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lunedì 18 aprile 2016

Figlio di Saul

Titolo: Figlio di Saul
Regia: Laszlo Nemes
Anno: 2015
Paese: Ungheria
Giudizio: 5/5

Protagonista del film è Saul Ausländer, membro dei Sonderkommando di Auschwitz, i gruppi di ebrei costretti dai nazisti ad assisterli nello sterminio degli altri prigionieri. Mentre lavora in uno dei forni crematori, Saul scopre il cadavere di un ragazzo in cui crede di riconoscere suo figlio. Tenterà allora l’impossibile: salvare le spoglie e trovare un rabbino per seppellirlo. Ma per farlo dovrà voltare le spalle ai propri compagni e ai loro piani di ribellione e di fuga.

La Shoa nel cinema è stata rappresentata più volte.
I successi più grossi li ha avuti sicuramente in campo commerciale con una miticizzazione e una spettacoralizzazione del tema con Spielberg e Benigni.
Poi di colpo arriva Nemes con la sua opera prima.
Regista ungherese di nemmeno quarant'anni, che ha avuto parte della famiglia assassinata ad Auschwitz, gira e dimostra un talento e un linguaggio nuovo che riesce a dare una diversa e ancora più inquietante prospettiva sull'immagine del genocidio.
Il figlio di Saul è un film terribile e sconvolgente, forse uno degli unici in grado di far emergere la brutalità e l'assenza di umanità presenti nei lager.
Un film che grazie al suo protagonista indaga e mostra un aspetto forse poco noto quello dei Sonderkommando, i prigionieri addetti ad assistere i boia nel massacro degli altri in attesa del proprio, dunque un girone infernale atroce in uno spazio, quello di Auschwitz-Birkenau che non viene mai nominato, ma che crea immediatamente un clima claustrofobico.
Un autore che insegue il primo piano del protagonista e lascia sullo sfondo, confusa, la visione dell’orrore, a volte senza nemmeno una perfetta messa a fuoco per creare ancora più disordine e caos per Saul e per lo spettatore che cercano solo di mettersi in salvo senza poter mai aiutare il prossimo.
Infine la possibilità di trovare una pace interiore, facendo un gesto e aggrappandosi disperatamente con la morte sul collo, ad un piccolo gesto che possa infine liberarlo.
"Hai sacrificato i vivi per sotterrare un morto" dice un prigioniero al medico che aiuta Saul a nascondere il corpo del figlio.
Ma sarà veramente il figlio? Saul ad un altra domanda simile risponde "Siamo già morti" e da lì inizia il suo calvario in una rappresentazione e giocando in modo sublime sulla gestione degli spazi.
In più il film è uno dei pochi che mostra uno sporadico tentativo di ribellione contro le SS da parte dei Sonderkommando.
Uno dei film più terribili e allo stesso tempo migliori mai fatti sul tema.



sabato 9 gennaio 2016

White God

Titolo: White God
Regia: Kornel Mundruczo
Anno: 2014
Paese: Ungheria
Giudizio: 3/5

Nella Budapest di oggi una disposizione di legge, per favorire l’allevamento dei cani di razza, prevede che sui bastardi venga applicata una forte tassa. Per questa ragione molti padroni stanno abbandonando gli animali nei canili. Lili, 13 anni, deve andare a vivere con il padre a causa di un prolungato impegno di lavoro all’estero della madre. Porta con sé il suo cane bastardo Hagen ma il genitore non ha alcuna intenzione di averlo per casa e finirà per abbandonarlo in strada. Lili è sconvolta e si mette alla ricerca dell’animale. Nel frattempo Hagen sta cominciando a sperimentare il passaggio da una situazione protetta a un’altra in cui, insieme ad altri suoi simili, diviene oggetto di persecuzione.

“Ho voluto collocare il film in una prospettiva in cui si capisca che il cane è il simbolo dell’eterno emarginato per cui il padrone è il suo Dio”
L'Ungheria non ha mai fatto una bella figura quando si è parlato di veri e propri genocidi animali.
Diciamo che non lo ha mai nemmeno nascosto. E diciamo inoltre che questa pratica accomuna altri importanti paesi geograficamente molto vicini all'Ungheria.
La rivolta degli oppressi, i cani, sugli oppressori, padroni, trova una messa in scena da fiaba, interessante e suggestiva per certi versi prima di esaurire, soprattutto nel terzo atto, la sua carica incisiva e diventare prevedibile e fin troppo violenta.
Qualcuno ha detto una cosa simpatica che se Polanski dovesse fare un remake di LILLI E IL VAGABONDO forse ne verrebbe fuori un film simile.
Il film di Mundruczo è una metafora molto potente sulla rivolta della massa.
“Questi sono i momenti in cui le masse si ribellano, l’attuale paura dell’Europa: la rivoluzione delle masse. E hanno ragione ad aver paura. Ho cercato delle immagini simboliche per rappresentare tutto questo – ha spiegato il regista – in modo che si veda la direzione che si prende quando ci si rifiuta di mettersi nei panni di un’altra specie, dell’avversario o delle minoranze”
Mundruczo infatti la mette in luce con scene corali di cani che rendono Budapest una città fantasma sotto le note marziali della Rapsodia Ungherese n° 2.
White God è atipico e destabilizzante per certi versi. Mescola i generi, cerca di toccare i sentimenti ed è furbo sotto numerosi aspetti giocati nei confronti del pubblico e soprattutto usando i cani in modo funzionale ma anche empaticamente esagerato.
La scelta del mondo canino come simbolo dei denigrati e sfruttati della storia e angolazione da cui osservare e far scattare gli eventi non è male e pochi registi da questo punto di vista ci sono riusciti quindi bisogna sicuramente dare un sacco di meriti al lavoro di preparazione che c'è stato.

