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lunedì 17 giugno 2019

Willard e i topi


Titolo: Willard e i topi
Regia: Daniel Mann
Anno: 1971
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un giovane di nome Willard cerca uno sfogo alle proprie frustrazioni ammaestrando un piccolo esercito di topi che poi utilizza per una serie di vendette contro il suo odiato principale.

Nella trasposizione del 2003, Willard il paranoico, Willard viveva con la madre malata per tutta la durata del film e aveva un quadro clinico decisamente più psichiatrico rispetto al Willard della trasposizione del 1971.
Per diversi aspetti, il film di Mann è molto più interessante, per lo meno perchè apre lo scenario delle gesta del protagonista senza relegarlo solo all'interno della mansione dove abitava. Due scelte differenti pur rimanendo entrambe valide.
Ma come per il Pifferaio Magico che in realtà si vendica contro i signori che lo avevano truffato, qui Willard pur senza avere un flauto sembra possedere una telepatia strana e morbosa con i roditori in alcune scene decisamente interessanti e originali come l'incontro con almeno tre di loro.
Certo l'approfondimento della psiche del protagonista lascia il passo ad un insieme di azioni corali dove si scontra con la popolazione a differenza del Willard chiuso dentro se stesso e i suoi monologhi che viene accerchiato dagli stessi ratti su cui pensa di avere il controllo.
Tra manipolazioni, un climax finale drammatico e originale, di nuovo il cinema si interroga su questo strano rapporto tra uomo e animale.
Mi ha fatto venire in mente il film della Ramsay,Ratcatcher ,dove il piccolo protagonista cercava di farsi amici proprio i ratti in una Glasgow poverissima che non sembrava aver nulla da offrire.

venerdì 14 giugno 2019

Cane di paglia


Titolo: Cane di paglia
Regia: Sam Peckinpah
Anno: 1971
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Campagna scozzese. Un professore americano viene ad abitarvi con la giovane moglie, che è nata lì. Lui studia e lei si annoia. Alcuni vecchi amici della ragazza, sollecitati dalla sua civetteria, la violentano. Rabbiosa reazione del marito, creduto un pavido.

C'era una volta LA FONTANA DELLA VERGINE il primo film sul filone revenge movie uscito l'anno precedente a firma di un grande autore come lo era Ingmar Bergman.
Il vecchio film in b/n del regista svedese ragionava su un tema semplice ma che fino a prova contraria sarebbe stato uno degli elementi più abusati nel cinema a venire come quello della violenza.
Trattare un tema come quello della giustizia personale e sommaria era materia complessa, ostica, perchè tirava fuori il peggio dell'animo umano e lo riversava sulle vittime come sfogo in una violenza senza pari fondamentalmente rispondendo al quesito che ogni persona sembra dal cuore d'oro finchè non gli toccano la famiglia.
Rispetto ad una filmografia improntata sul western con film dai toni molto più crepuscolari, Cane di paglia sembra essere una scheggia impazzita, un film molto più violento, un'opera minore dal punto di vista delle maestranze impiegate sul set e per la scenografia (un home invasion) e il budget volgendo questa sua creazione su un evento drammatico che sembra oggi giorno preso da un qualsiasi evento di cronaca diventando ormai routine nella globalizzazione dell'indifferenza che ci vede al giorno d'oggi tutti complici silenziosi.
Il cinema riflette alla base dell'ideologia presente nel film su tanti aspetti, uno dei quali ho apprezzato di più e che grazie ad un attore come Hoffman è stato possibile e parlo di quel cambiamento, insito in ognuno di noi, che ci porta a trasformarci in killer spietati o carnefici disposti a fare di tutto per poi, fatta giustizia, tornare a piangere e a dispiacerci per quanto successo come se fosse qualcosa che in fondo non ci appartiene. Lavorare su questi elementi e portare alla pazzia una persona comune, colta e raffinata, rappresentava proprio in quegli anni, uno studio sociale importante e interessante che il cinema non ha mai smesso di osservare e indagare.

domenica 18 settembre 2016

Wake in Fright

Titolo: Wake in Fright
Regia: Ted Kotcheff
Anno: 1971
Paese: Australia
Giudizio: 5/5

