudine, di loser, della necessità di credere in qualcosa, per non morire da soli.
Il viaggio assume dunque connotati fin da subito scomodi mostrandoci nefandezze, egoismo, una parte metafisica che rimanda a Tarkovskj, scene tragicomiche che strizzano l'occhio a Kaurismaki, toni da black comedy, fantascienza e misticismo, e in fondo tutte le difficoltà, gli assurdi, come si evince dai dialoghi, di una nazione e di un popolo ancora nomadi per certi versi e costretti a cercare una loro terra promessa in una terra che non regala nulla.
Anche qui la violenza assume un contorno e un contesto fondamentale come a dover dare una regola e prendere il comando della situazione. Il poliziotto Zurhov da questo punto di vista continua il suo obiettivo sottolineando la paralisi di un paese che ammette e sceglie la violenza e l'obbedienza per non cadere nel baratro del vuoto più totale.


lunedì 11 marzo 2019

Adam and Dog


Titolo: Adam and Dog
Regia: Minkyu Lee
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il paradiso terrestre visto dagli occhi di un cane. Il rapporto con l'uomo, poi con la donna, e infine i primi passi in un mondo sconosciuto e ricco di sorprese.
Minkyu Lee è il regista coreano che in 13' ha realizzato questo cortometraggio candidato agli oscar.
L'animazione è semplice ma incredibilmente funzionale per lasciare spazio alla gestualità e alla mimica facciale (d'altronde non avendo dialoghi diventa indispensabile per capire la dinamica tra i due). Un'opera emotivamente molto forte che non cede facilmente ai buoni sentimenti mostrando attraverso la diffidenza iniziale, l'instaurarsi di un rapporto di amore e fiducia.
Nell'ultima scena, Dog depone il bastone ai piedi di Adamo sorpreso.
Adamo si inginocchia dicendo ad Eva chi è Dog. Eva si inginocchia davanti a Dog e la abbraccia e lo bacia. Adamo ed Eva si allontanano insieme. Si stanno tenendo per mano e così vicini da sembrare una persona sola. Il cane cammina al loro fianco.
Adam and Dog è una metafora e una riflessione sull'amicizia, sull'aiuto e un viaggio di formazione ispirato ai temi salienti dell'antico testamento mettendoli in mano ad un regista coreano

mercoledì 20 febbraio 2019

Small apartments



Titolo: Small Apartments
Regia: Jonas Akerlund
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Franklin suona il corno delle Alpi e sogna la Svizzera. Il suo pazzo fratello gli manda le sue unghie tagliate per posta. Uno dei suoi vicini di casa è uno smemorato strafumato, l'altro un ficcanaso burbero che non si fa mancare nulla. Dall'altra parte della strada vive una madre e la figlia quindicenne, che ama guardare dalla finestra, ma nessuno di questi sono il vero problema di Franklin. Il suo vero problema è il suo padrone di casa, che è morto, disteso sul pavimento di linoleum della sua cucina.

Ho amato molto questo film. Nella sotto cultura dell'indie e dei film che nessuno conosce, Small Apartments mi ha fatto ridere, pensare (soprattutto al non sense), viaggiare, e infine scoprire come il cinema è l'arte più incredibile e variabile che esista.
Un piccolo cult da scoprire che si aggira dalle parti di Motivational Growth e altre pellicole strampalate, indecifrabili, che raccontano ciò che vogliono prendendosi i loro tempi e regalando di fatto situazioni comico grottesche a profusione e anti eroi che sembrano uscire come palline dalle bocche degli spacciatori.
Quando un protagonista è rozzo, puzza e fa schifo in tutti i sensi siamo nella direzione giusta.
Akerlund sdogana ogni compromesso del non lecito per fare di testa sua e regalare orrore, idiozia, trash, momenti weird, momenti comici esplosivi e follia di ottimo gusto.
Con un cast magnifico che prende gente assurda che non sembra c'entrare nulla e provenendo ognuno da un mondo o una tendenza di fare cinema completamente diverso.
Matt Lucas (quello che fa schifo con le pomate in Polar), Dolph Lungren in una parte che sembra riciclata a quella di Swayze in DONNIE DARKO, Johhny Knoxville sinonimo di garanzia, Billy Cristal che chissà dov'era finito, James Caan straordinario nella parte del vicino che non si fa i cazzi suoi, e infine Juno Temple e il prezzemolo Peter Stormare nella parte di mr.Olivetti.
Da un lato mi ha ricordato quella piccola perla di Greasy Strangler, film che conosceranno solo gli avvezzi al genere e che come in questo caso parla di derelitti, personaggi depressi e quanto mai soli che cercano di andare avanti e trovare un barlume di gioia e speranza negli altri. Utopia?

