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domenica 20 novembre 2022

Estate di Kikujiro


Titolo: Estate di Kikujiro
Regia: Takeshi Kitano
Anno: 1999
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Orfano di padre, il piccolo Masao, otto anni, decide di andare a cercare la madre mai vista. La vicina di casa, preoccupata per lui, lo fa accompagnare da un amico, Kikujiro, che si rivela molto più irresponsabile: lo porta a giocare alle corse dilapidandone i risparmi.
 
L'estate di Kikujiro è un road movie, un film poetico e ammirevole per come un autore come Kitano, immenso come sempre, riesca a trovare armonia e dolcezza quando parla di yakuza come quando tratta drammi umani e sociali come questo poetico film o SONATINE, HANA BI e DOLLS.
In questo caso la solitudine che in altri casi riguardava gli adulti qui prende di mira un bambino alla fine della scuola, la vita monotona con la nonna e tutti i suoi appuntamenti che con l'arrivo dell'estate terminano lasciandolo a fare i conti con se stesso dal momento che tutti gli amici che hanno una famiglia vanno in vacanza, tutti tranne lui.
E' così gli viene affidato quasi per scherzo della sorte un boss yakuza ormai sulla via del tramonto, povero in canna, costretto a farsi dare ordini da una donna e messo in una condizione che non lo vede di certo la persona più indicata a prendersi cura di un bambino.
E' così si lavora sugli opposti con la tipica ironia che contraddistingue l'autore pure in momenti disarmanti come la scena con il pedofilo, le slapstick al campeggio con lo strano incontro di personaggi lunari usciti dal teatro kabuki (tra i momenti più alti del film) oppure le scommesse sui cavalli o le scene nell'albergo. Kitano non sceglie mai momenti mielosi o scene patetiche per trovare consensi ma punta sull'umiltà di mezzi toccati con grazia, su un rapporto complesso tra due anime opposte per visioni d'intenti e per come vengono esaminati i valori di ognuno.

domenica 11 ottobre 2020

Blu profondo


Titolo: Blu profondo
Regia: Renny Harlin
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Degli squali dalla struttura genetica alterata vengono impiegati per sviluppare una cura contro l’Alzheimer. Peccato solo che i pescioni mutanti siano diventati anche superintelligenti e comincino a combinarne di tutti i colori…

Bistrattato da quasi tutta la critica, Blu profondo per me rimane un film di puro intrattenimento con un ottimo ritmo, un'idea originale, dei buoni caratteristi e una messa in scena che nonostante gli anni invecchia bene.
Squali da laboratorio, intelligenza da predatori, una caccia all'uomo anzi al team scientifico dove spadroneggia con il suo mascellone Carter Blake una sorta di Acquaman degli squali.
Il b-movie di Harlin, regista partito molto bene per finire molto male, ha un sacco di spunti interessanti e un ritmo strepitoso, con un paio di colpi di scena su chi dovrà morire davvero notevoli e inaspettati. La mattanza degli squali non conosce barriere così come le strategie adottate per cercare di sopravvivere per i nostri protagonisti (alla fine almeno un nero si salva, ma il pappagallo no). Gli effetti speciali beneficiano di un decoroso budget e riescono a non imporsi in maniera esagerata lasciando molto spazio all'atmosfera e ai dialoghi tra gli attori tagliati con l'accetta. Sembra una sorta di Jurassic Park sottomarino per quanto alla fine la storia sia sempre la stessa.

lunedì 20 luglio 2020

Mummia(1999)


Titolo: Mummia(1999)
Regia: Stephen Sommers
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Egitto, anni venti: alla ricerca del tesoro della Città dei Morti, un gruppo di americani risveglia la mummia di un temibile sacerdote dell’antichità.

La Mummia è un forte film d'intrattenimento dove l'avventura non cede mai il passo alle scene d'azione, dove il ritmo è concitato e i personaggi come i mostri e i momenti comici sono tutti dosati in buona maniera e con grande piglio registico. Forse la farsa e la comicità troppo spicciola che riflette l'avvio dell'epoca piatta hollywoodiana è uno dei momenti di puro marketing e imbecillimento del pubblico studiato apposta per potere rendersi funzionale ad ogni tipo di target. Ci troviamo assieme a Deep Rising ai film migliori di un regista come Sommers che ha attraversato l'avventura con alti e bassi allucinanti.
Due ore dove non c'è mai un momento debole o dove non succeda qualcosa, dove i ribaltamenti, gli inseguimenti e i combattimenti sono una galleria incessante, dove l'intro sulla storia egizia e vari altri momenti riescono a creare un certo interesse senza mai prendersi troppo alla leggera, dove lo stile accademico di Lucas e Spielberg si respira appieno anche se a differenza dei citati qui l'obbiettivo è l'intrattenimento con effetti speciali straordinari e l'onnipresente presenza della magia.
Il contesto in cui questo si svolge ossia i primi anni ’20 del XX secolo. Sono anni molti importanti per l’egittologia poiché vedono il compiersi dei grandi scavi archeologici avviati alla fine del secolo precedente da gente come Victor Loret, a cui si deve la riscoperta della Valle dei Re, ma anche l’avvio delle prime fotografia aeree delle piramidi e dei siti parzialmente scoperti, come fu nel caso del pioniere Theodor Kofler a partire dal 1914. Il film riesce a trasmettere esattamente l’entusiasmo di questo tempo ma anche la passione della scoperta dei luoghi ancora ignoti.



lunedì 30 dicembre 2019

Mistero di Sleepy Hollow


Titolo: Mistero di Sleepy Hollow
Regia: Tim Burton
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

