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martedì 14 luglio 2020

Armata Brancaleone


Titolo: Armata Brancaleone
Regia: Mario Monicelli
Anno: 1966
Paese: Italia
Giudizio: 5/5

In sella ad un ronzino giallastro, Brancaleone da Norcia, cavaliere fanfarone e dai pochi meriti, guida un'improbabile compagnia di miserabili alla conquista del feudo di Aurocastro nelle Puglie

Monicelli è uno dei più grandi esponenti del cinema italiano da sempre. Un maestro in grado di scherzare con commedie semplici quanto complesse negli intenti, drammi molto forti, film sulle diseguaglianze sociali, film di guerra, di genere e di costume.
Brancaleone è un'icona, il nostro Don Chiscotte meno matto e in grado di pugnare come si deve principi e bifolchi. Un soldato di ventura in fondo semplice e buono con un senso dell'onore incredibile che bilanciava i soprusi e i tradimenti in un'Italia medievale famelica e stracciona.
Dalla scena iniziale dell'assedio dei barbari dove uno si mangia a morsi dei pulcini vivi, comprendiamo come l'autore abbia cercato il più possibile pur con scene ironiche e dialoghi ispirati, di mantenere quello stato di degrado a cui la maggior parte delle persone al tempo era in grado di arrivare, come ad esempio per uno dei suoi uomini una situazione paradossale come quello di stare assieme ad un'orsa vivendo nella sua tana.
Monicelli inquadrando perfettamente quel Medioevo irresistibile e turbolento crea un'avventura di salda presa comica in cui l'invenzione farsesca si mescola alla citazione colta (si va da come dicevo da Cervantes a Kurosawa al Pulci fino a Italo Calvino) e soprattutto è forse il primo a saper unire uno stile antieroico e godereccio, surreale e onirico, senza tralasciare lo sfondo violento, facendo attecchire una delirante e radiosa rivisitazione in chiave comica di uno dei momenti più bui della storia dell’umanità.
Tra monaci santi, purificazio e tutto il resto, Brancaleone e il suo manipolo di poracci rimarrà sempre uno dei più grandi successi del cinema italiano del dopoguerra, un'idea divertentissima realizzata con grandissima ironia da un terzetto di sceneggiatori che ci hanno regalato diversi capolavori. (Mario Monicelli, anche regista, Agenore Incrocci, in arte Age, e Furio Scarpelli)




martedì 22 marzo 2011

Lunghi capelli della morte

Titolo: Lunghi capelli della morte
Regia: Antonio Margheriti alias Anthony Dawson.
Anno: 1966
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Il film inizia con una donna che viene ingiustamente messa al rogo per aver ucciso il fratello del re e per essere una strega.
In realtà il colpevole è il figlio dello zio che ha ucciso il padre per prendere il suo posto.
La vendetta sarà compiuta dalla figlia della “strega”, la quale aiutata da un'altra donna punirà la famiglia reale.

Il film è piuttosto noioso, mancano a livello narrativo i colpi di scena e l’azione è scarsa senza riuscire a catturare l’attenzione dello spettatore.
Margheriti gira bene, il bianco e nero all’interno del castello crea un’atmosfera suggestiva anche se sfruttata male a livello narrativo.
La sceneggiatura è abbandonata ai dialoghi di routine e sembra improvvisata giorno per giorno.
E’ un peccato perché la Steele convince nel suo ruolo e sembra proprio il prototipo della bella strega, anche gli altri attori sono bravi, ma nel complesso parlano tutti troppo e agiscono poco.
Il genere del neogotico italiano è sicuramente molto interessante soprattutto per i castelli, le atmosfere e gli effetti speciali.
Almeno due scene cult da segnalare:
-La Steele nuda, anche se per poco.
-Il teschio nella tomba che fotogramma per fotogramma riacquista carne e sangue.

Marcia Nuziale

Titolo: Marcia Nuziale
Regia: Marco Ferreri
Anno: 1966
Paese: Italia/Francia
Giudizio: 3/5

Quattro apologhi sulla degradazione del matrimonio: "Prime nozze", "Il dovere coniugale", "Igiene coniugale", "La famiglia felice". Si parte da uno scherzo per arrivare a una beffarda anticipazione avveniristica. Quasi un compendio del primo Ferreri, sceneggiato con Diego Fabbri e Rafael Azcona, intento a descrivere con feroce precisione le aberrazioni causate dall'uso rituale e strumentale di un istituto, come il matrimonio, di cui non si sanno più perseguire i fini. Ridotto alla durata attuale dalla censura che impose 8 minuti di tagli.

