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mercoledì 1 luglio 2020

Nimic


Titolo: Nimic
Regia: Yorgos Lanthimos
Anno: 2019
Paese: Grecia
Giudizio: 4/5

In metropolitana, un violoncellista professionista incontra una sconosciuta: la cosa avrà conseguenze sulla sua vita.

In 12' Lanthimos riesce a creare un suggestivo viaggio nella mente umana, un corto sulla distopia sociale, sul nulla o niente come a voler tradurre il nome dell'opera, immettendo nello spettatore fin da subito tra monotonia quotidiana, fantasia borghese e lavoro, quella paura di perdere la nostra riconoscibilità e il nostro posto nel mondo come individui.
Una provocazione pungente immersa in un contesto magico (come lo era per Killing of a sacred deer) e allo stesso tempo terrificante. Il tema della ripetizione e della temporalità, un percorso ciclico che sembra proporre tre location come a creare un loop temporale in cui si alternano reale e immaginario.
La musica ha il suo peso specifico, alternando la soundtrack che scandisce la monotonia casalinga con il mestiere da violoncellista del protagonista. Lanthimos ancora una volta prova a creare uno scenario inquietante e sci-fi leggermente distopico dove le norme che regolano la nostra quotidianità vengono abbandonate o messe alla prova scontrandosi e venendo a contatto con delle paranoie tanto irrazionali, quanto spaventose da immaginare soprattutto quando è la tua famiglia a dover scegliere se rimpiazzare o meno uno dei suoi membri.



lunedì 11 marzo 2019

Transit


Titolo: Transit
Regia: Mariam El Marakeshy
Anno: 2018
Paese: Grecia
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

Potenti storie di giovani rifugiat* che hanno rischiato la vita attraversando il mare Egeo verso l’Europa, per rimanere intrappolat* nell’isola greca di Lesbo. Piccole forme di resistenza aprono spiragli di speranza

Co finanziato da un canale televisivo turco, Transit è un documentario scomodo, indipendente e low budget che ha il merito di cogliere alcune testimonianze di tutti coloro che si sono trovati intrappolati nell’isola greca di Lesbo senza aiuti dall'Europa in accampamenti che spesso non hanno nemmeno i servizi principali.
Un luogo che "dovrebbe essere" di transito, dal momento che tanti rifugiati non vedono la Grecia e l'Italia come quella Europa che dovrebbe ospitarli e sistemarli, ma una via di mezzo per l'Europa che significa invece Germania o paesi più industrializzati.
Emergono dettagli inquietanti come i salvagenti consegnati dagli scafisti ai rifugiati che in realtà non sono omologati a norma, ai traumi senza parole delle testimonianze di persone e famiglie semplicemente lasciate lì, in mezzo ad un'isola con sogni, rabbia, delusioni e intenti su un futuro che sembra sempre più abbandonato e reso inconsistente da una politica che si dimentica di loro.

mercoledì 20 febbraio 2019

Suntan


Titolo: Suntan
Regia: Argyris Papadimitropoulos
Anno: 2016
Paese: Grecia
Giudizio: 4/5

Un medico quarantenne sviluppa un'ossessione per una ventenne scatenata che gli capita in ambulatorio e che non perde occasione di stuzzicarlo.

Con una storia semplice e di immediata empatia, il secondo film del regista greco fa centro a pieno in una cinematografia sempre più complessa e stratificata.
Il risultato è pazzesco quanto assolutamente magnetico. Sultan ha un ritmo devastante che seppur inflazionato, come molti critici sostengono, da uno stile spesso troppo intimista, lento e con una incredibile legge del dettaglio su particolari poco interessanti, diventa il Coming of middle age che vi darà un pugno allo stomaco importante con un dolore difficile da dimenticare.
Ecco se qualcuno ci era rimasto male o si era fatto qualche esame intrapsichico con AMERICAN BEAUTY qui ci si fa male sul serio per quanto le strategie e le dinamiche tra i personaggi sono davvero realistiche e memorabili nella loro grazie e stando coi piedi a terra senza dover esagerare con le psicologie o inventandosi scenari poco plausibili.
Qui rimangono aderenti ad una visione di fondo che è limitata nella sua micro descrizione e come la manda avanti con Kostis e Anna è importante per inquadrare fenomeni e comportamenti che ormai generano subito incomprensioni.
Un film intelligente con un finale amaro su cui non mi sono ritrovato del tutto ma regalandoci ancora una volta la dimostrazione di come un'opera importante venga sviluppata mettendo da parte l'ambizione personale e lavorando tanto con gli attori e con i pochi strumenti che si hanno a disposizione.


