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giovedì 3 dicembre 2020

Boys-Seconda stagione


Titolo: Boys-Seconda stagione
Regia: AA,VV
Anno: 2020
Paese: Usa
Stagione: 2
Episodi: 8
Giudizio: 4/5

Tutti aspettavamo con trepidazione la seconda stagione di una delle serie più originali degli ultimi anni scritta da quel folle di Garth Ennis autore di opere ambiziose come PREACHER, DISCESA ALL'INFERNO, CROSSED, HELLBLAZER, PUNISHER, DREDD, WORMWOOD.
L'altra faccia di Grant Morrison, un autore sboccato, volgare, originale, ambizioso, politicamente scorretto (se date una lettura a Wormwood vedrete cosa ha in riserbo per la Chiesa).
Siamo di nuovo alle prese con la decostruzione dei super eroi, invertendone la polarità, rendendoli cattivi, degli outsider mediatici controllati dal governo in una trappola di interessi, complotti, tradimenti e molto altro ancora.
La seconda stagione è decisamente più perfida, più politica, ambiziosa e non mi sorprende che i primi episodi siano quelli piaciuti meno. In realtà la progressione in termini di scrittura e di potenziale, rende gli otto episodi un concentrato apocalittico, una galleria di soluzioni narrative, di personaggi esemplari (standing ovation anche in questo caso per il numero one Homelander). Proprio su Patriota/Starr bisogna spendere qualche parola dalla sua ormai patologica ambiguità in cui non sappiamo mai cosa aspettarci, con un finale grandioso e una scena assolutamente fuori dall'ordinario senza spoiler quando "incontra" Stillwell, a mio avviso uno dei momenti più alti della stagione.
Composto V, la disfatta dei Boys che dopo la morte di Stillwell sono costretti a convivere forzatamente in uno scantinato con Butcher che sta progressivamente impazzendo dalla rabbia e dalla voglia di rivedere la moglie e proteggerla dal Patriota. Stormfront, la psicopatica nazista manipolatrice completamente assuefatta dai social e dalla risposta mediatica che incarna tutte le piaghe della società asservite ai meme su Internet. Starlight al confine tra chi la vuole morta e il suo dividersi tra senso del dovere e amor proprio. L'omosessualità e il coming-out forzato di Queen Maeve, i viaggi allucinogeni di Abisso e la sua lotta con A-Train per tornare nei Sette dopo essere stati cacciati. Fiaccola e il suo bisogno di redenzione.
In questa seconda stagione gli sceneggiatori ingranano la marcia rendendo tutto ancora più falso, perbenista, malizioso, una società ormai tutta basata sull'immagine, sulla pubblicità, sui follower, dove i Sette arrancano, dove l'esibizionismo è performativo curandolo all'ennesima potenza, dove consumismo e consensi diventano gli unici valori lasciando tutto il resto in una deriva transitoria e superflua. La stessa relazione tra Homelander e Stormfront sembra deragliare da tutto ciò che si potrebbe definire normale, arrivando a sprofondare in ogni perversione e sottomissione, ribaltando completamente i ruoli tra dominatrix e maschio alfa.
Pur arrivando tardi e col fiato corto alla resa dei conti ovvero la carneficina finale, i climax e i colpi di scena ridaranno enfasi tra scene splatter, torture, momenti epici, fini ingloriose tra chi viene spara flashato o chi decide di darsi fuoco, rivelando parti oscure e fragilità inattese.



mercoledì 10 luglio 2019

Domino


Titolo: Domino
Regia: Brian De Palma
Anno: 2019
Paese: Danimarca
Giudizio: 3/5

Un poliziotto danese vuole vendicarsi dell'omicidio di un suo amico e collega e cerca l'appoggio dell'amante dell'amico deceduto, anche lei poliziotta. L'uomo cui i due danno la caccia è però un infiltrato della CIA che sta cercando di sgominare una cellula dell'ISIS.

