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venerdì 8 marzo 2024

Warrior-Iron Claw


Titolo: Warrior-Iron Claw
Regia: Sean Durkin
Anno: 2023
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Nel 1979 Fritz Von Erich, un wrestler massiccio e tenace, sogna il titolo di campione del mondo e per costruirsi un'immagine di successo noleggia con fatica un'auto di lusso. Non gli sarà bastato, ma anni dopo avrà comunque fatto abbastanza soldi da comprarsi un piccolo ranch e mettere su una nutrita famiglia. Ora la sua missione nella vita è far sì che siano i figli a conquistare l'agognata cintura, ma il primo è morto a soli cinque anni, Kevin è imponente e abile sul ring però incespica al microfono, Kerry si è dato all'atletica e solo David sembra avere tutti i numeri necessari. Il più giovane Mike invece è meno muscoloso e pure meno interessato al wrestling, nonostante le pesanti pressioni del padre. Quando gli Stati Uniti decidono di non partecipare alle Olimipiadi di Mosca, Kerry torna a casa e il padre indirizza anche lui verso il ring, aumentando ulteriormente la competizione tra fratelli.
 
Al cinema come sempre tutto è più bello ed enfatizzato. Warrior-Iron Claw era uno di quei film che aspettavo senza capacitarmi del perchè forse la tematica o il fatto di vedere Carmy e gli altri tutti imbolsiti alle prove con una storia di puro dramma. Il giardino delle vergini suicide al maschile. Perchè è così in un film che alterna sempre passaggi molto belli con scene e momenti di pathos a volte esagerati che affondano la pellicola e la narrazione. La storia di un gruppo di fratelli che si amano quasi incapaci di amare tutto ciò che sta al di fuori di loro. Di una vita quasi in cattività con un padre padrone che specula, crede e inonda di aspettative e umiliazioni i propri figli prendendo di fatto quasi sempre lui la scena a differenza di quelli che dovrebbero essere i protagonisti.
Un finale strappalacrime che forse è il momento più bello del film e un peccato per come tutta la parte legata agli steroidi e gli agenti dopanti venga messa da parte e mostrata in rarissimi momenti.

martedì 12 dicembre 2023

First Man-Il primo uomo


Titolo: First Man-Il primo uomo
Regia: Damien Chazelle
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Neil Armstrong, ingegnere aereonautico e aviatore americano, conduce una vita bucolica e ritirata con la famiglia a cui ha 'promesso' la luna. La morte prematura della sua bambina lo spinge a partecipare al programma Gemini, il secondo programma di volo umano intrapreso dagli Stati Uniti il cui scopo era sviluppare le tecniche necessarie ad affrontare viaggi spaziali avanzati e successivamente impiegati nella missione Apollo. Selezionato e assoldato come comandante della missione Gemini 8, Neil è il primo civile a volare nello spazio ma sulla Terra le ripercussioni sono fatali. Tra incidenti tecnici e lutti in decollo e in atterraggio, tra la guerra in Vietnam e le tensioni sociali del '68, tra due figli da crescere e una moglie da ritrovare, Armstrong bucherà il silenzio del cosmo prendendosi la Luna.
 
Più che raccontare l'allunaggio il film è la biografia di un uomo e le sue fragilità e intimità.
Un film che parla di come prendersi le proprie responsabilità, di dover rispondere ai propri figli e dirgli la verità guardandogli negli occhi. E' un film di fatica e sacrificio di un uomo che scommette sui propri mezzi e cerca di andare oltre i suoi limiti. Una storia di umanità e di grande delicatezza descritta da quel Chazelle che con WHIPLASH aveva descritto un altro micro mondo fatto di emozioni e sentimenti nel campo della musica. Armstrong è una personalità taciturna, introversa ed estremamente riservata, che nutre grandi ambizioni nel suo lavoro, non mancando però di impegnarsi ad essere il miglior marito e padre possibile. La sua vita famigliare, sfortunatamente, viene colpita dalla prematura morte della figlia, afflitta da un male incurabile. È questa una ferita che rimane particolarmente profonda nell’animo di Neil, che nel tentativo di difendersi smette di parlare della bambina con chiunque e allora diventa disposto a tutto per cercare di colmare questo vuoto e la sfida che gli si presenta è senza ombra di dubbio la migliore che si possa avere.

domenica 3 settembre 2023

Oppenheimer


Titolo: Oppenheimer
Regia: Christopher Nolan
Anno: 2023
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

È il 1926, J. Robert Oppenheimer è un giovane studente di fisica presso l'università di Cambridge ed è così ossessionato dall'ascoltare la lezione del professore ospite Niels Bohr che, per ripicca verso l'insegnante che lo fa ritardare, arriva a un piccolissimo passo dal compiere un gesto irreparabile. È il 1954, Oppenheimer si sottopone a una serie di udienze private dove cerca di difendersi dalle accuse di comunismo, per conservare il proprio accesso allo sviluppo di progetti top secret. È il 1958, Lewis Strauss affronta un pubblico dibattimento per dimostrare la propria idoneità come Segretario del commercio di Eisenhower, ma in questa circostanza viene riesaminato il suo rapporto con Oppenheimer. In mezzo c'è naturalmente la cronaca dell'ascesa del protagonista, dai dipartimenti di fisica americana alla direzione del laboratorio di Los Alamos, dove darà vita alla prima bomba atomica.

