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sabato 17 febbraio 2024

Suzume


Titolo: Suzume
Regia: Makoto Shinkai
Anno: 2022
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

La diciassettenne Suzume scopre una porta misteriosa tra le montagne e presto altre porte iniziano a comparire in tutto il Giappone. Quando le porte si aprono, scatenano disastri e distruzione e spetta a Suzume richiuderle.
 
Suzume è uno dei migliori film d'animazione dell'anno. Come sempre i giapponesi sbagliano poco e quando si tratta di virare verso piani onirici sono sempre in prima classe contando chi ci ha lasciato e quali nuovi protagonisti stanno prendendo la scena. Oltre ad essere un monumento alla creatività, la fantasia, l'esplorazione di piani paralleli, il film adulto come spesso capita per l'animazione orientale, spinge verso riflessioni di natura temporale come l’inesorabile scorrere del tempo, della vita quotidiana della protagonista che anche qui seguendo uno stereotipo funzionale finisce per avere la vita sconvolta seguendo il classico individuo bizzarro da cui tutti starebbero alla larga.
E'un film che parla di una società in cui le persone non sembrano più in grado di comunicare tra loro e devono arrivare eventi deflagranti per creare quello sconquassamento utile a ridare vita e passione a personaggi derivativi che non riescono più a sognare.
Suzume è un'esperienza immersiva che sembra discostarsi dalle solite storie d'amore del regista per concentrarsi solamente sulla sua protagonista e il suo coming of age.

lunedì 10 luglio 2023

Ultima notte di Amore


Titolo: Ultima notte di Amore
Regia: Andrea di Stefano
Anno: 2023
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Franco Amore è un poliziotto all'ultimo giorno di lavoro dopo trent'anni di integerrimo servizio nelle forze dell'ordine. Ha già anche a lungo meditato il discorso d'addio in cui ricorda di non avere mai sparato a nessuno anche se gli incarichi pericolosi non gli sono mancati. La sua nuova moglie, la figlia che studia all'estero e gli amici hanno organizzato una festa a sorpresa per lui quando, all'improvviso, viene richiamato in servizio perché è accaduto un fatto grave.
 
Un grande thriller all'italiana, un polar nostrano, consapevole dei suoi mezzi, dell'enorme lavoro di scrittura e di una scelta peculiare e soddisfacente dei protagonisti. Di Stefano dopo tutto il suo pellegrinaggio in America con thriller biografici e crime-movie, porta a casa la sua opera migliore. Un film a differenza degli altri ancora più realistico e con sfumature che assorbono bene un'analisi socio politica, il tessuto cinese a Milano ormai diffuso ovunque con faide interne per il controllo del potere, corruzione e poi lui, Franco, che per mettersi in tasca qualche soldo pochi giorni prima della pensione come in una tragedia greca sembra già annusare il dramma che si verrà a dipanare.
E' una narrazione intensa, un'atmosfera e un ritmo che tengono il fiato sospeso, ci sono accordi e amicizie tossiche, rapporti familiari calabresi intrisi nel sangue ma c'è anche tanto amore e fragilità per un protagonista che vedrà assieme alla moglie in pochissimo tempo un viaggio all'inferno terrificante perchè diversamente dal solito così tanto reale ed è proprio qui che senza fare uso eccessivo se non estremamente parsimonioso dell'azione che di Stefano riesce a creare quel clima di disillusione, di stallo e di senso di sconfitta che lo relegano a tutti gli effetti ad un polar e un noir italico solido e maturo come non mai.

lunedì 2 gennaio 2023

Luz


Titolo: Luz
Regia: Tilman Singer
Anno: 2018
Paese: Germania
Giudizio: 4/5
Un incubo a occhi aperti governato da un'entità sovrannaturale. Un viaggio a ritroso costellato da personaggi dall'identità fluida e imprevedibile in continuo divenire, volto a farci scoprire chi sia e cosa abbia fatto la tassista Luz prima di essere esaminata da uno psicologo alla presenza della polizia nel corso di una notte di tragedia.
 
Luz è un film sperimentale d'autore. Qualcosa di particolarmente originale non esente da difetti e problemucci ma che riesce ad imporsi attraverso una messa in scena memorabile con 16mm, quasi un'unica location, la centrale di polizia come l'interno del bar e l'interno della macchina, una fotografia molto sgranata e dei colori accesi che offrono quel tocco di vintage coadiuvato da una recitazione teatrale e l’elettronica carpenteriana di Simon Waskow.
Tilman Singer al suo esordio semplicemente fa ciò che gli pare disattendendo ogni minima domanda e aspettativa del pubblico, giocando di suggestioni, intersecando piani temporali e disattendendo ogni ricostruzione cronologica. Un limbo magico dove ognuno sembra impossessato da qualcosa nella ricerca attraverso una terapia regressiva di una ricostruzione impossibile tentando con manovre e scelte più che mai discutibili qualcosa che non sembra alla portata di nessuno di loro. L'autore sembra sviluppare una domanda a cui non concede tutte le risposte inserendole in un quadro e in un contesto ancora più complesso e minimale come frutto di commistione tra sostanze psicotrope, inconscio e dinamica del contagio

martedì 23 agosto 2022

Bubble (2022)


Titolo: Bubble (2022)
Regia: Tetsurō Araki
Anno: 2022
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

In una Tokyo isolata dal resto del mondo, a causa di bolle e anomalie gravitazionali, il destino fa incontrare un ragazzo con un talento particolare e una ragazza misteriosa.
 
