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martedì 20 marzo 2018

Sangue di Cristo


Titolo: Sangue di Cristo
Regia: Spike Lee
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Quando al dottor Hess Green viene introdotto un misterioso artefatto maledetto da un curatore d'arte, Lafayette Hightower, viene incontrollabilmente attirato da una nuova sete per il sangue che travolge la sua anima. Tuttavia, non è un vampiro. Lafayette soccombe rapidamente alla natura vorace di questa sofferenza che trasforma Hess. Presto la moglie di Lafayette, Ganja Hightower, va in cerca del marito e viene coinvolta in una pericolosa storia d'amore con Hess che mette in discussione la natura stessa dell'amore, della dipendenza, del sesso, e dello stato della nostra società apparentemente sofisticata.

L'ultimo Spike Lee Joint è stranamente un horror. Un thriller, un dramma con risvolti erotici.
Un'opera abbastanza fuori dagli schemi per quanto concerne l'approccio che l'autore disegna e a cui fa sfondo la vicenda. Un altro film molto bello è uscito negli ultimi anni che parla di vampiri in salsa black, l'indie Transfiguration.
Un altro film black che tratta quindi il vampirismo come metafora dell'integrazione razziale. Mentre nell'altro film il protagonista era un ragazzino qui sono gli adulti.
GANJA & HESS è, infatti, un oscuro film horror della Blacksploitation datato 1973 che il nostro ha deciso di “rifare”, con il titolo Da Sweet Blood of Jesus (Il sangue di Cristo).
Film a bassissimo budget girato in due settimane e supportato dalla tecnica del crowdfunding.
Premetto che quando ho sentito parlare del pugnale di Ashanti non ho resistito a quella monumentale scena dove veniamo a conoscenza di questo coltello nel film Bambino d’oro e dove Eddie Murphy prendeva in giro la spiritualità tibetana.
Tantissima musica molto diversa e con temi e atmosfere che cambiano di scena in scena senza di fatto lasciare quasi mai il film senza qualche brano che lo caratterizzi. Una scelta singolare dal momento che diverse scene giocano sull'atmosfera e sulla suspence sospendendola così in alcuni casi o dandole un intento diverso proprio a causa di questo cocktail di generi musicali.
Elegante e raffinato, dai costumi alle scenografie, Lee dimostra una scelta estetica di ampio gusto che riesce ad essere funzionale in tutta quanta l'opera.
Un'opera che cerca di essere onirica, con rimandi per alcuni versi alla cultura e alcune profezie vodoo, l'ipnosi, cercando spesso di deviare sul surreale, riuscendoci, ma non sempre soprattutto nell'ultimo atto, leggermente approssimativo e chiudendosi come fa con il triangolo di personaggi in un circolo vizioso da cui ne uscirà trascinandosi in una pozza di sangue tra presunta disperazione e un’insistita vena erotica glamour che non riesce così bene a gestire.