Oppenheimer è un film molto ambizioso. Lascia presagire l'idea di essere solo un biopic quando invece è un trattato storico chiamando in causa così tanti personaggi famosi da rimanere basiti.
Due presidenti americani, Truman e Kennedy (uno solo citato quello che votò contro Strauss quando era ancora solo presidente dello stato del Michigan) tutti i fisici presenti in quel periodo storico di tutte le nazionalità. Conflitti mondiali, guerra fredda, nazisti, fascisti ma soprattutto i veri nemici degli americani, i comunisti. Un processo, quello del terzo atto delizioso.
Archi temporali a gogò, storie d'amore, riflessioni e più di tutto un film sulla coscienza, sulle scelte implicite ed esplicite. Sul cosa bisogna, cosa si vorrebbe e cosa si è costretti a fare.
Un film sulla morale in un continuo scontro tra teoria e pratica, tra quello che in teoria può essere, quello che in teoria dovrà essere e quello poi che in pratica avverrà.
Trinity, il progetto Manhattan, il primo vero dialogo in cui lo spettatore strabuzza gli occhi ovvero quello tra il protagonista e Groves. Un film che mostra l'esperimento ma non l'atto finale.
Dove vediamo solo i resti di un corpo bruciato ai piedi di Robert quando comincia ad essere preda di incubi su ciò che ha contribuito a fare. Una sceneggiatura per niente facile, elaborata e multi sfaccettata dove cerchiamo di capire alcuni lati nascosti di molti protagonisti grazie al faraonico lavoro del regista partendo proprio dal libro di Kai Bird e Martin J. Sherwin-Un Prometeo americano.
-Il mondo sta cambiando- dice Katherine a Robert in quel dialogo che la porterà poi successivamente a ritirare i panni stesi oppure no, messaggio in codice con il marito, quando la bomba funziona e quando si avrà l'esito del processo che vero processo non è. Proprio da quella proverbiale frase capiamo e intuiamo tutta l'ambiguità del mondo che passa attraverso processi sotterranei tramando su scelte moralmente incomprensibili.

martedì 28 dicembre 2021

Nitram


Titolo: Nitram
Regia: Justin Kurzel
Anno: 2021
Paese: Australia
Giudizio: 4/5

Nitram vive con sua madre e suo padre nella periferia dell'Australia a metà degli anni '90. Vive una vita di isolamento e frustrazione per non essere mai in grado di adattarsi. Questo finché non trova inaspettatamente un caro amico in un'ereditiera solitaria, Helen. Tuttavia, quando quella relazione incontra una fine tragica e la solitudine e la rabbia di Nitram crescono, inizia una lenta discesa che porta al disastro.
 
Kurzel è uno dei registi contemporanei più interessanti. Il suo cinema dimostra sempre un'assenza di limiti ma uno spirito libero e anarchico di raccontare ciò di cui sente bisogno (facendo un eccezione per l'osceno ASSASSIN'S CREED). Ha fatto poco ma quello che ha fatto gli è riuscito bene e soprattutto riesce a dare fastidio. True history of Kelly Gang e Snowtown Murders sono pellicole molto diverse e a loro modo complesse come quest'ultimo film, forse il più complesso in assoluto per intenti e struttura della storia oltre che caratterizzare un personaggio folle e intenso regalandolo ad una promessa del cinema come Caleb Landry Jones.
Di serial killer ne abbiamo conosciuti nel corso del cinema moltissimi. Sono stati ripresi e sondati in svariate formule dalle stragi alla lenta follia fino al punto di vista di terzi che gli hanno osservati come testimoni, ostaggi o ancora con il punto di vista degli ispettori di polizia.
Nitram però è un'altra cosa. Un film formidabile, inquietante quanto poetico e meraviglioso, il quale da molto spazio al giovane Caleb per trovare una catarsi con il personaggio, probabilmente il più interessante, romantico e spietato serial killer degli ultimi anni.
La sua infanzia difficile e di quando finì per la prima volta in televisione finendo al pronto soccorso per essersi sparato dei petardi addosso, all'inesorabile disagio psichico e la sua crescita in una famiglia disfunzionale dove una madre anaffettiva sembra altalenarsi con un padre troppo affettivo.
Un ritratto psicologico in una vita priva di affetti dove l'unico che troverà sarà complice di un altro tipo di disagio, come gli outsider che si attraggono l'uno con l'altro. Kurziel è abile nel mettere in scena la follia dell'essere umano, senza mai giudicare o assolvere o maturare intenzioni assolutorie o voglie di condanna. Non a caso il film termina nel momento decisivo prima del massacro di Port Arthur del '96


giovedì 15 aprile 2021

Se c'è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari


Titolo: Se c'è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari
Regia: Simone Isola, Fausto Trombetta
Anno: 2019
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

3 ottobre 2014: ospite del critico Fabio Ferzetti in redazione al quotidiano "Il Messaggero", Valerio Mastandrea dà lettura di un messaggio speciale indirizzato a Martin Scorsese. A nome della crew che sta cercando di mettere in produzione Non essere cattivo - terzo film di Claudio Caligari che fatica ad avere il via - l'attore romano invita il regista a vedere il film di debutto del regista, Amore tossico. La questione è urgente: Non essere cattivo, ultimo dei soli tre film realizzati da Caligari in quasi quattro decenni di attività, è un'opera che "non può aspettare". Non solo per la difficoltà apparentemente incorreggibile, quasi una maledizione, nel riuscire a trovare finanziamenti per le sue sceneggiature, ma perché il regista è gravemente malato. La speranza è che Scorsese riconosca la passione divorante per la settima arte come una malattia familiare e possa correre in aiuto.
 
Commovente questo omaggio ad uno dei miei registi italiani preferiti. Un autore maledetto e un attento e lucido sociologo di un epidemia italiana legata alla droga e una parentesi sui sequestri.
Il documentario in sè cattura le ultime fasi dal casting fatto da Mastrandrea a Marinelli e Borghi, all'anima messa dall'attore romano al servizio del suo fedele maestro, al perseguire un sogno nel cassetto dopo aver scritto moltissime sceneggiature senza essere mai stato preso in considerazione dalle produzioni di allora. Un autore scomodo e per questo tenuto ai margini che con Amore Tossico
 aveva fatto parlare di sè, di ciò che non andava, dove era stato messo in croce dai perbenisti e da una certa stampa di allora che ha continuato con ODORE DELLA NOTTE a descrivere una banda di criminali e infine con un sequel del suo capolavoro ai tempi nostri Non essere cattivo che di fatto sancisce come il problema della droga persista avendo di fatto cambiato solo sostanza ma non gli effetti disastrosi su un ghetto e sui quartieri popolari.
Toccante quando parlano gli attori del suo primo film, quando tra immagini di repertorio conosciamo il cast che promuoveva il film nei festival, quando parla chi lo ha conosciuto, quando Marinelli si commuove, quando Mastrandrea si mette completamente al suo servizio aiutandolo e sostenendolo in tutto; quando Caligari assiste al suo debutto nel cortometraggio sul sociale ascoltandolo mentre parla di lui assieme a Giallini, quando vediamo la scelta del cast del suo ultimo film, quel foglio attaccato alla parete con tutte le pedine che si vanno a comporre.
Se c'è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari è un documentario coraggioso che andava fatto, che regala attimi di vero cinema, che detta legge su un autore che avrebbe potuto regalare molto di più se solo avessero creduto in lui..sono tanti i registi italiani ma pochi quelli a cui hanno dedicato e che hanno meritato un documentario come omaggio


