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lunedì 16 agosto 2021

Alba dei morti viventi (2004)


Titolo: Alba dei morti viventi (2004)
Regia: Zack Snyder
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Di fronte ad un attacco di zombie un gruppo di persone si barrica all'interno di un centro commerciale nel tentativo di difendersi.
 
Il remake del cult di Romero è affidato a quello Snyder che divide critica e pubblico come Michael Bay e altri mestieranti di Hollywood che amano farcire e fare un uso esagerato di c.g a dispetto della classicità con cui gli autori affrontano le proprie opere. In questo caso per quest'horror-buster lo stile di Snyder ci poteva anche stare, seguendo per fortuna non in maniera copia/incolla il film del 1979 ma rendendolo più pop e pulp per alcuni aspetti. Di sicuro non annoia anche se alcuni personaggi risultano caratterizzati male, le scene d'azione sono violente ma mai spettacolari e il bimbo-zombie sortisce l'effetto inverso risultando di pessimo gusto. Allo stesso tempo la donna obesa così come il vicino del palazzo accanto sono scelte funzionali per un film che di fatto racconta la mattanza tra umani rimasti intrappolati in un centro commerciale e zombie.
L'elemento che poteva fare la differenza era la sceneggiatura di quel pazzo di James Gunn dove infatti quel poco di buono si salva grazie ai colpi di scena e non ad una regia pubblicitaria e videoclippara per amanti vidioti dei colpi bassi

martedì 17 novembre 2020

Darkhunters


Titolo: Darkhunters
Regia: Johannes Roberts
Anno: 2004
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 1/5

Incastrato tra la vita e la morte, Charles Jackson identifica la sua unica speranza per raggiungere definitivamente l’aldilà nella dark hunter Carol Miller, cacciatrice inviata da Dio per traghettare le anime dimenticate verso la fine e proteggerle da figure poco raccomandabili che ne sono costantemente alla ricerca. come ora è alla ricerca di quella di Charles.

Da evitare con cura sotto molti e ben evidenti aspetti. Partiamo dalla regia di uno sconosciuto che risponde al nome di Johannes Roberts con ben due terribili pellicole all'attivo. La regia è piatta, banale e scontata. Pochi e brutti oltre che scontati colpi di scena per un film che raccoglie solo lacune in una storia confusa che rotola verso l’auto implosione. Il lato tecnico andrebbe eclissato così come gli effetti in computer grafica fatti veramente male e questo lo si può notare dopo una manciata di minuti.
Di solito io incoraggio sempre le pellicole a basso budget purchè dietro ci sia un bel soggetto trasposto in tanti bei dialoghi e che certo non si cerchi di strafare sapendo di non poterselo permettere. Questo film deraglia completamente pur avendo dalla sua un bravo attore come Dominique Pinon.

domenica 29 settembre 2019

Mysterious Skin

Titolo: Mysterious Skin
Regia: Gregg Araki
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 5/5

L'estate del 1981 segna una svolta definitiva per due ragazzini di otto anni, per motivi diversi. Uno (straordinario Joseph Gordon-Levitt) è oggetto dell'abuso continuato e non rifiutato del coach della squadra di baseball; l'altro viene rapito dagli alieni, con conseguenze irreparabili sulla sua maturazione

Non sempre ma arriva un momento di svolta per un regista. Quel momento di maturità che sembra consolidarsi come se di fatto tutte le sue più significative componenti erano già lì da sempre, pronte ad aspettare quel momento per emergere tutte. Così è stato grazie ad un bellissimo libro diventato un film che nella tematica queer ha pochi eguali nel cinema.
Gregg Araki ha tormentato la mia adolescenza con film ai limiti che osavano, che non risparmiavano nulla, che regalavano scene esagerate e fantastiche, finali censurati passati su uno schermo nero per tutto un secondo tempo alla televisione e poi un linguaggio fuori dal normale, sboccato, provocatorio, dissacrante, ma valido e funzionale a rendere una generazione per quello che era veramente. Di fatto almeno per ora Mysterious Skin è l'unico film veramente drammatico e di spessore del regista. Una filmografia spesso discontinua con alcuni film mai distribuiti e un talento spesso messo in discussione soprattutto dalla critica.
Doom Generation è stato un cult almeno per il sottoscritto e forse il capitolo più interessante della trilogia. Traumatico e realistico, Mysterious Skin non fa sconti, sbatte la realtà e la pedofilia trattandola in una maniera atipica e speciale come non si è mai vista nel cinema, parlando di rapporti di una violenza psicologica alienante portando chi a prostituirsi rivivendo e rimettendosi sempre in discussione, oppure chi ha cercato di estraniarsi addirittura chiamando in causa gli alieni.
Una città popolata di bifolchi dove le istituzioni non esistono o sono complici, le famiglie sono spezzate e distanti dai problemi dei figli, l'unica salvezza è l'amicizia fatta di outsider che ancora una volta nel cinema di Araki riflettono una lucidità e una profondità importante e sempre valorizzata. Di una violenza reale e mai risparmiata, alcune scene davvero sono un grido disperato e messo in scena in maniera perfetta senza mai sbavature. Come sempre una colonna sonora importante e figlia di un'epoca che Araki si porta sempre dietro, un cast formidabile per scelta e spessore nell'immedesimazione dei personaggi.
Mysterious Skin è un film che colpisce, fa male davvero, porta a tanti pensieri e riflessioni, non perde mai la sua potenza narrativa e attoriale e andrebbe rivisto più e più volte per dare anche un contesto diverso, mai tracciato in questo modo sulla pedofilia e sui rapporti tra vittima e carnefice.

