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lunedì 10 luglio 2023

Drago di mio padre


Titolo: Drago di mio padre
Regia: Nora Twomey
Anno: 2022
Paese: Irlanda
Giudizio: 3/5

Elmer, che ha problemi ad adattarsi alla sua nuova vita, decide di partire alla ricerca dell'isola Wilde e di un giovane drago che attende di essere salvato. Le sue avventure lo portano a incontrare bestie feroci e a scoprire un luogo misterioso.
 
Tutto ciò che orbita nella testa e tra i progetti di Tom Moore è oro che cola. Per me lui rappresenta uno dei più grandi autori d'animazione del suo tempo riuscendo a raccontare storie folkloristiche, di magia, di formazione, di spiritualità e natura. Il rapporto tra umani e animali, tra miti e creature magiche, riesce nei suoi lavori ad avere una carica e una messa in scena senza eguali nel suo campo e nel suo tempo. Un outsider non saprei in quale altro modo definirlo. A differenza dei suoi precendenti lavori, qui lascia alla sua socia della Cartoon Salon una fiaba riadattata per bambini e uscita su Netflix che potrebbe essere una via di mezzo tra ALICE E IL PAESE DELLE MERAVIGLIE e NEL PAESE DELLE CREATURE SELVAGGE. Il tutto però in chiave più socio-politica e teen con le due terre, una realistica e l'altra fantastica, devastate da una crisi economica e un effetto climatico che rischia di far affondare l'isola. Sempre in 2D, il film per bambini e non solo, riesce come sempre ad avere più piani di ascolto, imergendosi nel fantasy ma rimanendo aderente ad un impianto di viaggio di formazione dove Elmer nell'isola Wilde troverà insidie e pericoli ma alla fine guidato dai suoi intenti nobili riuscirà con un frenetico e drammatico terzo atto a risolvere il problema.
Ancora una volta i film della Cartoon insegnano come siano i bambini ad avere il compito di salvare gli adulti dai drammi in cui essi stessi incappano o nelle conseguenze inattese ed effetti perversi che gli stessi adulti evocano.

lunedì 20 febbraio 2023

Banshees of Inisherin


Titolo: Banshees of Inisherin
Regia: Martin McDonagh
Anno: 2022
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Un’isola irlandese in mezzo all’Oceano. Non c’è luce elettrica né mezzi di trasporto che non siano carri trainati da animali. Un uomo cammina lungo un sentiero per andare a prendere un amico e scendere al pub del paese per una birra. L’amico non gli risponde, non vuole più vederlo. L’uomo rimane perplesso, non se ne fa una ragione. Insiste per vedere l’altro, che invece è concentrato nella sua musica. Colm sta infatti finendo di comporre una canzone con il suo violino e dice di non aver tempo da perdere per amici che lui definisce noiosi come Patraic. È il 1923 e dall’altra parte della costa c’è una guerra civile di cui gli abitanti dell’isola sembrano interessarsi poco. Qualche lampo in lontananza. Qualche colpo di cannone. Ma se una guerra “fratricida” iniziasse anche in quell’isola? Così per un nonnulla?
 
L'ultimo film di McDonagh è qualcosa di assurdo. Un film grottesco, tragicomico, un continuo susseguirsi di provocazioni da una parte all'altra dove giovani adulti sembrano prendere le distanze e farsi torti a vicenda sulla base di un apatia e una noia generale. Tutto questo fino a quando non partono le minacce e i tentativi per dare un messaggio all'altro di prendersi le dovute distanze arrivando ad amputarsi parti del corpo rinunciando alla musica e minando le proprie scelte di vita.
La vicenda trasuda semplicità e allo stesso tempo impiega una scenografia e degli elementi che sembrano collocarlo in un luogo dimenticato in mezzo alle scogliere dove il tempo attraversa le vite dei personaggi sottolineandone il malessere più profondo.
C'è il figlio al prodigo che ritorna nel suo villaggio, quasi medievale, dalla sorella in cui il tempo è fermo. C’è il pub, la pettegola della drogheria, c’è il matto, la strega, l’orgoglio ferito e i rimpianti del passato e a parte questo a farla da padrona una depressione generale: tutti elementi tragici shakespeariani. Eppure nel suo ripetersi, nel suo rincorrere le stesse azioni e gli stessi momenti sarà anche per il lato geografico, ma il film è splendido e sembra non avere mai una dimensione spazio tempo precisa come se procedessimo sempre in un limbo.

martedì 23 agosto 2022

You are not my mother


Titolo: You are not my mother
Regia: Kate Dolan
Anno: 2021
Paese: Irlanda
Giudizio: 3/5

Charlotte, soffre per la condizione promiscua in cui versa la sua famiglia. È una timida adolescente che vive in un complesso residenziale fuori Dublino, assieme alla nonna quasi disabile e alla depressa madre Angela. In particolare Angela, dopo essere scomparsa inspiegabilmente per alcuni giorni, quando è riapparsa sembra avere mutato carattere. A malapena riesce ad alzarsi dal letto e tiene comportamenti inspiegabili, contraddistinti da vere e proprie crisi isteriche. Ma anche fuori casa, per Charlotte, la vita sembra riservarle solo disgrazie: per via di una voglia rossa sulla guancia destra, viene sempre più spesso schernita dalle compagne di scuola.