Bubble è un ottimo esempio di come l'animazione nipponica riesca ad essere spesso un passo avanti rispetto ai coetanei che bazzicano il genere. Azione, avventura, dramma, scifi, tensione e quant'altro sembrano i soliti ingredienti con cui Tetsurō Araki, regista che non ha bisogno di presentazioni, cerca di immergere il suo pubblico in questo caso sfruttando una componente post apocalittica molto interessante. Bolle, sfide in una Tokyo devastata e isolata che combatte per rimanere a galla e dove tutto sembra riportare ad una guerra tra bande per conservare l'istinto di sopravvivenza.
Se a sconquassare tutto ci mettiamo la solita incognita di una nuova vita che come Lilu o chiunque altro arrivi da un'altra dimensione, può diventare l'ancora di salvezza della civiltà, seppur materia consolidata dal cinema, se trasformata a dovere può sempre rimanere un'ottima scelta narrativa.
Dal punto di vista estetico e dei fondali apportati per descrivere l'ambientazione il film è ineccepibile. Tutto è consolidato da una mano esperta, forse la durata poteva essere leggermente minore dove spesso si ricorre ad alcune slapstick in stile orientale che non riescono proprio a far ridere ma tutto ciò viene evidenziato per bilanciare le scene drammatiche.

venerdì 21 gennaio 2022

Scary of sixty first


Titolo: Scary of sixty first
Regia: Dasha Nekrasova
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Due giovani coinquiline vedono le loro esistenze sconvolte dopo aver scoperto che il loro nuovo appartamento a Manhattan nasconde un oscuro segreto.
 
Siamo dalle parti dell'indie estremo e infatti il film della Nekrasova, anche protagonista, entra di rito nell'horror psicologico, quello endemico, quello facente parte di film assurdi come Queen of Earth dove con pochi mezzi e un budget risicato si riesce a fare del buon cinema.
E qui le premesse sono ambiziose per quanto il film all'inizio risulti assurdo e dove non si capisce lo sviluppo e soprattutto dove andrà a parare. Scelte ingegnosissime capaci di rendere originali alcune scene già viste in mille modi ma qui sviluppate in modo atipico e astuto. Un film malato, macabro, femminile in tutti i sensi, dove solo verso la metà o meglio il terzo atto esce fuori la vicenda del miliardario pedofilo Jeffrey Epstein. Con alcune scene erotiche che non si vedevano da anni e un coraggio delle protagoniste di mettersi a nudo in tutti i sensi, il film peraltro molto sanguinolento, percorre sentieri insidiosi, alcuni dei quali vengono presi nella giusta maniera. Altri invece come la vicenda appunto del complotto e della setta nella casa, sembrano sfuggire nelle reali ambizioni e fare un miscuglio generale di sicuro effetto cinematografico ed estetico ma inespresso dal punto di vista narrativo

sabato 18 dicembre 2021

Beta test


Titolo: Beta test
Regia: Jim Cummings
Anno: 2021
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Hollywood sta crollando. Spaventosi omicidi infestano la notte. Mentre la battaglia infuria, Jordan Hines, un agente che sta per sposarsi, riceve una lettera anonima che lo invita a un misterioso rendez-vous sessuale. Chi gli ha inviato questa lettera? E chi lo aspetterà dietro la porta chiusa? La sua vita è a un bivio. Jordan rimarrà intrappolato in un mondo di menzogne e infedeltà.
 
Beta test è una bella sorpresa. Finalmente un film fresco, spericolato, originale, dai tratti estetici molto marcati, con un ironia drammatica, tante morti e una narrazione solida. Cummings è uno che ama le commedie nere come questo film che solo in alcuni momenti ha delle virate horror, rimanendo un film molto cinico con riflessioni sul ruolo dei social oggi giorno, la privacy, dove vanno a finire i dati e l'importanza degli algoritmi. E'anche un film sulle relazioni di coppia, sul desiderio, menzogne, infedeltà, una satira oscura americana, un thriller avvincente, una satira furtiva della corruzione di Hollywood, un incubo del consumismo di Internet impazzito.
Certo senza lesinare qualche passo falso perchè altrimenti sarebbe stato un capolavoro e un concentrato di diavolerie, Cummings riesce sempre a tenere un ritmo molto alto bilanciando satira e ironia con scene macabre e incontri scottanti. E poi quell'incontro finale con il nerd di turno che sembra tenere per le palle le persone altolocate di Hollywood con tutti i loro dati e la loro privacy è geniale.

domenica 21 novembre 2021

Limbo


Titolo: Limbo
Regia: Pou-Soi Cheang
Anno: 2021
Paese: Cina
Giudizio: 5/5

Un poliziotto alle prime armi Will Ren e il suo compagno, il poliziotto veterano Cham Lau, stanno perseguendo un assassino di donne ossessivo e particolarmente brutale.
 
