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domenica 5 giugno 2011

Balada Triste De Trompeta


Titolo: Balada Triste De Trompeta
Regia:  Alex De La Iglesia
Anno: 2010
Paese: Spagna
Giudizio: 4/5

1937. Le scimmie del circo urlano selvaggiamente nella loro gabbia mentre, fuori, gli uomini uccidono e muoiono in un altro circo: la guerra civile spagnola. Il Pagliaccio Triste, arruolato contro il suo volere dalla Milizia, finisce per commettere con un machete un massacro di soldati nazionalisti mentre ha ancora indosso il suo costume. E così inizia questa movimentata avventura in cui Javier e Sergio, due pagliacci orrendamente sfigurati, combattono all?ultimo sangue per l'amore ambiguo di un'acrobata durante il regime di Franco.

Oggi come oggi i veri outsider non sono più in molti. De La Iglesia vanta una collocazione molto particolare nel cinema contemporaneo. Ha sempre saputo destreggiarsi tra i generi  omaggiando i capostipiti e regalando una sua visione particolarmente grottesca della società spagnola e non solo.
Come ogni autore che si rispetti è uno che lotta con un budget striminzito cercando di portare a casa il risultato migliore grazie soprattutto ad una buona capacità inventiva e un amore smisurato per la settima arte.
Con la ballata triste di un clown indimenticabile, il regista arriva alla sua opera migliore senza peraltro dimenticare la sua precedente e matura filmografia.
All’interno è depositato tutto come una sorta di manoscritto.
La seriosità nel descrivere un regime, l’amore per gli artisti di strada ei loro stenti per sopravvivere, un’amore morbosamente  malato e impossibile, una parata di personaggi ottimamente caratterizzati, un delirio totale di sangue e di inventiva dal secondo tempo in avanti, splatter sesso e violenza, come icone di una quotidianità quasi irreale con cui si convive come una routine.
Partendo dalla vecchia canzone cantata da Raphael ci si addentra nel favoloso cinema onirico e surreale dell’artista spagnolo in cui al di là di alcuni richiami abbastanza contemporanei (Jodorowsky su tutti), si chiamano in ballo i clown(quelli veri) e partiamo da una scena iniziale che non poteva aprire meglio il film addentrandosi nella brutalità delle modalità della guerra e alcuni pagliacci con il macete costretti a investirsi del ruolo di carnefici per resistere contro le forze militari.
Il soggetto propone una struttura niente affatto lineare ma anzi soprattutto dalla seconda parte in avanti una furia di avvenimenti con una libertà nella scelta di come collocare la macchina così come di ribaltare alcuni passaggi  e ciò nonostante senza abbassare mai il tono nella narrazione avvalendosi di un montaggio a scandire bene i tempi e i passaggi senza risultare schizofrenico.
Alla fine dopo le i quasi
I protagonisti in assoluto sono i clown, le loro performance, i loro sentimenti e la loro natura estrema composta anche da tanta rabbia e disperazione che tutti assieme costituiscono la riposta ad un mondo(società)di soprusi e crudeltà mostrato con la scelta di uno di loro di invertire l’archetipo del genere e scegliendo di essere triste destinato a lavorare in un circo in cui incontrerà una femme fatale mozzafiato.
E’ così ognuno può trasformarsi, rimettere in gioco se stesso, tatuarsi il trucco sul proprio corpo come una scelta e dichiarando di appartenere a qualcosa e lasciare libera quella parte irrazzionale che come un urlo di diperato aiuto cerca di dare un ultimo disperato suono di tromba.