venerdì 12 ottobre 2018

Capsule


Titolo: Capsule
Regia: Athina Rachel Tsangari
Anno: 2012
Paese: Grecia
Giudizio: 4/5

Sette ragazze. Una villa abbarbicata su un costone roccioso nelle Cicladi. Una serie di lezioni su disciplina, desiderio e sottomissione.

Ma che bella scoperta il cinema videoarte della Tsangari. Figlia anch'essa di tanto cinema e di tante citazioni e forme d'arte diverse che riescono in questo caso ha unirsi tutte come in un girotondo dark ed esoterico per una galleria di immagini evocative e dalla innegabile grazia.
Un fascino e una ricerca della moda, della bellezza, del desiderio in cui la regista ellenica sembra voler sancire i suoi temi più personali dalla competizione al desiderio, il dominio e non ultima la sottomissione. Lo fa confezionando una pellicola di grandissimo fascino visivo e di bellezza estetica in cui nessuna componente è lasciata al caso: tutto è molto curato e controllato dai costumi alle immagini.
Un certo simbolismo potrebbe far storcere il naso dal momento che alcuni contenuti possono risultare criptici e di certo la regista non esclude una certa ricerca non solo dell'estetismo a tutti i costi ma anche di una sotto chiave narrativa e intellettuale che inserisce toni da fiaba gotica e un certo horror che cerca di rifarsi al mito del vampirismo
Un'opera ambiziosa e criptica che in fondo tratta la magia, il rituale, la cerimonia grazie a sei discepole (o replicanti) alla corte di una dominatrice matriarcale che, costituito un'ordine improntato su un'insolita dottrina iniziatica alla (ri)scoperta della natura femminile, finisce per stabilirne i rispettivi e brevissimi cicli esistenziali.

martedì 25 settembre 2018

Compliance


Titolo: Compliance
Regia: Craig Zobel
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Su Wikipedia, è diventato noto come lo "Strip search prank call scam". Per una decina d'anni, negli Stati Uniti un uomo ha chiamato ristoranti e tavole calde fingendosi un poliziotto e sostenendo che un'impiegata avesse rubato dei soldi o nascondesse delle droghe. Così, degli ignari (e un po' ingenui) dipendenti si ritrovavano a effettuare delle perquisizioni corporali su delle vittime innocenti. Ispirandosi a questi fatti reali, Compliance racconta questa storia inquietante.

Compliance è davvero una piccola sorpresina indie che dalla sua ha un impianto di scrittura intrigante e decisamente stimolante, capace di tenere lo spettatore incollato allo schermo per decifrare tutta una serie di dialoghi che riescono a intrattenere creando una storia che ha dell'inverosimile contando che rimaniamo dall'inizio alla fine del film in un fast food.
Un film capace di montare l'ansia poco a poco immergendoci in questo psico dramma da camera dove fino all'arrivo del tono autoritario dell'agente passiamo velocemente a diventare anche noi ignare vittime costrette a subire violenze psicologiche e sevizie fisiche che sfocieranno in un vero e proprio abuso sessuale.
Il discorso di Zobel e parte degli intenti del film sono da riassumersi nella metafora politica ed economica che rimane alla base del film ed è forse l'elemento più inquietante ovvero
la cieca obbedienza dell'individuo comune ad una società eteronomica nel contesto realistico di un ambiente lavorativo dove precarietà, ricatto sociale contribuiscono a condizionare il criterio di giudizio e le scelte morali di individui asserviti ad un misterioso senso di obbedienza.
E allora tutti gli interrogatori diventano esempi mondani di come la società capitalista si prende o si arroga il diritto di trattare tutti come merce o come piccoli automi obbedienti e in fondo strumenti per il benessere della collettività. Un dramma forte ed esplosivo che sottolinea come spesso la realtà, appunto in questo caso, supera la fantasia o idee strampalate ed inverosimili.