Bastano un paio di carrellate e un piano sequenza per indovinare la regia dietro questo interessante thriller di spionaggio che dalla sua cerca di confrontarsi con alcune tematiche attuali.
Domino è stato bistrattato all'unisono da pubblico e critica, senza nessun tipo di riserva ma anzi definendo ormai la capacità del maestro sulla strada del tramonto quando invece la tecnica rimane rigorosa e sinonimo di garanzia.
Sono stati tanti, troppi forse i problemi con la produzione europea denunciata dall'autore che nonostante tutto ha saputo portare a termine un film che a livello di stile, tecnica e prova attoriale riesce a mantenersi più che buono grazie anche ad un buon utilizzo delle musiche nelle scene clou del noir.
Con una produzione problematica e sotto finanziata, l'ultima opera del regista americano è stato girato nell'estate del 2017 ed esce ora in una versione troncata a seguito di una disputa tra De Palma e i suoi produttori.
La lotta dell'Europa contemporanea contro il terrorismo soprattutto dal secondo atto, diventa un'operazione quasi mediatica dove le parti coinvolte si inseguono in maniera innaturale con alcune logiche predominanti disfunzionali o per lo più banali contando che la materia ormai quasi tutti sembrano conoscerla abbastanza bene. Quello che il film poteva fare meglio e che per fretta o per divagazioni della sceneggiatura non ha saputo cogliere, ma il tentativo c'era, era fare una comparazione tra i media e le loro tecniche impiegate. Di come ormai nel 21° secolo la propaganda dell'Isis sembra avere più lo scopo di pensare alle immagini fatte per colpire il pubblico e suscitare paura piuttosto che mostrare i problemi politici e storici che hanno fatto sì che si creassero i gruppi terroristici. Ad un tratto l'indagine perde peso e il resto del tempo i due agenti sembrano passarlo intrattenuti da video su youtube, droni, web cam piazzati sopra le mitragliatrici, etc


lunedì 11 marzo 2019

Transit


Titolo: Transit
Regia: Mariam El Marakeshy
Anno: 2018
Paese: Grecia
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

Potenti storie di giovani rifugiat* che hanno rischiato la vita attraversando il mare Egeo verso l’Europa, per rimanere intrappolat* nell’isola greca di Lesbo. Piccole forme di resistenza aprono spiragli di speranza

Co finanziato da un canale televisivo turco, Transit è un documentario scomodo, indipendente e low budget che ha il merito di cogliere alcune testimonianze di tutti coloro che si sono trovati intrappolati nell’isola greca di Lesbo senza aiuti dall'Europa in accampamenti che spesso non hanno nemmeno i servizi principali.
Un luogo che "dovrebbe essere" di transito, dal momento che tanti rifugiati non vedono la Grecia e l'Italia come quella Europa che dovrebbe ospitarli e sistemarli, ma una via di mezzo per l'Europa che significa invece Germania o paesi più industrializzati.
Emergono dettagli inquietanti come i salvagenti consegnati dagli scafisti ai rifugiati che in realtà non sono omologati a norma, ai traumi senza parole delle testimonianze di persone e famiglie semplicemente lasciate lì, in mezzo ad un'isola con sogni, rabbia, delusioni e intenti su un futuro che sembra sempre più abbandonato e reso inconsistente da una politica che si dimentica di loro.

Punisher- Stagione 2


Titolo: Punisher- Stagione 2
Regia: AA,VV
Anno: 2019
Paese: Usa
Serie: 2
Episodi: 13
Giudizio: 3/5

La seconda stagione di The Punisher racconterà del conflitto tra il sempre poco incline al dialogo Frank e il suo ex migliore amico Billy Russo. Russo indosserà la maschera che lo ha reso Jigsaw per coprire il suo volto, sfigurato dallo stesso Punitore al termine della prima stagione. Uno scontro tra due personalità fortemente borderline, entrambe disposte a perseguire i propri scopi senza indugiare granché nella clemenza: l’antieroe Frank nella sua battaglia ultra-violenta alla criminalità di qualunque genere e tipo, Jigsaw (da noi conosciuto anche come Mosaico) nei suoi propositi di vendetta proprio contro Castle.