Folklore e malattia mentale. Vecchiaia, changeling, ambientazione urbana, insomma ancora una volta gli irlandesi dicono la loro con un horror particolare che intreccia dramma familiare e soprannaturale. Un dramma dove l'elemento horror non è così spiccato e presente (per fortuna) lasciando tanto spazio alle divagazioni mentali del pubblico a pensare a quale sia il passato e i segreti di una famiglia vista male da tutto il vicinato in quella Dublino mai così grigia e Charlotte che da ignara e innocente cerca come noi di capire cosa stia succedendo intorno a lei e soprattutto a sua madre. Da questo punto di vista come per Relic(2020) o You wan't be alone o Hole in the ground la tematica familiare ha una componente fortissima e crea un particolare legame e pathos nel rapporto figlia/madre e con la prima che cerca di essere una cargiver senza avere le risposte che vorrebbe da una nonna padrona e uno zio sfuggente, nonchè dall'altra parte riproporre uno schema vincente come quello del declino fisico e della morte, che tocca tre generazioni (nonna, madre e figlia).
You are not my mother grazie a delle prove attoriali intense e funzionali è un ottimo esempio di dramma contemporaneo e fiaba folkloristica che si è lasciato contaminare dall’horror ma che non è dipendente dallo stesso. Da questo punto di vista siamo già da anni ad una sorta di nuova stesura del genere in grado di assorbire il cinismo e la malvagità contemporanea della società e farla sembrare un horror quando in realtà è molto più reale di ciò che sembra.

lunedì 9 agosto 2021

Secret ok Kells


Titolo: Secret ok Kells
Regia: Tomm Moore
Anno: 2009
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Il giovane Brendan vive nell'abbazia di Kells, un remoto avamposto medievale dove lavora per fortificare i muri dell'abbazia contro le scorrerie barbariche. Un giorno un famoso maestro illuminato arriva in queste terre straniere portando un antico ed incompleto libro traboccante di una segreta saggezza e di poteri. Per aiutare a completare il libro, Brendan deve superare le sue più profonde paure in un viaggio pericoloso che lo porterà al di fuori dei muri dell'abbazia e dentro alla foresta incantata, dove si nascondono magiche creature. Ma con i barbari in avvicinamento, riusciranno la determinazione e l'artistica visione di Brendan ad illuminare l'oscurità e a mostrare che l'illuminismo è la migliore fortificazione contro il male?

Ormai è assodato. Ogni opera di Tomm Moore per me è un istant cult. Un autore che ama il folklore locale, il paganesimo, le leggende, la natura, i simbolismi e gli animali. Opere di immensa valenza magica e con un sotto messaggio politico e ambientale. Un'eterna lotta uomo/natura attraverso creature che quest'ultima lascia trasparire per cercare di sviluppare un rapporto con coloro che ancora possiedono un'anima e credono nella Madre Terra. Song of the sea come Wolfwalkers raccontano sempre delle medesime situazioni poste in luoghi diversi con ambienti analoghi e personaggi magici portatori di luce e verità, saggezza e innocenza. Lo stile poi di Moore è sempre così riconoscibile da scriverlo tra gli autori di animazione europea più importanti di sempre in grado di rendersi un outsider mai commerciale, fruibile da tutti i target possibili e capace di stupire ed emozionare come solo un grande narratore è in grado di fare. Nelle opere di Moore non esiste mai il male vero e proprio ma rimane una condizione in cui si può sprofondare legati all'odio o al rancore. I messaggi e i simbolismi nel film coadiuvati da perfette tecniche d'animazione riescono in numerosissime inquadrature a creare dei quadri di straordinaria bellezza e fascino.


martedì 12 gennaio 2021

Wolfwalkers


Titolo: Wolfwalkers
Regia: Tomm Moore
Anno: 2020
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Un'apprendista cacciatrice si reca in Irlanda con suo padre per eliminare gli ultimi, temuti, esemplari di lupo. Tuttavia, le cose cambiano radicalmente quando fa amicizia con un'altra giovane.

Avercene di Tomm Moore. A sei anni dall'altro capolavoro Song of the sea, al pari di questa straordinaria opera, l'autore coadiuvato da Ross Stewart ritorna alle origini raccontandoci ancora una volta una fiaba folkloristica e andando alle radici della Madre Terra per mostrare ancora una volta la bellezza di Madre Natura in un'opera matura e politicamente in grado di mostrare come l'uomo non è in grado di abbracciare e convivere con gli elementi che gli stanno intorno.
Con una eleganza nel mischiare colori e dando risalto a tutto l'apparato estetico con un'aderenza bidimensionale senza scegliere una pluralità di forme e linguaggi, Moore trova di nuovo la profondità empatica inaspettata e in grado di essere eguagliata da pochissimi outsider viventi.
La fiaba come nei suoi altri film mischia reale e magico, mischiandoli assieme, partendo come in questo caso da un evento realmente accaduto (lo sterminio dei lupi in Irlanda nel XVII secolo da parte degli inglesi); puntando sull'adolescenza come momento fondamentale per la formazione dell'individuo (qui sinonimo di amicizia verso un diverso che appare come tale solo da chi non osa andare oltre mentre invece nel precedente film un legame inossidabile tra fratello e sorella); la curiosità di penetrare dove non si può aumentando il livello di conoscenza e consapevolezza e il coraggio di cambiare il sistema scontrandosi ancora una volta con genitori pigri e ormai al soldo del progresso della società. Un film in completa evoluzione in una parabola più che mai contemporanea e ancora una volta ecologista e ambientalista, semplice e spontanea, in grado di trasformarsi in un dramma che come per il mito delle selkies affronta in questo caso il tema della trasformazione, parlando con lo stesso linguaggio a grandi e piccoli con delle musiche straordinarie e scene di forte impatto emotivo.


sabato 8 agosto 2020

Sea Fever


Titolo: Sea Fever
Regia: Neasa Hardiman
Anno: 2019
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Una misteriosa creatura ha intrappolato il peschereccio su cui Siobhán, solitaria studentessa di biologia marina, sta facendo delle ricerche. Nella lotta per la sopravvivenza, Siobhán dovrà guadagnarsi la fiducia dell'equipaggio

