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lunedì 27 luglio 2020

Feast


Titolo: Feast
Regia: John Gulager
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

In un bar in mezzo al deserto, un gruppo di personaggi vengono assediati da qualcosa di soprannaturale, e restano rinchiusi nel locale per difendersi. Ingaggeranno una lotta all'ultimo sangue contro un branco di mostri subumanoidi e feroci ma solo pochi riusciranno a salvarsi.

Feast nasce da un buon progetto collettivo per cercare di dare enfasi all'horror indipendente.
Il risultato in questione è un film girato con 3 milioni di dollari tutto all'interno di un'unica location dove gli ingredienti principali sono sangue, degrado, sesso e violenza.
Creature nate da non si sa bene cosa, investite per strada e in grado di riprodursi velocemente dopo aver mangiato i loro stessi figli morti. Eroi e protagonisti che muoiono male e subito come ci ricordano i simpatici freeze-frame con la fantastica adv (aspettativa di vita dove spesso ci dicono chi morirà). Ci sono numerosissimi clichè e omaggi al cinema di genere per un montaggio forse troppo frenetico in cui non è sempre facile riuscire a seguire in particolare le scene d'azione.
Ironia nerissima, colpi di scena, assenza quasi totale di happy ending, un finale che lascia aperte numerose strade, mostri con un make-up accattivante e crudeli fino alla radice pronte a inchiappettarsi qualsiasi cosa anche delle statue di animali imbalsamati appesi al muro.
E poi bambini che muoiono molto male e oltre alle scene gore quel senso di non prendersi troppo sul serio e spingere sull'accelleratore regalando azione e budella a profusione.
Primo di una trilogia, di cui questo è certamente il migliore, Feast conserva quell'aura nostalgica e artigianale degli anni '80 preferendo buttare nel calderone tutto ma proprio tutto senza far mancare nessuna delle caratteristiche di un horror come si deve.

lunedì 30 dicembre 2019

Sposa cadavere


Titolo: Sposa cadavere
Regia: Tim Burton
Anno: 2005
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

Nell'Europa dell'Ottocento un giovane e talentuoso pianista, infila, senza saperlo, un anello di fidanzamento al dito di una donna morta. Quando questa si risveglia, conduce Victor nel mondo dell'aldilà.

La sposa cadavere è un'altra perla dell'animazione che il noto regista ci regala dopo aver già sfornato due piccoli capolavori e aspettando il 2012 con il bellissimo Frankenweenie(2012).
The Corpse bride sempre molto malinconico, prende la struttura di un'antica storia folkloristica ebrea del XVI secolo, aggiornandola e dandole uno spirito più auto-ironico in alcuni momenti e immettendone all'interno una suggestiva storia di fantasmi e l'immancabile storia d'amore.
Per essere il terzo film in stop-motion, il film ha una storia complessa essendo stato pensato inizialmente come un titolo in carne e ossa. All'ultimo minuto si pensò però di sperimentare una nuova tecnologia, rendendolo la prima produzione d'animazione ad essere girata tramite ripresa con camere fisse e in digitale.
L'atmosfera sempre malinconica e macabra con toni cupi, la presenza importante delle noti dolenti dell'immancabile Elfman, il romanticismo dark al massimo, rendono il film una vera e propria favola nera di cui il nostro regista e autore e un poeta riuscendo a creare il target perfetto per tutte le età.
Il film riesce divertendo e struggendo al tempo stesso, ad essere efficace sotto tutti i piani, con personaggi caratterizzati molto bene in grado e dotati di un'enorme umanità in alcuni casi soprattutto quando sono i morti (come succedeva per il cult Beetlejuice-Spiritello porcello) confermando di come Burton ami e tratti il mondo dei morti con una vena divertita e dandole una mitologia tutta sua, molto classica che per certi aspetti sembra aderire ad alcune simbologie religiose messicane o dell'America latina.

Fabbrica di cioccolato(2005)


Titolo: Fabbrica di cioccolato(2005)
Regia: Tim Burton
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Charlie Buckett è un ragazzino poverissimo che vive con i genitori ed i nonni in una stamberga fatiscente di una cittadina della provincia americana, nella cui skyline svetta l'immensa fabbrica di cioccolato del misterioso Willy Wonka, il cioccolataio più famoso del mondo, che non esce mai dal suo possedimento. Un giorno Wonka dà notizia di un concorso che permette ai vincitori di visitare la fabbrica…

