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lunedì 27 luglio 2020

Borghese piccolo piccolo


Titolo: Borghese piccolo piccolo
Regia: Mario Monicelli
Anno: 1977
Paese: Italia
Giudizio: 5/5

Un impiegato al ministero ha un figlio ragioniere e una moglie casalinga. C'è un concorso i cui vincitori verranno assunti al ministero, però saranno uno su cinquanta. Allora l'impiegato le prova tutte, arriva persino a farsi massone. Pare abbia trovato la strada buona, quando il figlio viene ucciso da un rapinatore. Il padre riesce a trovare l'assassino, lo lega a una sedia con un fil di ferro e lo tortura giorno dopo giorno, finché quello muore

Verdone in una maschera drammatica è stata una scelta astuta per un personaggio così tipicamente italiano e corrotto nel dna come tutti i suoi simili in una borghesia piccola e viscida che cerca sempre di trovare una complicità nella raccomandazione e nel farsi i favori arrivando addirittura a diventare massoni.
Un film complesso, ottimamente recitato dalla sua galleria di comprimari e figuranti, trasfigurando la narrazione dopo l'incidente straziante dove muore il figlio, leggermente imbranato, di Giovanni Vivaldi e diventando una sorta di revenge movie con tanto di torture finali e morti una dopo l'altro (quella della moglie di Vivaldi, Amalia è forse ancora più amara e complessa).
Un film che parla di cosa ci si aspetta da questo paese quando si hanno le conoscenze giuste, del fatto che per i figli non venga presa in considerazione la meritocrazia, un servilismo mellifluo, l'inchino di fronte ai superiori per ribadire i ruoli.
Monicelli inquadra perfettamente la quotidianità di un personaggio che non sembra vedere l'Italia e i suoi cambiamenti attorno, relegato nel suo microcosmo dell'ufficio e facendo sempre le stesse cose con una rigida monotonia. Tutto questo appare ai suoi occhi come una sorta di piccola apocalisse quando il figlio muore e Vivaldi apprende che sta succedendo qualcosa nel suo paese, che esistono tensioni sociali e si sta sprofondando negli Anni di Piombo e così quella stessa politica corrotta che lui inneggia e contempla a manifesto sembra proprio per una sorta di contrappasso ritorcersi contro ciò che da sempre un padre ama di più, il proprio figlio.