Il sequel della prima serie tv targata Netflix dell'anti eroe stelle e strisce americano, probabilmente deve aver imparato dalla prima gli errori commessi è così riesce laddove quasi ogni speranza era andata persa.
Prima di tutto gli sceneggiatori hanno avuto una bella pensata. Aggiungere un villain.
In secondo luogo hanno fatto uscire completamente fuori di testa il vilain della prima stagione.
Il risultato è quello per cui abbiamo Castle che deve difendere una ragazza da una setta, una sorta di predicatore con un passato agguerrito e tantissima azione e sparatorie.
Non era difficile ma alla fine ci sono riusciti. Castle è un personaggio fisico, farlo parlare troppo mettendolo al centro di una "disputa" femminile in ospedale non segue la realtà dei fatti.
Al di là dell'azione, la stagione a livello di tematiche affrontate affonda maggiormente la lama su diversi intrecci narrativi e rapporti tra i personaggi senza riuscire però ad avere una psicologia dietro questi, così elementare e stereotipata da renderla volgarmente stupida.
Se The Punisher porta sul piccolo schermo personaggi femminili indipendenti, allo stesso tempo rinforza la dicotomia donna-intelligente e uomo-bruto. Tutti i personaggi maschili della serie reagiscono per istinto o morale, sparando, distruggendo cose o urlando, mentre gran parte delle azioni femminili prendono vita attraverso conversazioni e meditazioni su quanto avvenuto.
Le donne sono subdole, mentre gli uomini prendono la situazione in mano e l'affrontano senza fermarsi a riflettere. Tutto troppo deprimente e tagliato con l'accetta.

mercoledì 5 dicembre 2018

Team America



Titolo: Team America
Regia: Trey Parker
Anno: 2004
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Il Team America, una forza di polizia internazionale che mantiene la stabilità nel mondo, scopre che un dittatore assetato di potere procura armi di distruzione di massa a un gruppo di terroristi. Per infiltrarsi nella rete criminale, il Team recluta Gary Johnston, astro nascente di Hollywood, perché agisca in incognito. Dapprima riluttante, Gary si rende ben presto conto che il proprio talento di attore può servire una nobile causa...

E'inutile stare a presentare Trey Parker. Se non lo conoscete crocifiggetevi.
Solo per fare un esempio la serie SOUTH PARK è stata creata da lui e il suo socio.
Poi ha fatto altra roba come Orgazmo, film indipendentissimo, e se non lo avete visto, fatelo.
Dissacratore, gay, comico, eretico, praticamente distrugge qualsiasi cosa abbia a che fare con le religioni e le ideologie con una semplicità incredibile per lo più quando decide di parlare delle mille contraddizioni degli Usa, una potenza esportatrice di democrazia e guerra al tempo stesso che si affida ad un divo hollywoodiano per salvare il mondo.
Team America è uno dei suoi progetti più costosi che come sempre non ha raggiunto nessun successo ma dalla sua ha così tanti aspetti magnifici e dissacratori che ho riso dall'inizio alla fine divertendomi per come nessuno alla fine venga salvato dal comico.
Il sogno americano distrutto in tutto e per tutto, in questo caso grazie all'animazione che permette più libertà, l'artista ha avuto la possibilità di aumentare lo scenario dove collocare la vicenda e scrivendo dei dialoghi che prendono in giro tutti i film reazionari americani dagli anni'80 ad oggi in un film che sottolineo si fa beffe dell'ansia del politically correct e tutti i suoi parametri rigidi da controllare.
Un film che non nasconde nulla nella sua battaglia contro le apparenze, contro la falsità di un paese che cerca nemici immaginari per aumentare la sua sete di potere.
Senza farsi mancare stragi sanguinolente, scene di sesso, il fatto stesso di aver usato dei personaggi che richiamano le barbie e i ken non poteva rivelarsi scelta più azzeccata.
Esplode/dono tutti nel film. Terroristi, Michael Moore, Kim Jong II, l'amministrazione Bush, etc.
Nessuno si salva o meglio chiunque finga di promuovere valori e inneggiando a ideali in cui non crede o dove vende se stesso e ciò che gli sta intorno viene letterallmente silurato.