Con tutto il bene e l'amore che si possa provare per quel grandissimo artista che ha saputo dare struttura, corpo e spessore al fantasy, è difficile perdonare un remake che nessuno voleva, dal momento che spero fino alla fine che sia stato solo un film su commissione e non per il volere personale di cimentarsi al cospetto dell'unico WILLY WONKA E LA FABBRICA DI CIOCCOLATO del '71 diretto da Mel Stuart con l'unico cioccolataio che verrà sempre ricordato nella storia del cinema ovvero l'ambiguo Gene Wilder. Il film del 2005 fa parte di quelle operazioni commerciali che riprendono i classici e li riplasmano con tanti colori in più ed effetti speciali a profusione.
La magia del film di Stuart era semplicemente quella di aver dato estro ad un personaggio molto complesso e difficile da comprendere fino alla fine, con una bipolarità alla base capace di far scomparire il sorriso a qualsiasi bambino che si trovasse tra i piedi nel paese dei balocchi.
Wilder aveva questo dono, Deep ha più quello del trasformista della maschera e del make-up piuttosto che non gli intenti e la caratterizzazione del personaggio.
Burton ha fatto un lavoro come fanno gli scolaretti intelligenti, di fatto cambiando pochissimo ma adattando in chiave post-moderna un classico degli anni '70.
Se dal punto di vista del coinvolgimento il film è minore rispetto all'originale, a cercare di arricchire con qualche trucco speciale, la sceneggiatura cerca di puntare il dito e criticare l'eccesso in tutto e per tutto dei giovani ragazzi in particolare quello audiovisivo tutto iper colorato e iper rumoroso.




domenica 27 ottobre 2019

Trevirgolaottantasette


Titolo: Trevirgolaottantasette
Regia: Valerio Mastrandrea
Anno: 2005
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Una giornata come tante in un comune cantiere romano rischia di finire in tragedia; una realtà, quella delle morti bianche, purtroppo confermata da dati statistici allarmanti.

Mastrandrea su sceneggiatura di Vicari e con Germano, Giallini e Trinca gira questo importante corto sulla tragedia delle morti sul lavoro, le "morti bianche" e il numero di 3,87, la media delle persone che ogni giorno in Italia muoiono in seguito a un incidente sul lavoro.
13' minuti dove l'incidente scatenante arriva quasi subito ma noi lo scopriamo come climax finale facendo in modo che tutta la storia che avviene dopo sia una specie di sogno o son desto, dove capita un po di tutto, dalla fanciulla dei propri sogni fino ad una festa.
Quelli che noi vediamo all'inizio nel cantiere non hanno il materiale necessario, non hanno caschetti, i ponteggi sembrano improvvisati e l'aria che tira è stagnante, come se ognuno di loro si trascinasse per fare uno sforzo e continuare il proprio lavoro.
Forse l'unica nota dolente e di averla buttata troppo nel sentimentale, con la scena con Trinca decisamente troppo lunga e inutile dal momento che aveva già detto quello che doveva (la scena del letto andava eliminata). Tra le riprese del making of che si trova su youtube alcuni momenti sono divertenti e mostrano il caro amico di Mastrandrea, Caligari sul set a dargli consigli. La loro è stata un'amicizia importante e a Valerio bisogna sempre dare merito di aver creduto e prodotto l'ultimo lavoro del regista romano scomparso pochi anni fa.

mercoledì 10 luglio 2019

Edmond


Titolo: Edmond
Regia: Stuart Gordon
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Edmun Burke è un tipico uomo d'affari di mezza età: giacca e cravatta, posato, costantemente insoddisfatto e convinto che la vita non abbia più nulla in serbo per lui.
Una sera, però, di ritorno a casa dal lavoro, scambia per una coincidenza la somiglianza tra l'orario per un appuntamento di lavoro (11:05) con il numero civico di una sedicente cartomante (115), che lo convince che la sua insoddisfazione sia dovuta al fatto di trovarsi nel posto sbagliato e che farebbe meglio a cambiare vita.
Edmond non se lo fa ripetere due volte: lascia la moglie, che comunque non amava più da tanto tempo, e parte per una grande città, in cerca di emozioni forti.

Stuart Gordon e William H.Macy in un film low budget scritto proprio a misura del talentuoso attore. Il risultato è un film che parte benissimo, sembra il cugino arrabbiato del film di Schumacher Giorno di ordinaria follia e come nella peggiore delle ipotesi diventa un viaggio all'inferno fuori dall'ordinario e con un terzo atto violentissimo e splatter.
Un viaggio tutto in una notte con grottesche situazioni che precipitano sempre nella più drammatica delle soluzioni. Edmund da sfogo ai suoi istinti repressi e al razzismo a lungo taciuto, concludendo il suo viaggio notturno nel letto di un carcere, accanto a un energumeno afroamericano che lo ha appena sodomizzato, dopo aver passato più della metà del film ad insultare le minoranze.
Una sorta di viaggio iniziatico verso l'ironica ed esorcizzante scoperta di un'omosessualità fino ad allora repressa perché temuta, e quindi – secondo Mamet, che ha scritto la piece teatrale da cui il film è tratto- desiderata e accettata.

mercoledì 6 febbraio 2019

Devil's Reject


Titolo: Devil's Reject
Regia: Rob Zombie
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Assediati dai poliziotti nella loro fattoria, i Firefly accettano lo scontro a fuoco. La madre viene arrestata, mentre Otis e Baby riescono a scappare. I due, raggiunti da Captain Spaulding, cercano di fuggire dalla morsa dello sceriffo Wydell, che, nel frattempo, ha ingaggiato anche due brutali tagliagole.