New York 1799. Ichabod Crane è un poliziotto bizzarro che ha un modo molto personale di risolvere i casi. Ha l’occasione di dimostrare la “scientificità” dei suoi mezzi, nel momento in cui i suoi superiori lo spediscono nel villaggio di Sleepy Hollow dove si sono verificati misteriosi delitti. Le vittime, tutte decapitate, sarebbero state uccise da un misterioso Cavaliere senza testa, terrore di tutti gli abitanti della cittadina. Crane che si rifiuta di credere a quella che giudica una sciocca leggenda popolare, inizia ad indagare sugli omicidi ritrovandosi ben presto catapultato in una specie di incubo che i suoi metodi “illuministi” non basteranno a spiegare. Aiutato da la bella e inquietante Katrina Van Tassel, il poliziotto, porterà alla luce misteri e segreti di un mondo incantato.

Burton non è il primo a rivisitare o riadattare il classico di Washington Irving (1819), portato sullo schermo dalla Disney nel 1949 e in altre tre occasioni nel 1912,1922,1980.
Un'altra fiaba con tutti gli ingredienti dell'autore in una prospettiva che ha il sapore del fantasy come in altri suoi film ma virato in chiave fantasy e horror.
Un confronto tra scienza illuministica e superstizione irrazionale, dove l'incanto e la magia fanno la loro importante parte, dove il talento visivo e l'abilità nel maneggiare la cinepresa non si discutono di certo, ma si evince e si appura una difficoltà nel saper gestire il comparto legato alla scrittura con alcune apatie narrative che influiscono soprattutto nel terzo atto in maniera negativa sull'opera senza darle quell'enfasi in più che serviva a farlo diventare uno dei suoi film più importanti.
Il fiabesco ottocentesco ha una visionarietà che non si discute, attori tutti in parte con una menzione speciale a Walken che riesce ad essere spaventoso pur con i suoi aspetti fragili e il suo passato tormentato, un cattivo indefinito per una storia misteriosa che se scritta meglio con meno sub-plot sentimentali, avrebbe avuto ancora più atmosfera e ritmo. Invece così a lungo andare e nei compromessi finali del climax, si rimane leggermente amareggiati nonostante comunque questo suo ottavo film dimostri ancora una volta, coraggio e amore e arte nel saper trattare quelle vicende che sembrano unire storia e leggenda.


domenica 27 ottobre 2019

Guerrà degli Antò


Titolo: Guerrà degli Antò
Regia: Riccardo Milani
Anno: 1999
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Montesilvano, provincia di Pescara, ottobre 1990. Quattro giovani punk cercano di lottare contro il tran tran della vita di provincia. Per distinguersi, dato che si chiamano tutti Antò, si sono dati dei soprannomi. Antò detto Lo Purk vuole fuggire, decide di andare a studiare a Bologna, passa un po' di tempo nel capoluogo emiliano, cerca di seguire le lezioni ma non riesce a sentirsi coinvolto. Allora sceglie di recarsi ad Amsterdam, città di vera trasgressione. Antò Lo Zorru riceve la cartolina militare che lo destina in Iraq, dove è in corso la Guerra del Golfo. Vuole disertare, si fa fare a Bologna un passaporto falso, parte e raggiunge ad Amsterdam l'amico. Qui, in una stanzetta, Lo Zorru dice a Lo Purk di aver conosciuto una ragazza di cui si è innamorato, ma Lo Purk lo informa che si tratta di una ragazza chiacchierata per i molti rapporti che intrattiene. Lo Zorru si arrabbia, i due litigano, si incendia una tenda, la camera va a fuoco, la polizia rispedisce i due in Italia. Qui viene fuori lo scherzo: la cartolina-precetto era fasulla, una sorta di vendetta delle figlie di Treves, noto palazzinaro locale. Ancora una volta i quattro Antò si ritrovano sul lungomare, al bar Zagabria, a fare progetti di fuga per il futuro

Un po come per OVOSODO, si raccontano storie di disagio e inquietudine giovanile. Certo non siamo dalle parti dell''Ultimo Capodanno o PAZ, commedie che oltre ad intrattenere, riescono a far ridere di brutto ed essere anche in parte grottesche.
Nonostante il panorama abbastanza nuovo per la commedia italiana, i punk e i loro paesini d'origine, il problema grosso è sempre legato alle sceneggiature dei film di Milani, esageratamente sbilanciate dal punto di vista emotivo con il compito di cercare sempre la lacrimuccia facile, l'empatia a volte forzata con i personaggi, il fatto che debba sempre tutto risolversi nel migliore dei modi. Milani ha girato tanto rimanendo sempre nella commedia bonacciona  Come un gatto in tangenzialeBenvenuto presidente o il dramma il Posto dell’anima.
I protagonisti del film cercano di mettercela tutta, recitano se stessi in fondo, come tanti ragazzi di giù che appassivano nelle loro città deserte, cercando di rendersi degli outsider o dei diversi anche solo nei vestiti rispetto agli altri. In questo caso il clima disilluso, il fatto che i quattro ragazzi siano pure dei mezzi disadattati e sfigati aiuta, c'è li rende più reali e sinceri come il monologo di Lo Purk sul bisogno di scappare scoprendo però che andando via da un posto, non si scappa da se stessi o la scena di quando irrompono nel programma di Chi l'ha visto.
Per chi volesse un'altro sguardo sui punk deve recuperare il film migliore in circolazione fino ad ora Bomb city






mercoledì 2 ottobre 2019

13 guerriero

Titolo: 13 guerriero
Regia: John McTiernan
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Nord e Sud uniti nella lotta, per un'operazione neomitologica che si giova dell'interpretazione convincente di Banderas. Un arabo si allea ai Vichinghi per combattere contro gli sgradevoli Wendol in un'epopea dai larghi orizzonti.