sabato 10 novembre 2018

Soldado


Titolo: Soldado
Regia: Stefano Sollima
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Sempre meno redditizio, il traffico di droga viene convertito dai cartelli in traffico di essere umani. Lungo il confine messicano e in mezzo ai clandestini si insinuano terroristi islamici che minacciano la sicurezza degli Stati Uniti. Un attentato-suicida in un supermercato texano provoca una reazione forte del governo americano che incarica l'agente Matt Graver di seminare illegalmente il caos ristabilendo una parvenza di giustizia. Graver fa appello ancora una volta ad Alejandro, battitore libero guidato da una vendetta che incontra vantaggiosamente le ragioni di Stato. Alejandro, che se ne infischia della legalità, rapisce la figlia di un potente barone della droga prima di diventare oggetto di una partita di caccia orchestrata dalla polizia messicana corrotta e da differenti gruppi criminali desiderosi di mettere le mani sull'infante. Diventata un rischio potenziale, bisogna liberarsene. Ma davanti a una scelta infame, Alejandro rimette in discussione tutto quello per cui si batte e tutto quello che lo consuma da anni.

Senza voler fare una comparazione a tutti i costi, ho trovato il film di Sollima leggermente superiore alla costruzione di Villeneuve, regista che stimo tantissimo ma che secondo me trova il suo meglio in altri generi.
Sollima dirige qualcosa di potente e maestoso, senza farsi prendere dal panico trovandosi di fronte ad una monumentale macchina produttiva come quella americana e con due attoroni ormai inarrivabili come Del Toro e Brolin (che fino a prova contraria è uno degli attori ritrovati del momento)
Un film che si divide come sempre in tre atti ma che racconta due storie diverse dove la prima mostra l'intelligence delle forze speciali e di come la lotta al narcotraffico fra Stati Uniti e Messico si è inasprita, dall'altra una storia umana di gente che cerca di attraversare il confine, di sopravvivere, di una relazione tra un sicario e una bambina, un rapimento, e un finale che spero dia conferma che deve rimanere Sollima a dirigere il terzo capitolo.
Un film di uno spessore e di una violenza impressionante da tutte le parti attraverso cui noi la guardiamo. Che siano i bambini, gli adolescenti, gli adulti, gli agenti del governo, lo stesso presidente, tutto sembra nichilismo puro e caos dove la parola d'ordine è uccidere senza regole e senza remore. Un crocevia di morte, che richiama soprattutto nella seconda storia il western, dove l'essere umano è la vera merce di scambio e dove ormai anche trattare è diventato quasi inutile, la giustizia e la vendetta sono invece i soli strumenti a fare da padroni (vedi Graver dopo quello che succede a Alejandro).
Un film bomba geometricamente che non fa una piega, con scene d'azione esaltanti e minimali, scenari pirotecnici che si aprono e sembrano farti catapultare da un bus pieno di messicani, al deserto più sanguinario di sempre e spazi angusti dove avviene il peggio.
Un film disperatamente cinico e drammatico che non regala e non vuole esaltare nulla, ma chiude tutte le porte massacrandole sul nascere, senza dare modo di redimersi a meno che non contiamo la deliziosa scena finale che apre le porte per un sequel che spero tanto di poter vedere.



lunedì 3 ottobre 2016

Made in France

Titolo: Made in France
Regia: Nicolas Boukhrief
Anno: 2015
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Sam, giornalista indipendente, approfitta della sua cultura musulmana per infiltrarsi nei circoli fondamentalisti islamici nella periferia di Parigi. Avvicina così un gruppo di quattro giovani che hanno avuto il compito di creare una cellula jihadista, e compiere devastazioni nel cuore di Parigi.

