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martedì 17 ottobre 2023

Grande e potente Oz


Titolo: Grande e potente Oz
Regia: Sam Raimi
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Oscar Diggs, detto Oz, è un mago da fiera e un seduttore, che illude spettatori e fanciulle con trucchetti da prestigiatore e promesse da marinaio. Balzato su una mongolfiera per sfuggire ad un rivale, si ritrova catapultato da un tornado nella fatata terra di Oz. Scopre così che il buon popolo di quel mondo lo crede il salvatore tanto atteso, che una profezia indica come un mago venuto dal cielo per sconfiggere la strega cattiva. Attratto dal tesoro reale in palio, Oz si mette in viaggio alla ricerca della strega, ma quello di mattoni gialli è soprattutto un sentiero morale, che lo allontanerà dall'egoismo di partenza e farà di lui una leggenda di magnanimità.
 
Un' altra marchetta. In questo caso un altro outsider come Sam Raimi. Il suo talento e la sua immaginazione frenati da una produzione che di fatto gli ha concesso molto poco e il risultato è uno di quei classici film alla Disney dove vincono senza convincere gli effetti in cg.
Oz, il grande e potente, aveva alcuni elementi interessanti come la goliardia del personaggio che si sposa perfettamente sull'egocentrismo di James Franco e la sua indole nel mordere e fuggire senza prendersi mai le responsabilità del caso. Il suo infatti sarà un viaggio dell'eroe immaginifico dove dovrà imparare a prendersi le responsabilità da uomo e non indietreggiare di fronte al problema o al nemico. Il finale con i fuochi d'artificio e il gioco di magia a palazzo, infatti pur essendo una delle scene meno fantasy del film, è una delle uniche davvero convincenti dove la scienza supera la magia e dove il regista celebra la grande illusione del cinema rispondendo alla domanda del perchè lui e perchè abbia accettato il progetto.

domenica 27 novembre 2022

Peaky Blinders- Season 1


Titolo: Peaky Blinders- Season 1
Regia: AA,VV
Anno: 2013
Paese: Gran Bretagna
Stagione: 1
Episodi: 6
Giudizio: 4/5

irmingham, 1919. La prima guerra mondiale è terminata da poco e i suoi effetti sono ancora visibili sia per la popolazione che per la struttura economica che la sorregge.
In questo contesto sociale si sviluppano le vicende della famiglia Shelby e del loro leader Thomas quale capo della gang denominata Peaky Blinders. Tale nome deriva dalla particolare forma a punta dei loro berretti, arricchita nel caso specifico, dalla particolarità di nasconderci all’interno una lametta atta ad essere usata come arma.
 
Menziona speciale. Finalmente riesco ad aver modo di fruire queste sei importanti stagioni di una delle serie più importanti a rigor di logica per quanto concerne l'ambientazione, i fatti storici, i personaggi iconici, la ricostruzione e la fedeltà scenografica e narrativa e infine i colpi di scena.
La scalata di una gang criminale mossa come tante altre da un'espansionismo che diventerà immenso per quelli che potevano vantare come obbiettivi soprattutto se a tener testa a questo gruppo di gangster troviamo un Thomas Shelby particolarmente ispirato. Un personaggio iconico in grado di dare sfaccettature e importanza ad ogni sceltà che si troverà a fare. Un personaggio per niente muscolare quanto ipnotico per come tramite la perseveranza e l'ingegno riesca sempre ad essere infallibile nelle sue scelte. Poliziotti corrotti, armi scomparse. Il commissario Chester Campbell addetto a risolvere il caso splendidamente caratterizzato. Un altro personaggio che da prima sarà nascosto nella nebbia ma che poi parteciperà attivamente è quello del monumentale Winston Churchill. La prima stagione a parte mostrare una galleria di personaggi e aprire porte su porte si delinea in fondo su un'unica grande domanda quella appunto delle armi scomparse e fatte nascondere proprio dallo stesso Tom.
Valori e morale, il fatto di credere nella forza muscolare come Arthur e John e rendersi invece conto che porta solo a muovere altra violenza, al personaggio mastodontico della zia Polly che assieme a Tom soprattutto nella prima stagione e assieme a Campbell rappresentano quel triangolo attorno a cui tutto ruota e dove Grace riesce a incastrarsi a perfezione in un gioco tra le parti squisito.

giovedì 12 maggio 2022

Non aprite quella porta 3d(2013)


Titolo: Non aprite quella porta 3d(2013)
Regia: John Luessenhop
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Newt, Texas, 1974: un gruppo di ragazzi è massacrato dai componenti di una famiglia di cannibali tra i quali spicca Leatherface, molosso armato di motosega e munito di maschera in pelle umana. Solo una ragazza si salva e racconta l'accaduto allo sceriffo locale che, con i suoi uomini, stringe d'assedio la casa della famiglia per farsi consegnare Leatherface. La richiesta dello sceriffo è accettata, ma l'arrivo di alcuni paesani infuriati fa precipitare la situazione. La casa viene data alle fiamme e la famiglia sterminata. Si salva solo una neonata, strappata di nascosto alla madre (convenientemente fatta fuori nell'operazione) da uno dei giustizieri per farne dono alla moglie impossibilitata ad avere figli. Parecchi anni dopo, la giovane Heather - proprio lei, la figlioletta sopravvissuta - apprende dai genitori di non essere la loro figlia naturale, ma di essere la progenie di un branco di mostri. Heather decide comunque di andare nella natia cittadina texana, anche perché c'è di mezzo un'eredità da parte della nonna, morta da poco. Il fidanzato Ryan e una coppia di amici la accompagnano per darle sostegno. E di sostegno ne ha davvero bisogno, alla luce di quel che è nascosto nei sotterranei della grande casa di famiglia, dietro una porta sbarrata.