martedì 12 gennaio 2021

Incredibile storia dell'isola delle rose


Titolo: Incredibile storia dell'isola delle rose
Regia: Sydney Sibilia
Anno: 2020
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Primavera 1968. Nell'anno della contestazione studentesca, un giovane ingegnere, Giorgio Rosa con un grande sogno e un genio visionario decide di costruire un'isola al largo di Rimini, fuori dalle acque territoriali, e la proclama stato indipendente. Un'isola d'acciaio in cui la libertà individuale è il valore assoluto: non ci sono regole!

Tratto da una storia vera, il nuovo film di Sibilia fondatore assieme a Rovere dell'ottima Groenlandia Srl, società indipendente di produzione fondata nel 2014, in grado negli ultimi anni di regalare dei film interessanti e legati alcuni a tematiche di genere.
Un film ribelle e innovativo, lo definirei, dove la realtà sembra mischiarsi con la fantasia e progetti irrealizzabili e folli che prendono il sopravvento come nella scena iniziale nel Consiglio d’Europa di Strasburgo. Un progetto così particolare da accaparrarsi tutte le antipatie politiche, una follia in grado di coalizzare i bagni di Rimini per fare guerra a Giorgio & company e il suo progetto.
L'idea che per realizzare un sogno ci vogliono gli amici giusti che aiutino a crederci è un'idea e un'utopia solida dove le peripezie sono tante da una "fidanzata" avvocatessa che prova a non sopprimere il genio del compagno, una famiglia che non vuole troppa pubblicità e invece una popolazione intera che vorrebbe avere il prestigioso onore di ballare e fare ciò che vuole su quella piccola isola d'acciaio lontano dalle regole quotidiane e magari perchè no, chiedere pure la cittadinanza.
Un film politico che parla di burocrazia, di regole, di norme che andranno pensate con il solo obbiettivo di contrastare quella che dai piani alti viene vista come un'anomalia anarchica in grado di generare disordine ma che in realtà è solo una scelta di vita alternativa.

sabato 16 maggio 2020

True history of Kelly Gang


Titolo: True history of Kelly Gang
Regia: Justin Kurzel
Anno: 2019
Paese: Australia
Giudizio: 4/5

Australia, 1867. Ned Kelly è un bambino nel mezzo del nulla dove la madre vende il suo corpo per denaro e il padre sta a guardare. È un'infanzia brutale la sua, spesa su una terra arida e venduta a un bandito ubriacone che ha deciso di farne un uomo. Rientrato cresciuto (e vissuto) in seno alla famiglia qualche anno dopo, Ned deve decidere che tipo d'uomo vuole diventare. Provocato da un poliziotto pappone e da una madre che ama visceralmente, il ragazzo sposa la 'causa irlandese' contro il nemico inglese

Kurzel è un regista che ho sempre tenuto d'occhio. Il suo esordio Snowtown Murders era un pugno allo stomaco fortissimo sui rapporti sociali e famiglie disfunzionali. Un dramma sociale che sfociava nell'horror per parlare di un serial killer. Il suo penultimo film è stato ASSASSIN'S CREED (che proprio non sono riuscito a vederlo).
E poi arriva questo True History of the Kelly Gang, il suo top, la sua opera migliore, matura, energica, drammatica e grottesca. Un film complesso maturo, viscerale che non si limita a inquadrare le gesta di Edward Ned Kelly, ma riesce ad espandere fino ad arrivare a coglierne tutte le "maestranze" dal tessuto sociale, l'umanità corrotta folle e perversa, l'ambiente, le difficoltà, una terra dominata da estranei tra aborigeni e coloni, le classi sociali che rivendicano diritti mai esistiti. Insomma esamina molto di più di quanto ci si poteva aspettare, lasciando la gang di Kelly solo per l'ultima mezz'ora.
Il protagonista è pluri stratificato risultando a tratti consapevole e non, messo in mezzo ad un intricata ragnatela tra forze dell'esercito, nuclei familiari, e tanto altro ancora passando da un estremo all'altro nel suo essere contraddittorio, folle e radicale e non sapendo mai fino ad un punto cruciale da che lato schierarsi e come far rispettare il suo ideale di giustizia.
In un'epopea matriarcale dove la figura più disfunzionale risulta proprio il punto di forza è la vera debolezza di Ned ovvero sua madre, Kurzel stilizza e sporca allo stesso tempo un western estremo e allucinato dove il dramma nell'atto finale diventerà tragedia pura, una lotta contro i mulini a vento di un manipolo di disperati che trovano rifugio e desolazione nella foresta di "Sherwood" prima di fare i conti con un male che semplicemente non possono contrastare.
Il cast merita una menzione speciale perchè chiama in cattedra la meglio gioventù e la vecchia scuola australiana con i migliori George MacKay ispiratissimo che sembra una bestia incontenibile un Peter Pan e Robin Hood fusi assieme e a spronarlo la miss Babadook per eccellenza Essie Davis che continua a stupire per stile, bravura e seduzione mettendo a sedere tutta la pletora maschile. Subito dopo Russel Crowe, Nicolas Hoult (mai così figlio di puttana) assieme a Charlie Hunnam.
True history of Kelly Gang è impregnato di così tante atmosfere dove a svettare su tutte è questa sorta di barbaresco punk abbinato alla stravaganza della gang con l'atteggiamento accusatorio verso l'autorità dove nel combattimento finale diventerà un grido di speranza e libertà messo a tacere da un'elite di potenti che semplicemente strappano l'essenza anarchica alla radice.


lunedì 20 aprile 2020

Ip Man 4


Titolo: Ip Man 4
Regia: Wilson Yip
Anno: 2019
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Il maestro di Kung Fu si reca negli Stati Uniti dove il suo studente ha sconvolto la comunità locale di arti marziali aprendo una scuola di Wing Chun.

