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martedì 20 dicembre 2022

Intregalde


Titolo: Intregalde
Regia: Radu Muntean
Anno: 2021
Paese: Romania
Giudizio: 4/5

Come ogni fine anno, Maria, Dan e Ilinca partecipano a un viaggio umanitario in SUV. Lungo i polverosi sentieri di montagna del villaggio rumeno di Întregalde, incontrano un vecchio che decidono di aiutare. Mentre lo accompagnano alla segheria dove dice di lavorare, la loro auto rimane bloccata in un fosso e la segheria risulta essere abbandonata. Costretti a passare la notte con il vecchio in piena demenza senile, i tre vedono le loro idee di empatia e altruismo messe a dura prova

Il cinema rumeno acquista sempre di più maggior chiarezza su dove voglia andare a gettare la sua rete impattando su un cinema di denuncia sociale e apertamente politico che ha saputo dare robustezza e complessità a situazioni spesso sminuite e un'ideologia ormai superata e contestata dalle nuove generazioni e i nuovi cineasti. In questo caso la vicenda in questione fa luce sugli aiuti umanitari, sul fatto che non agiscano per interessi personali ma senza nemmeno donarli una corona per glorificarli ma mostrandoli nella loro quotidianità, complessità ma soprattutto fragilità.
Praticamente tutto girato in un luogo incastonato tra due fiumi dove la strada percorribile sembra prendersi gioco di chi l'attraversa dove fango, lupi, orsi, gente locale (a detta di Dan più pericolosi degli stessi animali) attraversano quella zona senza nemmeno chiedersi cosa ci faccia un anziano signore ogni giorno a percorrere la stessa strada per raggiungere una segheria abandonata.
Da quando la macchina rimane bloccata, Muntean, sviluppa, tessendo delle linee narrative intense e realistiche di cui nessuna mai banale il dramma che consuma interiormente ed esteriormente i protagonisti.
Un film sulla speranza di dover a tutti i costi aiutare il prossimo, sulla scarsa fiducia e diffidenza per la gente locale quando possono rivelarsi meno pericolosi del previsto. Nel film quasi tutte le scelte e i colpi di scena avvengono nello stupore aspettandosi la mossa più crudele quando invece l'autore incalza una sua logica fatta di scelte molto misurate e dotate di logica senza mai esagerare.

martedì 11 maggio 2021

Bad Luck Banging or Loony Porn


Titolo: Bad Luck Banging or Loony Porn
Regia: Radu Jude
Anno: 2021
Paese: Romania
Giudizio: 4/5

Emi, un’insegnante gira per uso privato un video ad alto tasso di erotismo che però finisce su PornHub e viene scoperto dai suoi allievi. Viene immediatamente convocata l’assemblea dei genitori che debbono dare un parere dirimente sulla sua futura presenza nella scuola.
 
Sicuramente non è un mistero che il cinema d'autore rumeno negli ultimi anni abbia dato prestigio e peculiarità alla sua filmografia. Sitaru, Mungiu, Mirica sono ad esempio tre esponenti di una certa rinascita a cui bisogna includere anche Jude, autore decisamente più eclettico e sovversivo, che con questa coraggiosa quanto esplosiva ed estremamente provocatoria pellicola si mette subito in discussione con un film complesso, ambizioso e a tratti incredibilmente weird.
La scena iniziale sicuramente sarà quella che farà più discutere dal momento che ritrae un filmino porno amatoriale senza nessuna censura. Da lì poi il film diventa un antologia, un catalogo con divisioni di capitoli, la storia che si dipana per poi prendersi alcune pause, dare una propria idea dei preconcetti in generale nel mondo con tanto di ordine alfabetico in un montaggio e una didascalia quasi documentaristica e infine ritornare sulla storia con tre finali alternativi dopo il processo all'insegnante che si pone come uno dei momenti più interessanti e di denuncia del film trattando la materia del sacro/profano, lecito/proibito, privacy ma soprattutto revenge-porn e sessismo.
Il film di Jude è un'approfondimento grottesco che pone le basi sulla desamina di una società perbenista solo in apparenza nascondendo gli scheletri nell'armadio e le piaghe di un falso moralismo incredibilmente attuale e sincero dove fanno capolino nel finale alcune delle mascherine anti Covid più imbarazzanti che si siano mai viste. L'inizio col porno amatoriale e il finale con i cazzi di gomma ad inculare una certa classe politica sembrano la vendetta di una certa generazione di registi contro tutto quello che il popolo ha sofferto a causa di dittatori che hanno sempre imposto una certa censura e dittatura.


