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sabato 9 gennaio 2016

High-Rise


Titolo: High-Rise
Regia: Ben Whitley
Anno: 2015
Paese: Gran Bretagna
Festival: TFF 33°
Giudizio: 4/5

A metà Anni Settanta, a Londra, una torre di appartamenti spicca in alto sul Tamigi, segnando l'inizio di quello che diventerà un grande quartiere della finanza. Tutti chiamano la torre "il condominio". Il più importante dei residenti è Robert Laing, un ambizioso e giovane dottore che, grazie all'incontro con l'eccentrico Wilder, viene introdotto nel luogo più oscuro della torre. Ben presto, la situazione degenera nella follia e nella violenza e Laing si ritrova tra gruppi di condomini assetati di sangue.

La pellicola è l'adattamento cinematografico del romanzo Il condominio, scritto da James Graham Ballard e pubblicato nel 1976. Un film, a detta di molti, "infilmabile" soprattutto per la difficoltà a cogliere appieno tutti gli elementi del mosaico di cui è composto, e per quella infallibile critica al turbo capitalismo. Esiste però nella new-wave del cinema europeo, una scheggia impazzita di talento e ferocia che risponde al nome di Ben Weathley.
Un nome che cito spesso e che metto su un altarino per i cult che ha saputo regalarci finora.
Alle prese con un budget e con un cast così mastodontico e famoso, il rischio era quello che Ben dovesse in un qualche modo adattarsi a dovere, trovandosi il fiato sul collo della produzione.
Da un lato forse è stato così, ma la bravura e il talento in questa trasposizione difficilissima certo, non mancano complice nel bene e nel male la sceneggiatura scritta dalla moglie del regista.
Al di là della scelta del cast, funzionale a dovere, è proprio la parte tecnica a lasciare incantati e a muoversi con una mano sicura tra imponenti grattacieli riuscendo a cogliere anche le sfumature tra gli spazi interstiziali in mezzo alle pareti.
Grazie anche ad una alienante musica di Clint Mansell, il film decolla e plana velocemente, regalando momenti di estasi e grande cinema a un'atmosfera in bilico che sembra ancorarsi su un indecisione di fondo, come se il regista non sapesse su quale ascensore salire in una scelta forse troppo variegata e hi-tech.
È tutto basato su un equilibrio precario che sembra allo stesso tempo così fragile da essere volutamente disintegrato da parte dello stesso attore sociale che dovendo esprimere la propria natura è costretto a liberarsi dalle catene di un ordine che non gli appartiene.
E'molto suggestivo, ma in alcuni momenti troppo lasciando velati alcuni intenti senza coglierne la profondità (ma questo il regista aveva già dato modo di palesarlo con altri film soprattutto Kill List
il suo capolavoro). Riesce sempre a fare un ottimo lavoro legato alla valorizzazione della violenza grafica ma senza mai farla esplodere come forse in alcuni capitoli uno poteva aspettarsi. Manca quella grottesca ironia di fondo che ha sempre saputo contraddistinguere il regista se non in alcuni aspetti del personaggio legato al fedifrago Wilder, giornalista dei piani bassi che cerca di farsi strada. L'odio, gli istinti primordiali che epplodono senza mezzi termini, i bambini come destabilizzatori di un'apparente calma, l'esplosività sempre a portata di mano.
In High-rise la potenza metaforica è davvero strabordante come non era mai capitato prima a Weathley, eppure il regista grazie a delle interpretazioni mirabili riesce comunque, forse diluendole un po troppo, a portare a termine il compito che gli è stato affidato.
Un altro dei problemi che ho colto è legato alla sua filmografia, di fatto erano tutti indie e lasciavano una certa libertà e spazi in cui destreggiarsi. Qui è tutto chiuso, ermetico, tanti attori e numerosi dialoghi. Un'azione e una svolta negli intenti che dopo la prima parte diventa una vera e propria anarchia post-apocalittica di guerra tra classi sociali.
Weathley alla fine lasciando da parte una sua autorialità che compariva di più nelle opere precedenti, riesce ad orchestrare una de genereazione, una de-evoluzione, restituendoci ogni possibile sfumatura del sordido e del laido.