venerdì 14 giugno 2019

Wolf Creek


Titolo: Wolf Creek
Regia: Greg McLean
Anno: 2004
Paese: Australia
Giudizio: 3/5

Liz, Kristy e Ben sono in viaggio in auto alla scoperta dell'outback australiano. Dopo un'escursione nel parco nazionale di Wolf Creek, i tre scoprono che la loro auto non parte. Un aiuto inatteso arriva da un carro attrezzi guidato da Mick, che si offre di riparare la macchina, dopo averla condotta alla sua officina. Una volta lì i ragazzi si addormentano intorno a un falò, mentre il meccanico comincia a lavorare. Ma quando Liz si sveglia si trova legata e imbavagliata. È l'inizio dell'incubo.

Cosa ci sarà mai di così affascinante nel deserto australiano? E' la metà privilegiata per chi medita una morte rapida senza contare che i suoi resti probabilmente non verranno mai trovati.
Ci troviamo nell'outback australiano quello osannato da tanto cinema horror post contemporaneo, quello dove il tasso di persone scomparse è il più alto da sempre e dove sembrano vivere nella flora e nella fauna animali e insetti in grado di ucciderti in pochi secondi.
Un gruppo di baldi giovani, teen disposti a tutto pur di non lasciarsi scappare le bellezze della natura e un bifolco che non sa più cosa fare per intrattenere il tempo oltre ad uccidere la gente, in particolare i turisti.
McLean si è consacrato all'horror con questi due slasher cruenti e che se è pur vero che parlano del solito gruppo di ragazzi e di un killer spietato che gli segue, tra il panorama e alcuni aspetti culturali, Wolf Creek è diventata una piccola chicca non solo in patria. A fatto seguito uno slasher ancor più violento Wolf Creek 2 e una mini serie davvero brutta Wolf creek-Season 1
Senza infamia e senza gloria, il film procede co un buon ritmo, facendo incetta di stereotipi ma senza mancare l'obbiettivo ovvero l'atmosfera e la suspance che seppur con qualche scivolone, funziona alla grande. Wolf Creek poi divenne famoso per essersi basato sulle truci gesta di Ivan Milat, serial killer di saccopelisti che a quanto pare terrorizzò l'Australia negli anni '90.

giovedì 11 aprile 2019

Dirty Shame


Titolo: Dirty Shame
Regia: John Waters
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Sylvia è una donna di mezza età, sposata e totalmente assorbita dalle faccende di casa, che si nega alle gioie del sesso. L'incontro con Ray-Ray Perkins muterà radicalmente la sua apertura nei confronti della carnalità.

John Waters è uno dei registi che mi ha regalato più sensazioni e adrenalina per quanto concerne la settima arte. Facente parte della vecchia scuola, diciamo che lui, l'esercito della Troma e pochi altri registi hanno saputo essere così sfacciatamente in grado di regalare tutto ciò per cui il pubblico adora il trash. Quando da noi si parlava o aveva successo la commedia scollacciata, che non ho mai amato, non facevo che prendere le distanze per appiopparmi quelle che considero le vere commedie scollacciate dove tette, sesso e tutto il resto diventano le vere protagoniste distruggendo ogni tabù e puritanesimo e facendo incetta di eccessi e contraddizioni.
Un film divertentissimo, con un ritmo straordinario e un cast al suo meglio nel non prendersi sul serio e nel cercare pur esagerandone i toni e le maniere di continuare una battaglia che in quasi tutto il suo cinema diventa una regola e una missione, ovvero la battaglia tra puritani e sessuomani, metafora di una società che Waters da questo punto di vista ha sempre definito preistorica e dove la religione ha sempre assunto un ruolo decisivo.
Spesso la critica maggiore mossa all'autore è quella di essere esagerato nelle scelte e nella messa in scena, ma d'altronde in un paese che pone il massimo divieto, come la censura americana, il fatto che Waters sia tornato alla sua vena più dissacratoria con un'insistenza esplicita che da tempo mancava non può che aumentare e di nuovo provocare la sua idea di cinema in un America sempre più bigotta, conservatrice e moralista.


mercoledì 5 dicembre 2018

Team America



Titolo: Team America
Regia: Trey Parker
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Il Team America, una forza di polizia internazionale che mantiene la stabilità nel mondo, scopre che un dittatore assetato di potere procura armi di distruzione di massa a un gruppo di terroristi. Per infiltrarsi nella rete criminale, il Team recluta Gary Johnston, astro nascente di Hollywood, perché agisca in incognito. Dapprima riluttante, Gary si rende ben presto conto che il proprio talento di attore può servire una nobile causa...

