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domenica 26 novembre 2023

Megalomaniac


Titolo: Megalomaniac
Regia: Karim Ouelhaj
Anno: 2022
Paese: Belgio
Giudizio: 4/5

Due fratelli, Martha e Felix, figli del serial killer noto come “Il macellaio di Mons”, fingono di condurre una vita normale quando in realtà sono vittime di un rapporto perverso e sadico con i silenzi e i demoni del passato.

Sano e dirompente gore a fiumi in un film che riprende quella tradizione belga e francese di saper dimostrare di essere tra i primi della fila quando si vuole fare male e colpire duro.
Un film scomodo, disturbante, grottesco, malato e immorale con una una desamina sul rapporto tra vittima e carnefice e tra cosa è lecito oppure no. Martha è i soprusi che vive giornalmente a lavoro in una società misogina e patriarcale. Felix e il suo silenzio e il bisogno di riprendere quella serialità compiuta dal padre. In tutto ciò una villa dove dentro accadono abomini strazianti.
Tortura, cannibalismo, brutalità malsana, sadismo estremo, atmosfere malate e viscerali, violenza senza eguali, opprimente condizione di disagio e di depressione, psicologie perverse e rapporti malati e desideri sopiti. Ci sono sogni di orgie di sangue e un rapporto e un attaccamento evitante ambivalente, familiare disfunzionale e tutto ciò che ne consegue se portato agli eccessi.
Il film di Ouelhaj è anche se vogliamo un film politico sulla vendetta della violenza sulle donne e di come Martha e Felix per vendicarsi degli abusatori di lei arrivino a pensare un piano raccapricciante. Il film è la prima parte di una trilogia sociale (composta anche da Le Repas du Singe e Une réalité par seconde). Un film viscerale in tutti i versi dove Martha nonostante gli omicidi del fratello è importante che continui ad andare a lavorare per non destare sospetti, dove un'assistente sociale si espone troppo fino a lasciarci la pelle, dove la scelta delle vittime non nasce da particolari criteri ma solo dal bisogno di uccidere. Dal punto di vista estetico, il regista e il suo direttore della fotografia François Schmitt compongono una successione di quadri gore sublimi quanto ripugnanti, memorabili e affascinanti.

sabato 28 gennaio 2023

Otto montagne


Titolo: Otto montagne
Regia: Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch
Anno: 2022
Paese: Belgio
Giudizio: 4/5

Pietro e Bruno, amici d’infanzia e ora uomini, cercano di cancellare le impronte dei loro padri. Attraverso le difficoltà della vita, i due finiscono sempre per ritornare a casa, sulle montagne.

Le otto montagne della coppia di ALABAMA MONROE potrebbe non avere un inizio e una fine. Sembra un lungo flusso di coscienza. Un Ulisse di Joyce. Un film sull'amicizia, sulla scoperta, sulla testardaggine, sull'abbandono, sulla solitudine, sul superamento di un certo confine (Alpi e Nepal), di amore (la storia d’amore tra Bruno e Lara ma anche quella di Pietro e la ragazza in Nepal) e di memoria (gli insegnamenti dei propri padri). In una notte di bevute e risate, Pietro disegna su un taccuino un cerchio che simboleggia il mondo. Al centro c’è la montagna più alta, il Sumeru, circondata da otto mari e otto montagne. La domanda è: chi ha imparato di più? Chi ha visitato “le otto montagne”,Pietro, o chi ha raggiunto la vetta del Sumeru, Bruno?
Bruno rimane forse il personaggio più iconico, perchè è un outsider, un anti eroe che vive di sbagli, di scelte emotivamente molto sofferte, un immortale eremita delle montagne che riflette sui tempi e le tradizioni della montagna scardinati e spazzati via da regole che impongono macchinari o procedimenti lontani da quelli tramandati di padre in figlio distruggendo, di fatto, un intero mondo e portandolo a isolarsi sempre di più fino all'alienazione più totale.
Un film ipnotico, lento, minimale, fatto di sguardi, di piccoli movimenti, dove i dialoghi vengono ridotti all'osso, le bevute e lo stare attorno al fuoco spesso comunicano più del resto e dove in questa malinconia si resta attoniti di fronte a due modi di essere a confronto.