giovedì 13 settembre 2018

Butter on the latch



Titolo: Butter on the latch
Regia: Josephine Decker
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Nella foresta di Mendocino, nel Nord della California, si sta svolgendo un festival folk balcanico. Tra le partecipanti Isolde e Sarah, che prendono parte con grande trasporto alle attività della manifestazione, lasciandosi trascinare dall’atmosfera fuori dal tempo che vi regna. L’incontro di Sarah con un ragazzo, dal quale si sente attratta e che decide di sedurre, romperà gli equilibri, facendole scoprire sentimenti nuovi e sconosciuti, che la precipiteranno in una realtà onirica.

Il film inizia con la chiamata di Sarah completamente sconvolta. In uno dei suoi deliri alcolici si è risvegliata in un sottopassaggio alla mercè di alcuni uomini che le fanno, o hanno fatto, ciò che vogliono.
Così assieme all'amica parte per questa mistica esperienza dove ad avere il ruolo di assoluta padrona è Madre Natura che riesce ad impreziosire e rendere evocativi diversi inserti onirici e grotteschi del film.
L'amicizia delle due protagoniste è solo la miccia per sparpagliare elementi all'interno del film dove ognuna di loro cercherà il proprio cavaliere in quello che sembra essere più un esperimento e un esercizio di stile che non un'opera con una storia vera e propria ricordandomi per certi aspetti Queen of Earth con cui quest'opera ha diverse analogie.
Sicuramente Decker fa parte di quel movimento indie dove preferisce promuovere un copione libero, stravolgimenti di camera, dialoghi improvvisati, telecamera a mano (tanta forse troppa) e una ricerca di una sorta di linguaggio con la natura soprattutto per Sarah (la scena a rallenty dove vediamo lei rivolta alla telecamera assieme alla donna anziana credo sia una delle scene più suggestive e impressionanti viste ultimamente).
Un film che non ha una vera e propria direzione e nemmeno degli obbiettivi forti che crescono mano a mano nella narrazione. Qui tutto sembra perdersi e ritrovarsi proprio in mezzo alle foreste con una colonna sonora suggestiva che aiuta in questa sorta di trip che piacerà sicuramente molto al Sundance.

lunedì 3 settembre 2018

Mondomanila


Titolo: Mondomanila
Regia: Khavn de la cruz
Anno: 2012
Paese: Filippine
Giudizio: 4/5

Nato come racconto, premiato al Palanca Awards for Literature (importante premio letterario filippino), Mondomanila è il risultato di 9 anni di lavoro immersivo in cui Khavn ne ha realizzato per il cinema diverse versioni, prima come corto, poi come serie a episodi e infine come lungometraggio. Una commedia nera dai toni iperrealisti incentrata sulla figura di Tony de Guzman, un antieroe per cui la vita è corta, brutale e mai dalla tua parte. La sua filosofia è "prendi quello che puoi e quando puoi, godi e fotti il sistema". Nel brutale circo dei bassifondi, prostitute, yankee pedofili, casalinghe sole, tossici, e omosessuali, sono la sua unica famiglia.