lunedì 11 febbraio 2019

Favorita


Titolo: Favorita
Regia: Yorgos Lanthimos
Anno: 2018
Paese: Grecia
Giudizio: 4/5

Inghilterra, 18esimo secolo. La regina Anna è una creatura fragile dalla salute precaria e il temperamento capriccioso. Facile alle lusinghe e sensibile ai piaceri della carne, si lascia pesantemente influenzare dalle persone a lei più vicine, anche in tema di politica internazionale. E il principale ascendente su di lei è esercitato da Lady Sarah, astuta nobildonna dal carattere di ferro con un'agenda politica ben precisa: portare avanti la guerra in corso contro la Francia per negoziare da un punto di forza - anche a costo di raddoppiare le tasse sui sudditi del Regno. Il più diretto rivale di Lady Sarah è l'ambizioso politico Robert Harley, che farebbe qualunque cosa pur di accaparrarsi i favori della regina. Ma non sarà lui a contendere a Lady Sarah il ruolo di Favorita: giunge infatti a corte Abigail Masham, lontana parente di Lady Sarah, molto più in basso nel sistema di caste inglese.

Chi è la favorita dell'ultimo film di Lanthimos?
Una, nessuna e centomila.
Perchè continuando a scardinare i generi, l'autore si presta così, in piena epoca vittoriana, a creare questo scontro tra donne spietate, uno scontro prima di caste, ma soprattutto di piani astuti e intelligenze che cercano di non soccombere mai di fronte alla realtà dei fatti ovvero una mentalità rigidamente patriarcale (la scena di Harley in cui ad ogni incontro con Abigail la prende a calci per ribadire la sua superiorità è una bella metafora nel film) e procacciarsi il proprio interesse dove come un topo in trappola, bisogna sempre cercare di anticipare le mosse della preda altrimenti si finisce in pasto ai suoi famelici ingordi (appena ci allontaniamo dal palazzo regale, scopriamo come soprattutto nelle campagne, la donna ha il solo compito di essere messa a quattro zampe come mero strumento per il dominio maschile).
Cos'è la favorita?
La favorita è quella posizione in cui la regina Anna infine decide di abbandonarsi a che gli eventi prendano una piega disfunzionale purchè ciò la lasci libera e ancor più avvezza ai piaceri frivoli, senza dover continuamente e incessantemente trovare una soluzione o un patteggiamento per il bene del proprio paese. Il senso critico, la giustizia, la nazionalità e i valori di una discendenza, per scegliere invece qualcosa che riesca ad intenerire, a far scorrere nella maniera migliore e più viziosa possibile gli ultimi anni di vita, preferendo il piacere della carne ad uno stile di vita rigido e noioso che comporta responsabilità e scelte di giudizio (la guerra in questo caso funge come elemento trasversale e perfetto per far tornare tutti i diversi piani macchiavellici sotto un unico tetto e allo stesso tempo ponendo la questione bellica come un rompicapo non semplice da decifrare)
Cosa fa la favorita?
Corre e si rincorre per tutta la sua durata, nascondendosi, perdendosi a cavallo nelle campagne, guardando e scoprendo come fuori dai muri del castello tutto faccia paura e i valori e le alleanze non esistano, dovè il vincitore o la vincitrice non può essere una sola, ma un continuo scambio dove l'intento da parte di ognuno è quello di accaparrarsi il gradino più alto del potere, approfittando dell'indole devastata e sepolta di una regina malata di gotta che rimembra i suoi 17 figli morti attraverso dei coniglietti.
Un film grottesco, delicato, erotico, ingegnoso, che grazie ad un trio di attrici che si presta in modo viscerale, troviamo tutti i risvolti per far sembrare questa commedia o dramma da camera, una metafora di come in fondo, ad oggi, continuino a funzionare le corti di tutto il mondo nelle solite maniere e appesantite dalle stesse sofferenze e difficoltà della vita.