Il sequel diretto da Luessenhop ha moltissimi e madornali difetti ma uno in particolare, nel climax finale rovina quanto di brutto avessimo visto fino alla fine. Alla fine Leatherface è il cugino della protagonista ed entrambi si schiereranno assieme per combattere lo sceriffo cattivo e suo figlio.
Penso che non ci sia molto altro da commentare se non la bellezza di Tania Raymonde che per tutto il film non cerca altro che di scoparsi il ragazzo della migliore amica riuscendoci nel finale prima di morire poi male dentro un frigo con un colpo alla testa accidentale di un poliziotto.
Ci sono tante assurdità nel film come la leggenda o il franchise vuole eppure proprio quello che dovrebbe fare come slasher sembra perderlo di vista per incentrarsi in una noiosissima storia sulle origini di Heather a cui credo nessuno importi.

venerdì 24 dicembre 2021

Rambler


Titolo: Rambler
Regia: Calvin Reeder
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Dopo essere uscito di prigione, un uomo solitario conosciuto come "The Rambler" intraprende un viaggio pieno di insidie attraverso piccole città e strade desertiche in un America pericolosa e corrotta. Lo scopo è il suo ricongiungimento con il fratello che non vede da lungo tempo.
 
Rambler è un film bifolco, sporco e disturbato. Un mondo ormai allo sbando, gente che sta letteralmente impazzendo, un western metropolitano dove incontriamo spesso lande desolate e campagne abbandonate. Un protagonista che parla poco e vede il mondo andare a pezzi con gente che esplode letteralmente. In questo viaggio dell'eroe, Rambler uscendo di prigione dovrebbe incontrare il fratello in un ranch e lavorare con lui mettendosi al riparo da tutte le vicende, quasi sempre schizzate o violente, che sembrano attirarlo come una calamita.
Ovviamente anche quando ci riuscirà si renderà conto che ha bisogno di altro, del degrado.
Di affetti verso una ragazza che sembra morire in ogni dove Rambler la segue o la insegue, in uno scienziato pazzo che caricandoselo in macchina, come in un circo freak prova a registrare i sogni delle persone con un macchinario che le fa esplodere. Rambler è indipendente, una scheggia folle e impazzita di un certo tipo di cinema che non si vede spesso, anzi molto di rado. Un film che nel suo non sense riesce a trovare una direzione e crea molto più di quello che dice e quando ingrana la marcia diventa una macchina da guerra.

sabato 1 agosto 2020

An Ethics Lesson


Titolo: An Ethics Lesson
Regia: Myung-rang Park
Anno: 2013
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 4/5

Jung-Hoon conduce una doppia vita: di giorno è un poliziotto onesto e diligente, di notte spia la sua bella vicina di casa Jin-A attraverso telecamere nascoste nel suo appartamento. Una sera è testimone di un efferato crimine: Jin-A viene strangolata a morte. Diviso tra il dovere di informare la polizia e il timore per la propria libertà, si troverà immischiato con gli altri uomini coinvolti nella vita e morte di Jin-A.

Ormai la Corea del Sud da anni è maestra nel trasporre qualsivoglia genere cinematografico abbia tra le mani.
Il plot narrativo dell'esordio al lungometraggio di Park è fenomenale per tecnica, messa in scena, numerosi spunti degni di nota, maestranze con una fotografia eccellente e un montaggio atemporale funzionale per questo tipo di narrazione con questa partita a quattro e un quinto incomodo.
Il racconto criminale corale con molteplici punti di vista e montaggio temporale disordinato è sempre stato un mood perfetto dove far crescere l'atmosfera ansiogena e la suspance già dai tempi di Kurosawa. Negli ultimi anni ci sono stati alcuni tentativi americani quasi sufficienti ma niente a che vedere per come viene tessuta la trama e il mistery nel cinema orientale. Proprio un'altra scuola da sempre. Qui i personaggi sono tutti squallidi e meschini, c'è una combinazione di divertimento e perversione veramente originale, partendo da un thriller di stampo classico arrivando ad essere quasi un pulp nei territori dello humor nero e forse l'unica pecca un finale tirato troppo per le lunghe.


sabato 14 marzo 2020

O lobos atras da porta


Titolo: O lobos atras da porta
Regia: Fernando Coimbra
Anno: 2013
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Una bambina viene rapita. Alla stazione di polizia, Sylvia e Bernardo, i genitori della vittima, e Rosa, la principale indiziata del rapimento nonchè amante di Bernardo, forniscono testimonianze contraddittorie che rivelano un tenebroso triangolo amoroso fatto di desideri, bugie, e malvagità.