Ip Man 4 poteva cadere nel ridicolo clamoroso, diventando una sorta di Karate Kid con Ip che insegna l’arte sacra del Wing Chun ad una ragazza figlia di un’importante maestro di Tai Chi.
Invece il film è una carrellata di momenti straordinari, combattimenti a non finire, scuole contro scuole contro altre scuole che cercano di essere messe sotto dal governo americano, dai marines capitanati da Scott, ad un certo punto vi ammazzo di botte tutti, Adkins.
C’è così tanta roba nel film, così tanta storia che a volte si inceppa e stroppia ma il risultato è forse uno dei migliori sequel dei sequel di sempre per un film di arti marziali se non contiamo l’esagerato quanto assolutamente spavaldo e meraviglioso John Wick 3.
Parte con Bruce Lee che poi ad un certo punto scompare per lasciare spazio ad un’altra storia ancora con maestranze a non finire, complotti, vendette e sacrifici e discriminazione razziale.
C’è Donnie Yen che invecchia bene pronto a immolarsi come paladino della giustizia passando da un cortile di una scuola a salvare una ragazzina fino a salire sull’arena per prendere a calci in culo il boss del karate.
I suoi apostoli che cercano di portare il Wing Chun tra i soldati finiscono per vedere al rogo il manichino di legno. Sembra non mancare proprio nulla a questo ultimo capitolo finale di una saga che a parte qualche sbadiglio è diventata una delle prove più importanti del cinema sulle arti marziali cinesi contemporaneo e post moderno.


lunedì 23 marzo 2020

A taxi driver


Titolo: A taxi driver
Regia: Hun Jang
Anno: 2017
Paese: Corea del sud
Giudizio: 4/5

Corea del Sud, 1980. Un cronista occidentale e il tassista che lo accompagna arrivano a Gwangju: qui è in corso una rivolta contro il governo guidata dagli studenti. A spingerli è il bisogno di libertà. Un momento epocale, a cui i due guardano con occhi diversi…

Ogni paese ha i suoi scheletri nell’armadio. Quando si parla di regime, i fantasmi diventano molteplici.
Jang è solito preferire temi di guerra, complotti, trame mai scontate e portatrici di contesti storici complessi che spesso si sceglie di non far vedere. La strage o meglio la repressione di Gwangju è stata trattata nel cinema in diverse opere ma A taxi driver sceglie un percorso pieno di ostacoli e si prende il coraggio e il rischio di strutturare l’arco narrativo dividendolo in parti nette. Dramedy, comicità, tragedia, commedia, dramma puro, azione, indagine, Jang mescola tutto con spensieratezza come lo sguardo di Kim e le gag di una commedia road movie che predilige soprattutto nel primo atto le differenze culturali con simpatici dialoghi che condiscono le incomprensioni linguistiche soprattutto le “minacce” di Kim nei confronti di Jurgen. Tutti ingredienti che riescono a trovare un connubio che seppur con qualche buca qua e là non appassisce mai e non appare mai scontato preferendo seguire Kim Man-seob in tutti i suoi cambiamenti, riuscendo nel compito più difficile ovvero caratterizzare un uomo comune e trasformarlo a seconda di come cambiano gli eventi sotto i suoi occhi portandolo a fare doverose riflessioni.
In questo il giornalista tedesco Jurgen ‘Peter’ Hinzpeter appare come una sorta di Virgilio che lo conduce negli abissi dell’inferno, nelle strade dove muoiono i manifestanti e l’esercito usa tutta la violenza possibile per fare una strage senza mezzi termini. A taxi driver devia le sue coordinate da facilonerie o manierismi, evitando i sensazionalismi e cercando di rimanere più umano possibile contando che si passa veramente negli atti da un registro all’altro. Formidabili le interpretazioni e veramente azzeccate le scene dove i protagonisti vengono accolti da famiglie comuni che sanno che l’apocalisse è alle porte ma scelgono di difendere, mettendo a repentaglio la loro libertà, quel bisogno di denunciare e far luce su un episodio così carico di inusitata violenza.

lunedì 30 dicembre 2019

Dolemite is my name


Titolo: Dolemite is my name
Regia: Craig Brewer
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Rudy Ray Moore non è sempre stato Dolemite. Ci ha messo un po' a decidere di diventarlo. E quando poteva concentrarsi solo sulla carriera di stand-up comedian, ha pensato bene di creare un film attorno al suo personaggio. Quasi senza soldi, senza un vero e proprio cast, con una sceneggiatura raffazzonata e tutto il nudo possibile

Sinceramente non so dove fosse finito Eddie Murphy. Il padre della risata che tra gli anni '80 e '90 ha dato ruoli indimenticabili, il Bambino d’oro su tutti, ritorna notevolmente invecchiato ma sempre con quella faccia da culo pronta a dirne una più del solito.
Dolemite è praticamente tutto sulle sue spalle, sul suo potere comico, sulla sua espressività che non conosce limiti, ma anche su un personaggio per fortuna meno tagliato con l'accetta come lo erano i suoi ruoli del passato, con una forza drammatica che dimostra ancora una volta il suo talento.
Un biopic sulla storia vera del comico, musicista, cantante, attore e produttore cinematografico Rudy Ray Moore ormai al capolinea e bisognoso di cercare una soluzione per continuare ad avere successo. Il film è una commedia velata da un dramma interiore del protagonista, un'opera carismatica e valida, dove l'idea supera la forma e il film ancora una volta ci ripete quanto siano importanti le storie, lo storytelling e quindi registrare canzonette sporche di senzatetto riadattandole intelligentemente per il grande pubblico. Questo stratagemma può essere un'arma infallibile per conquistarsi di nuovo un meritato posto da leader sul palcoscenico.
L'opera di Brewer che finalmente filma il suo miglior film, cerca però, quando ormai la trama è sdoganata, di aggiungere ancora elementi preziosi e importanti per farci capire quanto in quel periodo quel mondo e la cultura afro stesse cambiando rapidamente, dall'hip-hop, alla blaxploitation mostrando un paesaggio rappresentativo in cui gli afroamericani vivono in contesti poveri, popolati da prostitute e spacciatori e dove Dolemite, visto quello che lo circonda, riesce nel bene e nel male a sfruttarlo a suo piacimento per mostrare il doppio lato della società all'interno dei suoi monologhi.