lunedì 10 settembre 2018

Caini


Titolo: Caini
Regia: Bogdan Mirica
Anno: 2016
Paese: Romania
Giudizio: 4/5

Il nonno di Roman è morto e il nipote ha ricevuto in eredità i suoi terreni in campagna. Vi si reca intenzionato a venderli e scopre che il nonno era a capo di una banda di criminali che hanno tutta l’intenzione e la determinazione necessarie per minacciarlo al fine di impedirgli la vendita.

Di solito quando si pensa al cinema d'autore rumeno i nomi soliti che si sentono sono quelli di almeno due grandi maestri e capaci di creare drammi molto forti come Sitaru e Mungiu.
In questo caso distaccandoci da un certo tipo di tematiche qui si entra nel cinema di genere dove Mirica dimostra di saper costruire molto bene un dramma spesso e sofferto con tanti elementi di corruzione squisitamente locali e la scelta di un cast convincente.
In più un grosso e funzionale lavoro e stato fatto nel costruire una fortissima tensione grazie alla quale la violenza dell’ambiente, queste location quasi desertiche da far sembrare la location una specie di western urbano dove ci sono anche i bifolchi, si fa sentire ancor prima di esplodere grazie ad un uso dello spazio che ne prefigura la pervasività.
Ci anticipa Mirica questa sua dote già nella sequenza iniziale in cui delle bolle d’aria in una palude conducono a una scoperta di un pezzo di corpo umano che vedrà una sorta di esplosione di fatti ed eventi dove tutti coloro che decidono di giocare non possono più uscire arrivando a pedere tutto. L'immagine iniziale di un giallo che viene a galla e quella finale nel dialogo tra il criminale e l'ispettore su quanto quest'ultimo abbia le mani legate, trovano un connubbio che porterà ad una chiusura abbastanza originale e che sembra far voler dire al regista che è ora di cambiare pagina per uno dei paesi più corrotti al mondo.

domenica 22 aprile 2018

2 biglietti per la lotteria


Titolo: 2 biglietti per la lotteria
Regia: Paul Negoescu
Anno: 2016
Paese: Romania
Giudizio: 3/5

Un gruppo di amici decide di comprare un biglietto della lotteria che risulta essere vincente. Ma quando arriva il momento di incassare i soldi non trovano più il biglietto

Il bello dell'ultimo film di Negoescu è che fin dall'inizio il film non si prende troppo sul serio, giocando su un elemento e un'idea già vista ma funzionale vista la semplicità con cui viene sviluppata la vicenda. Una semplicità che ha il merito di giocare su temi attuali, su un'ironia pungente e su una buona sintonia del coro di attori.
Un road movie dove senza troppa carne al fuoco veniamo al corrente purtroppo di tutta una serie di conseguenze impreviste ed effetti perversi lasciati dal regime di Ceausescu che seppur drammatiche il regista ne coglie degli aspetti che riescono nonostante tutto a non essere solamente tristi ma proprio aiutati dai protagonisti vengono colte le falle di quel sistema che non è detto che si riesca a cambiare.
2 biglietti per la lotteria è liberamente ispirato al racconto "Due primi premi" reggendosi principalmente su un impianto da sitcom riproponendo una serie di situazioni surreali capaci di restituire uno spaccato della Romania dei nostri giorni grazie appunto ad un budget quasi inesistente per un film ultra indipendente solare e frizzante.
Qualcuno lo ha definito "lo strano spirito ottimistico dei disperati". Casca a genio questa definizione contando la roccambolesca serie di eventi tragicomici.

mercoledì 15 novembre 2017

Crucifixion

Titolo: Crucifixion
Regia: Xavier Gens
Anno: 2017
Paese: Romania
Giudizio: 3/5

Basato sulla storia vera di un prete incarcerato per l'omicidio di una suora dopo aver fatto un esorcismo su di lei, il film segue una giornalista investigativa che cerca di determinare se il prete ha ucciso una persona mentalmente malata o se ha perso una battaglia con una presenza demoniaca.