Limbo è il noir in b/n all'ennesima potenza. Se da un lato ormai questo sotto genere ha regalato diverse storie memorabili, Limbo seppur non trovando molta originalità nella storia, la raggiunge invece nella tecnica, nello sviluppo, nella mdp, nell'atmosfera, nella fotografia e in particolar modo nella scenografia. Perchè diciamolo subito. Limbo è il film dove la spazzatura ha un suo peso specifico, diventa anch'essa parte della storia nel cercarci dentro indizi, pezzi di corpo, pistole, etc. Limbo il cui nome non poteva che essere tale, lascia sospesi, in una sorta di bolla di sapone dove è difficilissimo cercare il killer in questione e trovare qualche suo indizio o scoprire cosa si nasconda dentro la sua mente criminale. Se l'indagine è da manuale del noir di come l'investigatore ci metta corpo e anima lasciandosi andare e abusando del suo ruolo per scoprire la verità, dall'altra parte c'è il collega più giovane, misurato, timido e con il senso di giustizia sempre a portata di mano.
Tutto andrà in vacca e i ruoli si ribalteranno. E poi il personaggio di Wong To che attraversa letteralmente gli inferi urbani di hongkong diventando la vittima sacrificale e il capro espiatorio.
Su di lei si scatena una tale brutalità in termini di vendetta che lascia interdetti per quanto questo personaggio alla fine riesca sempre a farcela anche se imbrattata di sangue e cicatrici.
Limbo è sporco, grottesco, squallido, convulso. Rifugge in tutto e per tutto l'happy ending scegliendo il sacrificio finale, trovando solo degrado e immoralità in quel malessere urbano che diventa il disagio interiore della società e dei suoi protagonisti. Limbo è un capolavoro.



martedì 11 maggio 2021

Bad Luck Banging or Loony Porn


Titolo: Bad Luck Banging or Loony Porn
Regia: Radu Jude
Anno: 2021
Paese: Romania
Giudizio: 4/5

Emi, un’insegnante gira per uso privato un video ad alto tasso di erotismo che però finisce su PornHub e viene scoperto dai suoi allievi. Viene immediatamente convocata l’assemblea dei genitori che debbono dare un parere dirimente sulla sua futura presenza nella scuola.
 
Sicuramente non è un mistero che il cinema d'autore rumeno negli ultimi anni abbia dato prestigio e peculiarità alla sua filmografia. Sitaru, Mungiu, Mirica sono ad esempio tre esponenti di una certa rinascita a cui bisogna includere anche Jude, autore decisamente più eclettico e sovversivo, che con questa coraggiosa quanto esplosiva ed estremamente provocatoria pellicola si mette subito in discussione con un film complesso, ambizioso e a tratti incredibilmente weird.
La scena iniziale sicuramente sarà quella che farà più discutere dal momento che ritrae un filmino porno amatoriale senza nessuna censura. Da lì poi il film diventa un antologia, un catalogo con divisioni di capitoli, la storia che si dipana per poi prendersi alcune pause, dare una propria idea dei preconcetti in generale nel mondo con tanto di ordine alfabetico in un montaggio e una didascalia quasi documentaristica e infine ritornare sulla storia con tre finali alternativi dopo il processo all'insegnante che si pone come uno dei momenti più interessanti e di denuncia del film trattando la materia del sacro/profano, lecito/proibito, privacy ma soprattutto revenge-porn e sessismo.
Il film di Jude è un'approfondimento grottesco che pone le basi sulla desamina di una società perbenista solo in apparenza nascondendo gli scheletri nell'armadio e le piaghe di un falso moralismo incredibilmente attuale e sincero dove fanno capolino nel finale alcune delle mascherine anti Covid più imbarazzanti che si siano mai viste. L'inizio col porno amatoriale e il finale con i cazzi di gomma ad inculare una certa classe politica sembrano la vendetta di una certa generazione di registi contro tutto quello che il popolo ha sofferto a causa di dittatori che hanno sempre imposto una certa censura e dittatura.


martedì 12 gennaio 2021

Undine


Titolo: Undine
Regia: Christian Petdzold
Anno: 2020
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Undine lavora come storica presso il Märkisches Museum di Berlino: il suo compito è spiegare ai visitatori i plastici che raffigurano la città nei suoi progressivi stadi evolutivi. Undine è appena stata lasciata da Johannes, nonostante lui abbia giurato di amarla per sempre. All'improvviso, però, nel bar del museo compare il sommozzatore Christoph, ed è amore a prima vista. Undine ricostruisce la sua vita come Berlino ha ricostruito molteplici volte sé stessa, ma una sera Christoph la chiama infuriato perché si sente tradito da lei, dal momento che non gli mai rivelato l'esistenza di Johannes. Come farà Undine a ricucire con Cristoph? E riuscirà a vendicarsi di Johannes, come aveva promesso prima di essere abbandonata?

Undine è una progressione di eventi distorti e discordanti, eppure proprio nelle domande che verso il finale affiorano nella mente dello spettatore, riesce a raccontare una storia d'amore con un dramma e una sorta di montaggio e simbologie inaspettato e stranamente ipnotico. Se ci mettiamo pure che Petdzold è un regista atipico in grado come in questo caso di inserire addirittura elementi folkloristici come le ondine, o undine, creature leggendarie elencate fra gli elementali dell'acqua nelle opere sull'alchimia di Paracelso, il film è un continuum di trovate e soprese. Le ondine sono parte del folklore europeo, in cui appaiono descritte, in genere, come creature affini alle fate; il nome può essere usato anche per altri spiriti acquatici simili. Undine è un film stratificato e in parte complesso in grado di mischiare elementi ed etichette come quelle di una fiaba contemporanea che attinge a un mito antico riscritto in età romantica e darle quella spinta di post contemporaneità parlando di costruzione e distruzione di Berlino come nella vita della protagonista. Il film parla chiaro e inizia in modo inconsueto con quella frase "Dovrei ucciderti" che Undine sopraffatta dalla disperazione sciorina a Johannes prima di recarsi a lavoro e proclamare il monologo sulla distruzione che sembra più che mai affacciarsi come dalla finestra sulla sua vita personale e di chi le sta intorno. Verso un finale onirico dove tra immersioni e dispersioni, Cristoph e Undine nel suo rincorrersi da un treno all'altro, da un amore all'altro e la paura e il dramma della gelosia, si imbattono in uno scenario shakespiriano alla Romeo e Giulietta con quel pesce gatto immerso e con una immancabile citazione a Verne e il suo universo sottomarino.

sabato 8 agosto 2020

Time to hunt


Titolo: Time to hunt
Regia: Sung-Hyun Yoon
Anno: 2020
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 3/5

Nella Corea del prossimo futuro, un gruppo di ragazzi in delle baraccopoli commettono un grave crimine.