E'inutile stare a presentare Trey Parker. Se non lo conoscete crocifiggetevi.
Solo per fare un esempio la serie SOUTH PARK è stata creata da lui e il suo socio.
Poi ha fatto altra roba come Orgazmo, film indipendentissimo, e se non lo avete visto, fatelo.
Dissacratore, gay, comico, eretico, praticamente distrugge qualsiasi cosa abbia a che fare con le religioni e le ideologie con una semplicità incredibile per lo più quando decide di parlare delle mille contraddizioni degli Usa, una potenza esportatrice di democrazia e guerra al tempo stesso che si affida ad un divo hollywoodiano per salvare il mondo.
Team America è uno dei suoi progetti più costosi che come sempre non ha raggiunto nessun successo ma dalla sua ha così tanti aspetti magnifici e dissacratori che ho riso dall'inizio alla fine divertendomi per come nessuno alla fine venga salvato dal comico.
Il sogno americano distrutto in tutto e per tutto, in questo caso grazie all'animazione che permette più libertà, l'artista ha avuto la possibilità di aumentare lo scenario dove collocare la vicenda e scrivendo dei dialoghi che prendono in giro tutti i film reazionari americani dagli anni'80 ad oggi in un film che sottolineo si fa beffe dell'ansia del politically correct e tutti i suoi parametri rigidi da controllare.
Un film che non nasconde nulla nella sua battaglia contro le apparenze, contro la falsità di un paese che cerca nemici immaginari per aumentare la sua sete di potere.
Senza farsi mancare stragi sanguinolente, scene di sesso, il fatto stesso di aver usato dei personaggi che richiamano le barbie e i ken non poteva rivelarsi scelta più azzeccata.
Esplode/dono tutti nel film. Terroristi, Michael Moore, Kim Jong II, l'amministrazione Bush, etc.
Nessuno si salva o meglio chiunque finga di promuovere valori e inneggiando a ideali in cui non crede o dove vende se stesso e ciò che gli sta intorno viene letterallmente silurato.


giovedì 2 agosto 2018

Mind Game



Titolo: Mind Game
Regia: Masaaki Yuasa, Kôji Morimoto
Anno: 2004
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Nishi, aspirante disegnatore di fumetti fallito, si innamora della sua amica di infanzia Myon, già sposata con un'altro uomo. Ucciso durante un conflitto a fuoco da due yakuza che irrompono nel ristorante gestito dal padre della ragazza, l'uomo ritornerà sulla terra coinvolgendo Myron e i suoi amici in una bizzarra e divertente avventura psichedelica.

"La vita è il risultato di determinate scelte."
E’ con questa premessa che Masaaki Yuasa dirige il suo primo lungometraggio, “Mind game”, tratto dall’omonimo manga di Robin Nishi.
Tutto in questo sorprendente e schizzato film d'animazione nipponico passa attraverso lo stile con qualcosa che rompesse letteralmente schemi e stereotipi. Sembra il fratello di Aachi and Ssipak
passando per Tekkonkinkreeet
Il film è psichedelico, coraggioso, contagioso, particolare, unisce tanti stili diversi, tra cui surrealismo, live action e pop art.
“Anziché rappresentare la storia in modo convenzionale, ho scelto un'estetica selvaggia e disomogenea. Non penso che i fan dell'animazione giapponese vogliano necessariamente qualcosa di raffinato. Puoi sperimentare con vari stili e penso che li apprezzeranno comunque”.
Ed è proprio così, tutta l’opera è sperimentale, il risultato è un insieme di scene oniriche, spettacolari, che resteranno impresse a partire dall'incidente scatenante dove muore in modo assurdo proprio il protagonista per poi rinascere. Per alcuni aspetti mi ha fatto venire in mente tra le tante cose il bel romanzo cinese di Su Tong "Spiriti senza pace".
Un lungometraggio incredibilmente maturo, innovativo e coinvolgente: uno dei migliori di stampo sperimentale assolutamente senza possibilità di venir distribuito da noi in Italia.

sabato 23 settembre 2017

Bambola assassina 5-Figlio di Chucky

Titolo: Bambola assassina 5-Figlio di Chucky
Regia: Don Mancini
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Nel quinto film della serie horror, Chucky e Tiffany si ritrovano a dover allevare il loro figlio per poter creare una terribile famiglia di bambole assassine.