venerdì 12 ottobre 2018

Capsule


Titolo: Capsule
Regia: Athina Rachel Tsangari
Anno: 2012
Paese: Grecia
Giudizio: 4/5

Sette ragazze. Una villa abbarbicata su un costone roccioso nelle Cicladi. Una serie di lezioni su disciplina, desiderio e sottomissione.

Ma che bella scoperta il cinema videoarte della Tsangari. Figlia anch'essa di tanto cinema e di tante citazioni e forme d'arte diverse che riescono in questo caso ha unirsi tutte come in un girotondo dark ed esoterico per una galleria di immagini evocative e dalla innegabile grazia.
Un fascino e una ricerca della moda, della bellezza, del desiderio in cui la regista ellenica sembra voler sancire i suoi temi più personali dalla competizione al desiderio, il dominio e non ultima la sottomissione. Lo fa confezionando una pellicola di grandissimo fascino visivo e di bellezza estetica in cui nessuna componente è lasciata al caso: tutto è molto curato e controllato dai costumi alle immagini.
Un certo simbolismo potrebbe far storcere il naso dal momento che alcuni contenuti possono risultare criptici e di certo la regista non esclude una certa ricerca non solo dell'estetismo a tutti i costi ma anche di una sotto chiave narrativa e intellettuale che inserisce toni da fiaba gotica e un certo horror che cerca di rifarsi al mito del vampirismo
Un'opera ambiziosa e criptica che in fondo tratta la magia, il rituale, la cerimonia grazie a sei discepole (o replicanti) alla corte di una dominatrice matriarcale che, costituito un'ordine improntato su un'insolita dottrina iniziatica alla (ri)scoperta della natura femminile, finisce per stabilirne i rispettivi e brevissimi cicli esistenziali.

lunedì 7 maggio 2018

Invisible


Titolo: Invisible
Regia: Dimitri Athanitis
Anno: 2016
Paese: Grecia
Festival: Torino Underground Cinefest 5°edizione
Giudizio: 5/5

Quando Aris, un operaio trentacinquenne viene licenziato senza preavviso, diventa ossessionato dall'idea di farsi giustizia da solo. E'pronto a raggiungere il suo scopo quando l'ex-moglie gli rifila il loro figlio di sei anni.

Altro istant-cult del festival.
Insieme a Freezer i lavori più scioccanti sul mondo del lavoro. E manco a farlo apposta entrambi arrivano dalla Grecia come a ricordarci che le lancette si muovono e tutto continua a peggiorare da quelle parti.
Cinema indipendente che riflette senza meccanismi di chissà quale specie, ma sondando e raccontando un dramma realistico e attuale che dovrebbe sempre più farci riflettere su dove queste politiche europeiste stiano traghettando alcuni paesi.
Prima di tutto i personaggi sono fantastici, recitati da dio e con una psicologia mai banale ma in grado di andare a fondo nelle problematiche e nelle scelte radicali. Il protagonista poi ci ha messo così l'anima da renderlo quasi al pari di alcuni attori neorealisti per come regga e si carichi sulle spalle un dramma importante. Un elemento che ho apprezzato davvero tanto è stato quello di come il protagonista Aris reagisce al duro colpo del licenziamento. Semplicemente facendosene una ragione, essendo una persona umile, senza fare ricorso a chissà chi (e poi da chi andrebbe) finendo per portarsi dentro un male che lo annienta poco alla volta. La scena in cui riesce ad entrare nella fabbrica quando è chiusa e si mette al lavoro sulle macchine come dicevo ricorda il miglior cinema di sempre italiano di impegno come nella politica di Petri.
Qualcuno lo ha definito il film greco dell'anno. Sono d'accordo.
Il finale poi è amarissimo.