Secondo una leggenda un giorno arriveranno dall’estremo-estremo nord delle forze oscure che porteranno morte e miseria nelle terre di Odino. Questo male potrà essere estirpato solo grazie all’aiuto di 13 guerrieri che volontariamente decideranno di difendere le loro terre al costo della vita. La leggenda vuole che la compagine sia composta da 12 vichinghi e uno straniero.
McTiernan torna all'action epico-avventuroso con una storia abbastanza interessante.
Lo specialista del cinema d'azione in grado di regalare alcuni cult indimenticabili come PREDATOR e Nomads, è qui alle prese con un'idea tratta dall'ennesimo libro di Crichton, che per il cinema si è sempre rivelato una mossa congeniale basti pensare a cosa non è stato Jurassic Park.
Ci sono molte intenzioni e ambizioni, tirare fori dal cappello un viaggiatore iraniano realmente esistito attorno al 900 d.c, e considerato dagli storici contemporanei come uno dei primi intellettuali musulmani ad aver viaggiato fino all’estremo nord e descritto la cultura norrena, mischiarlo con Beowulf (ebbene sì compare anche lui) e una tribù di cannivali dai risvolti orrorifici. Mancava solo Slaine.
Il problema del 13 guerriero è una deviazione e un'aspirazione troppo tamarra dove alcuni scontri e combattimenti riescono addirittura ad annoiare dal momento che il film non si cimenta nella descrizione storica ma si limita a pochi dialoghi, i personaggi vengono appena abbozzati e non caratterizzati a dovere, lo scontro culturale è solo accennato e il resto sono tante prove muscolari.
Sicuramente trattando il tema è sicuramente molto meglio di alcune pellicole sfortunate e dagli intenti discutibili come PATHFINDER o OUTLANDER

domenica 29 settembre 2019

Echi mortali


Titolo: Echi mortali
Regia: David Koepp
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Tom Witzky e’ un operaio di Chicago che si e’ trasferito da poco in una nuova casa in cui vive con la moglie e il figlioletto. Durante una serata con gli amici, quasi per scherzo, decide di farsi ipnotizzare dalla cognata e da quel momento la sua capacita’ di “sentire” gli eventi che lo circondano gli aprira’ le porte di un terribile segreto in grado di minacciare il suo equilibrio psicologico e la tranquillita’ della sua famiglia.

Matheson come King o Barker non riescono quasi mai a raggiungere grossi fasti al cinema. Nel caso di Matheson dopo l'inguardabile film IO SONO LEGGENDA con il flaccido Willy Smith è stato raggiunto il nulla di fatto in un adattamento che non vale nemmeno un'unghia del romanzo.
Echi mortali di fatto ha una storia interessante, con un attore in splendida forma capace sempre di regalare sostanza ai suoi ruoli quale Kevin Bacon. Un film sfortunato perchè non riesce mai a piazzare quella sostanza che di fatto connotava le note dello scrittore e che qui per cercare di trovare carattere e ritmo trova ostacoli ovunque provi a cercare di piazzare colpi di scena ad una storia che di fatto poteva muoversi verso altri territori giocando sulla suspance anzichè su un ritmo forsennato che distrugge la storia sfinendola e abbattendola in ogni dove.
Rimangono dei momenti interessanti, Bacon prova a mettercela tutta, il bambino cerca di rendersi creepy quando può e il cambiamento del protagonista quando è da solo contro i suoi fantasmi diventa uno dei momenti meglio riusciti. Peccato perchè Koepp non era il regista adatto, un mestierante che qui cerca un ritmo che non andava messo in scena in questo modo facendolo risultare una sorta di lotta contro il tempo concitato con echi shyamalaiani e in troppi momenti inverosimile per quanto possa esserlo un thriller metafisico con sedute spiritiche e tutto il resto.
Per non parlare poi di un finale conciliante come quasi sempre succede con le produzioni blockbusteriane americane che distruggono quanto di buono costruito precedentemente.

venerdì 14 giugno 2019

Blair Witch Project


Titolo: Blair Witch Project
Regia: Daniel Myrick, Eduardo Sanchez
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Ottobre 1994. Heather Donahue, Joshua Leonard e Michael Williams, tre studenti dell'Università di Cinema di Montgomery, si avventurano nei boschi attorno alla cittadina di Burkittsville (in passato chiamata Blair), nel Maryland, per girare un documentario sulla leggenda della strega di Blair. Armati di telecamera sedici millimetri in bianco e nero, destinata al racconto della storia, e di una piccola videocamera otto millimetri a colori, per le riprese di una sorta di backstage, i tre si mettono al lavoro, spinti dall'entusiasmo della ragazza, decisa a girare il suo primo film. Il soggetto è succulento: Elly Kedward, accusata di stregoneria, viene cacciata dalla città di Blair alla fine del 1700. Dopo la sua fuga nei boschi, molti ragazzini scompaiono in quelle stesse foreste e, negli anni '40, un serial killer uccide sette bambini e sostiene di averlo fatto su ordine del fantasma della strega. Dopo aver intervistato alcuni abitanti della cittadina, i tre aspiranti filmmakers si spingono nel bosco alla ricerca della chiave del mistero. Ma ben presto si perdono, pedinati da un'oscura e terrificante presenza.