Credo di essere arrivato al sesto e da lì non sono sicuro di averne visti oltre o meglio che ne siano usciti altri. Diciamo pure che dei sei capitoli usciti non credo nemmeno di averli visti tutti e comunque non ricordo nulla della storia. L'idea originale e abbastanza suggestiva di Don Mancini,
regista, sceneggiatore e moltre altre cose, aveva sempre fatto slittare il regista americano solo come sceneggiatore senza averne mai visto le reali potenzialità che di fatto ha sempre avuto.
Il risultato è il capitolo migliore della saga oltre ad essere il secondo più costoso in termini di budget. In termini di sceneggiatura invece ci si diverte abbastanza e il risultato gioca su tantissimi elementi portati all'esagerazione, alla parodia, alle innumerevoli citazioni e di fatto al taglio grottesco dell'intera vicenda che essendo un horror non poteva essere da meno.

Glenda è il protagonista, il figlio che non sembra avere nessuna sessualità facendo impazzire i genitori che lo trattano a seconda delle loro preferenze. Il problema grosso, e qui bisogna capire le reali responsabilità tra produzione, regia e sceneggiatura è quella di capire cosa è andato storto facendo diventare a tutti gli effetti tutta la storia una pagliacciata ridicola che solo in alcune scene riesce a trovare una sua ragione d'esistere. In tutto questo ovviamente gioca il suo solito ruolo da sex bomb la Jennifer Tilly che cerca così di salvare, diventando lei per prima fuori dalle righe a tutti gli effetti, una delle cause principali della rovina del film.

lunedì 2 marzo 2015

Undertow

Titolo: Undertow
Regia: David Gordon Green
Anno: 2004
Paese:  Usa
Giudizio: 3/5

La famiglia Munns  - composta da John, il padre, e i due figli Chris e Tim - si trasferisce a vivere in mezzo ai boschi della Georgia.  L'arrivo però del fratello di John, lo zio Deel, è destinato a stravolgere la loro isolata esistenza e la tragedia che ne seguirà costringerà i due figli a affrontare molte avversità, attraverso le quali il percorso di Chris verso la maturità subirà un'accelerazione forzata.  

Green al suo esordio se ne esce con un drammone senza troppi intoppi e con un ritmo davvero intenso. Un film che oltre all’azione punta sui sentimenti, sui continui scontri tra genitori/figli, senza lesinare sui dialoghi e mostrando la realtà cruda e la natura incontaminata dei boschi della Georgia.                               
Non lasciare che il cane ti morda due volte e soprattutto non credere di poter abbandonare le radici e i debiti con la tua famiglia.
Potrebbero essere queste due frasi  le log-line con cui il film attira il suo vasto pubblico.
Un’opera di formazione, un viaggio dell’eroe mai così banale, affidato a Jamie Bell che senza troppi sforzi riesce nel compito di risultare convincente e mai banale. 
Un film che strizza l’occhio al capolavoro di Laughton del’55, LA MORTE CORRE SUL FIUME, prendendo il soggetto è spostandolo nella post-contemporaneità, isolata e spoglia in una natura che domina i suoi personaggi.

Il bello della regia di Green, classe ’75, è che in tutti i film è sempre imperfetta ma ricca di elementi interessanti. Un autore che nonostante tutto va tenuto sott’occhio per il talento che ha solo bisogno di essere levigato ma che dal punto di vista delle idee certo non manca.

martedì 10 febbraio 2015

Dumplings

Titolo: Dumplings
Regia: Fruit Chan
Anno: 2004
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Ching è una stellina del mondo dello spettacolo, ormai quasi del tutto dimenticata dal suo pubblico, che si appresta a muovere i primi passi lungo il viale del tramonto ma, anziché arrendersi, decide di fermarsi e tentare di compiere un ultimo tentativo per portare indietro le lancette dell'orologio, anche e soprattutto per riaccendere il fuoco della passione ormai spentosi nel marito, Lee, il quale invece approfitta del suo fascino da uomo maturo per correre dietro a gonnelle assai più giovani....

Dumplings è un prodotto  che ha saputo allo stesso tempo riscuotere pareri positivi e suscitare non poche polemiche ma soprattutto è stato un film poi condensato in un medio nel film corale a tre episodi THREE EXTREMES del 2004 e che vedeva niente poco di meno che tre outsider di tre diversi paesi orientali farsi la guerra per chi riuscisse a partorire i soggetti più malati. Credo che la vittoria l’abbia vinta il regista dal punto di vista della scelta narrativa ovvero l’idea di raggiungere l’eterna giovinezza mangiando feti.
Un’idea cruda e particolarmente malata che ha saputo conquistare un ampia fetta di pubblico tra chi come me, non può fare a meno di queste storie per creare congetture e dare ancora più voce e spazio a elucubrazioni malate.
Dumplings, ravioli, è una disturbante critica all' edonismo di massa, una riflessione sull' incapacità di accettare il tempo e la caducità del nostro aspetto esteriore, per cui ognuno a suo modo rincorre questo falso mito prendendosi le più crude e spaventose responsabilità. L’unico problema per cui a mio parere il medio era ancora più funzionale è perchè toglieva alcune sotto-trame che a mio avviso penetrano di meno nella psiche dello spettatore e della personalità delle due protagoniste, con il fascino plastico e kitch di Bai Ling e la sensualità di Miriam Yeung che ogni volta che porta alla bocca un raviolo e che sentiamo masticare crea un effetto malato e perverso che lo spettatore non può completamente deviare dalla sua psiche.