giovedì 26 aprile 2018

Freezer


Titolo: Freezer
Regia: Dimitris Nakos
Anno: 2017
Paese: Grecia
Festival: Torino Underground Cinefest 5°edizione
Giudizio: 5/5

Tassos, un uomo di poco più di 50 anni con una carriera nella direzione marketing e della pubblicità di una grande azienda, è disoccupato ormai da tre anni. E'troppo vecchio per ricominciare tutto daccapo, ma anche troppo giovane per andare in pensione. Il rapporto con le persone a lui più vicine viene messo a dura prova, e la sua condizione psicologica è di emarginato. Il suo obbiettivo è soltanto uno: uscire dal "freezer"

Il corto di Nakos è davvero straordinario.
Ci immerge nel mondo del lavoro, nella difficoltà a reintegrarsi nel tessuto sociale e nel mercato. Parla di crisi d'identità, di umiltà e di flessibilità. Grazie ad un'intrepretazione perfetta e molto sentita, Nakos ci mostra questo personaggio umile e onesto, Tassos, uno come tanti, che di questi tempi diventa sempre più frequente incontrare, con dei sani valori e una voglia di mettersi ancora in gioco nel mondo del lavoro accettando una paga scarsa e venendo pagato meno dei colleghi più giovani.
I rapporti con la famiglia (una mamma che di nascosto gli da dei soldi) un fratello che non accetta la sua disoccupazione, una moglie esigente e una figlia che sembra compatirlo.
Freezer in '16 mostra tutto quello che deve facendolo in maniera sintetica e funzionale con dei dialoghi taglienti che arrivano subito al cuore del problema.


lunedì 18 luglio 2016

A Blast

Titolo: A Blast
Regia: Syllas Tzoumerkas
Anno: 2014
Paese: Grecia
Giudizio: 3/5

Maria è madre di tre bambini, avuti da un marinaio di cui è sinceramente innamorata, sorella di una donna con problemi mentali sposata ad un simpatizzante dell'estrema destra, figlia di un'anziana paraplegica e di un padre con poco polso. I problemi finanziari della famiglia, proprietaria di un'attività commerciale e di pochi immobili, vanno di pari passo con il suo crollo psicologico. Ancora meglio, potrebbero esserne la causa.

Dalla crisi greca in avanti il cinema non ha potuto per fortuna non esprimersi su un tumore così grande e diffuso che si è espanso per tutto il paese legato alla crisi prima morale poi europea.
I registi e il cinema (neo)realista greco hanno prodotto svariati film tutti in un qualche modo riconducibili con lo scopo di registrare la temperatura del paese, chi a 360°, chi invece concentrandosi su un nucleo familiare.
Tzoumerkas si cimenta anche lui portando un ritratto di una famiglia medio borghese ormai caduta in disgrazia. Il dramma è ovviamente quello della recessione, dello strozzamento fiscale, della peste nera economica che ha mietuto vittime di ogni genere e che andrà ad intaccare l’impresa di famiglia. Dunque puntando il dito verso i mali del paese il film si concentra su Maria spostando su di lei e mettendole sulle spalle una croce enorme, una metafora della "questione" greca, raccontando la storia attraverso lei di una crisi familiare in cui pubblico e privato si confondono in un malessere esistenziale che diventa tragedia e in cui per la protagonista la fame di sesso, che è quasi ribellione e voglia di sentirsi viva, diventa uno degli unici elementi in cui rifugiarsi nel privato come nel pubblico come la scena nell'internet caffè, in cui Maria guarda video porno circondata dallo sguardo esterafatto della congrega maschile.
Significativa di un individualismo sfrenato, che alla luce di quanto sembra dirci il regista, rimane l'unica forma di difesa nei confronti dell'orrore del tempo presente.
A livello tecnico il film è molto interessante, la struttura narrativa procede in maniera sincopata, e con inversioni temporali tra passato e presente che destabilizzano il pubblico.