A dimostrazione che Zombie è uno dei registi horror più interessanti e prolifici, capace di destreggiarsi abilmente tra i generi, come la pellicola in questione, una delle sue perle, sequel di un filmetto che si presta ad essere soltanto citazionista.
Devil's Reject è un western che parla di bifolchi, potere, corruzione e violenza.
Figlio di quella contaminazione estetica e musicale che riesce ad aggirare lo spettro della copiatura o del già visto per tessere ragnatele che portano il suo stile ormai pienamente riconoscibile.
L'America di Zombie è il male assoluto, costellato di personaggi di cui è difficile empatizzare non essendoci spaccature tra buoni e cattivi, mettendo sullo stesso piano e come nel caso dei protagonisti creando alleanze tra figlie e padri, rifiutando la morale dell'autorità, qui sotto il cappello di uno sceriffo spietato impossibile da dimenticare, forse uno dei villain più interessanti del cinema horror.
Con una colonna sonora in grado di creare l'effetto lacrimuccia (a questo giro si supera per immensità dei brani scelti) ci troviamo di fronte ad un film che andrebbe visto e rivisto più volte per quanto indaghi appieno l'animo umano in tutta la sua ferocia e bisogno di vendetta.
Il secondo film del regista è uno degli horror più disturbanti, esagerato in senso ampio del termine, funzionale a far salire quel senso di rabbia e stupore per come prenderanno vita gli eventi, di cui nessuno può portare a niente di buono. Nel cinema di Zombie sono sempre tutti condannati, non essendoci quasi mai, e in questo caso ancora di più, buoni e cattivi assoluti.



martedì 20 febbraio 2018

2001 Maniacs


Titolo: 2001 Maniacs
Regia: Tim Sullivan
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Alcuni studenti universitari, in occasione delle vacanze estive, decidono di recarsi a Daytona Beach, ma un imprevisto gli costringe a fermarsi in una piccola cittadina a mala pena segnata sulla mappa. Gli abitanti, impegnati nei preparativi per la loro festa annuale gli accolgono molto bene, invitandoli a fermarsi ancora con loro, ma i ragazzi non sanno che in realtà la festa é solo una scusa per porre in atto un macabro rituale...

2001 è un remake del classico TWO THOUSAND MANIACS di quel pazzo di nome Herschell Gordon Lewis che contribui a dare vita al filone dello "slasher movie".
A differenza del film originale qui il target e i protagonisti riprendono il filone del teen horror, con dei giovani che diventano carne da macello risultando celebrolesi solo in cerca di divertimento e sesso.
Ci sono remake di cui non si sente il bisogno o meglio non riescono mai ad azzeccare quasi nulla rispetto all'originale. Il film di Sullivan pur come dicevo aderendo ai canoni del filone teen-comedy è un remake coi fiocchi che non sfigura di certo rispetto all'originale.
C'è tantissimo sangue, frattaglie e budella come a sottolineare gli aspetti che prevalgono del sotto-genere.
C'è poi una metafora politica relativa ai contrasti tra nord e sud e quasi tutto il primo atto e parte del secondo mostra culi e tette in grandi quantità come a distrarre la carne da macello e noi spettatori su alcune lacune nella sceneggiatura dall'arrivo degli ospiti a Pleasentville.
Inoltre Sullivan che deve essere un mestierante, ha cercato di infarcire il film il più possibile con un ritmo che non stacca un attimo e buttandosi su trovate e scene ad effetto che se pur non riescono mai a far paura a causa anche dell'impianto ironico del film, giocano bene le loro carte tra evirazioni e sbudellamenti.
2001 come gli abitanti della cittadina sudista capeggiata da un Englund in gran forma e con tutti i bifolchi gregari che come sempre fanno paura più di qualsiasi mostro.
Un film tutto sommato divertente, passato purtroppo in sordina o solo straight to video, creato dal trio composto da Tim Roth, Tim Sullivan e Scott Spiegel.



sabato 27 giugno 2015

Marathon

Titolo: Marathon
Regia: Yoon-Chul Chung
Anno: 2005
Paese: Corea del Sud
Festival: Cinemautismo 2015
Giudizio: 4/5

Cho-wun, un ragazzo con autismo, adora le zebre e ha un’unica passione: la corsa. Grazie al supporto della madre e di un insegnante alcolizzato, il giovane riuscirà ad allenarsi per partecipare ad una maratona.

