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mercoledì 20 dicembre 2017

Sequence Break


Titolo: Sequence Break
Regia: Graham Skipper
Anno: 2017
Paese: Usa
Festival: 35°Torino film Festival
Giudizio: 2/5

Un arcade game abbandonato in una vetusta sala giochi comincia piano piano a influenzare la mente di un giovane tecnico appassionato di videogame vintage e della sua ragazza.

Quest'anno il Tff ha omaggiato l'horror con alcune pellicole anni '80 come non si vedevano da un pezzo. Quest'anno più che mai si è arrivati al fenomeno del revival e del trend del revisionismo cinematografico più spinto che mai.
Vhs, sinth, macchine del fumo, atmosfere cupe, gelatine coloratissime, tutto ma proprio tutto fa tornare la mente ad una nutrita serie di film "omaggio" dove questa seconda opera di Skipper più di altri sembra proprio voler a tutti i costi confrontarsi con Cronemberg e Stuart Gordon.
Skipper è giovane, la sezione After Hours non poteva sposarsi meglio e la presentazione del suo film è stata semplice, sincera e divertente. D'altro canto per chi non lo conoscesse fa parte di un nutrito gruppo di nerd che avevano dato vita al coraggioso indie, anch'esso horror e anch'esso nostalgico Beyond the gates (purtroppo un altro film davvero ben fatto con una sceneggiatura che sfugge dalle mani degli sceneggiatori finendo ad avere alcune buone intuizioni). Il problema grosso di Sequence Break è quando mischia sentimenti e paura, riuscendo fino al secondo atto a muoversi tutto sulla pungente atmosfera di Hughes e scomparendo dietro a una fotografia che riesce bene a dare quel senso di macabro soprattutto nelle parti più legate alle scene di body horror con cui il regista vuole più che mai confrontarsi ma senza avere quell'esperienza e quel talento che non è detto che non arrivi.
Ci sono tanti elementi che cercano di funzionare in modo troppo macchinoso dall'arrivo della ragazza che sembra telefonata per come si innamora subito del protagonista fino al nerd che ha la possibilità di svoltare, il negozio che sta per chiudere e l'arrivo di questo gioco destinato a destabilizzare tutto e tutti.
Il problema grosso dell'opera di Skipper è che non avanza mai, non si spinge più in là del dovuto rimanendo un indie nerd che guarda più alla commedia nera che non alle macchine del PASTO NUDO. Skipper ha cercato di tirare fuori piccoli gioielli tecnologici cercando di rivangare la fusione macchina-uomo ma senza riuscire a chiudere con delle immagini che come alcuni cult ti rimarranno sempre impresse.