Le pellicole "degli abissi" da sempre sono stati per me a livello suggestivo qualcosa di ancestrale, rimanendo di fatto come un'esplorazione di mondi e realtà sommerse che mi hanno suggestionato molto più di tante e diverse realtà. Il perchè rimarrà sempre un mistero.
Sea Fever è un'esperimento interessante, difficile da catalogare per quanto non sia a pieni titoli un horror con mostro marino che attacca l'equipaggio (nel senso che per fortuna lo vediamo poco) ma di fatto è così. Un film molto minimale con una lentezza nei movimenti e in parte nel dipanarsi della storia ricercando e ricreando un fascino originale quanto legato a qualcosa che sembra nel bene scaturire dalle pagine di Tim Curran.
Neasa Hardiman al suo primo film a dispetto del suo impiego come mestierante per serie tv discutibili si ricollega in questo modo all’antica paura del mostro marino, dell’ignoto, agli antichi miti e superstizioni che per secoli resero gli equipaggi vittime di fobie, ammutinamenti e paure ancestrali e mai del tutto sopite. Perchè sulla Siobhàn, lo stesso arrivo di Freya sembra sconvolgere l'ordine costituito, dai suoi capelli rossi, dal suo essere pragmatica e scientifica, nel suo soprattutto prendere decisioni e non abbassare mai la testa. Un terror movie femminile e materno dove anche la creatura sembra con quei suoi tentacoli cullare e allo stesso tempo deflorare il peschereccio come a comunicare l'errore che i marinai stanno commettendo avendo varcato un confine.
Dal momento che i pescatori non nuotano, quel paradiso nascosto nel pieno Atlantico, lo captiamo proprio assieme a Freya a quella sua smisurata voglia di sapere, conoscere e comprendere con visioni affascinanti degli abissi. Una regia per certi aspetti claustrofobica sia sopra che sotto dando carattere e prova di riuscire ad essere atipico. Un thriller surreale originale di cui sinceramente ne sentivo tanto il bisogno. Il finale poi che sfugge da ogni happy ending scegliendo di nuovo la carta del sacrificio rende ancora più carattere ed emozione.



sabato 16 maggio 2020

Other lamb


Titolo: Other lamb
Regia: Malgorzata Szumowska
Anno: 2019
Paese: Irlanda
Giudizio: 2/5

La vita con il Pastore è l’unica vita che Selah abbia mai conosciuto. La loro comunità auto-sufficiente non possiede tecnologia moderna ed è nascosta nei boschi, lontana dalla civiltà moderna. Il Pastore è il guardiano, maestro e amante del gruppo. Ciascuna delle molte donne che fanno parte del gruppo è o sua moglie o sua figlia. Selah è pura nella sua fede, ma anche pericolosamente risoluta. È stata cresciuta come figlia del Pastore, ma è solo questione di tempo prima che ne diventi anche moglie. Dopo che un incontro con le autorità ha costretto le donne e il Pastore a costruire un nuovo Eden ancora più in là nell’entroterra, Selah comincia a dubitare della sua fede, e ha delle visioni strane e sanguinose. L’arrivo della pubertà porta con sé nuovi e severi rituali, e un primo assaggio di cosa accada alle donne del Pastore a mano a mano che invecchiano.

Devo ammetere che non conosco il cinema di Malgorzata Szumowska. Da quel che ho letto mi sembra impegnata in temi sociali e drammi ambigui di qualsivoglia genere connotati dal sentimento religioso. Ora anche lei come molti altri autori ha deciso, in tempi in cui è ritornato in auge il sotto genere, di confrontarsi con il folk horror o potremmo anche definirlo un racconto di stampo rurale e pagano.
Religione, setta, iniziazione, fedeltà assoluta al proprio leader. Questi e altri temi sono alla base del dramma sociale che sfocia nell'horror della regista polacca. Un film che aspettavo e sui cui speravo di vedere all'interno qualcosa di nuovo, come lo è stato ma con esiti nefasti, arricchendo l'analisi e l'approfondimento sulle dinamiche presenti all'interno di una comunità con le proprie leggi e i propri rituali.
Ci sono senza dubbio dei meriti imprescindibili che prima di tutto emergono dal punto di vista tecnico e dei costumi, delle interpretazioni e di alcune scelte coraggiose di montaggio e di dialoghi.
Un film in cui l'elemento dei rapporti fisici e soprattutto spirituali assume contorni fondamentali in termini di relazioni incestuose e malsane. L'uomo scelto da Dio raccoglie le proprie discepole e ingravidandole ridà loro vita e speranza in un circolo vizioso in cui non vengono meno i legami tra consanguinei (le donne del gruppo sono sempre le stesse e così pure per le figlie). Poi c'è la terra promessa, la metafora sul popolo d'Israele, tutto negli intenti delle donne e nella loro assoluta obbedienza altrimenti tutto andrebbe in malora. Ovviamente imbevuto di un certo simbolismo a volte fine a se stesso come il peggiore degli esercizi di stile a cominciare dalla natura, gli animali morti, i corpi femminili che affondano nel "Giordano" dopo essere battezzati dal "Battista".
Il problema alla base a parte la lentezza disarmante e che non ci sono colpi di scena, l'azione è centellinata in uno stile minimale che anzichè lasciare a bocca aperta crea uno dopo l'altro sbadigli a raffica e cerca soprattutto, osando ma fallendo miseramente, di provare con il pretesto religioso di parlare di sfruttamento sessuale in una pseudo setta religiosa, in un mix che termina con un climax telefonatissimo e scontato.

lunedì 20 aprile 2020

Vivarium


Titolo: Vivarium
Regia: Lorcan Finnegan
Anno: 2019
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Una coppia rimane intrappolata in un surreale labirinto.