mercoledì 30 dicembre 2015

Lobster

Titolo: Lobster
Regia: Yorgos Lanthimos
Anno: 2015
Paese: Grecia
Giudizio: 4/5

David è rimasto solo come (e con) un cane. Secondo le leggi vigenti, deve essere trasferito in un lussuoso hotel dove avrà a disposizione 45 giorni di tempo per trovare una nuova compagna. Terminato quel lasso di tempo, sarà trasformato in un animale a sua scelta e lasciato libero a vagare nel bosco.

Lanthimos dopo tre bellissimi film approda alla fantascienza distopica (da una parte c'è una tirannia che impone ritmi di vita alienanti e punizioni esemplari, dall'altra un gruppo di ribelli che vive nei boschi) in un modo, ma c'era da aspettarselo, completamente inaspettato.
Lobster è un film che richiede del tempo per pensarci e per pensare a come strutturare un'idea del genere e allo stesso tempo come farsela piacere soprattutto, e qui vince il cinema europeo, per quella idea di cinema che non deve spiegare cosa sta succedendo e meno che mai esaltarlo o evidenziarlo, elementi invece onnipresenti nel cinema americano.
Un film che dovrebbe essere un inno all'amore che più paura non può fare.
E'lo fa con quei toni da dark comedy, pochi dialoghi e una base molto grottesca di fondo.
Un mondo senza amore, anche il regista più cinico al mondo, non lo vorrebbe mai e amore e affetto grazie al cinema di genere hanno esattamente il bisogno di dimostrare il contrario.
L'essere umano ancora una volta è criticato nel suo modo di vivere o di credere di vivere, fingendo, oppure dimostrando di essere assolutamente individualista e anaffettivo.
Allo stesso tempo è un film che poteva centellinare, anzi doveva, minuziosamente il valore su cui poggia, altrimenti come dalla parte del bosco in avanti, il film esaurisce la sua carica diventando prevedibile e per certi versi scarso rispetto all'originalità di base.
Poi questo uso davvero originale e atipico della voce over che se da un lato spesso è una stonatura troppo didascalica, qui invece dice il banale coprendo l'essenziale oltre che anticipare gli eventi, è in questo non si sa bene se è provocazione o altro.
Certo il linguaggio analitico e complesso con tutta una simbologia che permea il film davvero schematica e non sempre facile da seguire sembra sia diventato il marchio di questo regista.
Ancora una volta una società che di fatto è pervasa da solitudine e depressione, ma di fatto cerca di imbrogliarla e mascherarla senza poterlo, perchè negherebbe la stessa esistenza.



martedì 15 dicembre 2015

Symptoma

Titolo: Symptoma
Regia: Angelos Frantzis
Anno: 2015
Paese: Grecia
Festival: TFF 33°
Giudizio: 2/5

Un'isola selvaggia. Una creatura misteriosa, vestita di pelle e con una maschera da coniglio. Una popolazione terrorizzata e una donna che forse puo` salvarla. O forse trovare nell'orrore lo specchio delle proprie colpe.

Il titolo dimostra ed è la conferma che c'è qualcosa che non và in Grecia.
E non parlo solo della crisi. Un film che nonostante alcune straordinarie location all'interno di un'isola meravigliosa, un'intensa colonna sonora, un manipolo di attori convincenti, trova negli intenti e in una macchinosità di fondo la maggiore difficoltà.
Sintomi di segni celati e mai indirizzati verso una metà precisa, elementi allegorici casuali e più di tutto una surrealtà nemmeno così incisiva ma anzi a tratti fastidiosa.
Pur mantenendo una lentezza e una messa in scena discutibile, il quarto film di Frantzis è di un minimalismo estremo, così tanto concettuale da risultare povero e piuttosto prevedibile anzichè enigmatico.
I toni cupi, i silenzi, i sogni e le visioni, e le maschere davvero suggestive, diventano solo un pretesto per esaurire presto la narrazione e terminare in un finale che peggio non poteva essere.
Sono troppe le domande che rimangono in attesa di una risposta.