Da questo scenario, un clima distopico in una Corea affetta da una terribile crisi economica costretta a ridurre la stragrande maggioranza della popolazione in povertà, attraverso paesaggi deserti, metropoli abbandonate e distrutte, capannoni che nascondo giri loschi, spacciatori e venditori d'armi, discoteche segrete e criminali di ogni tipo e killer spietati si svolge questa caccia all'uomo.
Il trio di ragazzi protagonisti sono già in parte corrotti, sapendo bene dal momento che il loro amico esce di prigione, che quello che succederà non potrà che portare a conseguenze inattese ed effetti imprevisti e perversi. Così inizia il conto alla rovescia, vengono dipanati gli intenti e gli obbiettivi del terzetto, con una rapina, assoldando un quarto elemento che deve dei soldi al protagonista, ad un venditore di armi fratello di un boss malavitoso che gli aiuterà e infine dei terzi che assolderanno un killer per stanare il quartetto e riportare i soldi ai legittimi proprietari.
Time to hunt nei primi due atti, ma soprattutto nel primo, ha la sua parte migliore riuscendo a creare un'atmosfera sospesa e cruenta, figlia del degenero e di quel clima distopico che sembra aver annientato tutto come l'effetto di una bomba, facendo vedere solo ceneri ed edifici distrutti e abbandonati. Grazie a questa tensione che prende piede, il film si dirama in un mix discretamente assemblato di diversi generi: il distopico appunto, l’heist movie, il bildungsroman, il thriller e il revenge-movie.
Dal punto di vista narrativo è soprattutto il terzo atto ad essere molto deludente con una semplice caccia da parte del killer che si diverte a inseguire e dare tempo per scappare alle sue prede, non riuscendo ad aprire speranze per quella che poteva essere una denuncia molto più politica sul peso del governo, sul come cambiare quella situazione o comprenderla. Sembra che l'unico obbiettivo dei personaggi all'interno sia quello di fare più soldi possibili lasciando la Corea per spiagge dorate e sogni di gloria.

Unjust


Titolo: Unjust
Regia: Ryoo Seung-wan
Anno: 2011
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 3/5

Un serial killer sta terrorizzando la cittadinanza e la pressione sulle forse dell’ordine è diventata insostenibile per le autorità. In un vortice di errori procedurali, illegalità e corruzione, il capitano Choi Cheol-gi viene incaricato di “risolvere” il caso ad ogni costo, anche scovando un finto colpevole da consegnare ai media e all’opinione pubblica. Ma il piano non è perfetto…

Nella new wave coreana sui generi cinematografici stiamo assistendo proprio a tutto.
In particolare il poliziesco, il thriller, l'heist movie, il disaster movie, il monster movie, l'horror folkloristico, la commedia, il dramma e il noir.
Unjust è un poliziesco che parla di corruzione, di dove possono spingersi i ruoli di potere della polizia, della stampa che sta con il fiato sul collo ai detective, di procuratori, doppio giochisti, colleghi corrotti e invece il manipolo di onesti agenti che si troveranno nel finale a vendicare il loro caro compagno ucciso proprio da chi non te lo aspetteresti mai. Un film dinamico e ambizioso, forse scritto in maniera così complessa da lasciare interdetti soprattutto sul finale e un climax che risulta la parte meno originale e consistente del film.
Grazie ad una regia e una tecnica ancora una volta sopraffina e minuziosa, curata in ogni dettaglio, Ryoo Seung-wan, il regista di divertentissimi film d'azione come City of violence e dalla nutrita filmografia, mette in scena un film complicatissimo da seguire, tra corruzione dilagante e le connivenze tra malavita, polizia e magistratura, forse in maniera sciocca ma più interessante viste nel recente Gangster the Cop the Devil dove in quel caso ogni personaggio era stereotipato a dovere ma finalizzato a rendere la narrazione fruibile. In Unjust tutti i protagonisti hanno una doppia personalità, convivono con la legalità, la conoscono bene ma sono abili a denigrarla nel momento in cui sono messi alle strette rendendo spesso difficili alcuni passaggi.
I colpi di scena, i tradimenti, il continuo giocare con lo spettatore ribaltando ogni certezza risulta un elemento che può creare interesse quando si pensa di avere la trama in pugno e allora arriva quel particolare in grado di cambiare la prospettiva e gli intenti di personaggi tutti schiavi del potere spingendo i suoi protagonisti ad ogni limite di decenza.





lunedì 20 luglio 2020

Favolacce


Titolo: Favolacce
Regia: D'Innocenzo brothers
Anno: 2020
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Una calda estate in un quartiere periferico di Roma. Nelle villette a schiera vivono alcune famiglie in cui il senso di disagio costituisce la cifra esistenziale comune anche quando si tenta di mascherarlo. I genitori sono frustrati dall'idea di vivere lì e non altrove, di avere (o non avere) un lavoro insoddisfacente, di non avere in definitiva raggiunto lo status sociale che pensavano di meritare. I figli vivono in questo clima e ne assorbono la negatività cercando di difendersene come possono e magari anche di reagire.