Negli ultimi anni il tema della possessione è diventato mainstream a tutti gli effetti con risultati spesso altalenanti tra loro con alcuni blockbuster guardabili ed altri assolutamente no.
Si riprende una delle tematiche più interessanti per i fan dell'horror. In questo caso ci troviamo al cospetto di Gens un regista che sa il fatto suo anche se negli ultimi anni come molti mostri sacri è stato intrappolato e qui riesce ad uscirne con una produzione rumena, un budget tutto sommato scarno, e una voglia matta di dirigere un'altra opera. Certo non siamo di fronte al post-apocalittico THE DIVIDE (il suo film migliore pur essendo il più pesante) e nemmeno di fronte alla carneficina di FRONTIERS eppure in questo film, il regista si prende i suoi tempi sviluppando un film che trova nei dialoghi e nella fede gli strumenti della sua messa in scena.
Il problema del film e che solo in alcuni momenti vedi il grande talento del regista che di fatto a parte una regia che non commette errori e una tecnica che rasenta quasi la perfezione manca qualcosa di quel cinismo e di quella cattiveria che davano smalto e qualità ai suoi film.
Questo sembrava quasi un'opera di commissione sulla scia di molti film che ultimamente stanno andando di nuovo di moda sul tema della possessione, ma poi invece ho scoperto che lo stesso Gens voleva fare qualcosa di simile ai blockbusteroni usciti finora e questo non è bene.
Penso che il motivo sia più di uno ma come sempre l'ignoranza mediatica lo ha classificato come un ibrido di THE CONJURING. Addirittutra sembra che tutta l'opera sia stata pensata proprio su
questa falsa riga. Di fatto gli sceneggiatori Chad e Carey Hayes sono proprio quelli di THE CONJURING 1 e 2. Quindi volevano probabilmente una specie di ibrido del film di James Wan e per farlo avevano bisogno di un mestierante fatto e finito.
Ora come in tutte le opere di "commissione" i limiti sono dietro l'angolo e così a parte qualche jumping scared e di un'ottima congiuntura tra pensiero religioso istituzionale e quello invece vero della fede e dei veri martiri e gli esorcisti con un credo differente dalla matassa di stupidaggini di padre Amorth, il film rimane una via di mezzo, qualcosa che ha degli spunti interessanti, soprattutto nella messa in scena e nella direzione degli attori, ma che rimane distante, come un quadro che non appartiene del tutto al suo autore.
Speriamo solo che questa non sia la fine di Gens, ma che il regista possa di nuovo dar luce ad una "sua" opera senza tanti compromessi.


domenica 27 novembre 2016

Fixeur

Titolo: Fixeur
Regia: Adrian Sitaru
Anno: 2016
Paese: Romania
Festival: TFF 34°
Sezione: Festa Mobile
Giudizio: 4/5

Un giovane tirocinante che lavora in una redazione viene a conoscenza di uno scandalo sessuale sensazionalistico che rappresenta la sua grande occasione per farsi notare e fare carriera nel mondo del giornalismo.

