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giovedì 21 luglio 2016

Wolfpack

Titolo: Wolfpack
Regia: Crystal Moselle
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

I sette fratelli Agulo, di madre statunitense e padre Inca peruviano, sono cresciuti nel Lower East Side di Manhattan come su un'isola deserta: per anni infatti hanno vissuto segregati in casa, uscendo un massimo di nove volte l'anno, e qualche anno non uscendo mai. Papà Oscar era l'unico a possedere le chiavi di casa, a decidere come e quando ci si potesse spostare all'interno dell'appartamento, ad assicurarsi che moglie e figli non venissero "contaminati" dal mondo esterno. Sui suoi famigliari l'uomo, seguace del culto Hare Krishna, aveva un potere assoluto. Del resto per i suoi sei figli maschi e la sua unica figlia femmina, nonché per la consorte, Oscar era Dio: un dio intransigente, a volte violento, spesso ubriaco e fuori controllo, sempre onnipresente.

Wolfpack è una realtà triste, purtroppo contemporanea ma al contempo estremamente eccezionale.
Un ritratto di una solitudine e di una libertà negata che lascia increduli.
E'incredibile pensare che al giorno d'oggi in Occidente alcune realtà possano continuare a persistere.
La storia della famiglia Agulo non è l'unica, ma al contempo è tra le poche che si ha la possibilità di osservare all'interno delle mura domestiche.
Infanzia e adolescenza ripresi e cresciuti in un microcosmo di New York. Casa = prigione.
Un binomio che sembra piacere e soddisfare solo l'esigenze e gli intenti di un padre depresso e alcolizzato che vigila e controlla come un despota i suoi figli, picchiando la moglie e ancorandosi ad un'ideale di fede che non lascia spazio alla ragione.
Tutti e sette i fratelli sono alienati (tra questi c'è anche una sorellina, Visnu, affetta dalla sindrome di Turner e volutamente lasciata quasi del tutto in disparte). Il cinema diventa allora l'unica possibilità di redenzione o di astrazione da un contesto che priva di fatto ogni possibilità di socializzazione e istruzione lasciando tutto sulla creatività e immaginazione di questi fratelli autodidatti.
I film diventano gli strumenti attraverso cui conoscere e dare un senso alla realtà e riprodurre le medesime scene come attori protagonisti di una realtà deviante.
Wolfpack è crudele quanto tenero nell'approccio con i suoi protagonisti.
La loro sensibilità e bontà, il loro amore per la conoscenza e la curiosità di dare un senso alle proprie esistenze. La loro rabbia nei confronti del "dio" padre che pensa che chiuderli in casa e privarli della libertà sia sinonimo di salvaguardia e purezza, senza rendersi conto che l'unico canale che i figli hanno è il cinema con alti tassi di contenuti violenti, sono solo alcuni dei temi e degli aspetti che la regista approfondisce.

Sembra quasi un esperimento sociale, un documentario sociologico post-moderno, che pur non trovando sempre una linearità e una struttura ordinaria di come mettere insieme il materiale, trova comunque un fatto sociale così innovativo da risultare un operazione coraggiosa e sperimentale.