Chissà come lo avrebbe definito Monicelli. Il secondo film dei fratelli D'Innocenzo dopo il bellissimo Terra dell'abbastanza ha fatto molto discutere e parlare. Forse troppo.
Si tratta di un dramma famigliare in parte grottesco che scandisce su piani differenti (adulti e ragazzini, giovani-adulti e adulti-giovani) paradossi, situazioni tragicomiche, un film che colpisce duramente lo spettatore allo stomaco ma soprattutto nelle psicologie così evidenti di un dramma collettivo che ormai siamo abituati a respirare e a confrontarci quotidianamente con la cronaca.
A differenza dei due giovani che entrano in un mondo criminale che li devasterà, qui il dramma essendo ancora più reale e tangibile sfiora il paradosso nell'assenza totale di attenzione dei genitori rivolta ai propri figli.
La normalità è ciò che dobbiamo sentire quando i bambini di fronte agli ospiti elencano i loro 10 in pagella, non quello che succede in altre occasioni dove ci si confronta con la sessualità, con ciò che fingono di non vedere i bambini nella fragilità dei loro genitori.
"Sei il miglior padre del mondo" questa frase scandita dalla moglie nei confronti del compagno che non lavora da tempo ma che compra una piscina per vantarsi con il circondario per poi bucarla e dare la colpa agli zingari. Tutte queste situazioni che sembrano a prima vista surreali in realtà fanno parte di un grottesco concetto di normalità presente da sempre nella nostra comunità.
E allora cosa devono fare i figli per trovare una via d'uscita in una macro dimensione che in realtà gli vuole precisi e perfetti?


Faida


Titolo: Faida
Regia: Joshua Marston
Anno: 2011
Paese: Albania
Giudizio: 4/5

Nik è un diciassettenne che frequenta l'ultimo anno delle superiori in una piccola città di campagna dell'Albania e sogna di poter aprire un Internet Point dopo il diploma mentre prova i primi sentimenti d'amore per una coetanea. La sorella, Rudina, ha quindici anni e vorrebbe poter frequentare in futuro l'università. Il padre, che lavora consegnando porta a porta derrate alimentari, viene a conflitto per questioni di passaggio di proprietà con un'altra famiglia. Ne nasce uno scontro che porta alla morte di un uomo. Il padre di Nik viene accusato e fugge. Ora, per un antico codice balcanico, la famiglia del defunto può rivalersi uccidendo un maschio rivale. Nik deve smettere di andare a scuola e il peso del mantenimento della famiglia ricade su Rudina che smette a sua volta di studiare. Nik decide di uscire dalla situazione cercando di trovare uno sbocco alla faida.

Marston dopo MARIA FULL OF GRACE torna a interessarsi al cinema di denuncia, dell'intercultura, al tema del difficile passaggio dall'adolescenza all'età adulta in una società dominata da antiche regole senza spazio per i giovani e dove il cambiamento di alcuni dogmi sembra impossibile da modificare. Una storia molto cruda, reale che lascia i suoi protagonisti in un limbo nell'attesa di avere informazioni sul proprio padre nascosto come un prigioniero e costretti a subire le angherie delle famiglie rivali. Perchè è proprio venire a conoscenza dell'elemento antropologico legato alle cinquecentesche norme del Kanun che riconosce legalità a quella che in Italia definiamo la faida è l'apporto più interessante del film in una zona del paese dove la micro società sembra voler continuare a vivere in un tardo medioevo, un'epoca buia fatta di odi e vendette in cui addirittura viene presa di mira una bambina, Rudina, la sorella del protagonista quando cerca di vendere derrate alimentari al posto del padre.
L'incidente scatenante poi è così assurdo da sembrare quasi ridicolo. Il film visto dai più giovani si avvale di una recitazione spontanea priva di eccessi lasciando la speranza nel cambiamento di chi come Nik cerca di ragionare sui fatti e non accettarli perchè da tradizione. Pur avendo un ritmo a tratti altalenante, il film segue una sua rigorosa riflessione sfuggendo da paternalismi, portando Nik ad essere un adulto-giovane in casa e possedendo suspance e thriller ben strutturati per un certo tipo di cinema albanese che non è solito poter vedere al cinema e distribuito da noi.
Orso d'argento per la sceneggiatura a Berlino



venerdì 27 marzo 2020

Ultrà


Titolo: Ultrà
Regia: Ricky Tognazzi
Anno: 1991
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Luca, 25 anni, nome di battaglia Principe, è il capo degli ultrà romanisti. Ha passato due anni in galera, ma oggi esce e domani c'è Juve-Roma. La notte, sul treno per Torino scopre che la sua ex-ragazza e il suo migliore amico si sono messi assieme. All'arrivo in stazione, ci sono i primi scontri e poi lo stadio. La partita è già iniziata, ma che importa: nei gabinetti finalmente scoppia la battaglia.

