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martedì 21 maggio 2013

Tutto tutto niente niente

Titolo: Tutto tutto niente niente
Regia: Giulio Manfredonia
Anno: 2012
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Perché Cetto La Qualunque, Rodolfo Favaretto e Frengo Stoppato finiscono in carcere? E, soprattutto, perché riescono a uscirne? Qual è il destino che li unisce? C'è qualcuno che trama nell'ombra? O costui preferisce farlo in piena luce? Tre storie, tre personaggi con un destino che li accomuna: la politica con la "p" minuscola. Cetto La Qualunque, il politico “disinvolto” che abbiamo imparato a conoscere, questa volta alle prese con una travolgente crisi politica e sessuale (in lui le due cose viaggiano sempre di pari passo). Rodolfo Favaretto, che rincorre il sogno secessionista di un nordista estremo, e che per vivere e combattere la crisi commercia in migranti clandestini. Frengo Stoppato, un uomo stupefacente, in tutti i sensi, che torna dal suo buen retiro incastrato da una madre ingombrante, con un sogno semplice semplice: riformare la chiesa e guadagnarsi la beatitudine. Un ritratto folle ma non troppo dell'Italia di questi anni, in una girandola di situazioni paradossali e travolgenti. In realtà, forse, è semplicemente: neorealismo.

Certo cade nel patetico, spesso si rende troppo ingenuamente ridicolo e in alcuni casi si fa fatica a non sbadigliare per il bisogno di infarcire troppo il film, eppure alla fine Albanese c’è la fa.
Grazie all’amico Manfredonia che non fa neppure troppo schifo come regista contando che aveva girato un film ambizioso quanto per certi versi recitato assai male come SI PUO’FARE, Albanese si carica sulla schiena ben tre personaggi e crea il suo teatro dell’assurdo.
Caratteristica funzionale al protagonista ma non alla qualità del film che sembra un copia/incolla più colorato del precedente QUALUNQUEMENTE.
L’unico elemento travolgente del film è il continuo dinamismo cui Manfredonia sottopone le scelte, i passaggi, le situazioni, tutto cercando di inquadrarle e filtrarle attraverso tre stereotipi della disonestà della nostra società. Dal razzista, al politico corrotto, al finto fricchettone, tutti sanno cosa vogliono e come sfruttare e prendere in giro il paese. Lo sa però pure lo spettatore che attento analizza i processi, per molti versi comici, di de-strutturalizzazione del paese.
Però il difetto più grosso della pellicola è quello di non staccarsi mai da questa parodia che dopo un po’ finisce per scocciare nonostante le trovate che cerca continuamente di mettere in scena.
La risata non basta e presto la noia s’impadronisce di un film che aggiunge solo colori e paesaggi ma che diventa presuntuosamente ridicolo nel suo leggere con assoluta delicatezza e poca criticità i veri problemi del nostro paese.
Una scena però mi è piaciuta e forse è la più critica del film ovvero quando Cetto smonta e sputtana pubblicamente il sottosegretario sottolineando un’importante verità del nostro paese: il principio di disonestà della nostra classe politica è così allarmante che non si risparmia neanche di sputtanare in diretta persone di prestigio confermando la regola secondo cui tanto tutti si credono intoccabili e immortali e forse sottolineando il fatto che non esistono onesti in nessuna fazione e questo la dice lunga.