Chan poi è un regista di Hong Kong su cui bisognerebbe soffermarsi un attimo per alcuni film della sua ristretta ma importante filmografia (fatta eccezione per la marchetta che gli è servita per farsi un po di soldi ovvero l’americano DON’T LOOK UP) e che sembra non lesinare alcuni disturbanti metafore e paradossi della società, in particolare quella cinese.

martedì 9 dicembre 2014

Woodsman-Il Segreto

Titolo:Woodsman-Il Segreto
Regia: Nicole Kassel
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Walter, un pedofilo, dopo dodici anni di prigione, torna nella sua città e trova lavoro in un'acciaieria dove rincontra Vickie. Walter, nonostante i 'demoni del passato' non lo lascino in pace e le tentazioni siano sempre in agguato, tenta di rifarsi una vita. Ma benché la sua condotta sia apparentemente irreprensibile, l'uomo rimane sotto lo sguardo indagatore di Mary Kay, la segretaria, e dell'ispettore Lucas. Al primo passo falso, corre il rischio di veder sfumare tutto ciò che ha costruito con fatica.

Non sono molti i film a trattare il tema della pedofilia. In particolare poi sono ancora di meno quelli che trattano l'argomento descrivendolo dagli occhi del carnefice.
Kassel alla sua opera prima dirige un film complesso e ambizioso, asciutto e tristemente reale, tratto da una piece teatrale di Steven Fechter.
Due sono i pregi del film: l'ottima caratterizzazione di Bacon da un lato che sa detreggiarsi molto bene tra inquietudini e sofferenza, mentre dall'altro il ritmo e lo svolgimento del film, con dei toni bassi e la telecamera in numerosi primi piani su Walter a cercare e analizzare con sottigliezza una personalità evidentemente dilaniata.
Con un colpo di scena potente e che sembra dare un suggerimento importante sul destino del protagonista, la pellicola di Kassel soffre però, soprattutto dalla seconda parte in avanti, di un eccessiva e didascalica lentezza che spesso rischia di far perdere di vista al pubblico l'obbiettivo che è poi il percorso di redenzione di Walter.

mercoledì 12 novembre 2014

Anchorman

Titolo: Anchorman
Regia: Adam McKay
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

San Diego, anni 70: il conduttore Ron Burgundy è il "maschio dominante" della Tv locale. Con l'arrivo dell'ambiziosa presentatrice Veronica Corningstone il femminismo fa capolino in redazione, ma non sembra minacciare il suo primato, almeno finché questa si limita ai programmi "per signore" e si fa sedurre dal fascino di Ron. Ma quando lo scavalca nella conduzione delle news, si apre una guerra tra i sessi, senza esclusione di colpi.

Di solito le commedie comiche non sono proprio di mio gradimento e non avevo mai preso molto in considerazione come attore Will Ferrel.
McKay alla prima regia, trova un attore ispirato e in grado di prendersi sulle spalle la riuscita dell'intero film, in una performance molto stereotipata ed esagerata, ma allo stesso tempo efficace per la semplicità della trama.
Coadiuvato da un gran cast di stelle dello humor, anche se quasi tutte comparsate, Anchorman cerca di pungere in alcuni momenti soprattutto giocando sull'impianto della lotta tra sessi e cercando così di sfatare e far riflettere sul potere e la competizione all'interno di un network e trovando nella donna in carriera uno degli elementi di maggior rilevanza del film con cui svilappare svariati intrecci narrativi.
Alla fine non è male come ci si poteva aspettare e la citazione ai GUERRIERI DELLA NOTTE e forse uno dei momenti più esilaranti del film.

lunedì 22 settembre 2014

Alba dei morti viventi

Titolo: Alba dei morti viventi
Regia: Zack Snyder
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Gli Stati Uniti sono invasi da terribili 'zombie' che si cibano di carne umana. Un piccolo gruppo di sopravvissuti si rifugia in un centro commerciale della città di Everett, WA, ma l'unico modo per salvarsi è volare su un'isola deserta rimasta incontaminata. Per riuscire nell'impresa dovranno superare la barriera composta dai temibili morti viventi...