Il film di Boukhrief è un thriller insolito e originale che cerca di comprendere le ragioni che portano un gruppo di musulmani a diventare jihadisti. Come mai? Il problema è solo legato ai valori, alla diversità, oppure le cause sono ancora più profonde? Il regista sembra scegliere la prima strada come dimostra il discorso iniziale della moschea ancor prima che il gruppo di protagonisti incontri il leader Hassan. Nel film riescono ad essere evidenziate bene tutte le fasi, la nascita, i problemi, gli scontri, tutto passa attraverso l'occhio del protagonista, un giornalista che ad un certo punto si ritrova da solo a non poter contare neppure sull'aiuto della polizia. Il ritmo, i dialoghi, la messa in scena, tutto riesce ad essere di un certo notevole spessore. Il film forse perchè anticipa la lunga serie di attentati che dilanieranno la Francia, anche se non vengono mai citati come alcuni riportano
Charlie Hebdo e il Bataclan, ma invece gli Champ Elisee, è stato rinviato e non ha avuto quasi nessun contributo dallo Stato e dalle maggiori case di produzioni.
E'sintomatico di un problema e di una paura che sta alla radice e che forse nessuno a colto nell'intenso film del regista. Made in France in fondo promuove i valori della cultura islamica, quella solida e pacifica mostrando come solo i fanatismi e altre realtà, che troviamo in diverse religioni, possono nuocere e minacciare l'individuo e la comunità.
L'unico punto debole è un finale difficile da chiudere con alcune forzature che ne danneggiano intenti e obbiettivi.
Per il resto soprattutto i dialoghi e il ritmo sono ottimi e danno uno squarcio e una piccola profezia su quello che avverrà. In particolar modo quando Hassan chiede ai suoi seguaci, tra cui il giornalista sotto copertura, di comportarsi proprio come gli occidentali, quindi bere e fumare, per non destare sospetti "Insomma siate come loro".



lunedì 2 marzo 2015

Four Lions

Titolo: Four Lions
Regia: Christopher Morris
Anno: 2010
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

In un sobborgo inglese, il musulmano devoto Omar ha riunito una cellula terroristica per mettere a punto un sanguinoso attentato in nome della guerra santa contro una cultura corrotta e infedele. Del nucleo fanno parte, oltre ad Omar, il tonto Waj, il timido Faisal e l'inglese Barry, recentemente convertitosi all'islam e infiammato dalla passione del neofita. Nessuno di loro, però, è particolarmente esperto di esplosivi e di organizzazione militare. Anzi... 

Chris Morris è un conduttore, un personaggio televisivo e molte altre cose. 
Di certo non era un regista cinematografico. Il suo esordio non poteva essere più politicamente acceso di così, scherzando e provocando sul terrorismo e il fondamentalismo, visto sotto diversi punti di vista e soprattutto idee diverse da parte dei suoi personaggi.                                                                                                
Un film di certo con un buon ritmo, che cerca fin da subito di porsi a tutti gli effetti come una parodia nerissima, in cui soprattutto all’inizio, lo spettatore non riesce a capire se si parla di fatti reali o se sia solo una messa in scena.
La drammaticità e il dovere morale con cui ognuno affronta la sua scelta, diventano i canali principali su cui si muove il film. 
Il limite purtroppo al di là dell’improvvisazione lasciata agli attori, che in alcuni punti riesce a essere funzionale, è proprio quello di essere impacciato, commettendo alcuni errori di scrittura che il film paga a caro prezzo quando cominciano a non tornare più alcune azioni.
Alternando continuamente l’ironia e la drammaticità, Morris ha il pregio di provocare con un’idea originale, ma senza riuscire a creare anche una seria critica a riguardo, elemento che avrebbe giovato e conferito ancora più spessore al film. Ma forse, guardando il curriculum di Morris, lo scopo era esattamente questo senza andare oltre, ma lasciando il segno in più parti. 
Sono interessanti a questo punto alcune note di produzione che rivelano lo sforzo e l’acume di Morris. Morris ha impiegato tre anni facendo ricerche per questo progetto, intervistando esperti di terrorismo, esponenti della polizia e dei servizi segreti, nonché diversi imam e cittadini musulmani.