As boas maneiras e Bacurau sono state scintille in un cinema, quello brasiliano, davvero poco conosciuto e quasi senza distribuzione da noi. Entrambi prendevano tanto dal cinema di genere plasmandolo con metafore politiche e sociali attuali e interessanti.
Il film di Coimbra si accende però su un dramma davvero che lascia basiti per quanto il colpo di scena finale riveli una violenza senza eguali, un film che farà discutere, non piacerà, scioccherà senza mezzi termini.
Tra i tre però è quello più urbano, che tratta di gelosie e tradimenti portandoli quasi al paradosso e alzando l’asticella del dramma in alcune performance davvero esplosive sia per quanto concerne la violenza che nelle scene di sesso. Un film dove la disperazione della solitudine porta a fare azioni che non si credevano possibili. La gelosia, l’ambizione, il voler prendersi qualcosa a tutti i costi, sono le linee su cui il film si regge dove l’incidente scatenante lascia subito spazio ad un lungo flash back che si delinea durante tutto l’arco narrativo.
Rio de Janeiro nella sua povertà diventa lo scenario perfetto incarnando la perfetta metafora dove una macchina sportiva sembra un bene di lusso, dove il lavoro e i ritmi non lasciano tempo libero, dove tutto appare come un caos e dove il sogno di poter vivere una vita più felice e più appagante porta a sogni allucinati che straziano la realtà.
Un film con un ritmo incredibile, dove i dialoghi hanno il sopravvento, dove gli attori ci mettono quel qualcosa in più, dove è tutto un rincorrersi tra vittime e carnefici e dove la fiducia è il sentimento che paga il prezzo più forte di tutto il film.

domenica 8 marzo 2020

Gerontophilia


Titolo: Gerontophilia
Regia: Bruce LaBruce
Anno: 2013
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

l giovane Lake viene licenziato dalla piscina in cui lavora come bagnino perché durante un’operazione di salvataggio di un anziano cliente ha avuto un’erezione. Grazie alla madre trova un impiego come portantino in una casa di cura, dove fa amicizia con Melvin, un ex-attore di teatro abbandonato lì dal figlio. Lake, che ha una relazione con la coetanea Desirée, appassionata cultrice delle rivoluzionarie femministe, si innamora ben presto di Melvin, e vorrebbe esaudire il suo ultimo desiderio, quello di rivedere l’Oceano Pacifico

Spero tanto che il cinema di Bruce LaBruce cresca come questo film senza paralizzarsi troppo sul dover mostrare e cercare di scandalizzare in un epoca in cui non ci scandalizza più di nulla. Forse questo prematuro film è un inizio mettendo da parte i suoi primi indie dove zombie gay si inchiappettavano.
Vedere comunque un’ottantenne che si slingua con un adolescente non è un elemento da poco.
A volte l’omosessualità di alcuni registi non esita a mostrarsi in tutta la propria spregiudicatezza. Questo è un vantaggio e un’arma nel cinema quanto ti chiami Gregg Araki o Dolan. LaBruce deve affinare questa tecnica cercando di lavorare di più sul plot, sulla storia, quando invece dal punto di vista tecnico ormai è abile nel saper condurre una sua idea di cinema e inquadrarlo a dovere.
Sembra che il regista canadese in mancanza di idee o di storie affascinanti vada alla continua ricerca dei pochi tabù rimasti in un film che per fortuna ha una storia anche se prematura e asciutta che parte con lingue tra giovani per finire con quelle date ai vecchi. Per fortuna sembra e forse in questo l’età che avanza è un fattore importante che cominci a cercare di essere meno provocatorio almeno nel fatto di celare ciò che prima era orgogliosamente esibito. Se il protagonista del film è inesistente per espressività e coinvolgimento, è la sua curiosità prima intrappolata e poi sdoganata quando si rende conto di essere da sempre passivo e intrappolato tra due donne che decidono per lui e fanno di lui ciò che vogliono a venir fuori e sentire quel bisogno di rendersi autonomo e provare senza i consigli di nessuno.

And then i go


Titolo: And then i go
Regia: Vincent Grashaw
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Nel mondo crudele delle scuole medie, Edwin vive in un costante stato d'ansia e alienazione insieme al suo unico amico Flake. Incompresi dalle rispettive famiglie e demoralizzati dalla vita scolastica di tutti i giorni, si scatena lentamente un potente desiderio di vendetta che li porterà verso conseguenze terrificanti.

And then i go insegna che pur avendo una famiglia funzionale e non disfunzionale si può finire vittima di un malessere esterno generato dal bullismo, dalla scarsa considerazione, dalla bassa autostima, da un’ambiente ostico sempre più votato alla competizione dove le prime vittime sono adolescenti fragili.
Grashaw è giovane, ha un anno in più di me, è al suo secondo film è sembra consolidare un suo bisogno personale di confrontarsi con i fantasmi dell’America, in particolar modo le infezioni che pullulano l’ambiente dell’adolescenza tra carceri, scuole, case e ambienti dove non si riesce mai a rimanere protetti. Da qui il bisogno di combattere le proprie paure e debolezze seminando un odio interno e innaffiandolo di rabbia, frustrazione e odio indiscriminato verso un esterno alieno che diventa un’ambiente e nello specifico la scuola.
Di film sulle stragi nelle scuole americane il cinema è pieno, ma mentre il migliore rimane E ora parliamo di Kevin coraggioso nell’affrontare il dopo senza ricorrere a scene d’azione nella scuola, And then i go affronta in maniera indelebile e sintomatica la paura di due giovani in un quadro intimista solido ed efficace dove solo nel climax finale vediamo scatenarsi la tragedia fisica e scenica dopo che l’orrore che ha devastato i sentimenti dei due protagonisti è già imploso da tempo. Un film denso di una drammaticità esemplare nel saper ricondurre tutto in quello sguardo perso di un adolescente che anzichè aderire ad un amore e una purezza che cerca di mantenere vede il mondo esterno e gli adulti distruggere tutte le sue speranze condannandolo a scegliere il lato oscuro.

domenica 15 dicembre 2019

Hwayi a monster boy


Titolo: Hwayi a monster boy
Regia: Jang Joon-hwan
Anno: 2013
Paese: Corea del sud
Giudizio: 2/5

Hwayi è stato allevato da una banda di criminali, i quali lo hanno istruito sin da piccolo alle tecniche di arti marziali e all’utilizzo delle armi. Seok-tae, il capo del gruppo, decide di sottoporre il ragazzo al battesimo del fuoco ordinandogli di eliminare Im Hyung-taek, un attivista che si oppone a un piano di riqualificazione edilizia. L’assassinio, però, porterà Hwayi a scoprire una sconvolgente verità sul suo passato.