Il remake di Snyder fa parte di quella tradizione americana che sembra per forza volersi misurare con la post-contemporanietà e la nuova tecnologia delle case di produzione scegliendo, come in questo caso, di spettacolarizzare il film manifesto di Romero e aggiornarlo ai giorni nostri sfruttando anche le innovative risorse tecniche digitali.
Ottimo il ritmo e funzionale il cast, una prova che il regista non sbaglia, anche se rimane una certa leggerezza e forse apatia, con cui ci si confronta in fondo con film di cui sappiamo, a parte delle piccole varianti, tutta il tessuto narrativo in tre atti e bene o male la sinossi completa.
Alla fine a parte la scelta di puntare su zombie corridori, come in 28 GIORNI DOPO, la sostanza è la stessa, e se non fosse per alcuni abbellimenti, e qualche trashata non riuscita (il neonato zombie)sembra proprio una classica operazione commerciale.

lunedì 23 giugno 2014

Roost-La Tana

Titolo: Roost-La Tana
Regia: Ti West
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Durante la notte di Halloween, quattro amici si stanno recando a un matrimonio di un loro coetaneo quando un pipistrello che si fionda sul parabrezza della loro auto li fa uscire fuori strada. L’automobile non vuole saperne di ripartire, così i quattro si dirigono verso un’abitazione vicina per chiedere aiuto, ma non trovano nessuno. Proprio nel fienile adiacente all’abitazione c’è però una tana di pipistrelli, il cui morso porta una strana forma di rabbia che trasforma chi viene morso in zombi aggressivi. La notte per i quattro sarà molto lunga e piena di difficoltà.

Ti West è un mestierante di Hollywod che piano piano si sta conquistando una certa fama. Altalenante sembra azzeccarne uno per poi ciccarne due. The Roost la sua opera prima è un film low-budget dichiarato con l'intento di essere a tutti gli effetti un puro esercizio di stile.
Peccato che il film nella sua modesta durata di '80 (titoli compresi prima e dopo), sia pure abbastanza lento, basta pensare a come si svolgono diversi punti della storia, scelta che di fatto ne penalizza fortemente il ritmo.
A partire da Tom Noonan, presente come voce narrante in alcuni passaggi del film (è lo speaker di una radio che trasmette storie dell'orrore), che anzichè incutere terrore sembra uscito da una puntata del cartone Pelle e Ossa, partono già i primi sbadigli.
The Roost rappresenta e mostra infine diversi difetti e limiti che il regista cercherà di modellare. Quando ad esempio ci si trova di fronte ad un evento potenzialmente interessante, ecco che la scena stacca, lasciandoci all'oscuro sull'accaduto. In un film dell'orrore di questo genere gli elementi di spicco che insaporiscono il piatto sono senza dubbio gli effetti speciali, il sangue e le frattaglie: in questa occasione non ne troveremo molti, anche se alcuni trucchi non sono malvagi.

giovedì 29 maggio 2014

Hotel Rwanda

Titolo: Hotel Rwanda
Regia: Terry George
Anno: 2004
Paese: Canada, Gran Bretagna, Italia, Sudafrica
Giudizio: 3/5

Il racconto del film Hotel Rwanda si svolge nel contesto del genocidio ruandese nel quale gli Hutu sterminarono brutalmente una parte rilevante della popolazione Tutsi. L'Hôtel des Mille Collines di Kigali, capitale del Ruanda, fu trasformato dal direttore Paul Rusesabagina in un luogo di rifugio per oltre 1200 Tutsi e Hutu delle rispettive fazioni moderate.
Il film vuole rendere lo spettatore partecipe del modello di vita di un paese africano, narrando la storia di Paul Rusesabagina, di etnia Hutu, e della moglie, di etnia Tutsi.

In circa cento giorni, in Ruanda vennero uccise quasi un milione di persone.
Nelle strade della capitale, Kigali, scorrevano fiumi di sangue, ma nessuno andò ad aiutarli.
Nessun intervento internazionale, nessuna spedizione, nessuna “coalizione di volonterosi”, né aiuti internazionali. Gli estremisti di etnia Hutu hanno massacrato non solo i loro vicini di etnia Tutsi, ma anche gli Hutu moderati che incontravano sulla loro strada, e il mondo li ha lasciati fare.
Hotel Rwanda rimane quell'opportunità mancata.
Quell'analisi e quella critica ai caschi blu, alle Nazioni Unite e ad un certo tipo di politica imperialista europea che nei belgi trova i rapinatori culturali che hanno distrutto la psiche di un popolo, portandoli ad una battaglia spaventosa e sanguinaria.
Un film che tratta un tema come quello di un genocidio così cruento e così attuale dovrebbe porsi alcune domande di ragionevole dubbio, e l'analisi e la critica di George, emerge solo in alcuni frasi del giornalista o il capo dei caschi blu. (La gente dirà: "Oh mio dio!" E continuerà a mangiare)
Il limite forte è quello di non approfondire alcuni temi lasciandoli in sordina, apre e chiude come delle parentesi troppo piccole, alcuni personaggi e disperde alcune coraggiose note dolenti che avrebbero giovato di più ad un riscatto per il coraggioso racconto e testimonianza di Paul Rusesabagina. Ne esce un film che ha il pregio di mostrare un genocidio ribattezzato di serie "z" nel senso che non se ne quasi mai parlato. Ed è proprio lì che poteva e forse doveva concentrarsi la polemica, che invece diventa solo un monito per la coscienza degli spettatori.

giovedì 24 aprile 2014

Pusher 2

Titolo: Pusher 2
Regia: Nicolas Winding Refn
Anno: 2004
Paese: Danimarca/Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Tonny è sopravvissuto al violento pestaggio ad opera di Frank ed è successivamente finito in carcere. Quando esce cerca di reinserirsi nel giro del crimine cercando lavoro presso suo padre, soprannominato Il Duca. Costui è al centro di un giro di auto rubate e non ha mai smesso di disprezzare il figlio. Intanto Tonny apprende che una donna con cui ha avuto rapporti (ma che nel contempo ha coltivato numerose relazioni) lo ritiene il padre di suo figlio.

