Titolo: Hunt for the Wilderpeople
Regia: Taika Waititi
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Ricky, un ragazzino di città, viene
dato in affido a una famiglia di campagna della Nuova Zelanda. Si
sente subito a casa con la nuova famiglia affidataria: la zia Bella,
l'irascibile zio Hec e il cane Tupac. A seguito di un drammatico
avvenimento, Ricky rischia di essere spedito in un'altra casa. Ciò
spingerà il ragazzino ed Hec a fuggire nei boschi. Con la caccia
all'uomo che ne consegue, i due sono costretti a mettere da parte le
loro divergenze e a collaborare per sopravvivere.
Taika Waititi è davvero divertente. Al
Torino Film Festival vidi per la prima volta What
we do in the shadows
rimasi sorpreso da come questo eclettico attore, sceneggiatore e
regista, fosse riuscito a far ridere così tanto e sorprendere
continuamente sfruttando un tema abusatissimo come quello dei vampiri
tra l'altro in un mockumentary.
In questo caso si ritaglia un ruolo da
figurante e si concentra sulla regia mostrando come sempre le
bellezze naturali della Nuova Zelanda.
C'è tanto Twain in questo film per
quanto concerne la letteratura di riferimento quanto una voglia di
riscoprire i meccanismi classici dei film d'avventura con il tema
sempre presente del viaggio dell'eroe e del percorso di iniziazione
del ragazzino.
E poi di che attori stiamo parlando.
Sam Neil è un fuoriclasse che non ha bisogno di presentazioni mentre
il piccolo Julian Dennison come tanti bambini della sua età ci fa
comprendere immediatamente come i digital natives adorino stare di
fronte agli schermi e alle telecamere.
Un viaggio alla ricerca di se stessi,
superando la solitudine dell'abbandono (moglie dello zio Hec), e
misurando le forze aiutandosi reciprocamente in uno scontro tra
civiltà e cambi generazionali.
Il tutto impreziosito da una
curatissima colonna sonora che riesce a enfatizzare e dare ancora più
significato ad alcune scene davvero intense ed empaticamente
memorabili.
Il tema ormai sempre più presente e
attuale di questi giovani allo sbaraglio senza famiglie o con pezzi
di famiglia sparsi da qualche parte, abituati sin dalla più tenera
età a spostarsi continuamente da una località all'altra senza mai
lasciare radici è qualcosa di davvero angosciante.
In questo caso Waititi è abile nel
cercare di non concentrarsi su questo problema caricandolo con una
vena grottesca come l'assistente sociale governativa che vuole
stanare il giovane e lo zio.
Infine Hunt risulta un film
politicamente scorretto, denso di situazioni demenziali e citazioni
nerd tra omaggio e sberleffo, ma anche una sorta di critica o forse
analisi che Waititi vuole fare sulla società neozelandese in cui
l'assenza di padri e un problema serio e reale.