Come spesso capita con il cinema orientale, in particolar modo in quello coreano, le cose non sono mai quelle che sembrano, le storie mano a mano che il film prosegue mutano e le radici si diversificano trasformando i generi e sapendo diventare quella mistura che abbraccia un po di tutto.
Thriller, poliziesco, action-movie, dramma, noir, in parte anche qualche pennellata horror, Jang Joon-hwan riesce e affina la sua seconda opera con un film complesso, solo apparentemente semplice nell'idea di trama che si espande nel primo atto, per poi cambiare rotta diventando sempre di più uno sguardo sul passato, sulla psicologia per cercare di fare luce su tutti i fantasmi che nel film appaiono e di cui vogliamo sapere la storia e la provenienza.
Purtroppo pur riconoscendo tanti sforzi e alcune capacità notevoli il film soprattutto nel terzo atto, per porre fine a sotto storie e personaggi, incappa in una quantità di errori di scrittura davvero inusuale per questo tipo di cinema e per una storia che già aveva tanti di quegli elementi senza bisogno di aggiungerne altri o renderli ancora più complessi.
Il film prende tante direzioni, non riesce a imbroccarle tutte, ma ha quel bisogno e fa quello sforzo di cercare di dire quanto più possibile, grazie ad un cast funzionale, una messa in scena impeccabile e alcune intuizioni davvero niente male come i continui colpi di scena (basti vedere la scena iniziale e l'incidente scatenante).

lunedì 11 marzo 2019

Sun of a beach


Titolo: Sun of a beach
Regia: AA,VV
Anno: 2013
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Una delle più belle metafore sul riscaldamento globale.
Una spiaggia, un gruppo disomogeneo di persone e il sole che stermina tutti.
Semplice ed essenziale come i corti dovrebbero essere.
In sei minuti il team di registi e tecnici con un animazione marginale, riescono a cogliere l'obbiettivo riuscendo a regalare come dicevo una buona metafora ambientalista, azione, horror e ironia.
Famiglie e ombrelloni nonchè silicone dei seni. Tutto si scioglie. Persino i muscoli finti dei palestrati e così via..
Quando il sole scende, tutto prende fuoco e la via di scampo non sembra nemmeno essere il mare..

Tiger Mask



Titolo: Tiger Mask
Regia: Ken Ochiai
Anno: 2013
Paese: Giappone
Giudizio: 1/5

Naoto Date, cresciuto in un orfanotrofio dopo la Seconda Guerra Mondiale, un giorno decide di fuggire dall'istituto per entrare a far parte dell'organizzazione della "Tana delle tigri", che alleva micidiali e letali lottatori mascherati e senza scrupoli, coronando così il sogno di diventare forte come una tigre. Le regole dell'organizzazione sono ferree e chi le tradisce, viene punito violentemente. Naoto però è diverso: cerca la libertà e vuole vendicare le ingiustizie subite dagli orfani come lui.

Tiger Mask è davvero una baracconata. Un film live-action così brutto che al confronto il film americano dei POWER RANGERS sembra da riscoprire.
Tiger Mask sembra la risposta al fatto di non prendere mai in giro un outsider come Miike Takashi giusto per rimanere nella stessa terra. Con due film speculari che sono Zebraman 2 e YATTAMAN, Miike, è riuscito a fare la stessa cosa creando però, soprattutto con il dittico di ZEBRAMAN, ottimi esempi di film di genere.
Qui tutto è particolarmente agghiacciante. Ochiai è inesperto e la prova, pur essendo un giocattolone, è troppo ardua per il mestierante che prova a cercare di rendere interessanti tre maschere diverse, il dottor X e la tana delle tigri.
Tutto viene brutalmente ridicolizzato e sembra di vedere un teen age movie nipponico che non solo non è violento (quando il cartone è uno dei più violenti mai realizzati) ma non intrattiene e regala alcune delle peggiori scelte estetiche viste prima con tute di lattice che rimandano ai film porno.
Nell'idiozia più totale il fatto che il film e gli attori si prendano sul serio è un altro particolare che crea l'effetto trash e al netto l'aspetto più traumatico del film.
Con tute nere e una rincorsa a trovare uno stile emo di rara bruttura, Tiger Mask nel suo avermi involontariamente messo a tappeto dalle risate, è uno dei film più brutti di sempre, dove citando prima l'outsider che considero uno dei registi più talentuosi di sempre, qui proprio nel ruolo di Jared, Mister X, troviamo uno dei suoi attori feticcio e interprete della saga cult di DEAD OR ALIVE

mercoledì 5 dicembre 2018

Fake


Titolo: Fake
Regia: Sang-ho Hien
Anno: 2013
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 4/5