Il film è basato su una storia vera. Per due anni il regista Jeong Yun-Cheol ha intervistato Bae Hyeong-Jin, il ragazzo che ha ispirato il personaggio di Cho-Won.
Negli ultimi anni Bae è diventato una celebrità dopo aver partecipato a varie maratone.
Ha partecipato ad alcuni talk show ed è apparso in spot televisivi.
Marathon è un film che trova nei momenti di poesia e di lirismo, avvincenti ed emozionanti, uno dei momenti più toccanti di questa intensa pellicola che riesce nel difficile compito di tenere in equilibrio un concentrato di sentimenti unendo dramma e stupore senza ingenuità, e senza scene troppo melense e momenti patetici.
Un film con una costruzione molto solida emozionando in molti casi fino al pianto ma senza incappare in errori o scene strappalacrime.
Si scava a fondo nell'anima del dolore, della fragilità, dell'accettazione (la madre) e del coraggio, la pazienza e la novità di un'esterno che entra in un mondo a lui sconosciuto (l'allenatore).
L'outsider Jung Yoon-chul, mantiene salda l'attenzione sui personaggi e costruisce tutto il film nel teso rapporto tra la madre e il ragazzo.
Lei permea di cure il figlio, senza rendersi conto che così facendo soffoca qualsiasi suo istinto, tenendolo lontano dai guai, dallo scherno della gente, dall'incomprensione, ma anche non permettendogli di evolvere, di sbocciare.
Grazie all'incontro con l'allenatore in un rapporto che nella scena degli allenamenti trova uno dei momenti forse più toccanti, si passa dalla depressione e svogliatezza del co-protagonista Jung-wook, ex corridore con rimpianti, il quale sarà proprio lui a far erompere le contraddizioni, quando molto lentamente riesce a trovare uno spiraglio di comunicazione con Cho-won.
Cho Seung-woo regala una performance impressionante entrando in un personaggio e facendolo subito suo: ogni suo gesto, ogni suo sguardo è al contempo un lampo di dolore e gioia di vivere.

Un film profondo, sincero e importante, non banale nel raccontare le difficoltà di rapportarsi al disagio, l'imbarazzo, il rammarico e la gioia, nel presentare gli errori come le conquiste quotidiane  

lunedì 27 aprile 2015

Truman Capote

Titolo: Truman Capote
Regia: Bennett Miller
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Kansas, 1959. Con i proventi della vendita dei diritti per il film sul libro Colazione da Tiffany, Truman Capote decide di dedicarsi per 6 anni alla stesura di un romanzo-documento, descrivendo con cinismo e freddezza l'assassinio di un'intera famiglia di Holcomb. I Clutter infatti furono sterminati da due assassini, quasi immediatamente catturati e condannati alla pena capitale.
Capote, anche grazie all'aiuto dell'amica d'infanzia Harper Lee, ha accesso ai verbali e alle foto delle indagini e riesce per lungo tempo ad avere contatti con i due assassini, in particolare con Perry Smith, di origini irlandesi e cherokee, ossessionato dalla cultura quanto spietato nella realtà.
Capote apre il lato umano dell'assassino, facendosi infine rivelare i reali fatti accaduti quel giorno in Kansas.

A sangue freddo è il romanzo più famoso di Truman Capote del 1965.
Lo scrittore, il giornalista, il drammaturgo, lo sceneggiatore, attore e dialoghista statunitense ha dato vita al primo romanzo reportage o romanzo verità della storia della letteratura. Necessario dunque per il cinema narrare il personaggio e le sue gesta. A sangue freddo inoltre è stato molto importante perchè imparziale, dunque ancora più crudo nel descrivere la società americana in un cinismo a tutti gli effetti attento e geniale.
E'strano non fare un pensiero su come Hollywood cerchi sempre più strade come in questo caso il film uscito l'anno successivo, INFAMOUS, certo con uno svolgimento diverso ma che riprende il personaggio di Capote.
Philip Seymour Hoffman vs Toby Jones.
Il film di Miller ha il merito di non voler descrivere il processo, la prigionia degli assassini e la pena di morte e soprattutto di non cercare come il suo cinema dimostra, anche nei film successivi, un forzato sensazionalismo (ARTE DI VINCERE, FOXCATCHER)
E' invece patinato, elegante, intellettuale e lascia sempre lo spettatore custode di numerosi interrogativi. Interrogativi che portano Miller ad essere oltremodo un regista sul tema dell'ambiguità. Una scelta e una strada difficile ma che il talentuoso regista sembra analizzare nelle sue varie componenti, in questo caso, potendo fare affidamento su un soggetto che si sposa perfettamente con i suoi intenti.
Un'ambiguità che emerge dalla scelta di Capote e dai contrasti con Perry, gli stessi contrasti che geograficamente mettono a confronto New York con il Kansas.
Una ossessione quella di Capote e non di Miller, di cercare un sodalizio tra arte ed estetica.
Dopo il romanzo non scriverà più nulla intrappolato tra opere incompiute e dilemmi esistenziali.
"E' come se io e Perry fossimo cresciuti nella stessa casa. E un giorno lui è uscito dalla porta sul retro e io da quella davanti".


sabato 14 febbraio 2015

Mele di Adamo

Titolo: Mele di Adamo
Regia: Anders Thomas Jensen
Anno: 2005
Paese: Danimarca
Giudizio: 3/5

Adam, neonazista appena uscito di prigione, deve trascorrere un periodo di recupero in un vicariato di campagna, sotto la tutela di Padre Ivan, curioso e inquieto parroco protestante. Dovendo indicare un obiettivo finale della sua permanenza, Adam dichiara di voler realizzare una torta di mele con i frutti di un albero che cresce vicino alla chiesa.

L'essenziale è invisibile agli occhi vorrebbe poter dire Padre Ivan anche se è lui stesso per primo a non distinguere in modo lucido la realtà. Le mele di Adamo, primo lungometraggio dello sceneggiatore di NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI, è una riflessione e una lunga analisi, che traspare quasi tutta da importanti dialoghi tra due individui apparentemente inconciliabili, sul potere della fede o meglio di come la fede viene strumentalizzata dai suoi “servitori”.
Un film in cui i corpi si prestano a una lunga battaglia che se da principio sembra vedere vittima e carnefice, man mano diventa più complesso e metafisico, storpiando solo in alcuni momenti la realtà e inserendovi degli elementi assolutamente irreali o poco chiari, in cui a pagarne le spese più grosse è purtroppo il climax finale che non riesce ad essere in linea con il resto del film.