Mondomanila è un trip andato a male.
Una galleria d'immagini abbastanza strazianti e di una ferocia e un nichilismo ai limiti estremi.
Il livello di degrado, di violenza, di sopravvissuti che cercando qualsiasi modo per drogarsi e sopravvivere mangiando topi in un ammasso di lamiere unito a tanti squardìci, mai belli, diventano la cartina di questa capitale in cui non sembrano esistere, almeno per i giovani, freni inibitori.
Il lavoro di De la Cruz avrà avuto sicuramente molti problemi, traversie produttive strane e molto lunghe e tutta una serie di nemici tra cui il governo filippino che dalle immagini sembra proprio fregarsene del destino degli abitanti della capitale.
Ragazzini che vogliono fare solo sesso avendo rapporti con animali e poi uccidendoli, nani che si prestano ad ogni tipo di cose, fratelli minori che per aiutare la mamma si prostituiscono dicendo che in realtà fanno massaggi e tossici degenerati che si danno al rap.
E'un calvario Mondomanila attraversandola sembra di trovarsi accanto una Sodoma un pò più moderna e globalizzata ma dall'altra parte è un grido disperato di aiuto contando che la maggior parte dei protagonisti sono poco più che ragazzini.
Il ritmo poi è scoppiettante, molto velocizzato e con frame sparsi presi un po ovunque con alcune qualità di girato non proprio pulite. Complice una colonna sonora disperata che sembra buttare tutto ancor di più nel caos.
"Non spero necessariamente che Mondomanila ispiri questa generazione, ma spero davvero che toccherà il prossimo. Sì, c’è la realtà presente, ma c’è sempre anche la speranza che questa realtà possa cambiare a un certo punto. Se tutto va bene, Mondomanila consentirà questo alle persone, perché fare affidamento sui leader non sempre funziona: a volte bisogna farlo da soli." (Khavn)

mercoledì 1 agosto 2018

Crawl or die


Titolo: Crawl or die
Regia: Oklahoma Ward
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Una squadra di sicurezza d'élite, che ha ricevuto il compito di proteggere l'ultima donna conosciuta in grado di rimanere incinta, si ritrova a dover fronteggiare un claustrofobico sistema di tunnel sotterranei senza fine. La squadra imparerà presto che il vero orrore non è dato solo dalla forza inarrestabile che li segue ma anche dal tunnel stesso, che diventa sempre più piccolo.

Il film sci-fi super indipendente della regista con un nome stranissimo si aggiunge al filone appunto citato strizzando l'occhio ad ALIEN e HAZE di Tsukamoto.
L'eroina protgonista, Tank, passa tutto il film a cercare di trovare una via d'uscita in un sistema di cunicoli claustrofobici e inseguita da creature che sembrano dei delfini giganti particolarmente incazzati che cominciano a sterminare la sua task force.
Un film che dopo il primo atto lascia spiazzati geograficamente, non sappiamo più dove siamo e se stiamo banalmente percorrendo il cunicolo giusto. Un film tutto attentamente studiato per creare questo effetto che solo alle volte cede ad un montaggio macchinoso soprattutto nel terzo atto finale.
Pochissimi dialoghi, scene di violenza a gogò e tutte attentamente girate contando la mancanza di soldi e una protagonista che cerca di mettercela tutta nel cercare di essere realistica nella sua disperazione personale che la porta a vivere momenti di conflitto e di sopraffazione.

martedì 20 febbraio 2018

After porn ends


Titolo: After porn ends
Regia: Bryce Wagoner
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La vita fuori dagli schermi degli attori pornografici contemporanei più famosi d'America. Cosa li ha spinti a intraprendere la carriera nell'hard? Cosa succede quando abbandonano quel percorso per vivere una vita ordinaria?