Un gruppo di fedeli si lascia affascinare da una nuova Chiesa che promette miracoli. Quando i dubbi cominciano ad assalire i primi fedeli e muore improvvisamente una famiglia di persone oneste, l'equilibrio iniziale comincia a sgretolarsi e affiorano tutte le contraddizioni di un sistema religioso chiuso e troppo rigido

Fake (Falso) è un film straordinario dove il cinismo, la corruzione, gli scontri di potere, la diseguaglianza e tanto altro ancora esplode come un urlo disperato di chi non riesce più ad accettare tutti questi tumori e decide fargli vivere su grande schermo.
La metafora sulla società coreana, sempre più incattivita, spietata e pronta ad implodere e la scelta dell'animazione si sono rivelate ancora una volta due strumenti importantissimi dal momento che forse il regista a far recitare in carne ed ossa avrebbe potuto avere problemi.
Un film ancora adesso sconosciuto senza la benchè minima voglia di provare a distribuirlo da noi in Italia.
Hien aveva già esordito un anno prima con il pesantissimo Kings of Pigs dove per assurdo i protagonisti di adesso in quel film erano solo dei bambini e già dimostravano di non avere limiti alla loro brutalità. Uccidevano i gatti mentre qui uccidono i cani.
Il "pig" anzi i "pigs" di allora, diventano coloro incapaci di fare qualcosa di buono, a differenza dei forti, i bravi studenti, "i cani", come nella bellissima e onirica scena del film del 2012.
Hien cresce e come dicevo i suoi personaggi, metaforicamente parlando, diventano politici, amministratori, boss, malavitosi, buoni a nulla come il protagonista, ma ognuno di loro nel bene e nel male interpreta un ruolo all'interno della dinamica e competitiva società coreana.
Cresce in particolar modo il personaggio di Min-chui il padre che forse nessuno vorrebbe avere che rappresenta il paradosso di questa società un cattivo senza possibilità di redenzione ma allo stesso tempo dal momento che ricopre i piani più bassi della società una specie di portatore insano della verità.
Le gare d'appalto nonchè la corruzione diventano i punti di forza per un film in cui o sei carnefice fino alla fine, oppure non potrai che rimanere vittima di un sistema che non premia l'onestà e i buoni principi e dove un padre farabutto che esce di galera sperpera nel giro di pochi giorni tutti i risparmi per l'università della figlia, prendendola a botte ed etichettandola come puttana quando costei non ha fatto nulla se non provare ad arrabbiarsi.
In più in questo caso si arriva a toccare anche la sfera religiosa con un personaggio e il suo cambiamento lasciato proprio in bilico di fronte a scelte più grandi di lui, dove ci troviamo ancora una volta, di fronte ad una metafora che rappresenta le più becere illusioni e menzogne della chiesa.
Spero solo che Sang-ho Hien possa continuare a fare film perchè i risultati fanno male per quanto colpiscano dritti allo stomaco.




Sonno profondo


Titolo: Sonno profondo
Regia: Luciano Onetti
Anno: 2013
Paese: Argentina
Giudizio: 3/5

Negli anni Settanta, dopo aver ucciso una giovane donna, un assassino traumatizzato dai ricordi della propria infanzia riceve una misteriosa busta sotto la porta. Improvvisamente, da cacciatore diventa preda quando scopre che la busta contiene immagini dell'omicidio da lui commesso.

Onetti è un nome che forse verrà ricordato più che altro per l'enorme potenziale come autore a tutto tondo. Scrive, dirige, interpreta, monta, fotografa, produce, crea addirittura le musiche.
Girato in Argentina ma ambientato in Italia, il giallo thriller in questione è un omaggio a due punti di riferimento dell'horror e del thriller moderno e datato, uno manco a doverlo ribadire è Argento mentre l'altra coppia invece, a parer mio, anche se in minor parte è quella composta da Cattet e Forzani, due outsider che negli ultimi anni hanno girato dei film bellissimi e assurdi.
Supportato dal fratello e dall'assistente, che recita al fianco del regista, Onetti gira un prodotto particolare con una lunghezza che supera di poco lo standard del lungometraggio e fin dalla prima sequenza e infarcita di un'atmosfera che sembra proprio realizzato nel pieno degli anni '70 con tutti quei toni sbiaditi, filtri di colore e gelatine sparate e un uso predominante della soggettiva.
Come per alcuni film di Argento non vediamo quasi mai il killer e in questo caso nemmeno le vittime con un azzeramento dei dialoghi dove è proprio la musica a scandire i tempi.
Potrebbe sembrare il tipico esercizio di stile di un autore che sa gestre i mezzi con un certo compiacimento e una consapevolezza abbastanza rara da vedere anche se credo che non sia così.
In più non manca una certa ricerca di una psicologia criminale alla base del protagonista.
Come spesso viene abusato anche in altri film, il killer sembra vittima di un morboso imprinting famigliare identificato a turbe sessuali che sembrano intrappolarlo in una delirante follia che cerca di mettere a tacere proprio scatenando la sua follia omicida.



venerdì 12 ottobre 2018

Toad Road


Titolo: Toad Road
Regia: Jason Banker
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La storia sconfina la linea di demarcazione tra il documentario e la narrazione per creare un ritratto inquietante sul consumo di droga nella cultura giovanile, durante un terrificante evento soprannaturale sulla famigerata strada del New Jersey, Toad Road: il sito di una vera e propria leggenda urbana sul cancello per l'inferno