Ricordo ancora la mia espressione basita di fronte al cinema in via po.
Avevo 17 anni amavo l'horror più di qualsiasi altra cosa e dentro di me si faceva sempre più spazio l'idea che il film in questione fosse una bufala commerciale.
Ricordo ancora i salti del pubblico e alcune ragazze che uscirono dalla sala terrorizzate mentre io vedevo solo immagini confuse senza capirci nulla e odiando profondamente i registi e il montatore.

Blair Witch Project è un film orrendo che ha sdoganato il mockumentary che tranne poche eccezioni, rimane uno strumento furbo e rozzo per cercare di fare soldi e procacciarsi un pubblico che ne rimanga colpito, magari sdoganando qualche teoria complottista, o dicendo che il film è tratto da una storia vera o bufalate simili.
L'idea venuta in mente ai due registi non era poi male, cercava di trovare soprattutto al di là dello schermo, degli elementi reali che potessero catturare l'attenzione e creare così mistero e suspance.
Il mockumentary a parte averci regalato dal punto di vista tecnico le peggiori inquadrature mai viste e un ritmo e un montaggio che rischiano di portare all'epilessia ha avuto nel suo nutrito numero di prodotti un successo che ancora stento a credere.
Il fulcro o l'espediente commerciale del sotto genere e di alcuni film che hanno incassato bene (questo più di tutti) stava proprio nel creare uno stato emotivo ansiogeno dei protagonisti persi nel bosco o come accadeva in OPEN WATER dentro un oceano.
Senza buttare tutto e dando i precisi meriti laddove esistano, questa peculiarità ha creato sicuramente un precedente che il cinema ancora non palesava così tanto, basti pensare a forse l'unico capolavoro, il film più importante, REC di Balaguero, dove un maestro delle atmosfere e della suspance ricorre in modo funzionale ad una tecnica come quella sopra citata.
Il risultato di questo film è aver creato una macchina che nel giro di pochi anni semplicemente ha esagerato creando film quasi tutti simili e dando la possibilità a milioni di improvvisati registi di farsi dei piccoli film artigianali inondando le sale con fenomeni appunto amatoriali di scarso interesse.


sabato 8 giugno 2019

Giardino delle vergini suicide


Titolo: Giardino delle vergini suicide
Regia: Sofia Coppola
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Cinque sorelle fra i quindici e i diciannove anni vivono infelici, tormentate da genitori che credono di fare il loro bene. La madre è integralista e cieca: costringe una delle sorelle, per punizione, a bruciare i dischi più cari. Il padre è molle e latitante, tutto preso a costruire i suoi modellini. Certo, ci sono i ragazzi che le corteggiano e le stimano, ma non basta. La prima muore gettandosi sulle punte del cancello di casa. Le altre quattro organizzano uno struggente suicidio collettivo.

I film che trattino del suicidio razionale e volontario (come dovrebbe sempre essere chiamato) non sono moltissimi. Alcuni parlano di questa disgrazia come di un elemento superfluo da apporre alla narrazione ma quasi mai come unico tema centrale.
L'esordio della Coppola invece segue una tragedia familiare e la allarga sempre di più fino allo strazio finale. Un film che probabilmente rivedranno in pochi per diverse ragioni.
Per cercare di attirare l'attenzione non poteva scegliere una trama migliore.
I temi sembrano prediligere fin da subito le imposizioni, i dogmi, i contrasti e gli elementi di non sense tra la purezza cattolica e una sensualità decisamente più pagana (anche se non viene mai accennata). I tabù in questo caso convergono verso un ritratto dell'adolescenza niente affatto consolatorio, con l'analisi di interpretare il dolore a danno dei familiari e lavorando innegabilmente verso la persistenza del desiderio e il doverlo relegare solo a fantasia come succedeva nel film turco molto meglio riuscito Mustang


American Beauty


Titolo: American Beauty
Regia: Sam Mendes
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

La trama si concentra intorno alla vita della famiglia Burnham, composta da Lester, sua moglie Carolyn e la figlia adolescente Jane. Una tipica famiglia disfunzionale i cui membri vivono sotto lo stesso tetto ma sono ogni giorno più lontani gli uni dagli altri, incapaci di comunicarsi a vicenda i rispettivi timori e desideri, e incapaci di aiutarsi a vicenda.

Quando vidi questo film per la prima volta al cinema avevo da poco superato la maggior età.
Fossi stato un padre di famiglia, credo che mi avrebbe "scioccato" molto di più portandomi a farmi un sacco di domande o fare ipotesi su come mi sarei comportato nei panni di Lester. Fece molto discutere, l'idea era interessante, portava a galla molti problemi della quotidianità mostrando una tipica famigliola medio borghese e tutte le difficoltà e i problemi visti in particolare dal punto di vista della figlia che entra al college.
In situazioni come queste i temi sono tantissimi è un autore che soprattutto nella suo primo cinema era molto interessato alle psicologie dei suoi protagonisti ha un'occasione rara e che di certo deve provare a sfruttare al meglio.
Il film rimane la sua opera migliore dove come in una commedia teatrale mette nella bocca di Lester che racconta il suo ultimo anno di vita, un lento monologo che espone esorcizzandoli tutti i mali americani che minavano questi solidi nuclei familiari a partire dal disagio e per finire al vuoto della società americana contemporanea. Solitudini.
Quelle degli adulti fragili e quelle dei figli adulti,in un vortice dove nessuno è in grado di chiedere aiuto e allora osservare, spiare di nascosto, diventano strumenti da prendere in mano per cercare di trovare qualche risposta o soluzioni ai problemi che ci affliggono.
Ironico e mai trasgressivo, il film di Mendes ancora oggi si lascia guardare che è un piacere, notando ancora diversi elementi, dettagli, dialoghi maturi e che a ben vedere soprattutto sulla contiguità di solitudini e l'uso della tecnologia (in particolare gli smartphone) rimane ancora incredibilmente attuale.



