Titolo: Borghese piccolo piccolo
Regia: Mario Monicelli
Anno: 1977
Paese: Italia
Giudizio: 5/5
Un impiegato al ministero ha un figlio
ragioniere e una moglie casalinga. C'è un concorso i cui vincitori
verranno assunti al ministero, però saranno uno su cinquanta. Allora
l'impiegato le prova tutte, arriva persino a farsi massone. Pare
abbia trovato la strada buona, quando il figlio viene ucciso da un
rapinatore. Il padre riesce a trovare l'assassino, lo lega a una
sedia con un fil di ferro e lo tortura giorno dopo giorno, finché
quello muore
Verdone in una maschera drammatica è
stata una scelta astuta per un personaggio così tipicamente italiano
e corrotto nel dna come tutti i suoi simili in una borghesia piccola
e viscida che cerca sempre di trovare una complicità nella
raccomandazione e nel farsi i favori arrivando addirittura a
diventare massoni.
Un film complesso, ottimamente recitato
dalla sua galleria di comprimari e figuranti, trasfigurando la
narrazione dopo l'incidente straziante dove muore il figlio,
leggermente imbranato, di Giovanni Vivaldi e diventando una sorta di
revenge movie con tanto di torture finali e morti una dopo l'altro
(quella della moglie di Vivaldi, Amalia è forse ancora più amara e
complessa).
Un film che parla di cosa ci si aspetta
da questo paese quando si hanno le conoscenze giuste, del fatto che
per i figli non venga presa in considerazione la meritocrazia, un
servilismo mellifluo, l'inchino di fronte ai superiori per ribadire i
ruoli.
Monicelli inquadra perfettamente la
quotidianità di un personaggio che non sembra vedere l'Italia e i
suoi cambiamenti attorno, relegato nel suo microcosmo dell'ufficio e
facendo sempre le stesse cose con una rigida monotonia. Tutto questo
appare ai suoi occhi come una sorta di piccola apocalisse quando il
figlio muore e Vivaldi apprende che sta succedendo qualcosa nel suo
paese, che esistono tensioni sociali e si sta sprofondando negli Anni
di Piombo e così quella stessa politica corrotta che lui inneggia e
contempla a manifesto sembra proprio per una sorta di contrappasso
ritorcersi contro ciò che da sempre un padre ama di più, il proprio
figlio.