La provocazione iniziata da Padre Ivan che poi si sposta su di lui da parte di Adam, non si riduce alla manicheistica questione se il male provenga da Dio o da Satana, invece la possibilità di scelta che ci riguarda tutti, tendando di sopravvivere ignorando la realtà (Ivan) oppure cominciando a guardarla con altri occhi (Adam), e in tutti e due i casi affidandosi ad un sistema simbolico organizzatore di senso (che vale per la religione come per le ideologie).

Zerophilia

Titolo: Zerophilia
Regia: Martin Curland
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Una condizione genetica particolare determina cambiamenti di genere a seguito di rapporti sessuali.Questo è il fantasioso presupposto alla base delle situazioni comiche che vedono protagonista un ragazzo insicuro e incerto sulla sua mascolinità alle prese con l'altro sesso.

Zerophilia è un teen movie abbastanza ingenuotto, che non accenna quasi mai a prendersi sul serio. Almeno fino alla sequenza finale in cui l’amplesso raggiunto dalla coppia di partner, che si scambiano i ruoli dal giorno alla notte, segna almeno un’idea e un’immagine poco sfruttata nel cinema.
Prodotto per il cinema ma trasmesso solo in tv, il film di Curland purtroppo ha diversi limiti come quello di puntare su una recitazione bassa, in cui gli attori si divertono senza prendere mai sul serio la vicenda, oppure su scelta di Curland, giocare proprio sul gioco degli assurdi e degli equivoci, ma in questo caso il rischio è ancora maggiore perché la strana condizione genetica che attanaglia questi giovani (sembra quasi una licantropia) rimane posticcia e un’idea che certo in altre mani poteva essere sfruttata meglio.

venerdì 19 dicembre 2014

Cacciatore di teste

Titolo: Cacciatore di teste
Regia: Costantin Costa Gravas
Anno: 2005
Paese: Belgio/Francia/Spagna
Giudizio: 3/5

Bruno Davert è un dirigente della cartiera dove lavora da quindici anni. Benché sia un lavoratore serio e coscienzioso, un giorno viene licenziato insieme a un centinaio di colleghi a causa di una ridistribuzione economica. Convinto di essere ancora giovane e di avere competenze soddisfacenti, pensa di poter trovare in breve tempo un altro lavoro simile a quello perduto. Tre anni dopo, essendo ancora disoccupato, Bruno è angosciato perché non trova il modo di continuare a garantire un livello di vita soddisfacente per la sua famiglia.

Un astuto film sulla crisi mancava.
Il fatto che un autore come Costa Gravas abbia colto tutti di sorpresa anticipando i tempi, è un elemento sintomatico di come alcuni registi captino alcuni reali problemi della società in generale e prontamente si cimentino per darle una voce suonando incessantemente sirene di emergenza.
Tratto dal romanzo di Westlake, il film per tutta la sua durata unisce toni grotteschi e in alcuni casi elementi difficilmente realistici che diventano una sorta di parodia tragicomica.
La maldestraggine quasi assurda del killer improvvisato che commette errori a ripetizione fino addirittura a seminare per sbaglio un cadavere in più, ma senza mai subire conseguenze è solo uno degli assurdi, giocato con un'emblematica metafora, sui cui si dipana la storia.
Colpire chi come noi e non coloro che sono al vertice della piramide sociale è l'ulteriore elemento di disperazione di una classe che forse per paura, forse perchè sembra più semplice colpire chi è come noi, diventa un manifesto di disperazione e alienazione.
Bruno, il suo rapporto con la famiglia e soprattutto con la moglie, diventa il cittadino colto e intellettuale, l'esempio perfetto di come una persona benestante e aristocratica, possa immediatamente buttarsi e perdere il controllo pur mantenendo, una sorta di normalità tuttavia psicotica come se da un momento all'altro tutto potesse implodere.
Un film paradossale, ironico, impietoso e per certi versi distante dal cinema tradizionale del regista greco adottato dalla Francia, che fa centro con una commedia con dei toni per certi versi quasi da thriller, che però, va detto, in alcuni punti forza volutamente alcune scene portando lo spettatore a ridere e al contempo a una sospensione dell'incredulità macchinosa e per certi versi forzatache crea una contaminazione di stati d'animo.

martedì 2 dicembre 2014

Protector

Titolo: Protector
Regia: Prachya Pinkaew
Anno: 2005
Paese: Thailandia
Giudizio: 2/5

Mai rubare gli elefanti a un esperto di arti marziali, le conseguenze potrebbero essere terribili. La storia di The Protector racconta l'impresa di Kham, giovane combattente alla ricerca dei suoi elefanti, destinati al Re della Thailandia, ma rubati da un gruppo di criminali che, per ottenerli, hanno anche sparato a suo padre. Per recuperare i due esemplari, che Kham tratta come fossero membri di famiglia, il giovane dovrà arrivare fino in Australia