L'idea interessante del secondo capitolo della saga di Refn è che riprende esattamente da dove avevamo lasciato Tonny, dopo il pestaggio di Frank con una mazza da baseball.
A differenza di Frank, Tonny non è in grado di fare nulla, assolutamente inaffidabile e completamente bruciato dalla cocaina.
Le sue scelte non potranno che essere solo drammatiche e risultare quasi sempre spiacevoli, portandolo da un eccesso all'altro e mettendo a dura prova la sua sporca pellaccia.
Il tema della paternità negata con un figlio avuto da una puttana e un padre che lo respinge non è affatto male e propone delle intuizioni che il regista inserisce in modo mai banale o troppo eccessivo (trasgressivo sì però).
Refn calca la mano quando dipinge proprio (e la riuscita qui c'è tutta) quel conflitto interiore tra accettazione/rifiuto, esagerazione/privazione e infine la difficoltà forse maggiore, ovvero quella di riuscire a provare dei sentimenti diversi dall'odio, dalla sopraffazione e dalla violenza.


mercoledì 19 febbraio 2014

Bagman-Operation Massenmord


Titolo: Bagman-Operation Massenmord
Regia: AAVV
Anno: 2004
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

Una macchina di rappettari incrociano una ragazza che è in mezzo alla strada e la investono. Essa sopravvive all'impatto ma è inseguita dal temibile Bagman, un maniaco dal volto coperto da una busta che inizierà a massacrare in modi svariati un sacco di gente.

Il corto canadese dei tre registi è la solita parodia del trash che di fatto, ripropone con una maschera apparentemenete diversa, il classico archetipo del killer sadico che in questo caso, per essere evocato, bisogna chiamarlo per ben tre volte. Senza stare a dire dove attinga da quel poco che cerca di mettere in scena, poco si salva del sanguinolento super splatter corto canadese.
La demenza splatterosa ha il suo pubblico e la sua schiera di fan d'avanguardia che non possono farsi sfuggire i titoli della Troma o di altre case inclini al genere come l'Asylum(anche se con un 'altra dichiarata vocazione). Visto in tedesco ma senza grosse difficoltà, dal momento che non sono i dialoghi i punti forti di questo sotto-genere, può essere ricordato per l'artigianato degli effetti speciali e la scena del massacro dei reppettari.

domenica 29 settembre 2013

Bangkok Loco

Titolo: Bangkok Loco
Regia: Pornchai Hongrattanaporn
Anno: 2004
Paese: Thailandia
Giudizio: 3/5

Bay è un formidabile batterista, depositario della sacra arte del "Tamburo di Dio", tramandatagli dal proprio maestro prima che venisse sconfitto da Ringo Starr, a sua volta depositario della sacra arte del "Tamburo del Diavolo", in un duello di batteria all'ultima rullata. A pochi giorni dal proprio primo concerto ufficiale, Bay viene accusato di omicidio ed è ricercato dalla polizia. In più, in giro corre voce che ci sia un tale di origine olandese, a suo tempo istruito da Ringo Starr, pronto a sfidare Bay in un duello tra le due discipline di drumming

Bangkok Loco fa parte di un periodo molto fertile del cinema dnotomista in cui si sperimentava parecchio e questo film ne è una prova evidente.
Bizzarro, demenziale, ma spesso composto di un umorismo efficace, per un certo senso potrebbe essere paragonato contando che è uscito due anni prima, del film TENACIOUS D E IL DESTINO DEL ROCK. Soprattutto nel passato dei due protagonisti, quando da bambini furono mandati in un tempio ad imparare l’arte della batteria divina al fine di combattere ogni 10 anni nella sfida tra il batterista di Dio e quello del Maligno.
Qui le intuizioni sono gli elementi a fare da padroni in una pellicola coloratissima dotata per certi versi di una follia arcobalenica e cromatica, e all’ironia che scivola dalla geniale/surreale spesso presente in film del genere.
Il film sembra non voler terinare mai il suo continuum di elementi a volte grotteschi e weird, prosegue con assoli di batteria che si trasformano in massacri da macelleria a colpi di mannaia, fughe in mezzo a ragazze in bikini che lavano le automobili e gemelle siamesi in divisa che raccolgono escrementi dalla strada.
Ovviamente va preso per quello che è. Bisogna dimenticare quando ci si avvicina a queste contaminazioni di generei, il nostro cinema europeo o quello americano, avvicinandosi per certi aspetti più ad un concetto bollywoodiano per dare un'idea.


giovedì 7 marzo 2013

Latin Dragon

Titolo: Latin Dragon
Regia: Scott Thomas
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Il veterano Danny Silva torna alla sua casa a Los Angeles per scoprire che le gang stanno prendendo possesso del quartiere. Decide quindi di ripulire le strade con l'ausilio delle proprio conoscenze di arti marziali. Sfortunatamente un boss del crimine e il suo folle braccio destro lo ostacoleranno nell'impresa....