In un'intervista Morris ha affermato di aver iniziato a documentarsi prima degli attentati del 7 luglio 2005 a Londra. Con la sceneggiatura completata nel 2007, il film è stato proposto sia alla BBC che a Channel 4, che hanno entrambi rifiutato giudicando il progetto troppo controverso. Assicurati i fondi nell'ottobre 2008, le riprese del film sono iniziate nello Sheffield nel maggio 2009. 
Durante la produzione, il regista ha inviato una copia della sceneggiatura a Moazzam Begg, ex-detenuto britannico-pakistano del campo di prigionia di Guantánamo. Begg ha accettato la consulenza, riferendo dopo aver letto il testo di non aver trovato nulla che sarebbe potuto risultare offensivo per i musulmani britannici. Begg è anche stato invitato ad una speciale proiezione del film appena concluso, dichiarando di essersi divertito (Wikipedia)

lunedì 21 marzo 2011

World Trade Center

Titolo: World Trade Center
Regia: Oliver Stone
Anno: 2006
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

La squadra di polizia capitanata dal sergente John McLoughlin, viene chiamata per soccorrere i superstiti di una delle Torri Gemelle.
Il primo atto è sicuramente il pezzo meglio curato in cui la squadra di polizia entra nella prima torre per salvare i superstiti. La squadra entra in azione senza sapere che in realtà sono due gli aerei dirottati sulle torri e non uno solo come sembrano credere.
Il secondo atto costituisce la tragedia che catapulta i due protagonisti in un oceano di detriti e sofferenze. Subito dopo protagonisti diventano le mogli dei poliziotti che sperano e piangono per quasi tutto il resto del film.

Apparizioni e flash-back coprono i buchi della sceneggiatura che appaiono evidenti sotto ogni aspetto. Solo che riescono a rendersi ridicoli come quella di Gesu’ che appare ad uno dei disgraziati perché, come ha espresso il superstite, voleva aiutarmi.
Patriottismo a fiumi in un film definito da Stone come assolutamente non politico.
Le icone a cui si è affidato il regista in questo “docudrama” che serve solo come pretesto per aizzare ancora di più le tensioni, sono l’america e la famiglia, unici emblemi di un paese sempre più senza una vera identità è capace solo di inglobare a sé parti di civiltà e tentare con la forza di annetterne altre.
Un film apparentemente strappalacrime che vuole dimostrare come in fondo i veri protagonisti di questa tragedia “voluta”sono le forze dell’ordine. I soli ed unici in grado di rappresentare la speranza. Marines votati alla causa che altro non possono fare che difendere la nazione dalle presunte minacce integraliste. Soldatini di ferro che possono guardare solo a testa alta perché non comprendono sentimenti ed emozioni nella loro rigida e assoluta freddezza.
Gli attori cercano di credere ad un progetto che andava cestinato fin dall’inizio che non riesce a comprendere come invece può fare un documentario, che la narrazione classica da manale hollywoodiano non andava assolutamente usata soprattutto come opera di “sensibilizzazione”.
Cage è nervosissimo e sembra chiedersi anche lui come abbia fatto a partecipare a questo progetto e forse la risposta più ovvia è la smania di fare più film possibili per delle major in cui i soldi valgono più della qualità del prodotto.
La Bello piange e crede nel marito. Stop.