Ritorna Tony Jaa diretto dallo stesso regista del notevole ONG BAK, film che ha portato fama internazionale all'attore facendo scoprire le sue incredibili doti e portando l'attenzione generale del cinema di genere sull'action thailandese quasi sconosciuto.
Ora il problema di The Protector è proprio quello di insistere su alcuni clichè della cinematografia di arti marziali che poco aggiungono alla banale struttura che niente aggiunge alla trama.
In questo caso come anche nella saga precedente, si ritorna all'elefante, come pretesto dal momento che in Thailandia gode di enorme prestigio ed è un animale sacro. Pinkaew proprio avendo un budget alto, un buon cast, commette proprio quegli errori che non dovrebbe ripetendo come in un copia/incolla, le stesse regole e struttura del suo cinema, senza osare o puntare su nulla che non sia già stato detto.
Un peccato soprattutto quando anche i combattimenti sanno di già visto.

mercoledì 19 novembre 2014

Proposta

Titolo: Proposta
Regia: John Hillcoat
Anno: 2005
Paese: Australia/Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

Fine ottocento. Outback australiano: il capitano Stanley cattura Charlie e Mike, due dei quattro fratelli Burns, fuorilegge responsabili di stupri e omicidi, e fa un patto con Charlie: la testa di Arthur, il fratello maggiore, principale ideatore ed esecutore delle efferatezze, in cambio della grazia per lui e Mike. Charlie accetta ma la proposta di Stanley non è gradita ai superiori che vogliono, invece, eliminare tutta la banda.

Hillcoat è uno dei registi più interessati del panorama australiano.
I motivi sono diversi, dalle scelte alle tematiche che tratta, agli scenari e al panorama letterario che predilige, infine per il suo amore verso il western, che tra le sue mani prende una piega diversa e sicuramente originale sostituendo gli stati del west nordamericano con l'outback australiano, i pellerossa con gli aborigeni, e infine i cowboys con gli Inglesi.
Leggere che la sceneggiatura poi è stata scritta da Nick Cave non sorprende visto il sodalizio tra i due e le musiche originali spesso composte dallo stesso musicista.
In questo caso Hillcoat e Cave non si sono fatti sfuggire un'idea davvero interessante e originale che da sicuramente spessore alla vicenda, dandogli quelle connotazioni culturali in grado di promuoverlo a tutti gli effetti per la funzionalità in tutto l'apparato narrativo e la messa in scena come sempre atipica per un regista attento nel pensare e dare forma e significato ad ogni singola inquadratura.
Unire l'epoca dei primi insediamenti coloni di origine europea, immortalata in centinaia di film, che costituiscono il cinema di genere per antonomasia, e sposarla con la cultura degli aborigeni (schivi come da loro natura, impenetrabili custodi di segreti violati dall'uomo bianco che li ha resi prima schiavi e poi perseguitati come criminali anche se il film slitta in parte dalla responsabilità di denunciare questa realtà, ancora tangibile ai nostri giorni e non ancora vendicata) è stata come prima dicevo una mossa astuta e al contempo originale.
In più un viaggio dell'anti-eroe, curioso in uno spazio rurale inesplorato, regala alla pellicola quella componente in più che si sposa con le stupefacenti location, trovando nelle ottime prove attoriali un contributo che trasmette ancora più realisticità alla vicenda.
Charlie ancora una volta, come molti dei protagonisti dei film del regista, non parla molto, come gli aborigeni, osserva, pensa, riflette e agisce, in questo Charlie come anti-eroe, si pone perfettamente in linea con lo spirito e gli intenti del film.
Il cinema di Hillcoat è tutto così.
Intessuto di uno stile ipnotico e scarno, pervaso da una violenza spietata che non lascia pause o riflessioni e dall'altro personaggi e momenti di poeticità di assoluta aderenza estetica che in un paese ostile come l'Australia e con un ottimo direttore della fotografia, toccano davvero punte di visionarietà impressionanti con scenari suggestivi e quasi primitivi.

lunedì 23 giugno 2014

Mindscape of Alan Moore

Titolo: Mindscape of Alan Moore
Regia: Dez Vylenz
Anno: 2005
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

La verità è molto più spaventosa, nessuno è al comando. Il mondo è alla deriva.

Alan Moore è un outsider a tutti gli effetti come altri importanti personaggi di questo secolo.
In questa discussione aperta e faccia a faccia con la telecamera, si racconta, in realtà dà una sua testimonianza su quella che viene sintetizzata come una piccola biografia.
Come molti che poi si sono rivelati dei grandi autodidatti non andava bene a scuola, era sociopatico e non gli fregava nulla del lavoro se non della sua arte.
Tra i tanti temi che tratta alcune delle sue massime potrebbero essere così riassunte: 1.arte e magia sono la stessa cosa poichè mutano la coscienza, 2."Purtroppo abbiamo tutti gli stessi pensieri banali, e tutti nello stesso momento", 3.Bisogna temere chi ha potere riguardo alle parole, 4.Gli artisti danno al pubblico ciò di cui hanno bisogno, 5.La conoscenza del nostro vero Io è la cosa più importante e per finire che l'apocalisse significa anche rivelazione.
Oltre a temi universali, l'importanza totale della magia e altre questioni più criptiche, Moore da anche un'ampia analisi delle sue opere cercando di dare allo spettatore il bisogno e la necessità di raccontare quel tipo di storie in quella determinata maniera.
Infine non mi sorprende che nessuno dei film tratti dalle sue opere, sia piaciuto all'artista.