Sicuramente guardando questo film ad episodi, certamente non uno dei capolavori del grande regista italiano, ti chiedi quanto Ferreri detesti o meglio non creda assolutamente nel concetto di matrimonio. Dei quattro episodi per quanto comici, tutti riservano un’amara verità o dato di fatto.
“Prime nozze”, il primo, in cui metaforicamente l’importanza attribuita ad un cane e al suo accoppiamento diventa l’unico vero motivo d’interesse per l’avvocato che porta addirittura dal notaio le carte per il matrimonio dei due cani.
“Il dovere coniugale” è fantastico perlomeno nella disperazione di un marito che la sera vorrebbe fare il suo dovere ma la moglie è troppo stanca e quando lei ha finalmente voglia riesce ormai ad aver stancato troppo il marito.
“Igiene Coniugale” è una presa in giro dell’importanza del matrimonio visto che il marito appena può cornifica subito la moglie.
Davvero notevole l’intro prima del quarto episodio sul pericolo dell’automazione
Decisamente spiazzante è l’ultimo episodio in cui in un futuro onirico gli uomini preferiscono onde evitare spiacevoli compromessi o problemi di coppia appartarsi con dei manichini di gomma e in cui Tognazzi sfodera un pizzetto decisamente in stile Ferreri.

lunedì 14 marzo 2011

Africa Addio

Titolo: Africa Addio
Regia: Gualtiero Jacopetti,Franco Prosperi
Anno: 1966
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Negli anni Sessanta la maggior parte delle colonie africane raggiunge l'indipendenza. I nuovi stati così creati, fortemente dipendenti dagli aiuti europei, instabili politicamente e spesso divisi da faide etniche, vengono "esplorati" in alcuni loro aspetti particolarmente eclatanti.

Interessante questo docu-film che si riallaccia al filone dei Mondo-Movie.
Sicuramente da un punto di vista delle immagini, spesso forzate nei loro eccessi ma che rendono la visione di forte impatto proprio partendo dal pretesto che non sono frutto di fruizione. Al tempo per motivi di censura parecchie scene furono dichiarate frutto di innovativo montaggio o effetti speciali ma non è niente di tutto questo.
Una critica che va sviluppata è sugli intenti e cosa possano sviluppare negli spettatori. Senza dare spiegazioni su chi siano i registi e le loro fazioni politiche dannose, bisognerebbe soffermarsi sul concetto di colonialismo e su quanto il film sembri quasi giustificare alcuni casi e alcune forme di violenza dato che emerge in sintesi dalla voce narrante e su come l’occhio-telecamera sia incuriosito e impietoso nel soffermarsi su alcuni dettagli.
I registi nell’incipit che apre il documentario scrivono queste frasi che vorrei che esaminaste coscienziosamente come risultato di un’analisi spiccia e voluttuosa assolutamente non conforme all’ideologia di un paese quasi mai mal capita come in questo caso:
« L'Africa dei grandi esploratori, l'immenso territorio di caccia e di avventura che intere generazioni di giovani amarono senza conoscere, è scomparso per sempre. A quell'Africa secolare, travolta e distrutta con la tremenda velocità del progresso, abbiamo detto addio. Le devastazioni, gli scempi, i massacri ai quali abbiamo assistito, appartengono a un'Africa nuova, a quell'Africa che seppure riemerge dalle proprie rovine più moderna, più razionale, più funzionale, più consapevole, sarà irriconoscibile. D'altronde il mondo corre verso tempi migliori. La nuova America sorge sopra le tombe di pochi bianchi, di tutti i pellirossa e sulle ossa di milioni di bisonti. La nuova Africa risorgerà lottizzata sulle tombe di qualche bianco, di milioni di negri e su quegli immensi cimiteri che una volta furono le sue riserve di caccia. L'impresa è così moderna e attuale che non è il caso di discuterla sul piano morale. Questo film vuole soltanto dare un addio alla vecchia Africa che muore e affidare alla storia il documento della sua agonia. »
La parte interessante e che sono stati filmati episodi di rara violenza come parte di genocidi o mutilazioni efferate di animali e uomini in paesi in un Africa che non sembra destabilizzata da cameraman famelici quanto i protagonisti degli scontri tra tribù di cui alcuni momenti vanno comunque menzionati: i massacri in Angola e Tanganica, in cui avvennero numerosi episodi di cannibalismo, più volte citati; oppure l'eccidio di missionari e suore cristiani, in particolare durante l'assalto ad una missione;
Il documentario ha creato parecchio scompiglio come altri estremi girati in quegli anni (se così possiamo chiamarli) che si riallacciano al filone come ad esempio Mondo Cane o lavori del genere.
Secondo me è un risultato interessante dal punto di vista antropologico umano.
Per essere del '66 è di grande impatto e sicuramente non più di una persona chiuderanno gli occhi, almeno quando ci sono i bracconieri.