James viene condotto dallo psicologo per raccontare cosa è successo.
La prima frase che gli rivolge lascia intendere che ha deciso di recarsi lì solo ed esclusivamente perchè altrimenti suo padre non gli paga i soldi e l'affitto in una guest house dove si sballa con i coinquilini. Fin qui non ci sarebbe molto da obbiettare. Tutti l'abbiamo fatto e tutti ci siamo divertiti sguazzando tra alcool e droghe. Magari ecco non proprio tutti.
Il problema è quando una cosa che ci piace diventa ingestibile e su cui la nostra determinazione e il nostro controllo non sembrano poter fare più nulla.
La scena nella grotta dove Sara prova i funghetti e sta male e piuttosto realistica e per chi ha mai provato quell'esperienza e Banker direi proprio di sì, viene raccontata proprio come qualcosa che gli è, ci è, successa.
Un thriller quasi un horror se a senso parlare o cercare di dare un genere al film che sicuramente drammatico lo è a dismisura. L'horror ovvero il dramma forte e proprio nella scelta nella disperazione nelle azioni e nei dialoghi di questi giovani che assieme formano un nutrito gruppo capeggiato da James il leader cazzaro che deve fungere da guru delle sostanze e che inavvertitamente provoca e danneggia alcuni del gruppo come la fragile Sara.
I film sulla droga possono essere drammi estenuanti capace di portare lo spettatore ad una prova, quasi un esperimento per cercare di salvarsi.
Sembra per certi versi di vedere IDIOTI di Trier dove la recitazione è assente, vige l'improvvisazione e anche i dialoghi sembrano avvenire per caso con un'idea di fondo.
Eppure questa scelta non semplice appare funzionale come per catapultare non tanto verso una psicologia del personaggio ma verso una strana e non meglio precisato insieme di cose che questi ragazzi fanno con l'elemento comune della sostanza.
Un film estremamente indie e low-budget che cerca una sua filosofia specifica nei paesaggi, nella natura rigogliosa e pericolosa e nei gesti insoliti e stupidi, ma che abbiamo fatto tutti.
Quella di Toad Road è una leggenda americana piuttosto famosa, originaria di Hellam Township, Pennsylvania. Ce ne sono diverse versioni in circolazione, tutte, comunque, sono concordi su un fatto: quel misterioso sentierino che si districa tra i boschi è la via diretta per le sette porte infernali. Chi lo imbocca è destinato a varcare la soglia dell’abisso e non rivedere mai più la luce...

lunedì 17 settembre 2018

Motivational Growth


Titolo: Motivational Growth
Regia: Don Thacker
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Ian Folivor, un depresso e solitario trentenne, si ritrova a prendere consigli da una muffa che cresce nel suo bagno dopo un fallito tentativo di suicidio. La muffa, un morbido fungo parlante nato della sporcizia raccolta in un angolo del bagno trascurato, lavora per conquistare la fiducia di Ian aiutandolo a ripulirsi e a rimodellare il suo stile di vita. Con l'aiuto della muffa, Ian attira l'attenzione di una vicina di casa, Leah, e riesce a trovare un po' di felicità nonostante le sue condizioni innaturali. Improvvisamente, però, comincia a ricevere strani messaggi dal suo vecchio e rotto televisore, il quale mette in discussione la buona fede della muffa. Ha così inizio una battaglia epica tra il bene e il male di cui Ian è solo parzialmente a conoscenza.

Un protagonista molto brutto, squallido, brufoloso e mezzo chiatto che vive rinchiuso in casa, non esce da molti mesi, compra il cibo on line facendoselo portare a casa senza ricordare l'identità del fattorino e facendo sempre la stessa lista della spesa e passando tutto il giorno di fronte al tubo catodico (perchè il plasma non sa nemmeno cosa sia). Poi c'è la deliranza piena dove Ian (o forse Jack) parla e ubbidisce ai consigli della muffa parlante che fa capolino dal bagno mentre il nostro protagonista cerca di suicidarsi. Una muffa senziente che vorrebbe fornirgli cibo attraverso spore e funghi che a sua volta Ian (o forse Jack) rigetta per nutrire la muffa stessa, e gli disgrega lentamente ogni tassello del reale, uccidendo a seconda di chi si trova davanti sciogliendo proprio con gli stessi liquami.
Questi e tanti altri sono gli elementi di questo film molto bizzarro e contro corrente di Thacker che sembra un film per coplottisti dove scegliere di chi fidarsi se il Dio dal tubo catodico o la muffa parlante che genera delle escrescenze che se le mangi raggiungi il Nirvana.
Un film indie, assurdo e delirante dove la narrazione fa letteralmente quello che vuole con flash back e flash forward continui, mischiando le realtà come quando Ian (o forse Jack) entra nei canali televisivi e si confronta con i personaggi degli show, e nel modo più disparato, dove il protagonista è un nerd che non si vedeva da tempo e dove anche qui le trovate sono un continuum e tante parecchio suggestive (dal tema della crescita, l'adattamento con il mondo, l'agorafobia) per come vengono tratteggiate in maniera assolutamente anarchico e imprevisto.
Un film che finisce per immergersi nell'horror e soprattutto nello splatter dove tutto sembra e vuole essere assurdo trovando però una certa coerenza anche se qualche salto temporale deve essere sfuggito al regista.
Cinema per pochi, di genere, eccessivo ma sicuramente con la A maiuscola che tiene il suo protagonista per quasi due ore sempre nello stesso salone, le scene in esterno sono due o tre al massimo rimanendo appena fuori dalla porta, più precisamente sullo zerbino, e condendo le atmosfere con musiche 8 bit e sequenze animate stile vecchi videogiochi e dialoghi in forma teatrale.