Peccato per quelle piccole e macchinose didascalie a cui il regista non sembra poter fare a meno (e mi riferisco ovviamente al rapporto padre/figlio e al tentativo di ricongiungersi) perchè il secondo film di Sitaru dopo il premiato e ambizioso ILEGITTIM e'un altro duro colpo alla sensibilità e alla psiche dello spettatore. Un dramma contemporaneo tratto da fatti reali di incredibile spessore.
Qui si parla di prostituzione minorile, di giovani ragazze spedite in altri paesi all'insaputa delle loro povere famiglie, del ruolo e della sensibilità dei giornalisti, delle contraddizioni dei media, della competizione sportiva e professionale e di molto altro ancora.
Fixeur è un film scritto molto bene che non si perde in inutili lagne ma arriva subito al punto, ovvero a far emergere lo "schifo". Proprio il terreno più duro e spietato viene inserito come una detective-story, in tutta la parte legata all'ostinazione di questo gruppo di giornalisti per avere l'anteprima su una delle prostitute che hanno deciso di denunciare il loro carnefice, finendo così in un altro inferno legato alla protezione e al cercare di rimanere nascoste. Dopo Mungiu, forse il più famoso tra i contemporanei registi rumeni, Sitaru continua anche a lui a battersi per un cinema sociale e di denuncia, un viaggio ambizioso, un cinema teso e morale in cui si scava nell'animo di un paese che grazie alla settima arte si sta piano piano rinarrando mettendo in luce difficoltà e contraddizioni del presente e del passato come si evince da numerose scene in cui la popolazione non sembra accettare di buon occhio gli intrusi "francesi" e la loro ambizione a portare a casa qualcosa che sembra dover appartenere solo alla Romania.
Perchè Fixeur non è tanto e solo il racconto sul giornalismo che manipola la verità e che sembra più legato alle conoscenze e ai favoritismi che non alla meritocrazia, ma parte da queste riflessioni per costruire un semi-saggio sul tema della verità e della conoscenza come scontro continuo con l’etica umana e la deontologia professionale. Ancora una volta sono rimasto sorpreso da come questi registi riescano ad antemporre la riflessività al posto del ritmo.
Quando Radu trova infine il modo per parlare con la ragazzina il film raggiunge il suo culmine, mostrando una tredicenne la cui vita è stata forse irrimediabilmente rovinata da ciò che ha passato, capace di comunicare solo attraverso la sua sessualità abusata e proprio da qui da questo incontro che Radu entra in crisi nella sua lotta interiore tra sciacallaggio giornalistico e la morale che lo porta a dover compiere una scelta fondamentale.



martedì 15 novembre 2016

Katalin Varga

Titolo: Katalin Varga
Regia: Peter Strickland
Anno: 2009
Paese: Romania
Giudizio: 3/5

Katalin Varga è costretta ad abbandonare il villaggio in cui vive. Il marito ha da poco appreso che Dobrán, il figlio adolescente che credeva suo, è frutto di uno stupro di cui la moglie non aveva mai avuto il coraggio di parlargli. Ora Katalin parte con Dobrán su un carretto trainato da un cavallo. Al figlio ha detto che si stanno recando dalla nonna che è ammalata. In realtà la donna ha una meta precisa: vuole saldare i conti con quell'episodio atroce.

Ancora Strickland, in questo caso con un film controverso, scomodo e doloroso, come parte della sua finora interessantissima filmografia. A questo giro però non siamo ne in Inghilterra ne in Italia ma il regista britannico di origini greche sceglie la Transilvania ungherese, a due passi dalla Romania per questo revenge-movie classico e che strizza l'occhio al cinema muto e ai grandi autori del passato. Sembra quasi di vedere un quadro e la natura (ostile e confortevole) diventa di nuovo uno dei simboli che il regista sfrutta al massimo (in questo caso come testimone dello stupro della protagonista all'interno del bosco che come un incubo ritorna in più flash all'interno del film) in un'opera tutta legata all'atmosfera di attesa, al cercare di comprendere la psiche di Katalin sempre più compromessa e legata ad un'altra sotto-storia drammatica che prende piega e porta ad un finale pesantissimo.
L'attrice rumena Hilda Péter riesce a dare naturalezza e spessore ad un personaggio scomodo e difficile. E cosa fai infine quando scopri il tuo carnefice. Cosa fai quando incontri l'orrore nell'orrore ovvero la scelta che sembra condizionarti la vita ma che sai ti porterà in un oblio ancora maggiore.
Quando Katalin incontra lo zingaro lui le dice "Sai, il fatto che io non sia mai stato punito è di per se stesso una punizione". Allora tutto il peso legato ai sensi di colpa in questo sconosciutissimo film del regista, diventa un fatto sociale a cui dare risalto e strutturarlo con una realisticità impressionante.


martedì 6 settembre 2016

Un padre, una figlia

Titolo: Un padre, una figlia
Regia: Cristian Mungiu
Anno: 2016
Paese: Romania
Giudizio: 4/5

Romeo Aldea è medico d'ospedale una cittadina della Romania. Per sua figlia Eliza, che adora, farebbe qualsiasi cosa. Per lei, per non ferirla, lui e la moglie sono rimasti insieme per anni, senza quasi parlarsi. Ora Eliza è a un passo dal diploma e dallo spiccare il volo verso un'università inglese. È un'alunna modello, dovrebbe passare gli esami senza problemi e ottenere la media che le serve, ma, la mattina prima degli scritti, viene aggredita brutalmente nei pressi della scuola e rimane profondamente scossa. Perché non perda l'opportunità della vita, Romeo rimette in discussione i suoi principi e tutto quello che ha insegnato alla figlia, e domanda una raccomandazione, offrendo a sua volta un favore professionale.

