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mercoledì 29 giugno 2011

Vanishing on 7th street


Titolo: Vanishing on 7th street
Regia: Brad Anderson
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Michigan, città di Detroit un improvviso black-out fa piombare tutta la città nell’oscurità più completa, all’alba l’intera popolazione sembra letteralmente svanita nel nulla, al loro posto solo abiti ed effetti personali sparsi sui marciapiedi e all’interno delle vetture che giacciono abbandonate lungo strade completamente deserte. Luk un inviato della tv locale, Rosemary una fisioterapista che ha perso il figlioletto di pochi mesi, Paul un proiezionista che sembra essere l’unico ad aver provato da molto vicino il fenomeno e infine James un dodicenne rimasto solo dopo che la madre avventuratasi all’esterno del locale non ha più fatto ritorno.

Anderson sembrava perso dietro alcune serie televisive. Da FEAR IT SELF a FRINGE e infine the WIRE sembrava un mestierante che altalenava esercizi di stile a progetti personali preferendo comunque l’horror e la fantascienza.
Come tutti, forse, mi aspettavo davvero molto da questo suo ultimo film e il risultato è decisamente altalenante.
Vanishing aveva tutte le carte in regola per diventare un piccolo cult mischiando elementi di genere e sviluppando un soggetto che riporta al tema apocalittico di una futura fine del mondo.  Anche se in parte alcuni elementi si erano già visti sparsi qua e là, il regista di SESSION 9, L’UOMO SENZA SONNO e l’imperdibile TRANSSIBERIAN (da noi purtroppo non ha visto la luce) avevano dato modo di spaziare tra i generi riuscendo sempre ad avere una sua visione personale e a dare spessore alle storie.
Solo che in questo caso la lacuna più grossa è rappresentata dalla sceneggiatura che dimentica nel vero senso della parola alcuni punti essenziali senza motivarli e lasciando più dubbi che altro alla fine del film oltre lasciare in secondo piano il cuore della storia che gioca proprio sulla paura e sulle angosce.
Lo script è di Anthony Jaswinski è infatti bisogna ricondurre a lui la maggior parte degli enigmi e dei buchi della sceneggiatura. Innanzitutto non è spiegato niente(queste ombre che sembrano delle entità che fanno letteralmente sparire i corpi lasciando solo i vestiti…un apparente motivo o causa come motore dell’azione che non viene spiegata lasciandoci così dall’inizio a parte l’incipit a domandarci cosa sia successo…parole inspiegabili che ritornano,cosa cazzo vorrà dire Croatoan, è forse il nome di queste entità e infine questo buio come nulla infinito che toglie ogni speranza.
A parte i buchi purtroppo Anderson non riesce mai a trovare una stabilità nemmeno nella suspence che alle volte perde proprio pathos e nella scena lunghissima dell’assedio sembra di vedere cose già viste. D’altro canto invece riesce nell’atmosfera ad inquadrare l’abisso di una città che non ha avuto il tempo per comprendere la natura del suo male e infine questi protagonisti che hanno perso qualcosa.
Il cast poi non aiuta soprattutto se il ruolo da protagonista viene affidato a quell’attoruncolo di nome Hayden Christensen a differenza degli altri che convincono.
Se la prima parte risulta comunque a tratti più incisiva, dal secondo atto in avanti tutto è spostato in una location interna dove i nostri cercheranno di farsi forza è sopravvivere alle creature del buio.
Senza stare a citare alcuni film a cui Anderson si è chiaramente ispirato rimane un tentativo a tratti interessante ma purtroppo fallito a causa di troppe indecisioni e di una ricerca personale che mai come in questo caso poteva trasparire e avere carta bianca come nel caso di questo tenue horror.