Titolo: Report
Regia: Scott Z. Burns
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Un uomo indaga sui metodi che la CIA ha
adottato dopo l'11 settembre.
I film d'inchiesta schierati dalla
parte della carta dei diritti umani ormai cominciano ad essere un
fenomeno importante nonchè una ricca galleria di punti di vista per
mostrare alcuni lati orrendi della politica americana. Il cinema poi
si sa di questi tempi è difficile da nascondere o bruciare come
poteva succedere in passato per testimonianze, carte e video ripresi
durante le torture.
Burns prima di essere un regista al suo
secondo lungometraggio, ma di cui questo è il suo vero esordio, è
uno sceneggiatore formidabile che ha scritto Panama Papers e Informant. Report però è un film maggiormente complesso che si basa
su un realismo e un’asciuttezza narrativa ridotta ai minimi termini
senza mettere in scena spazi larghi, ma sempre uffici angusti e
bunker dove avvengono le peggiori efferatezze ai danni di presunti
terroristi quando il film dimostrerà ben altro. La tortura, la
ricerca della sottomissione, percosse, musica ad alto volume,
isolamento, deprivazione fisica, tecnica del waterboarding, quella
della tortura diventa una pratica che da sempre interessa gli uomini
della Cia, alcuni convinti della sua funzionalità, altri costretti
solamente a rimanere spettatori inermi.
Report sceglie una storia, quella di
Daniel Jones che all'apparenza non sembra aver timore di nulla pur di
cercare la verità e dare una nuova spinta verso un processo di
giustizia e una inchiesta durata diversi anni che ha portato a
qualcosa come 7.600 pagine di rapporto, condensate in poco più di
cinquecento per essere rese note al pubblico.
Richiami al cinema di denuncia della
Bigelow, Driver sempre in forma straordinaria come se fosse un alunno
attento e sempre molto concentrato, una messa in scena che non cerca
sensazionalismi disponendo di una storia macabra quanto attuale. Un
film necessario, un'opera che dimostra il coraggio di voler far luce
su un fenomeno assorbito dai media e dai sostenitori di una certa
politica americana reazionaria che dimostra le falle e il potere
delle fake news.
La più grande democrazia, come spesso
si auto definiscono gli Usa viene ancora una volta messa in
discussione come a sostenere la tesi che smettendo solo per un attimo
di mentire acquisterebbero dignità.
Un film che non è mai scontato o
prevedibile, che non cerca manierismi o inquadrature eleganti, che
sfugge da tutta una serie di esercizi di stile di cui di fatto il
film non ha bisogno e per questo non scende a compromessi se non
quello di offrire uno scorcio limpido su una ferita ancora aperta
della recente storia americana.