Alcuni documentari trattano temi che aiutano a comprendere meglio un fenomeno o meglio cosa ci sia dietro e con quali interessi e con quale posta in gioco.
After porn ends tratta il tema di quelle attrici, quasi tutte donne a parte tre attori, che dopo la carriera si domandano cosa possono fare e come la società intende trattarle appendendo di fatto il sesso al chiodo.
La risposta non è a lieto fine, anzi. Diciamo che chi ha raccimulato tanti soldi e ha un buon marito vive in questa fortunata condizione. Poi ci sono tutte quelle che nonostante le difficoltà sono riuscite a trovare un altro lavoro, o infine chi ha perso tutto e vive di ricordi del passato come reduce dell'industria del sesso con diversi problemi legati al fisico o alle dipendenze da sostanze.
Dalle 10 interviste alle milf emergono diversi dati tutti strutturati secondo storie di vita diverse.
C'è chi per compensare un passato segnato dagli abusi sceglie il porno proprio come bisogno per, a sua volta, continuare ad essere uno strumento magari annebbiato da alcool e droga.
Chi semplicemente ha inizialmente deciso di smettere all'arrivo dei figli per poi rendersi conto che non è in grado di accettare altri lavori e il porno in due guiorni di lavoro la settimana soddisfa il fabbisogno.
Dalle interviste emerge netto un fattore di differenza: le donne assomigliano chi in un modo chi in un altro a delle reduci, persone che hanno dovuto affrontare e superare il momento dell'abbandono delle scene (in media se non sono famose durano 3 o max 4 anni)mentre gli uomini invece sembrano rimasti fondamentalmente uguali a loro stessi, praticando in prevalenza hobbies ed avendo una memoria soprattutto aneddotica di quel periodo (alcuni parlano di masturbazione assistita come a far comprendere che quello che fanno non è nemmeno sesso ma consumazione di corpi)


mercoledì 15 novembre 2017

Dead Shadows

Titolo: Dead Shadows
Regia: David Cholewa
Anno: 2012
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Dead Shadows racconta la storia di un giovane, Chris, i cui genitori sono stati brutalmente uccisi 11 anni fa, nello stesso giorno in cui la cometa di Halley può essere vista dalla terra. Stasera, una nuova cometa sta per apparire e tutti nel suo palazzo si stanno preparando a celebrare l'evento, con una festa. In giro circola anche una teoria sull'apocalisse. Mentre scende la notte, Chris inizia a scoprire che la gente si sta comportando in modo strano - e sembra che la situazione sia in qualche modo collegata alla cometa. Le persone stanno diventando disorientate e violenti e non ci vuole molto tempo prima che inizino a trasformarsi in qualcosa che non appartiene a questo mondo. In una lotta per la sopravvivenza, Chris deve cercare di fuggire dal suo palazzo, con l'aiuto di altri inquilini - ma riusciranno a uscirne vivi?

Esagerato e sboccato. Quanto mi piacciono i francesi quando semplicemente fanno quello che gli pare. Questo pazzo di Cholewa si è trovato di fronte ad un budget risicato volendo fare un film a tutti i costi che unisse sci-fi, post-apocalittico e creature varie che sembrano per certi versi, anch'esse, uscite dall'orrore cosmico lovecraftiano.
Quindi il regista ha scommesso in un film che non dura nemmeno novanta minuti riempiendolo di dialoghi assurdi e sboccati, scene di combattimento a non finire, momenti ironici e grotteschi e altri in cui vediamo tentacoli bucare del tutto corpi umani in scene anche esageratamente trash e splatter (alcune decisamente inaspettate quando Chris entra nel vivo della festa e osserva le scene di sesso).
L'impianto del film più che nelle concitate scene d'azione, vive di momenti di non-sense totali uniti alla faccia da cazzo del protagonista che sembra saperne sempre una più degli altri.
Nel suo piccolo Cholewa ha cercato di non farsi mancare proprio nulla, ammettendo però di aver inserito alcune scene fatte con una c.g così brutta da far ribrezzo, volutamente o no, forse era davvero meglio non girarle a questo punto. Per il resto è un film esagitato dove corriamo con Chris dall'inizio alla fine senza capire sempre cosa sta succedendo o soprattutto se le azioni dei personaggi abbiano un senso reale.