Mungiu è uno dei nuovi talenti del cinema internazionale. Un regista rumeno che in soli tre film è riuscito ad essere determinante sotto molti punti di vista intersecando tematiche attuali e drammatiche e unendole ad uno stile personale assolutamente riconoscibile.
La normalità diceva Matheson è un concetto di maggioranza, la norma di molti e non quella di uno solo. In questo caso lo scambio reciproco di favori, il compromesso, la corruzione e il pessimismo sembrano essere le icone di un paese che in fondo non si è riusciti a cambiare.
Il futuro visto come la fuga per i giovani, e l'educazione al cambiamento fuori dalla terra natia, diventa l'unica ancora di salvezza per una generazione, quella dei genitori, troppo preoccupati e timorosi per poter cercare altre soluzioni e prima di tutto ascoltare il volere dei propri figli. E'davvero attuale e intelligente, un film che muove al punto giusto il bagagliaio dei sentimenti in maniera come sempre naturale e ricca di dialoghi efficaci e funzionali all'impianto della semina e della raccolta.
Nell'ultimo film di Mungiu quasi nessuno è simpatico.
Tutti sembrano mogi e tristi, derelitti di un paese condannato che permette solo ad una piccola elite di andare avanti senza troppi ostacoli.
La conseguenza di una scelta, come nei suoi due film precedenti diventa la scheggia da cui far partire il film, l'incidente scatenante di una circolarità di scelte e di azioni che portano ad essere inghiottiti e fagocitati dalla proprio orgoglio. Il bisogno e l'esigenza di un padre che vuole tenere tutto sotto controllo, alla ricerca di impossibili equilibri e manovre disperate per mantenere l'autocontrollo e il decoro nella speranza che la fuga da uno sfortunato paese sia il bene più prezioso da regalare a sua figlia.
Il punto cruciale del film è che alla base c'è una decisione immorale. Questo porta soprattutto gli onesti a dover fare i conti con la realtà, con le conseguenze inattese e gli effetti perversi.
Un film che riesce a tenere incollato lo spettatore nella sua intricata serie di dialoghi e differenziandosi su più piani e problematiche, riuscendo infine a trovare, come spesso capita, un equilibrio proprio nella redenzione e nella capacità di saper trovare nell'ascolto e nel libero arbitrio il bene più prezioso.
"Errare humanum est" sembra ripetere il regista dall'inizio alla fine del film.

lunedì 29 giugno 2015

Oltre le Colline

Titolo: Oltre le Colline
Regia: Cristian Mungiu
Anno: 2012
Paese: Romania
Giudizio: 4/5

Alina torna dalla Germania per convincere l’unica persona che abbia mai amato, Voichita, assieme alla quale è cresciuta nell’orfanotrofio di un piccolo centro nella Moldavia rumena, a ripartire con lei. Quest’ultima però, nonostante l’affetto per l’amica, è entrata in un convento ortodosso e non sembra disposta a rinunciare a Dio. Alina, accolta temporaneamente nel monastero, decide allora di rimanere al fianco di Voichita, sperando di farle cambiare idea. Le conseguenze saranno impensabili e tragiche.

