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mercoledì 19 novembre 2014

Look of Silence

Titolo: Look of Silence
Regia: Joshua Oppenheimer
Anno: 2014
Paese: Danimarca/Finlandia/Indonesia/Norvegia/Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

The Look of Silence, seguito del documentario drammatico The Act of Killing, analizza ancora il tema del genocidio in Indonesia, le purghe anticomuniste del 1965, affrontandolo da un'altra prospettiva. The Look of Silence offre una visione della tragedia da parte delle vittime, in particolare segue la storia di un uomo sopravvissuto, il cui fratello è stato torturato fino alla morte durante la rivoluzione da un gruppo di ribelli; storia già raccontata dal punto di vista degli assassini nel documentario del regista The Act of Killing. In The Look of Silence si osserva la famiglia dell'uomo ucciso, in particolare il fratello minore, che decide di incontrare gli uomini che hanno massacrato uno di loro.

Il regista texano ritorna nuovamente in quei luoghi quasi sconosciuti da una grande fetta di popolazione mondiale per continuare un discorso aperto, in Indonesia, che lo aveva reso noto al pubblico e soprattutto ai festival e a qualche leader militare che magari non se lo aspettava o non ne è rimasto così contento. In questo caso la telecamera, l'intervista e la settima arte, diventano sacro santi nella loro potenza divulgatrice.
THE ACT OF KILLING era sorprendente per molti punti, originalità, orrore e incredulità per i fatti accaduti e infine un nuovo modo di strutturare il documentario e di trovare degli elementi da usare a proprio favore come le testimonianze esaltate dei carnefici.
The Look of silence, titolo molto significativo, non esamina più il rapporto tra senso di colpa represso e rievocazione della memoria attraverso la finzione, ma quello tra responsabilità e rimozione della memoria, tema anch'esso importante per comprendere e dare un nome ai vissuti e ancora ad oggi, gli effetti causati dal genocidio senza eguali e che ha portato un milione di presunti comunisti ad essere trucidati e macellati da feroci squadre della morte, appoggiate dall'esercito e dal nuovo governo.
Vittima e Colpevole si guardano negli occhi, la memoria putativa cerca di elaborare e di non dimenticare, se non altro per il bisogno di ammettere affinchè quello che è successo non possa più verificarsi.
Le interviste condotte dal giovane oculista, e qui la metafora è perfetta in entrambi i sensi, danno due diversi quadri su quello che è rimasto nella popolazione, dai killer che confessano i propri crimini davanti alla videocamera senza nessuna vergogna dicendo in parte di aver eseguito solo degli ordini, a coloro che negano, o che si trincerano nel silenzio.
Alì è l'emblema di ciò che resta, di ciò che è stato, e di ciò ce non si vuole più vedere forse si inizia a voler conoscere.
Il documentario ha pure dei momenti di commovente dolcezza come la madre di Alì che lava il corpo scheletrico del padre, o i dialoghi di Alì con la figlia, oppure lo stesso Alì che comprende di essere stato, come afferma la madre, un sostituto del fratello, della morte stessa del fratello (una storia che si fa fatica a credere) e infine il bisogno di riscatto con i genitori e il muro di fronte al ricordo della tragedia.
Un viaggio ancora una volta doloroso ma necessario per comprendere fino in fondo le ragioni e la crescita di una popolazione legata ad una tragedia che rimarrà per sempre nei loro ricordi.