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lunedì 17 novembre 2014

White Bird in a Blizzard

Titolo: White Bird in a Blizzard
Regia: Gregg Araki
Anno: 2014
Paese: Francia/Usa
Giudizio: 3/5

Kat Connors ha 17 anni quando la madre Eva, una donna bellissima ed enigmatica, scompare. Avendo vissuto per tanto tempo in un clima di soffocamento e repressione emotiva, Kat considera quasi un sollievo la sua assenza e il padre Brock, un uomo di poco polso, non può certo biasimarla. Con il trascorrere del tempo, però, Kat inizia a fare i conti con quanto la scomparsa pesi invece sulla sua esistenza e un giorno, rientrando a casa dal college, è costretta a confrontarsi con la verità che si cela dietro quell'improvvisa partenza.

Difficile dire se il cinema di Araki sia giunto al capolinea o se da quest'ultimo film sembra voler trovare un equilibrio tra i temi forti del suo cinema. Di sicuro sembra che il regista, come noi, assistendo a questa ultima commedia, si continui a divertire un sacco.
Una cosa è certa, l'outsider gay, che ci aveva regalato quella chicca anarchica e iper-violenta di DOOM GENERATION, film degli esordi, sembra essere ritornato a dipingere quella dimensione personale e tipica che lo contraddistingue nelle sue "commedie", cercando di infilarsi a metà strada tra un adolescente mai cresciuto e un regista capace di spiazzarti nel giro di pochi minuti, con scelte e scene di una potenza visiva davvero estrema e variopinta.
D'altronde è a lui che si deve la rappresentazione più colorita ed eccentrica di una sessualità che altri registi americani a cavallo degli anni 80/90 avevano portato alla luce con tutte anche le problematiche che nascevano ed esplodevano allora e quelle narrazioni sincopate e messinscene surreali nonchè grottesche e a volte pure con una componente splatter che sembrano interessare particolarmente il regista.
L'uccello bianco nella tempesta, tratto da un libro, è il tipico dramma che trova nel colpo di scena finale, (sarebbe meglio dire nei colpi di scena finali) il maggior supporto per cui almeno la trama non rimane così stereotipata sfuggendo alla prassi più consueta.
Riproponendo sempre i suoi personaggi tipici con le loro mode, i loro atteggiamenti e le musiche sempre facenti parte di quel microcosmo caro da cui Araki non sembra o non voglia riuscire a staccarsi, il suo ultimo film possiamo dire che nella sua semplicità (il merito più grande del regista) ne esce misurato e senza mai esagerazioni assurde, al solo scopo di violentare lo spettatore, come succedeva nei suoi esordi o nella prima parte della sua filmografia.
Certo con qualche momento onirico e spettacolare che si ripete(ma si rimane sempre nel sogno) e lavorando per sottrazione, grazie anche ad un cast di tutto rispetto che assolve e da piena realisticità ai differenti ruoli, ancora una volta Araki, sembra essere la versione grezza e reale di tutte quelle petulanti e finte rappresentazioni date dai teen-movie americani, dicendo la verità e mostrando desideri e perversioni e soprattutto renderle quotidiane senza nasconderle ma anzi sfruttandole senza nessuna morale e soprattutto senza bigottismi.