John Grant, giovane insegnante australiano di discendenza britannica, viene trasferito nell'entroterra, in una comunità popolata quasi esclusivamente da gente senza morale, primitiva e derelitta. Interessati più alla macellazione dei canguri e alle depravazioni sessuali piuttosto che all'educazione e alla decenza, i nuovi concittadini fanno precipitare John in una profonda discesa verso la degenerazione personale.
Wake in Fright è diventato istantaneamente un cult.
Un film enorme, maledetto, affascinante quanto bizzarro.
Un'indagine sociologica su un male sociale accettato e diventato presto un concetto di normalità.
Di nuovo un singolo individuo che viene letteralmente schiacciato dagli eventi e dalla natura che gli sta attorno.
"La storia di Wake In Fright, un classico del cinema australiano che fu girato nel 1971 dal regista di Rambo, concorse a Cannes per la Palma d’Oro ma fu a tal punto odiato dal suo stesso paese che per 38 anni scomparve dalla circolazione prima di essere ritrovato su un camion diretto al macero, restaurato da Martin Scorsese".
"1971: l’Australia si arrabattava per creare un patrimonio cinematografico nazionale, c’era un forte desiderio di cinema patriottico da esportazione. Un film girato da un canadese, scritto da un giamaicano e con due protagonisti inglesi, che diffondeva un’immagine degli Australiani così distopica, doveva necessariamente essere boicottato. E infatti Wake In Fright, dopo un’ottima accoglienza a Cannes (in corsa per la Palma d’Oro) e poi nelle sale francesi (dove restò per cinque mesi di seguito) ed inglesi, promosso dalla critica di tutto il mondo, fu un colossale flop in patria, anche a causa della pessima promozione della United Artists. Durante una delle prime proiezioni uno spettatore balzò in piedi urlando “Quelli non siamo noi!” e Jack Thompson (Dick nel film) gli rispose “Siediti, amico. Si che siamo noi!”. Anche in tv, dopo la prima messa in onda, scivolò nelle programmazioni notturne. Il fallimento al botteghino lo scaraventò in un oblio durato più di trent’anni. Il film, letteralmente, scomparve, trasformandosi in introvabile oggetto di culto, amatissimo da Nick Cave (“Il miglior film di sempre, e il più terrificante, sull’Australia”)".
"Ted Kotcheff, prima delle riprese, passò diverse settimane a studiare il comportamento della gente, sopratutto nei pub. Intervistò l’editore di un giornale locale, che gli aprì gli occhi su un dettaglio-chiave: nell’Outback australiano ci sono tre uomini per ogni donna. “Dove sono i bordelli?”, chiese Ted. “Non ci sono bordelli”. “E cosa fanno per avere un contatto umano?”. “Fanno a botte”.
Durante le riprese, una mattina il regista si accorse che tutti gli elettricisti e gli operatori di camera avevano gli occhi pesti ed un bel mucchio di lividi. Venne a sapere che la sera prima era scoppiata una rissa, quando uno degli elettricisti aveva chiesto, al bar di un hotel, del latte. Dopo la risposta del barman “Non serviamo checche” si scatenò il finimondo.
Probabilmente, quindi, non è solo la famigerata caccia ai canguri ad aver allontanato gli australiani dal film. Forse la vera causa è l’omosessualità travestita da cameratismo che aleggia per tutta l’opera, fino ad esplodere nello stupro ai danni di John. Ted raccontò di essersi cimentato, inevitabilmente, nel two-up, il doppio testa o croce che vediamo nel film: lui, che all’epoca aveva l’aspetto di un hippie, fu tanto fortunato da ripulire le tasche di tutti i presenti. Si sentì costretto, per evitare che l’ostilità prendesse il sopravvento, ad organizzare una grande festa durante la quale pagò da bere a più di cento persone."
Un manifesto dunque di un paese. Un film nichilista che come altre opere ha il pregio di dissacrare uno spaccato di realtà, senza per questo dover essere emarginato e distrutto.
Straordinarie le interpretazioni su cui svetta quella dell'immenso Donal Pleasence.
Se vogliamo possiamo quasi definirla una descrizione di alcuni "redneck" australiani anche se la definizione non è propriamente esatta ma serve a fare da cornice.
Un film che narrativamente dura pochi giorni, di un angoscia incredibile, una discesa nell'abisso di contese e alcool, un viaggio nell'oblio e allo stesso tempo una critica feroce contro lo sterminio dei canguri (a quanto pare ne venivano massacrati di notte circa cento prima che si lottasse per una legge che vietasse tale scempio).
E'una vergogna che sia ancora inedito da noi.
Uno dei pochi film che riesce a trasmetterti l'orrore legato all'abuso di alcool, lasciandoti dopo la visione, imprigionato in una sorta di delirio allo stesso tempo così profondamente vivo e realistico.




sabato 16 novembre 2013

Abominable Dr.Phibes

Titolo: Abominable Dr.Phibes
Regia: Robert Fuest
Anno: 1971
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

Per vendicarsi dei medici che non gli salvarono la moglie, celebre organista sfigurato mette in atto una serie di orrendi delitti basati sulle dieci piaghe d'Egitto