lunedì 11 marzo 2019

Detroit rock city


Titolo: Detroit rock city
Regia: Adam Rifkin
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Cleveland, Ohio, 1978. Quattro ragazzi che compongono il gruppo musicale dei Mystery, sognano di diventare il gruppo spalla dei Kiss, band satanica per eccellenza. In occasione del concerto dei loro idoli, essi si procurano quattro biglietti ma la madre di Jam, cattolica praticante, si infuria e li brucia. Da questo momento in poi comincia una spasmodica caccia al biglietto che vede impegnati i quattro ragazzi per un' intera nottata. Non mancano disavventure, crisi di coscienza e ostacoli di vario genere che movimentano la trama del film. Oltre ai già citati protagonisti, il cast della commedia annovera i componenti della band dei Kiss che interpretano se stessi

Cosa accade quando una madre cattolica praticante scopre che il figlio ha sostituito il suo vinile di Carly Simon con quello di “Love Gun” dei Kiss, il complesso satanico per eccellenza?
Detroit rock city è quella piacevola sorpresa che scopri quando meno te lo aspetti facente parte della pletora di film i quali omaggiano gli anni'80, tantissima musica, una teen comedy con un gruppo di quattro ragazzi che a tutti i costi vogliono raggiungere il concerto dei loro beniamini Kiss.
Da qui tutto il film è una divertente e scoppiettante avventura sulle peripezie e le sfortune di questi quattro metallari con la madre religiosa che sembra seguirli ovunque, facendogliene combinare di tutti i tipi.
Le regole, le istituzioni, il coming of age, tutto viene inserito nel calderone e il film poi riesce ad essere un caloroso omaggio, un revival delle migliori soundtrack degli anni '80, dove comparirà la stessa band musicale, per non parlare dell'eccesso a cui punta senza nasconderlo la regia di Rifkin cercando di mettere i giovani di fronte alle scelte e le prove più paradossali (milf che perdono la testa e spogliarelli)


mercoledì 5 dicembre 2018

Quand on est amoureux c'est merveilleux


Titolo: Quand on est amoureux c'est merveilleux
Regia: Fabrice Du Welz
Anno: 1999
Paese: Francia
Giudizio: 5/5

Lara, una bruttina stagionata, pensava di aver bisogno di qualcuno, a qualunque costo, anche che non la amasse, ma che le stesse seduta accanto sul tavolo a mangiare lingue di bue, o sul divano a guardare film (porno?)…

In soli 23' Du Welz (uno dei miei registi post-contemporanei preferiti) riassume quasi tutti i temi del suo cinema che andremo a vedere in seguito.
In questo caso mi ritrovo a fruire il corto dopo aver visto tutti i suoi film, particolarità non così strana dal momento che era quasi impossibile entrarne in possesso.
La solitudine e la deformità. Come questi due aspetti possono convergere trovando un lieto fine?
La metafora sotto cui il regista mette a punto la routine di Lara sembra basata proprio sull'alienazione dalla realtà in una società che potrebbe sembrare distopica senza esserlo per forza ma parlando della solitudine che sembra divorare tutti senza esclusione di colpi.
I deformati in questa operazione rappresentano il culmine dell'ultima ruota del carro, individui che per forza di cose come in una macelleria devono rimanere nascosti perchè brutti e perchè i clienti potrebbero spaventarsi.
Scegliere lo "scarto"diventa una missione salvifica.
Tutto è inquadrato in modo da far prevalere il senso di squallore e il degrado urbano che ci circonda fotografato da un rosso che rimane impresso.



domenica 26 febbraio 2017

Nona porta

Titolo: Nona porta
Regia: Roman Polanski
Anno: 1999
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Dean Corso svolge, con grande entusiasmo, un lavoro che esige pochi scrupoli, oltre ad una buona cultura e nervi d'acciaio. Cercatore di libri rari per collezionisti, viene ingaggiato del famoso bibliofilo Boris Balkan. La sua missione sarà scovare gli ultimi due esemplari del leggendario manuale d'invocazione satanica "Le nove porte del Regno delle Ombre", confrontarli con l'esemplare, ritenuto unico, di cui è in possesso Balkan, e giudicarne l'autenticità. Corso si dedica a tale ricerca facendo appello alle sue illimitate risorse: tutti i mezzi sono buoni perchè non è permesso fallire.