Negli ultimi anni la sci fi sta regalando e alternando opere colte e prodotti d’intrattenimento.
Vivarium è una riflessione profonda sugli obblighi morali che la società (ma di che tipo) sembra metterci davanti alla porta di casa come un figlio che non è nostro di cui prenderci cura, un’idea di felicità vaga ed effimera, una vita da gregari fino alla morte dove saremo sostituiti da altri non umani che come cloni di noi stessi, o provando ad esserlo, porteranno avanti una burocrazia umana grigia e senza forme e colori.
In un modello ideale dove le nuvole sono tutte uguali così come le case, i colori, ciò che si mangia, ciò che si deve pensare e fare, Eisenberg e la Poots, insieme già visti nel divertentissimo quanto malato Art of self defence, sono pedine di un quadro di intenti spaventoso e atroce. Alieni travestiti da umani impongono le loro regole per creare una specie che tra varchi e portali su altri mondi o realtà sembra sbarazzarsi di noi e prediligere una natura monotona senza danni e vivendo privi di una morale un futuro che sembra un limbo di psicosi.
E’strano apostrofare l’opera seconda di Finnegan se non con qualcosa che ci passa attraverso, una nebbia composta da un’atmosfera anomala, malsana e grottesca, perturbante, qualcosa che ci mette di fronte a diritti e doveri come un potare avanti un esistenza ripetitiva e monotona.
Un figlio che spia, urla, si nutre del vuoto e cresce spasmodicamente per trovare il suo spazio seppellendo la natura umana e clonandola per modellarla a suo piacimento.
Vivarium è un incubo dove le tenebre non si vedono mai perchè sono nascoste maledette bene.


lunedì 23 marzo 2020

Papi Chulo


Titolo: Papi Chulo
Regia: John Butler
Anno: 2018
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Sean è un trentenne gay, fa il presentatore meteo per una stazione televisiva di Los Angeles ed è in crisi per una relazione terminata di recente. Dopo una crisi di pianto in diretta TV, viene costretto dalla direzione dell’emittente a prendersi dei giorni di vacanza e, con il pretesto di dover ridipingere il parquet del suo balcone di casa, arruola Ernesto, manovale messicano di mezza età sposato e con figli. Da qui inizia un rapporto d’amicizia alquanto improbabile tra i due

Papi Chulo è un film che in parte tratta la tematica queer e della gerontofilia in maniera approfondita, intensa, originale, ironica, drammatica e mai banale. Come potrebbe essere visto un rapporto tra un bell’uomo sportivo, giovane, elegante e ricco e un tuttofare messicano decisamente più anzianotto, di umili origini che sbarca il lunario come può?
C’è una scena che sembra gridare tutta la sua complessità e in parte anche il disagio. Un momento in cui da entrambe le parti vengono analizzate molto bene le reazioni dei due protagonisti ed è la festa gay dove Ernesto si guarda attorno incredulo parlando con ragazzi e uomini ma non sapendo l’inglese quindi annuendo ad ogni cosa che gli viene detta trovandosi come un pesce fuor d’acqua. Allo stesso tempo però per i soldi accetta qualsiasi cosa, ma Butler non cade mai nel patetico o nella faciloneria, dimostrando di non essere mai scontato intessendo sempre quella carica in più legata al rapporto tra i due, all’amicizia per superare il dolore e i monologhi di Sean che di fatto cerca qualcuno che non abbia per forza delle aspettative da lui. Papi Chulo è una piacevole sorpresa, fotografata magnificamente con paesaggi e una messa in scena molto limpida e pulita, senza macchie se non interiori come la scena in cui Sean ubriaco invita un uomo conosciuto sulla chat a casa sua per fare sesso non essendo assolutamente nella condizione per riuscirci.
Interessante poi il nome del film che gioca su un doppio significato tra pappone e papà.
I protagonisti sono straordinari riuscendo e dimostrando una sinergia attoriale che se non ci fosse stata da subito avrebbe sancito di fatto il fallimento di tutto il film. Butler poi si vede che conosce molto bene la commedia giocando molto sui tabù ma di fatto ponendo e vincendo la sfida più grande ovvero quella di non essere mai volgare.

giovedì 4 luglio 2019

Hole in the ground


Titolo: Hole in the ground
Regia: Lee Cronin
Anno: 2019
Paese: Irlanda
Giudizio: 3/5

Sarah sta costruendo una nuova vita con suo figlio ai margini di una piccola cittadina rurale. Un incontro terrificante con un vicino misterioso frantuma la sua già fragile anima, gettandola in una spirale paranoica sempre più disturbante. Dovrà scoprire se i cambiamenti inquietanti del suo bambino sono collegati a una minuscola buca nella foresta che confina con la loro casa.