Ci sono alcuni film che sembrano cuciti apposta sui loro personaggi. In particolare nel caso di questo cult dell'horror il lavoro di Vincent Price è decisamente superlativo facendo suo il personaggio e dandone incredibili sfumature e sguardi tetri che fanno perfettamente comprendere lo stato d'animo del protagonista. Un film manifesto pieno di incredibili soluzioni visive e una fotografia davvero degna di nota.
L'innovatività poi del soggetto è diventato un monito per altri registi che successivamente hanno improntato anche loro gli omicidi con modus operandi simili anche se cambiandone la connotazione religiosa.
Sembrava e probabilmente doveva essere molto più violento, lo stesso soggetto poi è stato riscritto da Fuest probabilmente non entusiasta del lavoro fatto da Whiton e Goldstein.
L'enfasi dell'attore e l'astuzia del regista sono arrivati ad un perfetto connubio scandito dall'ottima riuscita del film precursore di svariati vengeange-movie e via decidendo senza contare il debito enorme di numerosi film che puntano tutto sulle torture SAW ad esempio solo per fare un caso.
La genialità del Dr.Phibes è quello di non essere ancora una volta un horror vero e proprio ma un miscuglio di generi in cui il giallo e il thriller, due facce spesso della stessa medaglia, la fanno da padrone.
L'abominevole dr. Phibes rimarra sempre un film imperfetto, magari ci fossero così tanti film imperfetti, ma ricco di spunti, dove nella manifesta meccanicità di una trama in cui il principale motivo di interesse è scoprire con quale stratagemma sarà fatta fuori la prossima vittima, ad emergere sono un'irripetibile atmosfera di lugubre leggerezza, i colori saturi della fotografia, gli eccessi delle scenografie, la prova magnetica di Vincent Price e la sua caratterizzazione del dottor Phibes, una serie di geniali efferratezze, ed il bellissimo finale, morboso poetico e indimenticabile.

martedì 22 marzo 2011

Panico a Needle Park

Titolo: Panico a Needle Park
Regia: Jerry Schatzberg
Anno: 1971
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Bobby è un piccolo spacciatore. Un giorno incontra Helen, una ragazza timida e sensibile. Bobby si buca ed Helen per amore lo segue cominciando a conoscere i tossici che abitano il ghetto di New York. Entrambi fanno fatica a trovare la droga, un po’ per i periodi di magra e un po’ per la polizia che vigila attentamente, e così Bobby chiede a Helen di prostituirsi. Un giorno Helen, accusata di aver rubato dei soldi ad un cliente, per non finire in un carcere femminile, collabora con la polizia facendo arrestare Bobby e il boss della zona. Uscito di prigione, Bobby troverà Helen ad aspettarlo ed entrambi torneranno a vivere insieme.


Film drammatico sul fenomeno della droga in America negli anni ’70. La storia definisce il dramma e il fallimento di due vite condannate alla droga. La figura di Bobby, un Al Pacino al suo primo ruolo da protagonista, appare gigionesca e nervosa. La sua camminata disinvolta per le strade, il suo carattere impulsivo che diverte, confermano lo straordinario talento di un attore che è riuscito brillantemente a caratterizzare un personaggio difficile regalandoci anche buone scene d’amore con Helen.
Uno dei pochi punti deboli forse è l’eccessivo sentimentalismo della coppia. Il film mantiene un ritmo veloce, mostra come i due hanno una profonda voglia di vivere nonostante il bisogno quotidiano di una dose. La polizia mantiene sempre le caratteristiche di sempre. Braccio di ferro nei confronti dei tossici. Disprezzo totale. Non mostra umanità cercando di arrivare alla fonte del commercio, con un ispettore freddo che per amore di Helen la “costringe” a tradire Bobby. Insomma canoni classici di un regista che sa da che parte stare. La migliore del film è sicuramente Helen, Kitty Win, vincitrice della palma d’oro a Cannes. La sua interpretazione è in continuo cambiamento. Nei suoi occhi vediamo proprio la trasformazione di chi si avvicina totalmente alternando la paura allo stupore alternato all’eroina. Le scene in cui tutti si bucano sono particolarmente forti e crude.

lunedì 21 marzo 2011

Bestia uccide a sangue freddo

Titolo: Bestia uccide a sangue freddo
Regia: Fernando Di Leo
Anno: 1971
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Una serie di delitti si susseguono tra le mura di una clinica — reggia per donne affette da disturbi collegati alla sfera sessuale. Un’ombra ammantata di nero si aggira tra i corridoi spiando le sue future vittime.

Innanzitutto il film omaggia a mio parere alcuni film di Bava che hanno segnato il genere “Neogotico Italiano”,termine appartenente al filone dei ’60-‘70. Di Leo alla sua prima esperienza sul genere sembra non avere il suo giusto appiglio, dirigendo una pellicola lenta e faticosa quanto peraltro totalmente assente di colpi di scena. Il castello/clinica in cui si svolge l’azione, i movimenti di macchina per preparare il cammino all’assassino, certo ci sono alcune buone riprese che non bastano a scuotere le sorti del film. L’assassino in questo film appare come un mezzo deficiente affetto da psicosi di inferiorità che si muove come fosse un mostro e usa vecchie armi medievali per seviziare le donne.
Sicuramente uno degli aspetti più affascinanti del film è Klaus Kinski che anche se in questo rimane molto standard pur esibendo uno stile ed una eleganza degno solo del suo nome, fa sempre la sua figura e colpisce per la carica emotiva.
Bellissimo il finale, un macabro massacro che non ti aspetti. Probabilmente l’unico aspetto che almeno in parte bilancia la contro dipartita iniziale.