L'esoterismo, nel bene e nel male, è stato una costante nella vita, registica e non, di Roman Polanski. Dal brutale omicidio della moglie Sharon Tate ad opera degli adepti di Manson fino alla realizzazione di due capolavori, il regista polacco ha avuto a che fare con il diavolo e i suoi derivati in più occasioni.
Ma diciamo la verità. Un investigatore di libri in un contesto horror magico con richiami satanisti e un'atmosfera esoterica è quanto di meglio uno spettatore possa chiedere. In mano poi a uno dei più grandi registi della storia del cinema la risposta è ovvia.
Un cult, non un capolavoro.
The nine gate è un film complesso che cerca di prendersi leggermente meno sul serio rispetto ad altre opere del regista ma che poi controllando meglio, come nei simboli nascosti nel libro, regala più di quanto sembra.
I motivi futili e scenici per cui alcuni critici e una fetta di pubblico lo hanno cestinato è per il semplice fatto che ad un certo punto vediamo volare il demone che protegge Corso e altri momenti, chiamiamoli action, poco sfruttati nel cinema del regista polacco, ma che qui invece hanno una loro funzionalità e peculiarità di fondo.
La Nona porta parla di edizioni uniche e antiche, passate nei secoli di mano in mano, determinando tragedie immani, porte per aprire cancelli per l'inferno, l'inutilità di alcune sette, ricatti e vendette e infine un climax abbastanza avvincente se non fosse, e qui l'unica critica al film, un finale troppo sintetico come se bisognasse chiudere set e produzione da un giorno all'altro.
Deep è funzionale come in tutti i suoi film, è una maschera e nulla più, lottando a tutti i costi per essere scelto da Polanski che poi manco a farlo apposta si è trovato malissimo a lavorare con la star.
Langella e la Olin invece danno prova con personaggi potenti, ambigui e pieni di odio e potere, di dare quella inquietante impressione di come la sete di conoscenza generi mostri scambiandosi battute e infine scontrandosi proprio nel tempio dove si sta svolgendo la cerimonia di evocazione finale.
Il regno degli inferi e l'ossessione che ad un certo punto assale Corso (rapito anche lui dall'occultismo e dalla paranoia perchè il libro che custodisce venga rubato) crea diversi percorsi in cui il protagonista non sa più di chi fidarsi in questa estenuante corsa contro tutti.

Interessante anche se caratterizzato meno il personaggio della Ragazza, interpretato dalla Seigner, che potrebbe essere Lilith così come altri personaggi appartenenti a simbologie e interpretazioni delle più variegate che accompagnano l'uomo verso il suo destino, trovando prima l'estasi totale in una scena di sesso memorabile. Un'ultima nota va per le musiche sinistre di Wojciech Kilar.

martedì 8 novembre 2016

Ratcatcher

Titolo: Ratcatcher
Regia: Lynne Ramsay
Anno: 1999
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

James è un bambino che causa, involontariamente, la morte di un coetaneo. Il tragico evento segna ancora di più la sua infanzia dolorosa per lui che ha un padre alcolista e che può solo consentirgli una vita di patimenti. Il taciturno James gioca con i topi tra i sacchi dell'immondizia e dimostra uno scarso interesse per i suoi coetanei. L'unica persona che riesce a dare a James un po' di serenità è Ellen, una bambina che divide con lui una delicata intimità.

L'esordio della Ramsey prima del bellissimo E ORA PARLIAMO DI KEVIN è un altro film di formazione con il tipico ragazzino introverso e timido che dopo un brutto incidente scatenante e una situazione familiare difficile cerca di trovare un posto nella sua decadentissima città.
Interessante il lavoro di fotografia, il cast funzionale, i temi forti e viscerali, le molestie e gli stupri accettati dalla piccola Ellen e una crudeltà e freddezza da parte della regista che unisce tutti questi personaggi e queste tematiche senza nessuna morale.
Un pugno allo stomaco come tanti e come tanto cinema indipendente e autoriale che riesce a sganciarsi e ad avere un'originale punto di vista anche se fatica a mantenere quel livello di bellezza e di atmosfera visiva per tutto il film.

Un ottimo esordio comunque e una Glasgow povera e per certi versi in rovina e quasi post-apocalittica, un vero e proprio sudiciume che cade a pezzi e crolla letteralmente come la psiche di James. Infine la metafora del topolino come vittima di ingiustizia sociale da parte dei bulli e del gruppo diventa icona in più sequenze come a ribadire un certo schema che non sembra finire mai.

giovedì 24 aprile 2014

Dogma

Titolo: Dogma
Regia: Kevin Smith
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Due angeli caduti lasciano il Wisconsin e viaggiano verso il New Jersey dove credono di trovare in una chiesa il modo di essere riammessi in Paradiso. Un arcangelo, portavoce di Dio (che s'incarna in A. Morissette), incarica una cattolica in crisi di fede di fermarli. L'aiutano due profeti.

Kevin Smith ha dimostrato di riuscire a disegnare un quadro interessante sul fanatismo religioso con il robusto RED STATE del 2011.
Dogma è un film furbetto e lezioso che cerca di dare un punto di vista sportivo e fumettistico sulla religione giudaico-cristiana. Smith ci riesce solo a tratti, senza mai dare l'impressione di aver del tutto compreso come trattare e provocare davvero i dogmi cristiani (cosa a cui non si avvicina nemmeno lontanamente) e li mescola in un cocktail da cui emerge un quadro piuttosto scordinato e contraddittorio.
Dio è una donna, gli angeli non sono poi così pacati e gentili come poteva sembrare e Gesù Cristo era nero. Tutto qui.
Il ritmo è forse la parte più coinvolgente. Le cadute di stile sono imbarazzanti e il manipolo di attori che gigioneggiano troppo senza mai dare prove convincenti (forse è difficile riuscirci dal momento che nulla viene mai trattato seriamente e nel cast è presente Ben Affleck come protagonista) a volte proprio non si possono vedere.
Dogma è una parabola fine a se stessa, di trasgressivo e apocrifo c'è poco o nulla (forse per coloro che non conoscono nulla di questi due monoteismi troveranno davvero spassose numerose scene) i dialoghi sono davvero interminabili e quasi mai divertenti, il ragnarok finale sembra una bolgia in puro stile action e il tutto viene condito da un regista credente ma non praticante, feroce ma ironico, oppositore del Cristianesimo e delle politiche della Chiesa di Roma, ma che poco cela e poco scardina.
In realtà di blasfemo in Dogma non c'è quasi nulla e sembra più di assistere ad una parata goliardica che cerca il politicamente scorretto o il religious scorretto.

