Titolo: Rum diary-Diario di una passione
Regia: Bruce Robinson
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
The Rum Diary
racconta la storia del giornalista free lance Paul Kemp. Stanco della
confusione e della follia di New York e delle pesanti convenzioni sociali
dell'America negli ultimi anni 50, Kemp si trasferisce a Puerto Rico per
scrivere su un quotidiano locale, The San Juan Star. Paul si adegua volentieri
ai ritmi rilassati dell'isola e all'abitudine di bere continuamente rum.
Incontra Chenault, una bellissima americana del Connecticut della quale si
invaghisce, fidanzata con Sanderson, ricco uomo d'affari implicato in loschi
investimenti immobiliari. Sanderson è deciso a trasformare l'incontaminata
Puerto Rico in un paradiso capitalistico a disposizione dei ricchi ed assume
Kemp allo scopo di fargli scrivere in favore del suo progetto. A quel punto
Kemp ha di fronte a sé una scelta: deve decidere se usare le sue parole per
sostenere il corrotto uomo d'affari o per attaccarlo.
Robinson non
girava un film da dieci anni.
Deep invece ha
appena divorziato per motivi legati all’alcool e questo film parla di un
giornalista con un problemino legato al bere. Poi c’è lei Amber Heard di cui
Hollywood si sta invaghendo anche se appare come l’ennesima biondona di turno
che presto le major dimenticheranno.
Ora se mischiamo
tutti e tre questi elementi è probabile che non esca niente di che ma se
aggiungiamo il padre del gonzo journalism ovvero Hunter Stockton
Thompson le cose iniziano a cambiare(sulla carta!).
Il romanzo tratto dal discusso giornalista è l’elemento
che riesce più di tutti a dare enfasi nel racconto di questa particolare
pellicola. Deep con la sua casa di produzione è rimasto così affascinato dal
libro da volervi prendere assolutamente parte anche in veste di produttore.
Il film non è male se uno pensa a questi fattori e alla
voglia che lega alcuni attori a dover riproporre le gesta dei loro beniamini (che come in questo caso
di nuovo un giornalista). Ma in questo caso non basta, la storia come lo svolgimento
è troppo classica e stereotipata(il rapporto Kemp-Chenault) per riuscire a
conquistare il pubblico. Deep sembra stanco e spossato (chissà se lo fa per
caratterizzare il suo personaggio o per problemi reali). Alla regia in PAURA E
DELIRIO A LAS VEGAS c’era un visionario dietro la macchina da presa che aveva
costruito un delirio vero e proprio. Robinson invece inquadra tutto con mo0lta
plasticità senza dare un’anima a quello che riprende.
Peccato perché sulla critica si poteva osare di più e
contando le suggestive location anche una parentesi sul sogno americano contando
che siamo negli anni ’60 non avrebbe fatto male.