lunedì 21 ottobre 2019

Angelo del crimine

Titolo: Angelo del crimine
Regia: Luis Ortega
Anno: 2018
Paese: Argentina
Giudizio: 3/5

Buenos Aires, 1971. Giovane, spavaldo, coi riccioli biondi e la faccia d'angelo, Carlos entra nelle case della gente ricca e ruba tutto ciò che gli piace. L'incontro a scuola con Ramón, coetaneo dal quale è attratto, segna il suo ingresso in una banda di criminali, con la quale compie altri furti e soprattutto il suo primo omicidio, di fronte al quale rimane assolutamente impassibile. Fino alla morte dell'amato Ramón e oltre, Carlos proseguirà indisturbato le sue attività criminali, uccidendo ancora e talvolta facendo ritorno dai genitori come un figlio qualsiasi. Verrà arrestato dopo un colpo andato a male e l'assassinio di un complice.

Come spiega il film nel finale, anche una faccia d'angelo può nascondere un feroce omicida. Il film di Ortega di fatto dimostra una realtà che non poteva più essere nascosta e che riportava al riconoscimento dei presunti serial killer, persone per lo più di colore o che rispondevano a determinati tratti somatici. La teoria lombrosiana accennata verso il finale fa un bel passo in avanti, ipotizzando e dovendo per forza trovare una giustificazione, dopo l'arresto di Carlos dove venne appurato che il suo aspetto ambiguo potesse averne favorito la devianza psichica sfatando così il luogo comune degli occhi sporgenti, della pelle scura, del naso aquilino e i denti storti.
La storia di Carlos Robledo Puch, "el Ángel de la Muerte", il più famoso serial killer argentino, arrestato nel 1972 dopo aver ucciso almeno 11 persone cerca di essere molto fedele alla storia, evitando esagerazioni o forzature troppo marcate, cercando di documentare gli eventi principali attraverso il comportamento apparentemente sociopatico del suo protagonista e delle sue azioni.
Una famiglia vera di criminali a cui appoggiarsi, una famiglia putativa che non riesce a vedere cosa sta succedendo, diventando a tratti complice nell'aver paura dell'impulsività del proprio figlio. Tutti provenienti da una famiglia povera ma onesta. Un lato queer del protagonista che emerge solo in alcuni dialoghi come quando la madre di Ramon vorrebbe iniziare faccia d'angelo, ma il ragazzo risponde di essere interessato a suo marito, la vera mente criminale; un uomo che agisce indisturbato alle spalle del figlio e di Carlos, trovandolo geniale ma allo stesso tempo nascondendo inquietudine  e paura di come il giovane non abbia nessun tipo di esitazione ad uccidere chiunque.

venerdì 24 maggio 2019

Sale della terra

Titolo: Sale della Terra
Regia: Wim Wenders
Anno: 2014
Paese: Francia
Giudizio: 5/5

Il film racconta l’universo poetico e creativo di un grande artista del nostro tempo, il fotografo Sebastião Salgado. Dopo aver testimoniato alcuni tra i fatti più sconvolgenti della nostra storia contemporanea, Salgado si lancia alla scoperta di territori inesplorati e grandiosi, per incontrare la fauna e la flora selvagge in un grande progetto fotografico, omaggio alla bellezza del pianeta che abitiamo. La sua vita e il suo lavoro ci vengono rivelati dallo sguardo del figlio Juliano Ribeiro Salgado, che l’ha accompagnato nei suoi ultimi viaggi, e da quello di Wenders, fotografo egli stesso.

Wenders è un po come Herzog.                                                                                                                  Due nomi che hanno fatto la storia. Due registi a 360° che soprattutto negli ultimi anni hanno saputo sposare e incanalare bene la tecnologia nella settima arte.                                           
Dalla fotografia, al 3d, alla capacità di ottenere fondi e permessi quando sarebbero negati a qualsiasi altro essere umano. Questi sono solo alcuni degli aspetti per cui le loro “opere” suscitano e lasciano basiti per l’interesse e i temi che vanno a trattare oltre la delicatezza con cui toccano i sentimenti del pubblico. Il Sale della Terra di cui ci parla Sebastiao Salgado, è un’esperienza durata tutta una vita.    Un percorso e un dovere sociale, dinamico, variopinto, necessario, pericoloso e invidiabile.                  Così, anche se andrebbe scritto un saggio solo sul fotografo e il suo pensiero, è davvero toccante poter avvicinarsi alle mille avventure che lo hanno portato nel momento giusto in alcune parti del mondo in cui la natura e l’uomo continuano a combattere uno scontro che forse non finirà mai.            Dalla violenza, ai volti, al modernismo, fino ad arrivare agli emigrati e poi agli animali, queste sono solo alcune delle tematiche su cui Salgado, con l’aiuto del figlio e con alcuni racconti del padre, crea il suo universo e ci da la possibilità di ammirarlo come quando guardiamo una fotografia e rimaniamo esterrefatti.
Ci si commuove, si spalanca la bocca, si fa fatica ad accettare quello che l’obbiettivo cattura e tutto questo dura il tempo di un film, strutturato, bilanciato e montato in modo semplicemente squisito, come un’opera d’arte che risulterà precisa in tutti i suoi meccanismi.
Salgado diceva che l'uomo è l'animale più crudele, ma capace anche di elevarsi al di sopra di se stesso.

domenica 28 aprile 2019

Principe libero


Titolo: Principe libero
Regia: Luca Facchini
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Il 27 agosto 1979 Fabrizio De André e la sua compagna, la cantante Dori Ghezzi, vengono sequestrati nella loro tenuta agricola nei pressi di Tempio Pausania, in Sardegna. Verranno liberati quasi quattro mesi dopo. Da quel fatto si innesca un lungo flashback che racconta l'adolescenza e l'età adulta del cantautore, tra incontri, folgorazioni, vita privata e attività musicale, fino a tornare al rapimento e chiudersi sul matrimonio tra i due, nel 1989.