Per ciò che concerne i trasformati direi di no, ma almeno su qualcuno dei personaggi "sani" questo lavoro e una caratterizzazione più interessante si poteva avere, ma il film vince la sua sfida, divertendo e non facendo mancare mai l'azione e a volte le risate.

venerdì 10 febbraio 2017

Flukt


Titolo: Flukt
Regia: Roar Uthaug
Anno: 2012
Paese: Norvegia
Giudizio: 3/5

Norvegia, 1363. Sono trascorsi dieci anni da quando la peste ha decimato la popolazione. La giovane Signe è in viaggio con i genitori e il fratello più piccolo quando vengono assaliti da un branco di banditi. Unica sopravvissuta della famiglia, la ragazzina viene presa in ostaggio dalla banda di briganti, capeggiata dalla spietata Dagmar, implacabile donna guerriera con un tragico segreto nel suo passato.

Flukt è un bel thriller con la caccia ad una bambina da parte di un manipolo di assassini in salsa nordica. Un'opera d'avventura e inseguimenti con tanti luoghi comuni e scene telefonate ma con il fascino della narrazione che rimane tale nonostante i difetti e i punti deboli.
Uthaug è il regista di Cold Prey, uno slasher che al sottoscritto non ha detto nulla, o almeno non rispetto ad altri, ma che al pubblico e i critici in generale è sembrata la sorpresa dell'anno. Probabilmente la causa è dovuta al semplice fatto che di slasher norvegesi non se ne vedono molti. Eppure Flukt ha un suo fascino che parte dalle incredibili e suggestive location oltre una fotografia calda che riflette perfettamente i contrasti tra personaggi ed ambiente.
Il cast è buono, le performance nella media, Ingrid Bolsø Berdal buca lo schermo così come la figlia acquisita e via dicendo.
Flukt sembra uno di quei film che già dall'inizio ti sembra una rivisitazione di ciò che è già stato (fatto), ma allo stesso tempo ha ritmo da vendere, alcuni colpi di scena non sono poi così scontati e si arriva fino alla fine senza troppi sbadigli. Convince meno la parte della sceneggiatura che si concentra sui personaggi e sul difficile rapporto adulta/bambina. Anche la peste è solo un pretesto senza mai farla vedere dal momento che quasi tutta l'azione del film è giocata in esterni.
Alla fine Flukt è semplice ma maledettamente efficace.

martedì 17 gennaio 2017

Unit 7

Titolo: Unit 7
Regia: Alberto Rodriguez
Anno: 2012
Paese: Spagna
Giudizio: 4/5

L'Unità 7 della polizia ha il compito di ripulire la città dalle reti di narcotrafficanti e di porre fine al clima di violenza e corruzione che si è impadronito delle strade di Siviglia prima dell'Expo 1992. Formata da quattro agenti, l'unità è guidata da Angel, un giovane ufficiale che aspira a diventare detective, e Rafael, poliziotto dai metodi discutibili ma efficaci. Attraverso un modus operandi al limite della legalità, la missione procede per il migliore dei modi fino a quando le strade di Angel e Rafael inaspettatamente si dividono a causa delle eccessive ambizioni di carriera del primo e dell'amore del secondo per l'enigmatica Lucia.