Ultrà è un film che a rigor di logica poteva andare molto peggio. Ancora una volta come per Ultras le tifoserie non riconoscono i fatti in questione contestando le modalità e la messa in scena, in questo caso per Amendola significa lasciare la curva sud della tifoseria sancendo così una frattura.
La violenza, l’onore, il senso di appartenenza, la fratellanza, l’emarginazione, Ultrà 25 anni fa aveva i suoi perché, non poteva inventarsi una squadra e scelse così la Roma perché Amendola (attore insopportabile come Ricky Memphis e Gianmarco Tognazzi) era già stato scelto e in quegli anni per qualche strano motivo era uno degli attori italiani più in voga.
Ultrà ha i suoi pregi e i suoi difetti, una buona regia e una certa enfasi e alchimia tra gli attori. Se i colpi di scena non esistono è il racconto di vita, il mostrare la realtà quanto più da vicino possibile evitando di essere scontato all’inverosimile e puntando tutto sul dramma finale nel climax con appunto lo Smilzo, il migliore del film, che finisce per essere l’unica vittima innocente.
Il merito dei limiti di un autore come Ricky Tognazzi è stato quello di non approfondire, da un punto di vista sociologico e culturale, le cause e le implicazioni sociali del fenomeno della violenza negli stadi, limitandosi a descrivere, il gruppo della tifoseria e i loro rituali, un universo metropolitano di degrado e di ordinaria disperazione, rifiutando di assumere posizioni moralistiche e lasciando che siano le immagini a parlare da sé e alcune riescono ad essere molto convincenti.

domenica 8 marzo 2020

Selfie

Titolo: Selfie
Regia: Agostino Ferrente
Anno: 2019
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Alessandro e Pietro sono due sedicenni che vivono nel Rione Traiano di Napoli dove, nell'estate del 2014 Davide Bifolco, anche lui sedicenne, morì ucciso da un carabiniere che lo inseguiva avendolo scambiato per un latitante. I due sono amici inseparabili. Alessandro ha trovato un lavoro da cameriere in un bar mentre Pietro, che ha studiato per diventarlo, cerca un posto da parrucchiere. I due hanno accettato la proposta del regista di riprendersi con un iPhone raccontando così la loro quotidianità di ragazzi come tanti altri nel mondo.

«Ho pure provato a spacciare ma non è cosa mia»
Selfie potrebbe sembrare un’operazione furba con lo scopo di inquadrare Napoli e usare due amici fraterni che si filmano tenendo il cellulare in mano senza avere un’idea precisa circa la trama o cosa vogliano dire e fare. Un’idea praticamente a costo zero, un low budget che cerca di trovare elementi e documentare lo stato dei giovani napoletani che ormai soprattutto il cinema identifica sempre più spesso con la delinquenza. Ecco a livello antropologico forse l’aspetto più interessante del film è quello di far vedere la bellezza di alcuni ragionamenti, dialoghi, monologhi degli attori improvvisati e delle numerose comparse che contano diversi minorenni mettendosi spesso in discussione e avendo ben chiaro che tutti dovranno fare una scelta .
Ne esce una descrizione mai banale, una quotidianità fatta di gesti e azioni semplici, dove a fare da sfondo certo c’è sempre una certa identificazione con un mondo marcio e infetto che ha messo le radici nella regione ma che in parte viene smorzato dalle parole degli attori che sanno benissimo cosa succede attorno a loro e come starne alla larga. Un documentario dove filmare vuol dire scegliere da che parte stare, come girare l‘iphone e cosa si vuol inquadrare e cosa invece no. Alessandro e Pietro vivono sempre a stretto contatto, li vediamo mangiare un anguria, camminare per le strade, filmare i propri parenti, ridere, scherzare, mai litigare rimanendo in un Rione dove il caldo imperversa e dove non basta rimanere attaccati in casa davanti ad un ventilatore.
Il film di Ferrente si piazza come un quadro neorealista, un documentario semplice ma originale e onesto nel dare forma e parole ad una città resa celebre solo e soltanto per i fatti di cronaca.

venerdì 10 gennaio 2020

Monos


Titolo: Monos
Regia: Alejandro Landes
Anno: 2019
Paese: Colombia
Giudizio: 4/5

Patagrande, Ramo, Leidi, Sueca, Pitufo, Perro e Bum Bum sono i nomi in codice di sette adolescenti isolati dal mondo, sperduti sui monti della Colombia, che si allenano e combattono. A prima vista potrebbe sembrare una specie di campo estivo, un bizzarro ritrovo di ragazzini che giocano a fare i soldati. Invece si tratta dello scenario iniziale di una missione delicatissima: i sette adolescenti hanno con sé una prigioniera, una donna americana che chiamano semplicemente "la dottoressa". La debbono detenere per conto di una non meglio specificata Organizzazione. Debbono anche però mungere e trattare bene una mucca che si chiama Shakira. Quando quest'ultima muore i segnali di morte iniziano ad addensarsi sul gruppo.