E'difficile non amare alla follia le fiabe nere e gli horror rurali. I perchè sono tanti e nascono da presupposti che coincidono con le mille facce di madre natura, della selva oscura e di tutto ciò che è confinato fuori dalle nostre grigie città.
Negli ultimi anni sono arrivate diverse opere accattivanti e affascinanti unite dal bisogno di narrare quel folklore locale che appartiene di norma a ogni paese.
Hole in the ground ha tutti gli elementi per entrare a far parte di questo piccolo universo se non fosse che i rimandi e le somiglianze con Hallow che ho semplicemente adorato, sono davvero tante, tali da far perdere parte del fascino dell'opera dell'esordiente Lee Cronin.
Tanti i sotto testi e le metafore del film a partire da una vena ecologista a delineare l'intero intento dell'opera: stiamo distruggendo così tanto la natura che la risposta è una forza oscura rigurgitata dalle viscere della terra che si prenderà la sua rivincita sacrificando ciò che pensiamo di amare di più, i nostri affetti, la nostra famiglia e tutto il resto.
Due attori, una location e solo qualche sparuta immagine della creatura di turno.
Il resto sono pensieri e parole, suggestioni e giochi d'atmosfera.
Cronin nel cappello magico non mette molti elementi ma riesce a inquadrarli molto bene grazie ad una fotografia e degli effetti sonori che meritano una standing ovation
Uniche pecche l'aver esagerato e tirato un po troppo per le lunghe la "possessione" del piccolo Chris



lunedì 11 febbraio 2019

A dark song





Titolo: A dark song
Regia: Liam Gavin
Anno: 2016
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Sophia ha affittato una casa in mezzo al niente. Ha anche pagato una cifra extra affinché nessuno le chieda nulla. La sua unica compagnia sarà quella di Michael Solomon, un occultista che deve aiutarla con un rituale lungo e faticoso a mettersi in contatto con il figlio. Il problema è che Sophia non è stata del tutto chiara con Michael.

Negli ultimi anni soprattutto in Europa i film che trattano la magia in una forma quasi sconosciuta, primitiva e senza fronzoli cominciano a non essere così pochi. I risultati sono altalenanti, diciamo che la maggior parte di coloro che non ricorrono agli effetti speciali o alla c.g riescono ad avere i risultati più interessanti e con delle storie articolate e complesse. Una risposta a questo fenomeno potrebbe essere anche quella per cui siamo stufi e annoiati di vedere storie anche interessanti messe in scena con il solito compito di intrattenere
A dark song è uno di questi. Forse è l'indie con il budget più scarno e al contempo un film che ha tutto nella rigorosità nella messa in scena, l'obbiettivo e gli intenti più nobili e complessi.
Un esordio difficile, anti commerciale, anti modaiolo e tutto sembra interessare a Gavin purchè piacere ai gusti del pubblico. Un'esamina molto più dottrinale e intellettuale che non un film denso di colpi di scena, momenti artificialmente privi di un contesto dove collocarli o jump scared inutili.
Qui si entra, con sacrifici e tanto dolore, dentro un limbo dove all'interno si dimentica o si rimette in gioco tutto quello che si è sempre stati convinti di sapere accettando di diventare strumento per il volere di un'altra persona dato che quel potere è stato conferito dalla medesima e per la medesima ragione.
Un luogo che pur essendo una casa, perde quasi subito la sua connotazione geografia per condurti fuori dal tempo in un luogo irriconoscibile dove è possibile perdersi, morire, risorgere, annegare dentro una vasca e infine trovarsi in mezzo alla luce.
Un horror intimista, implicito, perfettamente supportato da un duo di attori che si immerge dentro i personaggi trasmettendogli dolori, sofferenze, allucinazioni, stati d'animo che sembrano lasciar aperta ogni porta e incontrare di fatto qualsiasi realtà (magica, religiosa, divina).
Stregoni, gran cerimonieri, cerchi magici, "sesso magico", libri magici, demoni, angeli custodi, grimori, invocazioni, rituali. Il film parla di tutto questo senza però renderlo mai bistrattato e più di ogni cosa, senza mai palesare allo spettatore quasi nessuna di queste realtà.
Il film è criptico da questo punto di vista facendo una ricerca attenta e minuziosa sugli studi esoterici, citandoli ma senza mostrargli, sfuggendo a tutti gli stereotipi uno dei quali ci ritrae il personaggio di Solomon come un eremita isolato e semi alcolizzato che sembra uscire del tutto dalla visione che abbiamo degli stregoni. Ricorda su diverse scelte e nel non comunicarci mai veramente quali siano gli intenti profondi un altro bellissimo film come quella perla rara di Kill List
da cui questo film attinge tanto soprattutto per quella che è la politica di un autore come Weathley.
E'un film dove il cerimoniere tratta argomenti profondi e inquietanti, che spesso mettono a nudo la purezza spirituale e l'anima del predestinato. Quando poi non si è davvero sinceri con quello che si vorrebbe andare a sondare, allora gli effetti perversi possono essere spaventosi.



venerdì 8 dicembre 2017

Cured


Titolo: Cured
Regia: David Freyne
Anno: 2017
Paese: Irlanda
Festival: 35°Torino Film Festival
Giudizio: 3/5

Molti umani si sono trasformati in creature simili a zombie. Una cura c'è ma gli infettati dovranno essere isolati da tutto e da tutti.

Nella sezione After Hours continuano come ogni anno le sorprese e le delusioni.
Quest'anno riaffiorano alcuni film a tematica zombie con quest'opera prima che è una bella via di mezzo. A differenza del film francese Les Affames, piccolo vero gioiellino pur non dicendo nulla di nuovo, The Cured, irlandese, cerca invece di aggiungere nuovo materiale in termini di soluzioni all'epidemia e ad un messaggio politico nemmeno tanto velato.
In questo caso, come in altri film, viene trovata una cura al virus che ha trasformato parte della popolazione in zombi, in cui il 75% delle persone colpite è stato guarito dal virus mortale denominato Maze, lasciando però il 25% ancora infetto, una fascia di cosiddetti “resistenti”, che, cioè, non reagiscono alla cura come gli altri e vengono rinchiusi in ospedale, in attesa di un’altra terapia.
Da qui in avanti le reazioni verso gli individui all'interno della società sono diversi per chi sta cercando di rifarsi una vita, alle persecuzioni che vedono questi individui marchiati ormai come capri espiatori e vittime sacrificali perfette in una società sempre più paurosa e xenofoba.
Come poter perdonare e accettare qualcuno che nonostante la cura si è macchiato di assassini brutali e in alcuni casi arrivando a cibarsi di bambini molto piccoli. Inoltre l'aspetto peggiore (ma direi quello più interessante) è quello legato ai ricordi, dal momento che gli ex infetti conservano i ricordi delle carneficine commesse, con relativi disturbi post-traumatici. Proprio questo elemento nella buona e nella cattiva sorte non sempre riesce a dare la giusta dose di empatia in particolare legata alla sofferenza del co protagonista e i dialoghi con Ellen Page a capo dei non infetti.
La messa in scena di Freyne è dura e non lesina sul sangue, sull'elemento gore, su una fotografia freddissima e glaciale e dialoghi tagliati con l'accetta senza nessuna traccia di salvezza ma forse solo di redenzione.
Un'opera indipendente e solida che seppur non entra nella cerchia dei film memorabili sugli zombie, rispetto alla stragrande maggioranza dei film in circolazione, propinando sempre lo stesso assetto, questo the Cured ha diversi elementi maturi e politici per cercare di fare nel suo piccolo la differenza.