I cop movie ultimamente scarseggiavano un pò soprattutto in Europa mentre in America la tradizione continua senza sosta alternando prodotti commestibili e di rado film dannatamente interessanti come ad esempio il divertentissimo WAR ON EVERYONE, CODICE 999 (seppur cone le dovute precisazioni) COLT 45, TRAFFIC DEPARTMENT, WRONG COPS, KING SURRENDER e altri ancora.
Unit 7 arriva direttamente da Siviglia negli anni '90 in un polar potente e frenetico recitato benissimo da alcuni attori della new generation spagnola, sfoderando delle location straordinarie che si perdono nei quartieri, nelle case, nei corridoi, restituendo quel senso di claustrofobia e paura. Una squadra diversa dalle altre, slegata completamente dalle normali logiche ma con la carta bianca per poter essere legittimati a fare quasi di tutto, trovandosi però in questo modo soli a dover combattere contro tutto e tutti a partire proprio dai membri del team.
Rodriguez sembra essersi ispirato ai film di Michael Mann se non altro per l'atmosfera e la telecamera a spalla che in più momenti restituisce quel senso di malessere riuscendo a dare ancora più spettacolarità agli inseguimenti e alle sparatorie. L'unità macina successi a colpi di imbrogli, pestaggi e coercizioni e in tutto il film il livello di violenze e torture è altissimo. Altra menzione quella legata ai personaggi. Tutti sono caratterizzati a dovere con una credibilissima introspezione (in particolare Angel e Rafael).
Anch'esso ignorato o dimenticato volutamente dalla distribuzione italiana, dimostra la qualità e la buona forma del cinema spagnolo che trova in Mario Casas, il Tom Hardy spagnolo, una giovane promessa e un talento incredibile che si vedrà anche e soprattutto nel successivo TORO. Ottimo tutto il resto del cast tra cui ricordiamo il famoso Antonio de la Torre.
Unit 7 è ambientato alla fine degli anni ‘80-inizio dei ‘90 a Siviglia, periodo dell’Esposizione Universale prevista nella città spagnola (aprile ‘92), così per ripulire la città, la nostra piccola unità dovrà scontrarsi contro i clan in una sorta di guerra civile cercando di sopravvivere, proteggere i cari e gli informatori, e soprattutto capire chi è con loro o contro di loro.
«Faccia come ha sempre fatto: si giri dall’altra parte»

Grupo 7 ha il pregio di non scadere nella santificazione della violenza, come spesso capita per i colleghi americani, come male necessario, ma ne racconta l’origine intima e collettiva come succedeva in TRAFFIC DEPARTMENT raccontando i membri della squadra e il senso di appartenenza, nell’adempimento del loro lavoro, si compattano e diventano famiglia, includendo complici ed escludendo famiglia, istituzioni e, quindi, società civile.  

venerdì 13 gennaio 2017

Where the dead go to die

Titolo: Where the dead go to die
Regia: Jimmy ScreamerClauz
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un gruppo di bambini disturbati che vivono nello stesso quartiere sono perseguitati da un cane parlante di nome Labby che li porta in diverse dimensioni e gli fa compiere atti orribili.

Se per un attimo mettiamo da parte i reparti più malati del cinema tedesco e austriaco verso il gore più totale o la bizzarra guinea pig nipponica o l'indie americano più estremo fino ad arrivare ai fake di snuff e tanta altra roba ancora. Se devo pensare a qualcosa di perverso e malato oltre ogni immaginazione e umana comprensione, beh, il film allucinato ed esoterico di "ScreamerClauz" è un esempio che non capita di vedere spesso.
Al di là del bene o del male, di cosa possa piacere o no, di chi non ama l'animazione davvero grezza fatta con pochi e semplici strumenti (sembra di vedere i videogiochi della prima playstation) ma che invece punta tutto sulla cattiveria dei temi presenti portati tutti agli estremi esagerandoli.
Partiamo col dire che lo stesso regista, Jimmy ScremaerClauz, ha ammesso di aver assunto sostanze durante la realizzazione del film (e a giudicare dal prodotto finale, penso che di sostanze ne abbia assunte anche troppe).
Questo è davvero cinema estremo dotato di senso. Sicuramente molti lo riterranno spazzatura o meglio qualcosa di così iper-violento da punire e censurare, ma ai giorni nostri il pubblico se lo ritiene necessario può e deve avere la libertà di poter scegliere anche a costo di stare male o prendersi dei pacchi assurdi.
Considero il film un'esperienza agghiacciante, da provare in totale stato di astinenza per entrare ancor di più nell'orrore che queste tre malatissime storie sembrano e vogliono comunicarci.

Un trip infernale dove l'indole sfrenata del regista lo porta a infrangere svariati tabù relativi a ciò che è normalmente considerato lecito mostrare su schermo con una naturalezza disarmante.