lunedì 9 dicembre 2013

Street Fighter Alpha

Titolo: Street Fighter Alpha
Regia: Shigeyasu Yamauchi
Anno: 1999
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Quando Gouken, Ken e maestro di Ryu, passa misteriosamente lontano, Ken torna in Giappone e si riunisce con Ryu. Ken e Ryu non hanno molto tempo per soffermarsi sul passaggio del loro padrone, anche se, per un ragazzo di nome Shun si presenta affermando di essere da tempo perduto fratello minore di Ryu.Ryu è scettico, ma fa amicizia con il ragazzo comunque, e presto i due sono felicemente sparring insieme (Shun è anche un artista marziale di talento). Ryu, tuttavia, è stata impegnata con una lotta privata: una forza dentro di lui chiamata Hadou Oscuro. Questa forza potente, una volta consumata Akuma, uno dei più grandi discepoli di Gouken, e ora minaccia di consumare Ryu.

Finora i film d'animazione su SF sono appena una manciata senza contare la serie a episodi.
Dai videogiochi alla saga a fumetto, sono state tante le rivisitazioni e le strampalate storie inventate su alcuni dei beniamini più famosi. In questo adattamento della nota serie Alpha che arriva dopo il capitolo di Bison, si può quasi dire che il protagonista di questa vicenda sia Shun, il fratellino di Ryu. Infatti quando Sadler scopre l'immenso potere della Satsui no Hadou tradotta qui
come Hadou Oscuro, posseduta oltre che da Gouki anche dallo stesso Ryu, Shun viene rapito
e portato in un laboratorio segreto al fine di far risvegliare il potere dell'Hadou Oscuro celato in Ryu. In questo laboratorio segreto Sadler raccoglie i dati di tutti i migliori Street Fighter e qui fanno un cameo: Guy, Dan, Dhalsim, Birdie, Adon, Rolento e Sodoma.
Quindi a parte qualche comparsata e il super robot finale quasi imbattibile, tutto il film segue un corso degli eventi piuttosto dinamico, infarcito di apparizioni ma che in fondo rimane privo di un soggetto originale che riassuma meglio le intenzioni e gli obbiettivi della storia.
Durante i titoli di coda finali, tra i vari crediti, ci sono altre scene conclusive, dunque guardatelo fino alla fine se c'è la fate.

martedì 21 maggio 2013

Fight Club

Titolo: Fight Club
Regia: David Fincher
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Non sei il tuo lavoro. Non sei il tuo conto in banca. Non sei il contenuto del tuo portafoglio. Non sei i tuoi eleganti pantaloni kaki. Non sei un bellissimo ed unico fiocco di neve. La prima cosa che ti succede è che non riesci a dormire. Poi ti ritrovi una pistola in bocca. Dopo incontri Tyler Durden. Lascia che ti parli di lui. Lui aveva un piano. Credevamo in Tyler. Tyler dice che ciò che possiedi finisce per possedere te. Solo dopo aver perso tutto sei libero di fare qualsiasi cosa. Il Fight Club rappresenta quel tipo di libertà. La prima regola del Fight Club è: non si parla del Fight Club. La seconda regola del Fight Club è: non si parla del Fight Club. Tyler dice che il miglioramento di sè stessi è una masturbazione e l'autodistruzione può essere la risposta.

Un certo machismo per certi versi affascinante e portato ai massimi livelli di stiloseria potrebbe essere la log-line di rimando del film. Esteticamente sopraffino e messo in scena ai massimi livelli, Fight Club ha saputo conquistarsi un piccolo altarino tra i cult americani. Fondamentalmente il merito più grosso e di Palahniuk anche se pure lui era rimasto affascinato dalla grazia con cui Fincher e soci hanno rivisitato il finale del film. Un libro potente e assoluto che come altri dello scrittore è pervaso di cinismo, di anti-materia, di critica efferata al consumismo, di tagli alle mode e a tutti i metro-sessuali nati dal fitness e dalle palestre nonché da tutte le creme e gli accessori alla moda.
Un film sulla pratica di scaricamento delle tensioni con scarico di pugni e qui si nota il bisogno di creare un rituale ad hoc che in pochissimi secondi mostra un attaccamento, una comunità, che non riesce ad essere priva di questo collante sociale. Notare però come Fincher riesce ad essere attento al midollo e non alle ossa come poteva invece risultare prevedibile.
Un film che punta molto in alto diventando molto ambizioso, anche con tutti i temi e i sotto-temi e i rimandi che tratta, e riuscendo alla fine ha fare centro su tutto.
Il concetto anarchico, fondamentis dell’ideologia e della filosofia dello scrittore, di fondo che modella la pellicola è quanto di più originale si potesse desiderare.
Quasi tutto è in totale stato di grazia dagli attori mai così funzionali alla commistura di tematiche e idee geniali disseminate e che purtroppo avrebbero avuto bisogno di qualche minuto in più.
Where is my mind dei Pixies, canzone straordinaria, già solo dal titolo sembra la campana dei tre grossi temi che il film comunque tratta: Il disagio dell'uomo moderno,La scissione e La frammentazione psicotica.

lunedì 24 dicembre 2012

Bleeder



Titolo: Bleeder
Regia: Nicolas Winding Refn
Anno: 1999
Paese: Danimarca
Giudizio: 4/5

Leo e Louise vivono insieme a Copenhagen e stanno per avere un bambino. Tuttavia Leo, già irrequieto per la sua frustrante vita, inizia a dare segni di violenta insofferenza che non tarderà a sfogare anche sulla sua compagna.