martedì 5 dicembre 2017

Lily

Titolo: Lily
Regia: Shron Cronin
Anno: 2016
Paese: Irlanda
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

Il film racconta la storia di Lily, una giovane donna con un segreto. Con il suo migliore amico,
Simon fieramente leale e fiammeggiante, navigava sulle acque tradizionali della vita scolastica.
Quando un malinteso con la bella e popolare Violet conduce ad un attacco vizioso, Lily si trova di
fronte alla sfida più grande della sua giovane vita.

Un altro cortomettraggio a tematica queer. Una giovane ragazzina alla scoperta della sua sessualità in compagnia dell'amico Simon che sembra essere uscito da MISTERYOUS SKIN di Gregg Araki cercheranno di tenere duro e di non mascherare le loro scelte.
E'devo dire che alcune formule visive e la scelta di sistemare la camera piuttosto che la fotografia ricordano vagamente l'outsider americano.
Il corto è una bomba con un ritmo incredibile nei suoi '21 e con delle facce che riescono a raccontarsi stampandosi in maniera indelebile. Succedono tante cose in questo corto.
Bullismo, ferite da taglio autoinflitte, un nucleo che non sembra capire le difficoltà della figlia, l'amico diverso come il salvatore e l'amica dell'amico che deve aiutare tutte coloro che vengono perseguitate a causa della loro "diversità". In più è interessante notare come anche le antagoniste subiscano una specie di trasformazione e il finale contando che vengono chiamate in causa anche le istituzioni (la scuola) e il corpo docenti, sembra ribadire che alcune questioni tra adolescenti vanno risolte proprio secondo i loro codici e le loro regole e in cui gli adulti a volte proprio non servono.


sabato 23 settembre 2017

Pilgrimage


Titolo: Pilgrimage
Regia: Brendan Muldowney
Anno: 2017
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Ambientato nell'Irlanda del 13° secolo, il film segue un piccolo gruppo di monaci mentre intraprendono un pericoloso pellegrinaggio per scortare la più santa reliquia del monastero a Roma. Man mano che il loro viaggio diventa pieno di insidie, la fede che tiene uniti gli uomini è al contempo l'unica cosa che potrà dividerli.

Tosto, nerboruto, straziante e a tratti poetico. Finalmente Muldowney sembra avercela fatta a superare l'ostacolo del suo esordio Savages, un thriller/horror con alcuni spunti interessanti ma purtroppo sconnesso su tutto il resto, portando a casa un dramma storico fra clan in guerra e conquistatori Normanni riesce ad essere molto intenso e prendersi seriamente.
Qui siamo dalle parti di Black Death pur senza avere come manifesto il fatidico scontro tra paganesimo e cristianesimo, ma lavorando insistentemente sulla materia spirituale come capita nell'assunto del film che da le coordinate su cosa andrà a succedere. Qui troviamo Innocenzo III e la reliquia di San Mattia tenuta nascosta negli abissi.
Un'epopea, un viaggio silenzioso alla scoperta di se stessi e dei propri demoni con il punto di vista esclusivamente dalla parte dei confratelli più giovani e altri decisamente più tormentati come il nostro tuttofare laico attanagliato da momenti di trance e una scelta di non proferire parola.
Un pellegrinaggio in cui le "fratellanze" sono ideologicamente schierate su piani diversi ma che trovano una via per viaggiare assieme e portare sana e salva la reliquia a Roma.
Un film che ricorda vagamente anche i dubbi religiosi che attanagliavano i protagonisti di Silence
in cui l'atmosfera riesce ad essere cupa al modo giusto rendendo tutto inquietante dalla natura ai vassalli doppiogiochisti, ai predoni locali paganeggianti e le leggende anglosassoni.

martedì 16 maggio 2017

Savages


Titolo: Savages
Regia: Brendan Muldowney
Anno: 2009
Paese: Irlanda
Giudizio: 2/5

Paul Graynor è un giovane fotoreporter, dedito al suo lavoro ed interessato alle storie in cui si imbatte. Vive nel centro di Dublino, ed a parte pochi amici, dedica un po' del suo tempo libero per andare a trovare il padre malato, assistito da una infermiera. La sensibilità dei due giovani crea i presupposti per un primo felice appuntamento, ma lungo il ritorno Paul viene brutalmente aggredito, senza motivo, da due giovanissimi rapinatori che lo lasciano con numerose cicatrici fisiche e mentali. L'improvvisa devastazione del suo universo e la difficoltà di convivere con quanto è successo, farà scivolare Paul, suo malgrado, in una condizione di violenza esplosiva.