venerdì 9 maggio 2014

Lord of War-Il Signore della Guerra

Titolo: Lord of War-Il Signore della Guerra
Regia: Andrew Niccol
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Yuri Orlov è un trentenne ucraino immigrato con la famiglia negli Stati Uniti con tanta voglia di emergere, ma pochi mezzo per farlo. Un giorno Yuri - uno straordinario Nicolas Cage - intuisce che il traffico d'armi può diventare il suo passaporto verso la vita agiata che ha sempre sognato e infatti, in breve tempo, conquista tutto ciò che desidera: soldi, potere e la donna dei suoi sogni. Alla sua rapida ascesa si oppone però Jack Valentine, un giovane agente idealista dell'Interpool, interpretato da Ethan Hawke.

Alcuni film con la scusa che sono "film di denuncia"sembrano smarcare bene tutta una serie di problemi e dati imbarazzanti su cui il terzo film di Niccol cade troppo facilmente.
La risultante di una costruzione troppo americana nei suoi tempi e nel suo bisogno di comunicare con freschezza alcuni dati così terribili e spiazzanti, lascia perlomeno stupefatti e forse increduli.
Difficile non sentirsi schiaffeggiati dopo un ingenuo film dal taglio di denuncia che invece sembra rispettare al meglio, con una costruzione furbetta e modaiola, un percorso difficile di sangue e decisioni quanto mai spiazzanti sul piano etico che però non apportano nessuna riflessione che non si dimentichi e non venga rimpiazzata da qualche culo o da qualche striscia di cocaina nel giro di pochi secondi.
Cage e Leto che sono due fratelli Ucraini, sembrano quasi due boss agli esordi che nel traffico delle armi (su cui nella fase preparatoria il film è molto attento a non spiegare nulla, cadendo nella prima imbarazzante ingenuità) trovano la loro miniera d'oro e da lì in avanti sembra quasi di vedere BLOW mischiato a BLOOD DIAMOND.
La faccenda è spessa e il tema è quanto mai importante e serioso per cui devo proprio dirlo: la mancanza di tatto e sensibilità in questo film mi ha lasciato profondamente basito in primo luogo perchè il film di Niccol non inquadra e non trasmette un bel niente, però negli intenti cerca e trova una formula che piace molto alla critica e buona parte del pubblico.

giovedì 24 aprile 2014

Pusher 3

Titolo: Pusher 3
Regia: Nicolas Winding Refn
Anno: 2005
Paese: Danimarca
Giudizio: 4/5

Milo, lo spacciatore serbo coprotagonista del primo film della trilogia, si è iscritto all'Anonima Tossicodipendenti. Lo incontriamo nel corso di una seduta lo stesso giorno in cui si è autoproposto per cucinare per 50 invitati al compleanno in grande stile di Milena, la figlia venticinquenne. Nel corso della stessa giornata dovrà affrontare lo smercio di una partita di Ecstasy (droga che non ha mai trattato) e affrontare la dura ostilità di malviventi albanesi e polacchi.

Con il terzo capitolo, Refn chiude la sua saga ambientata nella capitale danese.
Tutto si svolge in una intensa giornata in cui Milo (il serbo del primo "Pusher") si trova enormemente sotto pressione e diviso tra l'organizzazione del compleanno della figlia e una partita di ecstasy da piazzare in giornata.
Milo tra i tre protagonisti della saga, rappresenta quello con più esperienza, lo spacciatore che cerca un cammino di redenzione. Non a caso la prima scena lo inquadra in un centro per disintossicarsi dalla droga. La cucina sembra essere l'elemento entomologico con cui Refn prepara delle pietanze quasi sempre ottime, come nella scena in cui Milo salva una prostituta da un futuro di inusuale violenza.
Milo rappresenta la vecchia scuola che si scontra con la nuova, senza regole, soggetta solo a dettare leggi senza portare rispetto e dominata da un'amoralità assoluta.
Il climax finale della cena, e la dura lotta di Milo per risolvere un pantano che sembra indirizzarlo solo verso un destino tragico, è fantastica e fa emergere tutti i contrasti nella dualità del protagonista tra i valori famigliari ed il mondo degli affari illeciti.
Senza stare a dire che il cast è credibilissimo (in tutta la saga underground) e trasmette anche alla pellicola, quella credibilità, che un film di questo tipo necessità, Milo è ciò che rappresenta, si concretizza perfettamente con l'attore Zlatko Buric che è come un patriarca della droga in decadenza, ma che ha ancora qualcosa da dire alla nuove leve della criminalità.

domenica 9 marzo 2014

Creep

Titolo: Creep
Regia: Cristopher Smith
Anno: 2005
Paese: Gran Bretagna/Germania
Giudizio: 2/5