I film di genere sulle arti marziali ormai sono come doni di Natale in un’epoca post-moderna dedita al consumismo più scellerato. Il peso di Fabian Carrillo è direttamente proporzionale al peso che hanno altri campioni di arti marziali, chi di uno stile chi di un altro. Il film di Thomas da un lato merita di essere inondato di merda per la quantità sconcertante di stereotipi del genere con dei dialoghi iniziali che ti fanno quasi rabbrividire.
Poi il film decolla diventando ancora più confuso. Da un lato è un bene perché almeno cambia scenario e chiama in scena personaggi più potenti e quindi anche con delle piccole caratterizzazioni in più, dall’altro invece dimostra la difficoltà da parte degli sceneggiatori di essere consapevoli di quello che stanno scrivendo e che poi giustamente il regista deve mettere in scena dimostrando le incoerenze e incompatibilità (ad esempio quando Danny comincia ad andare a casa di alcuni corrotti sparando a bruciapelo mentre dormono insieme alle mogli, oppure il palestrato che dal nulla lo va a provocare nel ristorante e così via…) sembra dare un quadro diverso di un personaggio che si muove con una certa etica seguendo gli insegnamenti del suo maestro deceduto. Non a caso gli sceneggiatori sono tre e uno di loro è proprio Carrillo.
Se i combattimenti non aggiungono niente di nuovo, la medesima cosa vale anche per la regia, assolutamente superflua e televisiva al massimo.
Tra i personaggi di contorno spiccano Busey e Lamas ossigenato con la sua solita faccia da cazzo.

lunedì 25 febbraio 2013

Hellboy(2004)

Titolo: Hellboy(2004)
Regia: Guillermo del Toro
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Nato dalle fiamme dell'inferno durante la Seconda guerra mondiale, Hellboy è stato chiamato sulla Terra a commettere il male dal malefico Grigori Rasputin. Destinato ad essere il presagio vivente dell'Apocalisse, Hellboy è stato salvato dal professor Broom, capo delle forze alleate e fondatore dell'Ufficio segreto per la ricerca sul paranormale e la difesa. Il professore lo ha allevato come un figlio e lo ha aiutato a sviluppare i suoi straordinari poteri paranormali. Nonostante le sue origini oscure, Hellboy è diventato così un'incredibile forza del bene, in lotta contro le entità malvagie che minacciano il mondo...

Per grandi film occorrono grandi registi. Verrebbe quasi da usare questa come frase d’esordio per il primo dei due capitoli diretti dal grandissimo Del Toro su uno dei personaggi più interessanti dei comics degli ultimi tempi nati dal talento del geniale Mignola.
Hellboy vanta all’attivo due film e svariati OAV. Questo primo lavoro è straordinario per la potenza visiva, lo stile non sempre perfetto ma adattissimo al genere. Il lungo lavoro di preparazione e i numerosissimi personaggi e mostri che il film crea come una macchina senza mai fermarsi.
Quando Del Toro ha incontrato la possibilità di girare Hellboy ha immediatamente intuito la possibilità di confrontarsi con una contaminazioni di elementi che fanno del fantasy, dell’esoterico, del polizziottesco, dell’horror, della pura e adrenalinica azione, tutto un agglomerato che poteva essere affidato ad un perfetto Perlman che regala uno dei migliori personaggi degli ultimi tempi.
Sembra che ci sguazzi a pennello dentro la tuta e tutto il resto. L’atmosfera tetra e ottimamente fotografata, i personaggi deliziosi, gli antagonisti raffinati (un Roden perfetto per interpretare il super nemico di Hellboy ovvero Rasputin), le scenografie sono davvero tante e suggestive dalla prima all’ultima.
Le riprese e lo stile in 3d riescono a convogliare a nozze sbagliando solamente qualche piccolo dettaglio sfuggito alla post-produzione.
Certo è un compendio di numerosissimi cambi di ritmo e di spostamento dell’azione, come una location che cambia continuamente non lasciando il tempo di soffermarsi sul perché di quello che sta accadendo, ma Del Toro è anche così ovvero non lascia un solo minuto ma travolge e investe continuamente lo spettatore con immagini studiate attentamente. Non siamo al livello del capitol.o successivo in cui il regista riesce a configurare perfettamente stile, classe, campionario di temi da trattare e il peso infine sempre fondamentale della narrazione ma se le opere prime sui supereroi fossero tutte così allora non ci sarebbero così tanti cinecomics da buttare nella spazzatura come capita da qualche anno a questa parte