L'opera prima di Muldowney per quanto sia stato accolto come un piccolo successo in patria diventando una piccola sorpresa all'interno dei festival, non ha secondo me quella maturità tale da renderlo un'opera prima squisitamente indie e per certi aspetti "amatoriale" soprattutto in diversi passaggi per quanto concerne lo stile e la tecnica con cui il regista inquadra la vicenda.
Attimi di confusione in cui non si comprende spesso la realtà dei fatti (la castrazione del protagonista) per arrivare ad un finale pesantemente splatter che porta alle estreme conseguenze un personaggio che di fatto non ha avuto il tempo di sviluppare così in fretta una psicosi così preoccupante. Per altri aspetti invece era molto più interessante la fragilità del protagonista e le difficoltà personali a cercare un posto nella società.
Muldowney inquadra una Dublino ostica, dove gli adolescenti fanno da padroni provocando e aggredendo tutti senza paura e remore. Paul è la vittima sacrificale, il capro espiatorio per il branco che dopo aver perso dignità ma soprattutto la mascolinità decide di passare dall'altra parte iniziando a doparsi e comprando un coltello sul qualche si allena inizialmente con una pecora per capire se è in grado di fare del male a qualcuno.
La prima parte, la psicologia e le domande nonchè i dubbi che assalgono il protagonista nel cercare in quanto giornalista la notizia d'effetto e la paura di guardare in faccia l'orrore diventa la sfida che nei primi due atti il regista riesce a inquadrare in modo piuttosto soddisfacente e soprattutto molto realistico. Assomiglia a due film che sono usciti di recente e che trattano per certi versi lo stesso discorso e parliamo di Citadel (una vera sopresa con un taglio più horror) e il violentissimo Piggy.


sabato 28 gennaio 2017

Sing Street

Titolo: Sing Street
Regia: John Carney
Anno: 2016
Paese: Irlanda
Giudizio: 3/5

Conor vive nella Dublino di metà anni '80, ha 16 anni e un talento nella scrittura di canzoni. L'incontro con l'aspirante modella Raphina, di cui s'innamora perdutamente, lo spinge a fondare una pop band per attirare la ragazza come attrice di videoclip. Nel frattempo il matrimonio dei genitori va in frantumi: saranno la musica, l'amore e l'inossidabile rapporto col fratello maggiore a dare al ragazzo un coraggio che non credeva possibile.

Carney come il protagonista del suo ultimo film, sembra un artista che si porta sempre appresso il suo canzoniere personale. Finora in tutti i suoi film è riconoscibile un filo conduttore legato alla musica e ai rapporti di coppia. La playlist di Sing Street è qualcosa che rimane impressa almeno quando i video musicali girati dalla band con il super 8, le prime performance e il bisogno di non omologarsi agli altri. Sono diversi i contributi europei alla musica degli anni '80, quella con cui sono cresciuti i registi, qui in particolare la scelta e le imitazioni chiamano in ballo i Duran Dran, i Depeche Mode e gli Spandau Ballet. Sing Street ha molte parti biografiche in cui l'autore sembra voglia raccontarci qualcosa che era nell'aria in quegli anni e che era destinato a generare un cambiamento. Il film descrive il microcosmo dell'adolescenza in modo mai banale e con alcune riflessioni e scene di vita significative e molto realistiche. E'la versione maschile del bel film di Moodysson WE ARE THE BEST con cui i film hanno diverse analogie. Entrambi catapultati negli anni '80 uno a Stoccolma l'altro a Dubino, due mete che descrivono senza bisogno di troppe parole l'energia che si stava incanalando senza però avere i fasti di realtà come Londra o Berlino.
E'un film nostalgico quello di Carney, in cui la musica è ancora al centro della scena.
Nonostante tutto e la bravura indiscussa del giovanissimo cast, Sing Street rimane il film più compiuto di Carney, quello in cui i personaggi e lui stesso riescono a comunicare anche nelle pause della musica e allo stesso tempo però un'operazione che seppur riuscita non riesce ad andare oltre, analizzando per l'ennesima volta una realtà ormai ampiamente abusata.


sabato 10 settembre 2016

Glassland

Titolo: Glassland
Regia: Gerard Barrett
Anno: 2015
Paese: Irlanda
Giudizio: 3/5

Un tassista di Dublino rimane invischiato nel traffico di esseri umani mentre cerca di salvare la madre dalla tossicodipendenza

“Vengo dalla campagna irlandese. Mi sono trasferito a Dublino un paio di anni fa, e qui ho notato che ci sono un sacco di giovani, miei coetanei, che sono dipendenti dai loro genitori. Non voglio essere frainteso. Accade anche dove vivevo prima, ma qui si nota molto di più, Dublino è una città di un milione di persone. E così ho voluto rappresentare questo aspetto della società”.
Siamo in Irlanda e non in Inghilterra, ci stacchiamo un attimo dal cinema sociale di Loach per parlare di un giovane talento che muove i primi passi verso un dramma e un difficile cammino di formazione.
A soli 27 anni Barrett gira in 18 giorni questo piccolo dramma sul sociale con protagonisti due fratelli e un complesso rapporto con la madre.
Con un budget di 500 mila dollari e una candidatura al Sundance, il regista ha puntato quasi tutto sugli attori, su una Dublino fredda e per certi versi ostile e tanti, tanti sentimenti e caratterizzazioni dei personaggi per dare ancora più spessore alla vicenda.
Un film lento, con alcuni passaggi e dialoghi molto forti che sanciscono come spesso e volentieri bisogna adattarsi ad un futuro rigido e complesso pur avendo una buona sensibilità e di fondo un animo buono. Un film che non concede e non regala scene create ad hoc per commuovere il pubblico, semplicemente perchè non ne ha bisogno, decidendo alla base degli intenti di documentare la realtà di alcuni complessi nuclei familiari.