De Andrè è e rimarrà sempre materia sensibile per lo stuolo di fan che negli anni non accenna a frenarsi. Film che abbiano parlato della sua vita e delle sue opere finora non ci sono a parte i documentari Effedia-sulla mia cattiva strada.
Scegliere la fiction con due film che narrassero i fatti principali senza edulcorare nessun passaggio poteva essere una buona occasione per fare luce su alcuni momenti peculiari della sua vita non proprio chiari come la gestazione del rapimento in Sardegna, il rapporto con Tenco, e altre vicende interessanti dell'autore.
Facchini deve aver avuto tanto materiale da raccontare, forse troppo. Uno dei limiti maggiori del film è stato quello di dividere per comparti stagni gli stessi capitoli della sua vita in maniera troppo affrettata e macchinosa.
Durando, entrambi i film, quasi quattro ore mi aspettavo davvero una descrizione di Faber molto più elaborata dove l'artista potesse narrarsi raccontando la sua vita mentre qui la musica, i suoi testi, vengono sfruttati in maniera disfunzionale richiamando la canzone a descrivere la situazione senza peraltro connotarla e lasciandola così come sfondo senza mai entrarci dentro.
Il cast. Se la scelta di Marinelli, attore che dimostra di saperci fare in alcuni ruoli, è stata a mio avviso imperfetta (un attore romano con accento romano che interpreta un artista genovese che parla genovese, anche se la famiglia De Andrè era piemontese) dimostra il limite di un certo tipo di produzione a non avere il coraggio di fare un lavoro di casting opportuno e allo stesso tempo fallisce miseramente nella scelta di Valentina Bellè come Dory Ghezzi.
La scena iniziale del rapimento in Sardegna è da arresto alla troupe per quanto sia pessimo in tutte le scelte adottate.
Principe libero andava preso molto più sul serio come progetto. Funziona come racconto di 40 anni di vita privata di Faber, dalla prima adolescenza tra i caruggi al sequestro in Sardegna, ma non va oltre una descrizione televisiva senza quella ricerca o la voglia di scavare dentro Faber. L'aspetto migliore dei due film è di certo nella prima parte quando viene mostrato il rapporto tra Faber e suo padre, vera croce e delizia della vita dell'artista, interpretato in maniera eccellente da Ennio Fantastichini.



lunedì 11 marzo 2019

Circo della farfalla


Titolo: Butterfly Circus
Regia: Joshua Weigel
Anno: 2009
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La storia di Vujicic è triste. Primogenito di una famiglia serba cristiana, Nick Vujicic nacque a Melbourne, Australia con un rara malattia genetica: la tetramelia ovvero privo di arti, senza entrambe le braccia, e senza gambe eccetto i suoi piccoli piedi, uno dei quali ha due dita.
Probabilmente non si aspettava che dalla sua storia nascesse un cortometraggio che ha fatto piangere le platee di diversi paesi in tutto il mondo.

The Butterfly Circus è sicuramente un ottimo cortometraggio con un cast importante, una sontuosa fotografia e una storia tutto sommato che rispecchia difficoltà e timori del protagonista.
Weigel è abile e sfrutta in particolare i sentimenti e le musiche per rendere ancora più sdolcinata e melensa una storia che non aveva bisogno di fronzoli per comunicare quello che doveva.
Il circo allora in questa galleria di freaks piuttosto originali e con un ottimo lavoro di trucco e costumi, diventa quel luogo dove ognuno, in questo caso Vujicic, trova la sua strada diventando da bruco a farfalla e abbandonando così la muta iniziale della pigrizia e dello sconforto.


venerdì 8 febbraio 2019

Studio 54


Titolo: Studio 54
Regia: Matt Tyrnauer
Anno: 2018
Paese: Usa
Festival: Seeyousound
Giudizio: 4/5

Il documentario diretto dal regista Matt Tyrnauer racconta l'ascesa e la caduta del famoso club Studio 54, che, alla fine degli anni '70, divenne il locale più famoso della città, segnando una intera generazione. Esso poggia le basi sui ricordi di uno dei due fondatori, oramai anziano.

All’epicentro della New York disco seventies, simbolo di una generazione sempre più alla ricerca di qualcosa di nuovo e travolgente, nasce lo Studio 54, nella Midtown di Manhattan.
Un luogo simbolo, una di quelle realtà che chi è amante del ballo e della disco, avrà certamente sentito nominare almeno una volta.
La Mecca della musica, lo zenit dello sballo, dove tutto era lecito e possibile.
Un luogo divino, un rituale da svolgere più volte possibile, dove instaurare relazioni, lasciarsi andare, abbattere qualsiasi tipo di frontiera mortale e razziale.
Lo Studio 54 è stata semplicemente la più famosa discoteca al mondo, un modello di entertainment studiato nei minimi dettagli per creare un unicum che diventasse il punto di riferimento mondiale per la musica, per l'eleganza e per tutto ciò che è fashion. Studio 54 è diventato presto un'icona in grado di segnare un'intera generazione di target differenti dove quando si ballava semplicemente si abbandonava tutto per lasciare spazio al corpo e all'atmosfera.
Il documentario è folle e scatenato, lasciando lo spettatore in balia di volersi alzare e mettersi a ballare, con uno stile molto americano che racconta la nascita e le difficoltà dei due rampolli ebrei per la loro scalata al successo. Una storia, la loro, correlata di soddisfazioni, scandali, arresti, polemiche, novità sotto ogni punto di vista.
In poco più di un'ora e mezza viene raccontato quasi tutto dagli interni, le code all'esterno, la rigorosa selezione agli ingressi, le grandi star, la musica favolosa, la droga, con un finale in crescendo che accompagna lo spettatore fino al doloroso percorso giudiziario che ha portato poi alla chiusura per problemi fiscali e la morte per aids di uno dei due fondatori.