Da questo punto di vista non è così strano che il film si sia portato a casa un premio importante come quello Un Certain Regard a Cannes.

martedì 10 febbraio 2015

Just the Wind

Titolo: Just the Wind
Regia: Benedek Filegauf
Anno: 2012
Paese: Ungheria
Giudizio: 4/5

Tra il 2008 e il 2009 in Ungheria gruppi organizzati di 'giustizieri' hanno commesso atti di violenza contro romeni. 16 case sono state attaccate con bombe molotov, sono stati sparati 63 proiettili per un totale di 55 vittime tra cui 5 ferite gravemente e 6 uccise. I processi contro i sospettati sono tuttora in corso. Mari, romena, vive con il padre invalido in una baracca nei boschi alla periferia di una città. Lavora come tagliaerba per il municipio e come donna di servizio. La figlia più grande, Anna, cerca di studiare in un ambiente non accogliente mentre il preadolescente Rio vagabonda evitando la scuola. Tutti sono sotto la stretta osservazione di un gruppo xenofobo. 

Non ti preoccupare, Rio. Il rumore che senti è solo il vento. Non è che aria che soffia tra i rami, che passa e va, come la tua vita. 
I film che narrano tragedie e traumi senza parole non sono all’ordine del giorno, soprattutto quando trovano alcuni cineasti provvisti di una certa delicatezza nel cercare di descrivere l’assurdità di alcuni gruppi di persone visti attraverso gli occhi di due bambini e di una madre.
Just the Wind è realismo puro. Un film coraggioso che descrive un’ambiente, un microcosmo in cui accadono cose che la società non dovrebbe permettere e alcune etnie sono costrette per la costrizione coercitiva a vivere di stenti accontentandosi e  accettando gli scarti della società (a testa dura però come dimostra senza bisogno di parole lo sguardo di Mari).
Il regista ha ben chiara la giustificazione che il gruppo razzista ha interiorizzato: non ce l'abbiamo con i romeni. Ce l'abbiamo con gli zingari che rubano eccetera. Di fatto poi tutti i romeni vengono catalogati come zingari. Lento, inesorabile e catartico, il secondo film dell’autore dopo il convincente esordio di WOMB, è un’importante denuncia di un’etnia sprovvista di tutele e in cui come diceva Matheson “La normalità è un concetto di maggioranza, la norma di molti e non quella di uno solo”. Le linee di demarcazione sono sempre più interessanti perché vanno denunciate e sono intrise di un odio che non sapendo dove trovare sfogo, si concentra in particolare verso l’Altro Culturale.

Sempre più spesso alcuni interessanti autori (Rodrigo Plà, Padilha, Jean Charles Hue, Oppheneimer, etc) decidono di dover prendere una posizione proprio investendo la settima arte con questa doverosa responsabilità. A tutti noi, spetta il resto.

sabato 2 febbraio 2013

Taxidermia

Titolo: Taxidermia
Regia: Gyorgy Palfi
Anno: 2006
Paese: Ungheria/Austria/Francia
Giudizio: 4/5

Tre generazioni di una famiglia ungherese. La storia del nonno, capitano dell'esercito durante la seconda guerra mondiale, del padre, campione dell'ingurgitazione di dosi spropositate di cibo in tempi velocissimi e del figlio, imbalsamatore che lo accudisce dopo che il suo corpo ha assunto dimensioni spropositate...

Folle,perverso,malato e allucinato. Sì Taxidermia ci piace davvero tantissimo perché unisce la bizzarria con l’autorialità. Nella prima parte sembra quasi di vedere una sorta di Woyzeck più disturbato e che alimenta la sua solitudine con segoni e fiammate dall’uccello.
Grottesco, drammatico, estreme punte di body horror, non c’è nulla che si risparmia in questo film in cui le tre storie per quanto disperate sono profondamente intrinseche nella natura di ogni essere umano.
Ogni tanto la sceneggiatura cede ma solo in alcuni passi e richiede uno sforzo da non sottovalutare nel dare la giusta continuità tra le storie.
Una grande opera che arriva da un paese cinematograficamente quasi nullo come l’Ungheria, ma culturalmente molto valido così come l’importanza di risaltare alcuni aspetti della cultura ungherese all’interno del film descrivendo bene certe dinamiche.
Ci sono troppe scene cult e indimenticabili e questo è un elemento importantissimo nella memoria a breve termine di un cinefilo estremo come il sottoscritto.
Gli ultimi 10 minuti ad esempio solo solo organi. Poi ad esempio capisco dove si è ispirato Carpenter per il MOH nella scena dell’organo nella cinepresa, oppure il tipo con l’uccello in mano sputa fuoco o il padre ultra-obeso che si rifà anche lui ad altri film.
L’altro fattore importante sono gli intenti del film, mai da sottovalutare. Forse nessuno conosce Palfi ma entrando dentro le storie se ne intuisce il peso drammatico a pari passo con la messa in scena estrema nei punti che va a toccare.
Quando una cosa ti repelle ma ti affascina allora è bene.
Il cinema di Palfi, finalmente anche l’Europa dell’Est comincia a sparare i suoi colpi maestri, è grottesco e disgustoso fino alla provocazione, mischia eccellezza e ricercatezza tecnica con contenuti eufemisticamente disturbanti, oltreché critici nei confronti delle estremizzazioni che sporcano il genere umano contemporaneo. Un film forse per pochi ma necessario!