sabato 20 febbraio 2016

Song of the Sea

Titolo: Song of the Sea
Regia: Tomm Moore
Anno: 2014
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Saoirse è una bambina particolare, a 6 anni ancora non riesce a parlare e prova una strana e fortissima attrazione per il mare. Vive nella casa sul faro con il papà e il fratello maggiore Ben, spesso imbronciato e antipatico con la sorellina che ritiene responsabile della scomparsa dell'amata madre. La casa sul faro nasconde tanti segreti e oggetti magici, e quando Saoirse scopre due di questi, una conchiglia regalata dalla mamma a Ben per sentire il suono del mare e un vecchio mantello della madre, innesca un magnifico viaggio negli abissi marini tra foche e personaggi fantastici. Scopriamo così che Saoirse è una delle "selkies", creature magiche che vivono a metà tra terra e mare e che con il proprio canto possono risvegliare le vittime della strega Macha, private di emozioni e trasformate in pietra. Saoirse è la prescelta e con questo suo compito inizia un immaginifico cammino in cui Ben metterà in gioco la propria vita per salvare quella della sorellina.

A volte l'animazione europea compie dei piccoli miracoli di bellezza e originalità riuscendo a far commuovere chiunque abbia un briciolo di sensibilità.
Trovo che le leggende, la mitologia, il paganesimo e quant'altro siano carichi di fascino e mistero quando riescono ad essere sceneggiati con acume e destrezza senza essere a tratti troppo melenso.
Song of the Sea tratta di selkies ma soprattutto di sentimenti.
Con un'animazione semplice in 2d su sfondi che sembrano dei quadri molto colorati e pieni di poesia, accompagnato da musiche toccanti e profonde, da uno stile naturale a cui spesso non siamo più abituati, il film di Moore ci conduce nei meandri della pura bellezza e semplicità, dimostrando come l'animazione possa raggiungere vette importanti e in grado di mettere d'accordo tutti.
Un film delicato, una bambina Saorsie che difficilmente si dimenticherà e Will Collins, sceneggiatore, che sembra essersi divertito ispirandosi alle più antiche leggende irlandesi e scozzesi.
Un viaggio tra realtà e magia con un'interessantissima galleria di personaggi.



giovedì 17 gennaio 2013

Grabbers

Titolo: Grabbers
Regia: John Wright
Anno: 2012
Paese: Irlanda
Giudizio: 3/5

In un pacifico villaggio irlandese di pescatori, da qualche tempo si verificano degli strani avvenimenti che turbano non poco la popolazione. Dopo che alcuni pescatori sono scomparsi nel nulla senza lasciare traccia e che sulle spiagge si sono riversate le carcasse di alcuni esemplari di balene, alcune persone hanno trovato la morte in circostanze sospette. Due strampalati poliziotti - un alcolizzato e una agente che viene dall'hinterland - cercano di far luce sull'accaduto, scoprendo che all'origine di tutto vi è l'invasione di alcuni alieni giganteschi e imbattibili. Con un po' di fortuna, scoprono anche che l'unica arma capace di distruggerli è l'alcol e invitano perciò la gente a bere il più possibile per respingere il loro attacco.

A volte il cinema insegna che anche l’alcool può tenere lontani gli alieni. E’questo uno dei messaggi del secondo film di John Wright che abbraccia il filone della horror-comedy strizzando l’occhio ad Edgar Wright.
Monster-movie ma anche qual cosina di più. Almeno si sono sbattuti a trovare una creatura tentacolare convincente, tale piovra vampiro, e tutto il secondo atto è davvero divertente non facendo mancare sane dose di splatter e alcune slapstick niente male.
Un buon cast, delle ottime location così come la fotografia che ne esalta lo splendore, degli effetti in c.g. davvero prelibati e tanta sana azione che non mancherà a soddisfare i palati dei seguaci del genere.
La scena dove sono tutti ubriachi e l’attacco dell’esercito dei mini-alieni sono tra le cose più belle de film mentre fatica un po’ a decollare e risulta a tratti noiosa e scontata la storia d’amore tra i due protagonisti.

domenica 20 marzo 2011

Intermission

Titolo: Intermission
Regia: John Crowley
Anno: 2003
Paese: Irlanda
giudizio: 3/5

Film corale a tinte forti.
Un ragazzo viene mollato dalla tipa e cerca di rifarsi una vita ma finirà per fare un errore incredibile. La sua ragazza, delusa dalla storia, si rifà con un banchiere monotono e sprezzante.
La sorella con i baffi dopo essere stata vittima di una brutta storia, avrà vita difficile con gli uomini fino a mr x. La madre delle due sorelle dopo un brutto incidente insieme alla figlia baffuta ritroverà il legame con entrambe. La moglie del banchiere invece sconvolta dal marito che l’ha abbandonata cercherà di rifarsi con un giovane ma senza troppa fortuna. Un ladruncolo ostinato e spietato cerca in tutti i modi di riuscire a fare il grande passo facendosi aiutare da un autista represso. Sarà un poliziotto determinato e violento con l’aiuto di un giornalista mezzo fallito a chiudere in parte l’epilogo e il climax della storia.
Storie incrociate, tristi ma particolarmente vive e interessanti. A volte un po forzate ma con un ritmo che non abbassa la guardia e che regala anche alcune scene notevoli in un Irlanda fredda e tesa.
Buon cast perlopiù irlandese in questo trittico di gioia, malinconia e sopraffina tristezza che non aggiunge niente di nuovo al genere ma cerca di approfondire un discorso e alcune tematiche riguardanti l’affetto, l’amore e la depressione.
Comunque un buon esordio per John Crowley