White boy rick


Titolo: White boy rick
Regia: Yann Demange
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Detroit, 1984: l'adolescente Rick vive con il padre, un piccolo trafficante di armi che sogna di aprire una videoteca, da quando la madre e la sorella maggiore se ne sono andate di casa. Vendendo armi a basso prezzo, Rick si guadagna il rispetto delle bande di criminali del quartiere e, in un mondo composto unicamente di neri, diventa per tutti "White Boy Rick". Ricattato dall'FBI, che avrebbe le prove per incriminare il padre, Rick accetta suo malgrado di fare l'informatore e contribuisce a smantellare una rete di spacciatori e poliziotti corrotti che arriva fino all'ufficio del sindaco. Quando però comincia a spacciare per conto proprio viene arrestato e condannato all'ergastolo, nonostante la giovane età e il lavoro svolto fino a quel momento per le autorità.

Di nuovo la storia di un anti eroe americano. Un ragazzo molto giovane che si è trovato ad essere presto molto ricco e molto importante, che negli anni di Reagan però se commerciavi armi e droga significava diventare molto pericoloso sotto tutti gli aspetti.
Finalmente torna Demange, e avercene di registi come lui, un volto interessante, purtroppo non molto prolifico che con '71, passato in sordina un po da tutti, aveva dimostrato di saperci fare.
Caratteristica che mantiene anche in questo suo secondo film, anche se continuo a preferire '71.
White boy rick, così lo chiamavano, mantiene molti traguardi, ha una parte tecnica e una scelta rigorosa delle musiche e della scenografia, nonchè dei costumi che ti riportano in quegli anni.
La storia è un viaggio di formazione nel "male" dove un giovane ragazzo impara presto e a sue spese cosa significa entrare in un sistema dove politica e mafia vanno a braccetto e quando c'è bisogno di facce pulite da spedire in prigione è facile trovare alla propria mercè, vittime sacrificali.
Il film per tutta la sua durata mantiene un bel ritmo, gli attori sono tutti ottimi, Matthew McConaughey che rischiava di ritrovarsi nel solito personaggio che interpreta molto bene, riesce invece ad essere diversificato e il cambiamento del suo personaggio è uno degli aspetti più interessanti del film, come il rapporto con la sorella e con i poliziotti che fanno fare il doppio gioco al figlio.


mercoledì 5 dicembre 2018

Blackkklansman


Titolo: Blackkklansman
Regia: Spike Lee
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Anni 70. Ron Stallworth, poliziotto afroamericano di Colorado Springs, deve indagare come infiltrato sui movimenti di protesta black. Ma Ron ha un'altra idea per il suo futuro: spacciarsi per bianco razzista e infiltrarsi nel Ku Klux Klan.

L'ultimo joint di uno dei maestri del cinema americano non smette di perdere la sua carica eversiva e ironica.
Un film grottesco, parecchio crudo e razzista, che senza celare nulla della sua facciata iniziale, manda avanti un'indagine, un caso che sembra qualcosa di assurdo quando poi invece scopriamo che è esistito eccome e che come forse vorrebbe dire Lee potrebbe risuccedere anche oggi.
Un film diverso dai soliti che sceglie sempre una narrazione secondo i suoi canoni e legato ad una poetica iconoclasta che punta a dissacrare i luoghi comuni della società bianca o gli errori del passato che per tanti diciamo che errori non sono stati e ora più che mai vorrebbero tornare in auge.
Senza avere quei voli pindarici su un'azione e alcune scene di violenza efferata come capitava in altri suoi film, il regista si confronta proprio con aspetti più controversi burocratici e amministrativi che altro, mettendo tutto in mano ad una coppia di attori che riescono nella loro semplicità ad essere quanto più diretti possibili.
Lee da sempre coglie degli aspetti nel suo cinema che ne fanno un artista in grado di evidenziare quei particolari che non sembrano interessare a tutti.
E lo fa sempre di più andando controcorrente dai tempi di FA LA COSA GIUSTA nel suo immaginario dove bianchi e neri vivono assieme odiandosi fortemente.
Nel 2018 anche se la vicenda è ambientata negli anni '70, Lee ci dice che il razzismo non è mai finito anzi, sembra essere l'incipit di ogni suo film e il suo immaginario negli anni è stato fortemente diviso e diverso dagli altri che si misuravano sui film con tematiche razziali.
La sua politica è sempre stata antagonista ad un certo tipo di sogno americano radicale ed esteticamente dirompente, scegliendo e spesso mostrando invece la semplicità con cui la comunità afro sembra non solo averci fatto l'abitudine, ma sbeffeggiandola e deridendola al contempo stesso.

sabato 14 luglio 2018

Loro1


Titolo: Loro1
Regia: Paolo Sorrentino
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Faccendieri ambiziosi e imprenditori rampanti, cortigiane - vergini per niente candide che si offrono al drago, addestrate da molti anni di pubblicità sessiste e trasmissioni strillate - politici corrotti, giullari, acrobate: è il circo che sta intorno a Silvio Berlusconi, nella "rielaborazione e reinterpretazione a fini artistici" messa in scena da Paolo Sorrentino.

