Regia: Ju-hyoung Lee
Anno: 2013
Paese Corea del Sud
Festival: TFF 31°
Giudizio: 3/5
Un gruppo di spie nordcoreane, camuffato da famiglia-modello, viene inviato nel Sud per eliminare i disertori che hanno attraversato il confine. Il contrasto con il modello di vita sudcoreano porterà la famiglia posticcia ad abbandonare l'iniziale disprezzo per invidiare sempre più pregi e difetti dei vicini di casa.
Lee presentando il suo film in concorso al TFF ha detto chiaramente che insieme a Ki-Duk volevano mostrare le tensioni tra le due Coree facendo un lavoro ben diverso dai film finora incentrati sull'argomento. Lee stesso ha detto poi che ha cercato di apportare il giusto tono drammatico alla vicenda con qualche sottile ironia tra le parti e puntando davvero molto sulla recitazione dei personaggi.
Un film per certi versi molto difficile e che ruota attorno ad una promessa di fondo e degli intenti da perseguire lungo tutta la durata del film. La necessità dunque di peseguiuno scopo non semplice da una parte mentre dall'altra un regista alla sua opera prima che sceglie un film tutt'altro che semplice. Lee approfondisce il lavoro mettendo a confronto il gruppo protagonista con una famiglia tipica, in questo caso i vicini di casa, e tutti i problemi che conseguono, dall'invidia alla comprensione.
La riflessione circa l'illusione e il pessimismo nonchè la dura sopportazione di un dovere ideologico da seguire, una ragione di stato atroce e ottusa, il costo è il sacrificio della famiglia, portano il primo gruppo famigliare a domandarsi il perchè dei loro omicidi (la scena dell'infanticidio è fortissima, forse e anche per questo un nome come Kim-ki duk ha potuto permettere ciò) e un senso di colpa da cui è impossibile fuggire.
Degli intenti quelli sviluppati da Lee e supervisionati da Ki-duk (ha scritto la sceneggiatura, e non è poco davvero, in più l’ha prodotto e l’ha pure co-editato) che hanno sicuramente il merito di denunciare, almeno agli occhi di noi Occidentali, il clima di tensione che ancora oggi persiste tra la Corea del Nord e del Sud, sia le barbarie quotidiane cui sono sottoposti gli oppositori della Repubblica Popolare.
Un film che provoca, vuole provocare e cerca a tutti i costi di riuscirci azzardando ed esagerando in alcuni punti e insistendo molto su altri, cercando comunque di portare un messaggio e se pensiamo al monologo teatrale, nonchè scenetta sulla barca, in cui i protagonisti vanno incontro al loro destino, come opera prima e come messaggio sicuramente vale la pena di essere visionato senza lasciarsi confondere dallo spirito e da alcuni toni del film.
Struggente per essere una parabola realista.
La riflessione circa l'illusione e il pessimismo nonchè la dura sopportazione di un dovere ideologico da seguire, una ragione di stato atroce e ottusa, il costo è il sacrificio della famiglia, portano il primo gruppo famigliare a domandarsi il perchè dei loro omicidi (la scena dell'infanticidio è fortissima, forse e anche per questo un nome come Kim-ki duk ha potuto permettere ciò) e un senso di colpa da cui è impossibile fuggire.
Degli intenti quelli sviluppati da Lee e supervisionati da Ki-duk (ha scritto la sceneggiatura, e non è poco davvero, in più l’ha prodotto e l’ha pure co-editato) che hanno sicuramente il merito di denunciare, almeno agli occhi di noi Occidentali, il clima di tensione che ancora oggi persiste tra la Corea del Nord e del Sud, sia le barbarie quotidiane cui sono sottoposti gli oppositori della Repubblica Popolare.
Un film che provoca, vuole provocare e cerca a tutti i costi di riuscirci azzardando ed esagerando in alcuni punti e insistendo molto su altri, cercando comunque di portare un messaggio e se pensiamo al monologo teatrale, nonchè scenetta sulla barca, in cui i protagonisti vanno incontro al loro destino, come opera prima e come messaggio sicuramente vale la pena di essere visionato senza lasciarsi confondere dallo spirito e da alcuni toni del film.
Struggente per essere una parabola realista.