A Bluebird in my heart


Titolo: A Bluebird in my heart
Regia: Jérémie Guez
Anno: 2018
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

Danny è un carcerato che ottiene di scontare gli arresti domiciliari, con tanto di cavigliera elettronica, in un motel. Convince la proprietaria Laurence che sono necessari alcuni lavori, per lo più idraulici, e si offre di farli in cambio dell'alloggio gratuito. Inoltre si trova presto un altro lavoro, presso un ristorante cinese, gestito però da una donna vagamente mediorientale, Nadia, che lo prende come lavapiatti in una cucina dove la lavastoviglie è guasta.
 
Il polar di Guez è un film che vorrebbe essere una critica sociale sul reinserimento di un detenuto e allo stesso tempo promuoverlo come anti eroe in difesa dei più deboli. In parte un revenge movie, il film pur sfruttando i classici clichè riesce se non altro a non essere mai scontato, le scene in cui Danny aggiusta la lavastoviglie o lavora come lavapiatti sono tra le migliori assieme ad alcuni dialoghi con Clara come ad esempio quando la raccoglie dopo lo stupro a dispetto di quando invece Danny arrivi a usare la forza o la violenza. Refn e Besson i più citati per un film in fondo onesto che racconta la sua storia mettendo già in evidenza come la redenzione del protagonista sia una scommessa disperata.

giovedì 15 dicembre 2022

Inexorable


Titolo: Inexorable
Regia: Fabrice Du Welz
Anno: 2021
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

Marcel Bellmer è uno scrittore che gode di una grande fama grazie alla reputazione che si è fatto con il successo del suo libro Inexorable, in grado di dargli la celebrità che la stabilità economica guadagnata sposando la figlia del suo ricco editore, fino a poco prima non era riuscita ad arrivare.
Poco tempo dopo essersi trasferito con moglie e figlioletta nella principesca magione del defunto padre della consorte, nei giorni immediatamente seguenti l'acquisto di un giovane cane presso un canile, ecco apparire dal nulla una giovane che, grazie proprio al ritrovamento dell'animale, in quei giorni smarrito per il più doloroso rammarico della bimba sua padrona, finisce per essere accolta in quel castello, prima come educatrice del cane, poi come compagna e governante della casa.
Ma cosa spinge quella ragazza tutta strana e dai comportamenti poco decifrabili, a guadagnarsi fiducia in quella famiglia benestante ed un po' ingenua?

Fabrice du Welz è un grande cineasta indipendente, un autore che non ha bisogno di presentazioni.
Proprio per essere uno dei miei outsider preferiti è colui da cui mi aspetto quel qualcosa di più che a volte avviene e altre volte come in questo caso no. Inexorable non è ADORATION, rappresenta proprio gli antipodi nella ricerca e nell'esplorazione delle tematiche affrontate (anche se anche qui come lì a parte l'età sono due ragazze fortemente disturbate). A parte quando si è trattato di girare film su commissione, il belga ci ha da sempre fornito ottime chiavi di lettura per quanto concerne sondare le tenebre dell'animo umano, indagare il folklore, prendendo sempre dei drammi ma cambiandone i protagonisti e i luoghi ma rimanendo sempre affascinato dalle scelte e dagli intenti dei protagonisti.
In questo caso si mina la dimora borghese, le certezze reali e non inondandole di bugie e inganni, che se nascosti nella sfera privata prima o poi verranno svelati come in questo caso dall'arrivo di una apparente innocente giovane ragazza Gloria. Pur volendo costruire un thriller erotico sull'animalità della consumazione dei corpi umani come da lui stesso ammesso, Fabrice ci conduce subito verso un colpo di scena che apprendiamo troppo velocemente (Gloria innescherà una miccia esplosiva che piano piano sgretolerà tutte le certezze del nucleo familiare) facendo intuire che il dramma pervasivo delle opere dell'autore verrà costruito sulle scelte e le intuizioni della co protagonista. Una giovane donna che scopre le bugie di tutti dandole però quelle sfumature come per la piccola Gloria di ADORATION (stesso nome, coincidenza) che la portano ad essere al contempo affascinante come pure estremamente disturbata.
Ed è l'unica pecca di un film girato con la solita maestria e la forma nonchè la politica d'autore del regista che a livello di musiche, atmosfere, luci e tecnica dimostra come sempre la sua sofisticata maniera di costruire una scena e darle una molteplicità di valenze.