Da anni Sorrentino racconta il suo visionario e particolarissimo circo mediatico.
Dopo Andreotti e un papa fuori dall'ordinario tocca all'emblema della politica italiana
Loro però appunto dal titolo racconta tutti gli attori che nel circo pur non essendo i veri protagonisti servono per dare lustro e pubblicità al loro signore
Loro sono quelli che contano, dice Morra, senza rendersi conto che pure lui, e da un bel po’, è uno di loro. Loro sono quelli rispetto ai quali non ci si dà nemmeno il disturbo di pronunciarne i nomi, almeno in questo primo pezzo, quasi si fosse a rischio di contagio.
La maschera che entra in scena di Servillo dopo quasi un'ora è quella di un cartone animato.
Perfetta, iconica, plasmata come forse la maschera più bella finora indossata dall'attore
Loro1 potrebbe anche essere riassunto così: orge e cocaina
Il problema grosso con cui Sorrentino ormai non sembra avere nemmeno più la necessità di confrontarsi è quello dell'intreccio e della soluzione (una critica aperta anche ad un altro grande regista come Malick) che in questo capitolo come nel successivo diventa l'arma a doppio taglio.
Una galleria di immagini davvero molto belle, con un cast tutto sommato convincente (a parte Servillo tutti gli altri sono comparse) senza contare le musiche e la fotografia che riesce a mettere e dare risalto a qualsiasi particolare inquadrato nella scena
Un film per immagini, visivo come spesso viene vista la settima arte, ma che a mio avviso poteva cercare senza poi sbilanciarsi molto di dare anche un'altra visione di questo grande personaggio mediatico che ha saputo trasformare un paese a sua immagine e somiglianza
Era giusto che Re Mida alla fine diventasse una delle scelte con cui il nostro buon Sorrentino non poteva non confrontarsi


domenica 25 marzo 2018

Ore 15:17-Attacco al treno


Titolo: Ore 15:17-Attacco al treno
Regia: Clint Eastwood
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 1/5

Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler s'incontrano la prima volta dal preside, sulla panchina dell'anticamera, in attesa di un rimprovero. Saranno ancora insieme molti anni dopo, a Parigi, davanti al Presidente della Repubblica, per ricevere la legione d'onore. In mezzo c'è un'amicizia lunga una vita, la scelta di arruolarsi (per due su tre di loro), un viaggio estivo in Europa e un treno, il Thalis delle 15:17 da Amsterdam a Parigi, che cambierà le loro vite e quelle di molte altre persone.

Ore 15:17-Attacco al treno credo che sia il peggior film di Eastwood.
Dannatamente inutile e reazionario, anche se non sembrerebbe, non ci tiene a nascondere la sua sprezzante critica verso una manipolazione di contenuti e intenti davvero triste e inneggiando di nuovo i marines e l'educazione fascista militare come un valore a cui attenersi che non può che portare a gesta epiche ed esiti memorabili...
Il film è girato da uno sconosociuto, non c'è nulla del Clint che conosco, o meglio c'è ne troppo di quello che non voglio e non vogliamo conoscere e cioè quello che lo vede inneggiare a Trump e a scelte politiche inquietanti (possiamo dire che tutta una parte della sua politica e del suo credo è concentrata proprio in questa pellicola).
Tutto sembra patinato e scritto male dal momento che il film non ha nessun segreto, nessun colpo di scena. Anzi addirittura sapendo già come andrà a finire, il film nel montaggio inserisce, dal momento che è noiosissimo, pure alcune scene d'azione per farti capire cosa succederà e la piega che prenderanno i fatti che ovviamente già conosciamo.
Questo film insegna che credere nello stato paga, che la legione d'onore viene data come lode a coloro che difendono con il sangue e con la forza il proprio paese.
Eastwood purtroppo è così ma a noi piace ricordarlo per un altro tipo di cinema, quello scomodo che gioca sporco come il bellissimo MYSTIC RIVER.

lunedì 19 marzo 2018

Caniba


Titolo: Caniba
Regia: Verena Paravel, Lucien Castaing-Taylor
Anno: 2017
Paese: Francia
Giudizio: 2/5

A Parigi, nel 1981, il giapponese Issei Sagawa (1949) uccise la compagna di università Renée Hartevelt, per poi farla a pezzi, mangiarne la carne e cercare di sbarazzarsi dei resti. Arrestato ma dichiarato inabile a sostenere il processo, tornò da uomo libero in Giappone, dove da allora ha raccontato la sua storia in svariate occasioni mediatiche.

Caniba è davvero tremendo. Camera fissa sul viso di un cannibale ormai ridotto a una sorta di vegetale a causa dei farmaci e che impiega circa qualche minuto per asserire qualche parola.
Se la prima ora del film scava facendo spesso ricorso allo zoom sul viso inquietante del protagonista, la seconda parte sembra ancora più assurda dove vediamo Issei fare l'attore porno (le scene non sono censurate) con tanto di lei che gli piscia addosso e lui che finalmente riesce a venire.
Coito finale a parte tutto il resto sono immagini di repertorio girate quando il nostro cannibale era piccolo e giocava con il fratello oltre ad una parte in cui vediamo il manga realizzato proprio da Issei sulla sua impresa antropofaga. Il fratello di Issei, diventato il suo angelo custode, compare anche nella prima parte quella più descrittiva e dove anche lui condivide un masochismo sfrenato cercando di infliggersi il dolore perfetto con filo spinato, coltelli, pungoli e spilli.
Il duo di registe sono da sempre state attirate da temi e contenuti particolari ma rispetto ai loro precedenti lavori questo a tratti mette davvero alla prova la fruizione.
E credo di poterlo dire dopo aver visto una delle opere più malate del cinema di nome Philosophy of a Knife solo per citarne uno tra i tantissimi.
Il fattore strano del documentario è l'intento alla base. Non è un saggio sul cannibalismo come qualcuno pensava, non è del tutto un biopic su Issei Sagawa (anche se forse è la tesi che più si avvicina) e non ha soprattutto nessuna scena inquietante se non l'espressione di vuoto esistenziale che alberga e di ciò che rimane dell'anima di questo uomo reso un ameba, il fantasma di se stesso.
Una gara di resistenza per lo spettatore
Issei, allora 32enne studente alla Sorbona, venne arrestato il 13 giugno 1981 mentre nel laghetto di Bois de Boulogne cercava di liberarsi di due valigie contenenti i resti putrefatti di una sua compagna di studi, l’olandese Renée Hartevelt. L’aveva assassinata, con un colpo di pistola alla nuca, due giorni prima, quindi l’aveva stuprata e poi mangiata parzialmente, partendo dal gluteo destro. Dichiarato insano di mente e inabile a sostenere un processo, venne estradato in Giappone due anni dopo: il 12 agosto 1985 è uscito dall’ospedale psichiatrico.