Se il film si apre con questa figura misteriosa vestita con un giubbotto di pelle e una strana maschera rituale plasmata sulla testa di un insetto (che per certi versi sembra una mescolanza di tante cose già viste), Frantzis poteva certo fare di meglio colmando i vuoti e restituendo a questa oscura presenza una svolta più inaspettata, e in più non si riesce a capire come questa maschera riesca a trasmettere una fortissima energia erotica percepita solo da alcune donne.


giovedì 22 ottobre 2015

Alps

Titolo: Alps
Regia: Giorgos Lanthimos
Anno: 2011
Paese: Grecia
Giudizio: 3/5

Un'infermiera, un paramedico, una ginnasta e il suo allenatore hanno formato un servizio "a noleggio" e sostituiscono le persone morte su appuntamento. Vengono chiamati dai parenti, dagli amici o dai colleghi dei defunti. La compagnia si chiama proprio Alps (Alpi), e il loro capo, il paramedico, si fa chiamare Mont Blanc (Monte Bianco). Ma nonostante i membri di Alps sottostiano ad un regime disciplinato sotto le regole imposte dal leader, l'infermiera non le rispetta…

La Grecia, soprattutto negli ultimi anni, sta sicuramente passando un periodo di forte cambiamento. Da questo punto di vista, un autore così maturo come Lanthimos, sembra focalizzarsi su tutto ciò che rimanda all'astrazione, metafora dura di una realtà sconcertante.
Ognuno dei personaggi, proprio dal nome, sottolinea subito un aspetto importante della sua "missione sociale" ovvero l'insostituibilità.
Alps, come la trilogia dell'autore, e altre perle decisamente fuori orario per le connotazioni e i topoi personali del regista, è disturbante, perfettamente negli intenti e nella prassi del regista, un cinema in grado di essere identificato dai movimenti di camera, dalla compostezza delle immagini e da altri importanti tasselli cari all'autore, i quali, soprattutto in questo film e in alcune scene, mi hanno fatto pensare ad uno dei padri assoluti del genere come Haneke.
Nel nuovo teatro dell'assurdo ellenico, l'elaborazione del lutto e il tentativo di colmare un vuoto, fanno emergere tutte le fragilità di questo grottesco schema corale.

Un film ancora una volta potente e malato ma reale e per questo così perfettamente in linea con alcuni valori e intenti dei personaggi, da lasciare basiti a bocca aperta, affascinati e sconcertati.

lunedì 9 dicembre 2013

Luton

Titolo: Luton
Regia: Michalis Konstantatos
Anno: 2013
Paese: Grecia
Festival: TFF 31°
Giudizio: 3/5

Tre personaggi – un uomo, una donna, un ragazzo – in un città di atroce anonimato. Tre vite di ordinaria piattezza che sembrano non incontrarsi mai. Eppure qualcosa che li unisce c’è, ed è qualcosa di mostruoso.