Bleeder può essere considerato il primo passo importante per il celebre regista danese affermatosi negli ultimi anni e autore di intense e appassionanti pellicole. A differenza dei suoi prossimi film, Bleeder uscito dopo PUSHER, suo esordio alla regia, segna un enorme passo avanti girando un intenso film d’autore. Anomalo negli intenti e nel cercare di dare un vago senso a quelle che appaiono come noiose e tristi giornate nella vita di alcuni personaggi molto comuni, Bleeder merita però una menzione speciale negli intenti e nella messa in scena.
Refn gira quasi tutto il film con la stedy regalando dunque un certo tipo di realismo e di ansia generale l’intera pellicola. Non nasconde il suo amore per il cinema come nella scena in cui un cliente chiede al commesso della videoteca un regista e quello parte con un monologo in cui cita almeno una cinquantina di autori importanti. Citazioni, silenzi che bastano da soli ad esprimere il disagio e la disperazione dei personaggi.
Leo è il perfetto binario dell’alienazione su cui si veicolano tutti i drammi. Grazie sicuramente ad un cast all’altezza si riesce a rendere reale il disagio e il viaggio nell’inferno di alcuni personaggi.
Un film che senza andare a cercare temi e inutili moralismi, mostra la vita di alcuni personaggi, soli, persi, disperati, tutti che cercano in un qualche modo di dare una parvenza di senso alla loro vita.
Sembra un tema semplice, ma in questi ultimi anni la sfida appare più difficile che mai e Refn dimostra un enorme equilibrio e una capacità che traspare dopo pochi decisivi minuti.



martedì 16 ottobre 2012

Blu Profondo



Titolo: Blu Profondo
Regia: Renny Harlin
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un esperto gruppo di biologi e scienziati marini compra una vecchia base di riarmo militare della Seconda Guerra Mondiale e la trasforma in un gigantesco laboratorio di ricerca con tanto di squali cavia per testare l'uso di un moderno medicinale che dovrebbe, secondo i calcoli, riattivare le cellule morte di un malato di Alzheimer. Ma dopo il successo dell'impresa la situazione precipita: dopo il test gli squali dimostrano di aver aumentato la loro intelligenza e in un crescendo di terrore assediano a metri di distanza dalla superfice il piccolo gruppo di sfortunati scienziati.

Forse ci troviamo di fronte ad una delle poche pellicole che sul filone dei film di genere sugli animal-horror e in particolare sulla infinita scia degli shark-movie, trova qualche apprezzamento.
L’idea dell’esperimento genetico è un classico che in un modo o in un altro lo vediamo come cardine molto abusato dagli sceneggiatori. In questo caso poi la deriva su cui si sviluppa la cura che dovrebbe portare a riattivare le cellule morte di un malato di Alzheimer ci può stare anche se dopo una ventina di minuti tutto ciò che apparteneva ad una deriva fantascientifica diventa solo uno spunto per accelerare il pedale dell’azione.
Deep Blue è un prodotto estremamente ritmato, pieno di tensione e colpi di scena elettrizzanti.
I dialoghi, anche se non sono il massimo, riescono a rendere accettabile e poco banale l'idea dell'esperimento genetico come pretesto per far ruotare intorno ad esso un moderno film d'azione fine anni '90, non tra i migliori del genere ma estremamente emozionante e mai deludente, se non nelle fasi finali in cui come sempre le scene improbabili sono quelle a farla da padrone.
Per il resto Harlin, un mestierante come un altro, è un operaio di Hollywood specializzato nei film d’azione. Probabilmente insieme a CLIFFHANGER e NIGHTMARE 4 firma il suo film migliore. Ed è tutto presto detto.



martedì 13 dicembre 2011

Once Were Warriors 2-Cinque anni dopo


Titolo: Once Were Warriors 2-Cinque anni dopo
Regia: Ian Mune
Anno: 1999
Paese: Nuova Zelanda
Giudizio: 2/5

Da quando Beth lo ha lasciato nella speranza di rifarsi finalmente una vita, Jake l'attaccabrighe, ha voltato le spalle alla famiglia. Ha trovato in Rita, una nuova compagna, ma continua a vivere di espedienti e a frequentare il bar di McClutchy. Qui tra una bevuta e un'altra scopre che suo figlio Nig è stato ucciso in uno scontro tra bande.

Mentre nel primo capitolo il soggetto prevedeva un lungo spaccato sul contesto famigliare, qui l’elemento di fondo non è sviluppato bene, rimanendo un monito sugli stralci del precedente capitolo.
Probabilmente Mune punta più sull’elemento delle bande senza però aggiungere nulla di nuovo rispetto al primo.
Effettivamente questo secondo capitolo punta molto di più sull’azione, essendo la sceneggiatura molto limitata sin da subito si notano alcuni difetti abbastanza imperdonabili come l’arrivo di Sonny, un figlio che nel primo capitolo non c’era, qui appare dopo cinque anni grande come gli altri fratelli.
Forse l’unica news a parte Scimmia  e la parte degli Snake e proprio il socio di Scimmia che esce dopo aver scontato una pensa per salvare il suo capo e alla fine nel climax finale opterà per un bel colpo di scena.
Jack la Furia comunque sembra a differenza degli altri personaggi, di non essere invecchiato di una virgola.