Mungiu al suo terzo lungometraggio fa di nuovo centro facendo incetta di premi a Cannes (vincendo come miglior sceneggiatura e migliori interpretazioni femminili).
Sceglie di nuovo due protagoniste, in cui è di nuovo la più forte a farsi carico delle debolezze dell'altra, e mette ancora una volta l'uomo a lato come una sorta di mentore che altro non fa che cercare di ottenere i suoi interessi in modo autoritario (come succedeva anche per il capolavoro precedente del regista).
In questo caso non è la gravidanza e l'aborto il tema, ma la religione, lo scontro tra civiltà e diverse anime abbandonate in un luogo isolato, asettico, ostile e soffocante.
La normalità è un concetto di maggioranza, questo è il monito che le monache sembrano dettare con le loro regole dentro il monastero e a cui l'insofferenza e il rifiuto di Voichita risulta un grido disperato in una muraglia di silenzi e gelo totale.
Mungiu è partito da un fatto avvenuto in un convento sperduto della Moldavia, nel quale una ragazza ha trovato la morte in seguito ad un esorcismo, e ha trasformato la cronaca dell'evento in evento cinematografico, (ri)aprendo grazie agli strumenti del cinema ciò che la storia aveva chiuso.
Un risultato che risulta ancora più efferato e brutale, soprattutto contando che le violenze sono perlopiù psicologiche e non fisiche, una mossa astuta che il regista rumeno compie in modo magistrale.
Oltre le colline è quel grido di libertà che non verrà mai udito, un inno di amore contro ogni costrizione, spirituale, materiale, scientifica

Forse l'unica nota dolente del film è la durata e alcuni momenti che sembrano eterni, ma fanno probabilmente parte di un limbo in cui il regista ci catapulta, per farci entrare ancora di più in empatia con Voichita.

martedì 10 febbraio 2015

4 mesi, 3 settimane 2 giorni

Titolo: 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni
Regia: Cristian Mungiu
Anno: 2007
Paese: Romania
Giudizio: 5/5

Otilia e Gabjta sono due studentesse universitarie che alloggiano nel dormitorio di una città romena. Siamo negli anni che precedono la caduta del regime di Ceausescu e Gabjta affitta una stanza d'albergo in un hotel di bassa categoria. Ha un motivo preciso: con l'assistenza dell'amica ha deciso di abortire grazie anche all'intervento di un medico che però rischia l'arresto, essendo l'interruzione procurata della gravidanza un reato. Otilia resta a fianco dell'amica soffrendo intimamente per quanto sta accadendo e scoprendo progressivamente la fragilità della sua condizione umana. 

E’difficile non rimanere basiti di fronte alla fermezza e alla decisione che portano due donne fino alla tragica scelta di abortire, assumendosi rischi e pericoli in una realtà (quella rumena) ormai quasi giunta al collasso.
Affrontare un dramma come quello che ha coinvolto un’intero paese alle porte del’89 prima della caduta di Cusescu, riflette in modo essenziale lo scenario di quegli anni.
E lo fa non cercando soluzioni storiche, ma riflettendo sulle contraddizioni di una società che divide le classi sociali e punta tutto sull’egoismo estremo, in cui le contrattazioni sono all’ordine del giorno dovendosi, spesso e volentieri, accontentare di ciò che si trova in un clima di ristrettezze e precarietà.
Una palma d’oro pienamente meritata, soprattutto se si considera il tema trattato, la sua sobrietà e il suo coraggio di non far mancare nulla, regalando dei dialoghi taglienti e magistrali come quello del pranzo (sembra un piano-sequenza eterno) e il dialogo delle due protagoniste nella stanzetta sobria dell’albergo con Domnu Bebe.
Fa gelare il sangue una delle battute con cui aprendo la valigetta, Bebe è assolutamente diretto nella sua professionale etica con cui porta avanti aborti clandestini “Lei si è divertita, non io”.
Un personaggio duro e professionale che lascerà aperte molte domande.
E sono spiazzanti i contrasti con cui il regista caratterizza le sue due protagoniste.
Da un lato la fermezza, Otilia, lo sguardo serio di chi non accetta di farsi mettere i piedi in testa mantenendo sempre una caparbietà di fondo; mentre dall’altra parte, Gabjta, la totale fragilità, stranita ed estranea al mondo e a quello che le succede intorno e il suo non saper dare una voce ad un trauma che la segna come molte altre e la fa scendere a dei tragici compromessi con il suo corpo.

Il cinema di Mungiu è spietato nel suo realismo, si muove con soluzioni che rimandano al cinema d’autore e si concentra su alcuni passaggi fondamentali per comprendere il suo universo.