Monos è un film complesso e ambizioso intrappolato in uno spazio astratto nascosto da qualche parte in Colombia e come tale deve rimanerlo per proteggere l'anonimato degli affiliati ovvero la schiera scelta di bambini soldato dall'Organizzazione. Fino al secondo atto non ci è dato sapere molto, i dialoghi sono pochi e quasi criptati dal linguaggio che usano questi adolescenti, giovani-adulti costretti a imparare l'arte della guerra e della sopravvivenza stando sempre a contatto con tutte le dovute difficoltà. Come in molti casi bastano alcuni piccoli imprevisti o incidenti scatenanti a scoperchiare una normalità presunta e portare anarchia e ribaltamento delle regole.
Una mucca, uno del gruppo, l'amore, la dottoressa, la radio, il potere, l'obbedienza cieca, la sopravvivenza, sono questi gli elementi su cui il film da un certo punto muove le sue pedine scardinando l'apparente normalità e sistematicità degli eventi.
Questa allegra banda di giovani militarizzati è conosciuta come "Monos", scimmie, vivono sotto il crudele comando militare dell'immaginaria "Organizzazione", probabilmente una sostituta delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) in un contesto quello colombiano basato sulle azioni autonome, sui meccanismi para-militari, sulla nascita di nuovi contractors, sulla violenza in generale. Landes attraverso una fiaba che sembra avere pure dei connotati post-apocalittici ci mostra la crudeltà del suo Paese che non disdegna la schiavitù dei bambini. Vivono in uno stato perenne di combattimento, con uno scopo generale vago e l'obbiettivo del comando e di avere riconoscimenti in guerra da parte dell'Organizzazione.
Monos si muove come un manifesto di denuncia accattivante anche perchè di film su combattenti bambini e adolescenti ne sono stati fatti, ma questa pellicola ha qualcosa di speciale, soprattutto nel come viene sviluppato il rapporto tra di loro e la natura, i paesaggi e la fotografia che comunicano molto più di quello che si pensa e accecano per i loro colori così vivi e un verde che fatichiamo a percepirlo così selvaggio. La natura diventa fondamentale, un legame, un'alchimia che i personaggi sembrano asservire come se il potere della terra servisse a renderli più forti. L'ambiente che dovrebbe e vorrebbe proteggerli diventa una gabbia con il risultato che prima o poi si dovrà cercare una via di fuga.

Knives and Skin


Titolo: Knives and Skin
Regia: Jennifer Reeder
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La storia della scomparsa di una ragazza e le conseguenze che ne derivano.

C'è tanto e nulla dentro il secondo film della Reeder che ha mandato in delirio svariati festival. 
Un po del Mendes di American Beauty e poi Kelly che incontra Refn.
Un film minimale, un coming of age con una tecnica che rasenta un livello di perfezione estetica in particolare per quanto concerne le luci e alcuni dettaglia della mdp. Peccato che lo stesso non si evinca da una storia tutto sommato interessante ma che sembra sciogliersi mano a mano che il film procede annullando i colpi di scena. Un film affascinante, lento, morboso, sessuale, anarchico.
Il ritratto di questa piccola città americana suggerisce che di fatto abbiano preso il sopravvento le famiglie disfunzionali e i figli fanno come possono per imparare da se o facendo le esperienze più disparate ed eccentriche. Presentato come un horror, il film è un dramma interiore di una generazione, un film corale che si prende tutti i suoi tempi fregandosene del pubblico ma disquisendo di ciò che più gli piace fare. Sicuramente qualche strizzatina d'occhio ad Araki e Clark per quel bisogno di mostrare la distruzione di ogni tabù, mostrando cose che i ragazzi fanno che gli adulti nemmeno immaginano, come ad esempio vendere la biancheria intima sporca della propria madre ad un professore in cambio di soldi, oppure per due ragazze che scoprono di amarsi, passano il tempo in bagno a scambiarsi regali una all'altra togliendoseli dalla figa.
Ad un tratto sembra che tutto il film cerchi in assoluto di disturbare e ammaliare lo spettatore.
Il risultato è interessante almeno per diverse scene e svolgimenti abbastanza originali, ma il film è tutto così, una galleria di immagini senza una storia solida alla base.

mercoledì 2 ottobre 2019

Styx

Titolo: Styx
Regia: Wolfgang Fischer
Anno: 2018
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Una dottoressa decide di prendersi una pausa dal lavoro e di salpare in solitaria sulla sua barca a vela da Gibilterra ad un’isola incontaminata nell’Oceano Pacifico. Il suo viaggio sembra scorrere serenamente finché, dopo una brutta tempesta, si imbatte in un peschereccio arenato pieno di profughi africani in grave difficoltà. Alcuni di loro provano a raggiungerla, ma solo un giovane ragazzo ce la fa. Insieme cercano di chiamare i soccorsi che tardano ad arrivare, mentre la situazione si fa sempre più drammatica. La donna si troverà quindi ad un bivio: provare ad aiutare gli uomini e le donne bloccati sull’imbarcazione oppure farsi da parte ed aspettare aiuti adeguati.

"Volevo fare un film che parlasse di noi stessi, di chi siamo, di come viviamo oggi e di chi vogliamo essere domani. Ma soprattutto desideravo aprire un dialogo con il pubblico e creare un impatto emotivo sullo spettatore, in modo che alla fine si chiedesse: 'Cosa avrei fatto al posto della protagonista?'"
Styx come lo erano alcuni film di Carpignano è un film con una forte impronta sul sociale.
Un'opera e un cinema di denuncia che parla di argomenti quanto mai attuali come in questo caso il dramma dei migranti. L'esordio di Fisher non è mai banale con alcune scene potentissime come i profughi che scappano dalla loro imbarcazione o la lotta tra Rike e il ragazzino con quella scena indimenticabile in cui lui per ribellarsi al fatto che la protagonista non possa e non riesca a salvare altre vite, butta tutte le bottiglie d'acqua in mare.
Fischer parte con un film che è un missile, con tanti silenzi che in realtà comunicano più di molti dialoghi, sguardi sofferti, scelte emblematiche e la realtà che sembra superare la fantasia come quando Rike chiede aiuto ma le viene imposto di farsi da parte e di lasciare che siano Altri a salvare la nave e recuperare i dispersi.
Un film commovente ma solido che non cerca sensazionalismi ma è impermeato nella più tragica realtà senza bisogno di edulcorare i fattori e la sostanza drammatica.
E'un film sulla volontà di prendere delle decisioni anche quando ci viene negato, una cartina sul presente, sul bisogno di far luce e raccontare quello che sta accadendo, l'epopea dei migranti, la solitudine,  il dilemma della responsabilità collettiva,  il dubbio morale, la gestione dell'accoglienza e del soccorso in mare, raccontati attraverso lo sguardo profondo della sua protagonista.
Styx è stato girato quasi interamente in mare aperto, eccetto qualche scena nel primo atto prima che Rike salga sulla nave. Il merito più grande del film a parte non avere forzature è proprio quello di non voler "approfittare" dell'epoca storica per catturare facili eroismi, ma invece una lotta contro se stessi e le istituzioni, seguendo e perseverando il proprio dovere morale, quello che molti di noi stanno perdendo.