lunedì 3 settembre 2018

Resurrection of a Bastard


Titolo: Resurrection of a Bastard
Regia: Guido Van Driel
Anno: 2013
Paese: Olanda
Giudizio: 3/5

Ronnie, un truffatore di Amsterdam sopravvissuto a un tentativo di omicidio, si aggira con il suo autista depresso Janus per la città frisone di Dokkum, alla ricerca di vendetta. Eduardo, un immigrato illegale angolano che non può parlare degli orrori del passato, ha di fronte a sé solo prospettive incerte. Sul loro cammino ci sono anche un cameriere d'hotel con un gatto malato e un coppia con un grande dolore. Tutto quello che devono fare è aiutarsi a vicenda.

Dall'Olanda arriva questo dramma abbastanza malinconico con alcune sterzate tragicomiche come tutta una serie di episodi che capitano allo sfortunato, ma dal cuore d'oro, Ronnie, assoluto protagonista del film.
Quando un regista prova a parlare delle responsabilità di un paese e in questo caso l'Olanda con i paesi del terzo mondo, lo fa come in questo caso sviluppando due storie su binari diversi che nel finale trovano un incrocio anche se abbastanza ambiguo e macchinoso.
Il film riesce molto bene quando parla delle traversie di Ronnie e del suo cercare di riprendersi un posto nel mondo della criminalità senza mai riuscirci.
Una tragicommedia surreale con alcuni momenti a tratti onirici come la festa in cui Ronnie insegue un uomo mascherato, oppure gli incubi di Eduardo, ma allo stesso tempo ci sono anche momenti carichi di violenza come la scena sempre di Ronnie a danno della madre del bambino che produrra un escalation di fatti e violenze.
Un film che cerca la redenzione ma solo nel finale perchè Ronnie ne ha fatte tante e non può essere del tutto perdonato.
Guido van Driel gira il suo film esordio tratto dal suo Om mekaar in Dokkum. Il tomo originale, scritto e diretto da Van Driel, era stato commissionato dalla città della Frisia Dokkum, nota agli olandesi come luogo dove San Bonificio, che convertì e organizzò i cristiani di Olanda e Germania, fu ucciso nel 754, esattamente 1250 anni prima dell'uscita del graphic novel, nel 2004.

giovedì 30 agosto 2018

Short Peace


Titolo: Short Peace
Regia: AA,VV
Anno: 2013
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Quattro storie, quattro epoche, quattro registi, ma un unico demiurgo, Katsuhiro Otomo. Nato da un progetto dell'autore di Akira, questo film in 4 episodi vede il ritorno alle produzioni animate sperimentali degli Omnibus anni Ottanta e coinvolge, oltre al famoso Katsuhiro Otomo, nuovi talenti dell'animazione giapponese

Davvero interessante questo film a episodi animati diretti da alcuni artisti tra i più pretigiosi in Giappone. Si parte da Possessions, diretto da Shuhei Morita, il più spirituale connotato da uno stile molto elegante e in grado di insegnare la pace tra l'uomo e le cose ricordando vagamente la formula di FERRO 3 con questo viandante smarrito che si mette a ripapare gli oggetti.
Una storia semplice ma profonda diretta splendidamente da Morita, che ha utilizzato contrasti cromatici meravigliosi
Combustion, firmato Katsuhiro Otomo, autore del soggetto di due dei quattro cortometraggi, racconta invece una storia d’amore impossibile ai tempi del Giappone del periodo Edo, e del suicidio di una ragazza che sceglie di morire arsa viva per vedere per l’ultima volta il proprio amato, fuggito di casa per fare il pompiere, fondendo come stile disegni a mano e computer grafica.
Gambo di Hiroaki Ando, narra della lotta tra un misterioso orso bianco e un demone piovuto dal cielo e intento a rapire le giovani fanciulle per ingravidarle e dare luogo a una progenie di demoni. Gambo è in assoluto il più violento ed estremo di tutti e quattro criticato per l'efferatezza delle immagini quando invece riesce a dare grande prova di stile, ritmo e messa in scena.
L'ultimo è A Farewell to Weapons, diretto da Hajime Katoki, basato sull’omonimo manga di Otomo, ambientato in un futuro devastato dalla guerra, dove un manipolo di uomini sta cercando di bonificare i resti della città di Tokyo dalla presenza di alcuni mech da guerra e di testate nucleari inesplose trattando come sotto genere il futuro post-apocalittico

giovedì 4 gennaio 2018

Firestorm

Titolo: Firestorm
Regia: Alan Yuen
Anno: 2013
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

L'ispettore Liu tenta ogni stratagemma per trovare prove che incastrino il bandito Cao e la sua gang, ma Cao anticipa sempre le sue mosse. Il duello tra i due finisce per trasformare Hong Kong in un campo di battaglia, mettendola letteralmente a ferro e fuoco.