Kate è una giovane donna rimasta intrappolata nella metropolitana di Londra. Minacciata e inseguita da entità tanto misteriose quanto pericolose, nella sua fuga disperata avrà modo di scoprire alcuni dei numerosi segreti che abitano nel labirinto di tunnel che si trova sotto la capitale inglese, quattrocento chilometri di buio, paura e cemento

Cristopher Smith è un regista che stimo per il coraggio e i continui sforzi che dimostra.
E'uno di quegli autori che lotta con le produzioni per poter fare ciò che più gli piace.
Creep è il suo horror d'esordio. Appena uscito mi piacque e non poco, credo principalmente per due aspetti: il mostro e la location della metropolitana.
E'un film furbetto che parte con un incidente scatenante piuttosto telefonato oltre un obbiettivo abbastanza banalotto come quello della protagonista di incontrare George Clooney.
L'aspetto più riuscito è sicuramente l'aver spostato quasi tutta l'azione nella stazione della metro, che diventa un lento e inquietante labirinto con delle buone scene e qualche accorgimento interessante. Il problema invece, è proprio nella suspance che ad un tratto si affloscia, arrivando quasi ad un certo punto a fare il tifo per la creatura.
Per fortuna che Smith dopo ha saputo regalarci SEVERANCE,TRIANGLE e poi BLACK DEATH.


lunedì 9 dicembre 2013

Fratelli Grimm e l'incantevole strega

Titolo: Fratelli Grimm e l'incantevole strega
Regia: Terry Gilliam
Anno: 2005
Paese: Repubblica Ceca/Usa
Giudizio: 3/5

Nella Francia di Napoleone, due fratelli Will e Jack, girano per le campagne truffando i contadini con finte formule magiche ed esorcismi che secondo loro daranno protezione dai demoni e mostri. Quando le autorità però scoprono la farsa, i due sono costretti a rifugiarsi in una foresta che risulterà veramente magica e abitata da una maga..

Da grandi poteri visionari derivano grosse responsabilità d'effetto. Ecco potrebbe essere la log-line che accompagna la rivisitazione di Gilliam sui Fratelli Grim e le loro gesta. Certo qui appaiono più in chiave di caccitori di streghe e di mostri, alternando le trovate in campo scenografico a una leggera ironia di fondo, che se da subito si fa apprezare, rischia dopo un pò di essere pedante.
Certo la visionarietà in molte scene e ben presente e certo è anche vero che non tutte le opere di un regista possono avere gli stessi fasti. In una filmografia controcorrente come la sua, passi falsi o perlopiù passi forse con derive un pò troppo commerciali si rischia di incappare in questi pericoli.
Pur mettendo in conto le travagliate vicende produttive di questa pellicola, che comprendono il licenziamento dell'eclettico e fidato direttore della fotografia di Gilliam, Nicola Pecorini, la sostituzione del musicista Goran Bregovic, a cui era stata affidata la colonna sonora, con il più convenzionale Dario Marianelli, oltre ad una temporanea pausa nella realizzazione del film, durante la quale il regista ha avuto pure il tempo per dirigere un nuovo progetto, il meraviglioso TIDELAND, si ritorna alla solita maledizione che sembra accompagnare il regista nella realizzazione dei suoi progetti.
Pur contando che la fondamentis del film è sempre una fiaba, seppur forse troppo lungo e in alcune scene si vede che sembra essere macchinoso pur con le dovute difficoltà elencate prima, ci sono sempre ottimi momenti di cinema, spunti interessanti e trovate che devono il merito ad un immaginazione e una creatività di uno dei pochi outsider americani rimasti.


sabato 14 settembre 2013

Piggy Banks

Titolo: Piggy Banks
Regia: Morgan J.Freeman
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

John e Michael sono cresciuti dal padre, uno psicopatico che viaggia di città in città uccidendo casualmente persone incontrate sulla sua strada per impossessarsi del loro denaro e della loro casa. Mentre Michael prova piacere a torturare e uccidere giovani…

Come a riprova di quanto sia importante la storia e il filo logico in un film, l'errore più grande di Freeman J. È quello di fare un film senza ne capo ne coda, inseguendo percorsi introspettivi a discapito di una storia che vorrebbe essere molto malata ma invece finisce solo per annoiare.
Anche il titolo,”Piggy Banks”, risulta perfidamente sinistro. L’idea di associare il classico salvadanaio a forma di maialino alle vittime, utilizzate appunto come contenitori di porcellana da rompere e derubare, sembra promettere bene.
Purtroppo il taglio televisivo, gli attori incapaci in cui svetta il redivivo Sizemore non aiutano a un prodotto davvero senza un perchè e senza risucire a prendere mai una strada specifica deviando in tutte le direzioni e aumentando il non-sense generale della storia.
Io non so se il regista forse avendo girato AMERICAN PSYCHO 2, ennesima cagata, voleva portare a compimento un suo particolare sguardo sui serial killer e via dicendo cercando di giocare sulla psicologia e cercando di ispezionare la loro psiche. Secondo me dovrebbe lasciare perdere...