mercoledì 10 luglio 2019

Paranza dei bambini


Titolo: Paranza dei bambini
Regia: Claudio Giovannesi
Anno: 2019
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Napoli 2018. Nicola, Tyson, Biscottino, Lollipop, O'Russ, Briatò vogliono diventare ricchi alla svelta, comprare abiti firmati e motorini nuovi. In particolare Nicola, la cui madre gestisce una piccola tintoria non resiste alla tentazione di entrare a far parte di una 'famiglia' camorrista. Il furto di una pistola lo fa sentire più uomo anche nei confronti di Letizia che gli è entrata nel cuore al primo incontro. In poco tempo diventa il capo del suo gruppo. Nicola ha 15 anni.

"Ai morti colpevoli. Alla loro innocenza"
E'vero qualcuno forse dirà che il miglior cinema italiano, quello main stream, ruota spesso attorno ai temi della criminalità organizzata. In questo caso il filone cerca di inserire un connotato leggermente atipico dove ad essere protagonisti sono i ragazzini, quelli stessi visti nella serie di GOMORRA.
Il risultato supera le aspettative e sfiora quasi il capolavoro.
Neo realismo post-contemporaneo del cinema italiano? Sicuramente Giovannesi e Saviano hanno saputo fare un ottimo lavoro di squadra.
La miglioria apportata al film è da scovare nella sua messa in scena, nella mai banalità della sceneggiatura, di uno script e di un'idea che insegue e si muove a cavallo della realtà e infine un manipolo di attori più che in parte forse addirittura esaltati dall'idea di poter inscenare piccoli boss scelti tutti non professionisti direttamente dal Rione Sanità.
A differenza però della serie resa famosa o di alcuni piccoli protagonisti di Ostia, qui il tratteggio è proprio sulla formazione del manipolo di ragazzi, in particolare Nicola, della sua ascesa, tra richieste di pizzo, una ragazza da mantenere e a cui non far mancare niente, ad una madre che pur intuendo la scelta del figlio preferisce tacere per una casa di lusso, al sentirsi uomo con un arma tra le mani e infine gli omicidi, che dopo la prima esecuzione diventano normale routine.
Nel film di Giovannesi i ragazzini sfidano i boss minacciandoli senza mostrare paura o esitazione
Proprio per uscire però dal racconto di genere criminale di noir come appunto GOMORRA faceva, il film sceglie e adotta una soluzione per certi versi nuova, lavorando più su cosa succedeva agli adolescenti e i loro sentimenti quando sceglievano una vita criminale.

domenica 14 ottobre 2018

Terra dell'abbastanza



Titolo: Terra dell'abbastanza
Regia: Damiano e Fabio D'Innocenzo
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Due ragazzi investono e uccidono per sbaglio un boss della mala. Entreranno in un vortice che li risucchierà in qualcosa molto più grande di loro.

“Con questo film volevamo raccontare com’è maledettamente facile assuefarsi al male”
La terra dell'abbastanza sancisce il successo che stanno ottenendo tanti film drammatici ambientati a Roma che trattano il tema della malavita. Tanti, forse troppi negli ultimi anni:Contagio, Suburra, Manuel, Malarazza.
Chi in un modo chi in un altro narrano vicende quasi sempre di perdenti dove la salvezza è sempre direttamente proporzionale a un sacrificio o alla perdita di qualcuno o qualcosa di importante.
Il film dei fratelli Innocenzo è forse tra gli ultimi usciti il più semplice come tema ma anche quello che provoca delle emozioni autentiche e reali dal momento che il plot della vicenda è molto realistico anche se ovviamente con alcuni passaggi un po macchinosi e il fatto di scegliere due facce nuove e toste come protagonisti è stata un'intuizione funzionale.
Un film dicevo che nella sua semplicità risulta molto complesso almeno per cercare di capire cosa passa nella testa delle nuove generazioni a cui non frega più di niente come dice un mafioso quando si rende conto della capacità di questi due giovani ragazzi di borgata di arrivare a fare qualsiasi cosa senza rimorsi o sensi di colpa "non avendo consapevolezza, non subiscono il giudizio di nessuno, se non, in fondo, quello di se stessi".
La periferia romana, landa desolata e terra di nessuno. Un viaggio nell'inferno che li porterà a fare prima una sorta di gavetta per poi arrivare a salire di livello e diventare pericolosi in un viaggio di formazione drammatico e allucinato, nato dallo stesso pensiero inculcato dai genitori dove si tira avanti sfangandosela con il miraggio di poter svoltare, in qualche modo e la morte di un infame e il regalo di un clan ancora ad oggi possono significare una nuova vita e l'ascesa nel mondo criminale