E'da anni a questa parte che fatte piccolissime eccezioni il cinema orientale a livello tecnico ha ormai raggiunto traguardi molto importanti. Una peculiarità che solo però negli ultimi anni sta mostrando anche un limite in alcuni script facendo pensare a molti come in fondo Honk Kong stia diventando il fantasma di se stesso citando il suo stesso precedente cinema.
Sul genere gangster, crime-movie, poliziesco e thriller le opere spesso e volentieri superano il cinema americano ed europeo.
Firestorm è una perfetta via di mezzo pur essendo un film tecnicamente all'avanguardia ma che non è supportato da uno script così complesso e diramato come capita ad esempio per il cinema di John Woo, Johnnie To, Andy Lau, rimanendo meno ancorato alla realtà preferendo e richiedendo di più all'immaginazione e strizzando più l'occhio alla macchina hollywodiana dal momento che l'autore si diverte a mettere in scena una metropoli solo per distruggerla come un gigante.
Yuen punta tutto sulla messa in scena lasciando in alcuni momenti un limitato background dei personaggi ma puntando e investendo tutto sul show-down finale frenetico e a tratti esagerato e inverosimile come alcuni aspetti della trama.



giovedì 14 dicembre 2017

Rick & Morty-Season 1

Titolo: Rick & Morty-Season 1
Regia: Justin Roiland e Dan Harmon
Anno: 2013
Paese: Usa
Serie: 1
Episodi: 11
Giudizio: 4/5

Rick è uno scienziato che si è trasferito dalla famiglia di sua figlia Beth, una veterinaria e cardiochirurga per equini. Passa la maggior parte del suo tempo inventando vari gadget high-tech e portando con sé il giovane nipote Morty (e successivamente la nipote Summer) in pericolose e fantastiche avventure attraverso il loro e altri universi paralleli. Questi eventi, aggiunti alla già strana famiglia di Morty, gli causano parecchi disagi sia a scuola che nella vita privata.

Sono sorpreso e stupefatto di aver fatto la conoscenza dell'unica serie animata che si è imposta per il suo concentrato di sballo, trip mentali, fantascienza, weird, stranezze, humor nero e fondamentalmente un gigantesco potenziale sovversivo iper moderno e originale all'ennesima potenza.
Genialità pura. Da applausi. Tra l'altro la prima stagione ha avuto
un indice di gradimento del 100% sul sito Rotten Tomatoes
La prima stagione di Rick & Morty è oro colato per tutte le sue stravaganti trovate e soluzioni visive e narrative. Dai semi della discordia, ai cani più intelligenti degli umani, agli shyam-alieni, ai miguardi, ai Rick-tipo, tutte etichette che lette così non dicono nulla ma quando guarderete capirete che ogni episodio presenta uno scenario che viene esagerato e sfruttato all’inverosimile, senza arrivare a rovinarne le premesse con elementi fantascientifici e drammatici che non intaccano lo spirito comico che caratterizza la serie con un focus maggiore sulla natura perversa e inquietante del suo protagonista.
Il tutto creando un mix fra parodia accurata e colta, divertimento e ingegno fantascientifico (attenzione alla coda dopo i titoli di fine episodio)
Rick and Morty riesce inoltre a viaggiare su vari livelli di comicità e drammaticità soddisfando diversi target pur avendo un linguaggio molto volgare come per i cugini di SOUTHPARK riuscendo ad essere sia estremo che intelligente, la trama riesce ad essere piuttosto complessa procedendo per rigorosi passaggi logici e per finire ogni personaggio (compresi gli altri membri della famiglia) è ben strutturato e con un’evoluzione.



martedì 5 dicembre 2017

Goonga Pehelwan

Titolo: Goonga Pehelwan
Regia: Vivek Chaudhary and Prateek Gupta
Anno: 2013
Paese: India
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

Un documentario che segue l’atleta sordo più bravo dell’India sulla sua improbabile ricerca per raggiungere le Olimpiadi di Rio 2016 e diventa il secondo lottatore sordo nella storia delle Olimpiadi a farlo.

Davvero sorprendente questo mediometraggio indiano.
Il wrestler muto Virender Singh Yadav a parte essere un attore nato e una persona che buca la quarta parete mostrando la sua semplicità, la sua voglia di vivere e soprattutto il suo straordinario talento da lottatore. Virender però è sordo.
Proprio questo "limite" lo porta all'interno di questo documentario ad analizzare le cause per le quali l'atleta non ha mai potuto partecipare alle Olimpiadi per i normododati mentre invece ha solo partecpato alle Paraolimpiadi. Il perchè dal puto di vista burocratico è che l'atleta non sentendo il suono del fischietto non può competere. L'altra versione è che Virender è così forte che avrebbe sicuramente battuto gli atleti normodtati e questa particolarità forse non era ben accetta dal comitato olimpico.
Ancora una volta vengono analizzate diverse tematiche tra cui le disparità di trattamento e le opportunità o gli svantaggi che gli atleti disabili hanno ricevuto dal governo e dalla società.
Virender con il suo appello chiede e vorrebbe giustamente un cambiamento che ossa giovare e sostenere gli atleti disabili attraverso l'inclusione e a vincita di premi in denaro.
L'ispirazione alla base di questo documentario era un articolo di giornale che uno dei registi, Vivek Chaudhary, aveva letto. L'articolo parlava di Virender Singh, un wrestler sordo e muto che, nonostante fosse un Campione del Mondo e Deaflympics Gold Medalist tra le altre cose, non è riconosciuto e non è celebrato dal Paese e dal Governo. Il sogno più grande di Virender e uno degli obbiettivi del documentario è quello di raccogliere supporto e rendere possibile il desiderio di Virender Singh di rappresentare l'India alle Olimpiadi di Rio 2016 possa esaudirsi. Speriamo!