Luton come MISS VIOLENCE, DOGTOOTH, ALPIS o ATTENBERG e altri si domanda e fa luce su cosa sta succedendo in Grecia, su come le vite di alcuni personaggi che sembrano incompatibili tra di loro, entrino in contatto per uno scopo comune davvero grottesco e che di fatto crea un fatto sociale mica da ridere
Non viene citata Alba Dorata, i dialoghi sono pochi e confezionati bene, lo stile è prolisso, lento, estenuante,
ma allo stesso tempo funzionale al soggetto e ai tempi di vita dei personaggi che costellano la storia.
Tutto fa riflettere, da una semplice spesa al supermercato fino alla prova costumi in un camerino.
Konstantatos era in sala a presentare il film. Un ragazzo molto giovane, sorridente che non vede l'ora di rimettersi all'opera. Da un lato qualcuno ha detto che sembra già arrivato, che ha uno stile vecchio e asciutto. A distanza di due settimane dalla visione del film a conti fatti, ancora alcune immagini mi viaggiano velocemenete nella testa, portandomi a riflettere e a dimostrare che forse tutti quelli che non sono stati convinti dovrebbero rivedere le loro opinioni.
Cinema duro, con poca azione ma numerosissime riflessioni, con un climax più che efficace e un finale per nulla banale, interpretazioni sofferte che scandiscono le fasce generazionali greche e un urlo disperato di sottofondo che sembra sempre di più icona di qualcosa che si lascia lì come una figura di sfondo in un quadro pieno di polvere.
Il trentaseienne poi si vede che ha capito molto dell'attuale politica europea e delle finte promesse, il suo cinema gratta via tutte le false certezze, le autorassicurazioni e gli autoinganni del governo e dello Stato.
Come tutte le cose abbandonate...alla fine ognuno sceglie il proprio divertimento e la propria fede.
A volte però alcune scelte possono davvero dare luce a mostri di una ferocia spietata.

sabato 16 novembre 2013

Miss Violence

Titolo: Miss Violence
Regia: Alexandros Avranas
Anno: 2013
Paese: Grecia
Giudizio: 4/5

Nella famiglia di Angeliki tutto sembra andare per il verso migliore se non fosse che la bambina, il giorno del suo 11esimo compleanno, a sorpresa si suicida buttandosi dalla finestra. Lo smarrimento che segue è inusualmente cauto, l'annuncio di una serie di altre stranezze che lentamente riveleranno l'inferno familiare vissuto dalla bambina e che ora vivono gli altri membri della famiglia. Il massimo della pulizia del perbenismo borghese che il patriarca mantiene infatti è solo una patina.

La crisi greca vista sotto lo sguardo di un nucleo famigliare non poteva essere più straziante.
Rigoroso, minimale, asettico, un orrore tra le mura di casa.
Sarà che Haneke è uno dei miei registi preferiti e Avranas è un suo discepolo (e si vede), che questo film è davvero ben fatto in tutte le sue componenti.
Un dramma che dall'incipit mostra esattamente quali saranno i tasselli che compongono la tragedia famigliare, il suo microcosmo abitativo e tutti i protagonisti che ricoprono ruoli molto ben caratterizzati. La componente e l'età anagrafica dei personaggi è squisitamente importante per cercare di capire fin dall'inizio dove giocano gli assurdi reali del film.
L'intensità del dramma si coglie proprio cercando di inquadrare la "crisi" come incidente scatenante (anche se nel film è il suicidio della figlia) che porta addirittura un padre a fare quello che fa, senza rendersi conto degli effetti collaterali e le conseguenze nefaste, ma cercando sempre e solo di pensare alla famiglia come bene principale, mostrando una realtà che all'interno delle mura di casa diventa un inferno privo di etica, di armonia e di normalità.
L'intuizione come dicevo dei ruoli della famiglia, l'importanza che ricopre il titolo del film, la critica con cui sembra descrivere l'azione, diciamo che sotto gli occhi del padre disarma per la totale freddezza negli intenti e nel portare a termine i suoi piani devastando coscienza e sentimenti.
Nel film inoltre è presente una delle scene di sesso più brutali degli ultimi anni.
Come definire ancora la critica di Avranas: insopportabile quiete della ruotine, del non-sense, di una giornata al mare che non ci sarà mai, di bambini tenuti all'oscuro dal mondo reale, di una giustizia fatta indossare agli stessi protagonisti(in cui una sorella deve punire fisicamente il fratello dopo che gli viene ordinato da un famigliare)
Questo è il cinema che uno vorrebbe sempre vedere anche se purtroppo richiede sopportazione e dolore, quello forse che stanno continuando a vivere dimenticati nelle loro case molte famiglie Angeliki.