domenica 27 novembre 2022

Earwig


Titolo: Earwig
Regia: Lucile Hadžihalilović
Anno: 2021
Paese: Belgio
Giudizio: 5/5

Da qualche parte in Europa, metà del ventesimo secolo. Il cinquantenne Albert deve badare Mia che di anni ne ha dieci. Il compito più importante è occuparsi della dentiera di ghiaccio che deve essere cambiata più volte al giorno. Vivono da soli in un grande appartamento: le persiane sono sempre chiuse, Mia non esce mai e la giornata scorre secondo un rituale immutabile. Ogni settimana, il telefono suona e una voce maschile interroga Albert sulla salute della ragazza. Ogni settimana Albert risponde con le stesse risposte, finché un giorno quella voce comunica ad Albert che dovrà portare la ragazza a Parigi. Devastato, il mondo di Albert si sgretola lentamente.
 
Earwig non è altro che la constatazione di un talento indiscusso per una regista del cinema di genere tra le più importanti di sempre. Con tre film in due decenni, Lucile Hadžihalilović, dimostra a mio modo di riuscire ad essere molto più enigmatica e disturbante della cinematografia del marito, un Gaspar Noè ormai da anni eccessivamente quotato da critica e pubblico. Lucille ha una dote certa che la consacra come una sorta di strega post contemporanea. Da un lato il suo riuscire a creare un cinema ipnotico, poetico, suggestivo, enigmatico, viscerale, criptico, ammaliante, disturbante ma soprattutto esoterico e poi quello di avere una grazia e un'eleganza che sembrano riportare le sue opere a dei quadri del passato dove la stessa scansione del tempo avviene in maniera inquietante come se fosse parte di un gioco in cui solo lei conosce i segreti e gli ingranaggi divertendosi a giocare con il pubblico.
Lucile condivide una sua personale idea di politica d'autrice come altri outsider della sua generazione, ad esempio Ben Weathley, ovvero come spesso accade nelle loro interviste amare il non detto e il non spiegato i quali acquistano un valore e risaltano più che mai in particolar modo nei finali aperti che spesso e volentieri mandano a male quel pubblico che vuole avere sempre tutto sotto controllo.
In questo caso poi la scena che chiude, il climax finale del film, è una delle scene più disturbanti, crudeli e cannibali ma allo stesso tempo romantiche che si siano mai viste nella settima arte.
Da considerare ancora un ruolo come sempre fondamentale nel cinema dell'autrice ovvero il suono, una colonna sonora minimale che amplifica il disagio in scena tutto scandito da poche note di campane, qualche scricchiolio, ticchettii, dove nei primi due atti non ci sono praticamente dialoghi e dove solo nel terzo atto nell'apertura esterna tra Celeste e Lawrence, il film oserà rivelarci qualcosa. In ultimo alcune scene sono davvero ammalianti per come nella ricerca estetica riescano ad imprimersi con così tanta forza, una su tutte quella del quadro dove vede Albert nella stanza chiusa e buia cercare dettagli con un accendino che sbuffa qualche sprazzo di luce e dove dal suo sguardo e nei particolari sembra nascondersi una molteplicità di significati.

domenica 18 aprile 2021

Hunted


Titolo: Hunted
Regia: Vincent Paronnaud
Anno: 2020
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

Eve incontra in un bar quello che reputa un ragazzo affascinante. Le cose per lei si complicano quando realizza di avere in realtà di fronte uno psicopatico che ha anche un complice. I due la inseguono con pessime intenzioni ma Eve non si arrende: la foresta sarà la sua sola alleata per la salvezza.
 
Hunted è un film divertente e malato, assolutamente folle, malsano e spassoso che modella i canoni tipici del revenge movie in chiave femminile e il rape & revenge, infilando alcuni aspetti decisamente funzionali e degli intenti da parte degli antagonisti folli e allo stesso tempo spassosi.
Un continuo deragliare partendo da edifici anonimi, ad un bosco coloratissimo, ad un loft di lusso e altro ancora. Hunted è una caccia che non smette mai di correre alternando continuamente il ruolo di vittime e carnefici, regalando una battaglia furiosa, dei personaggi volutamente esagerati ma mai troppo sopra le righe e trovando delle ghigne come quelle di Arieh Worthalter assolutamente incredibili. Una sorta di famelico lupo assettato di donne, di rabbia omicida, di non saper gestire nemmeno l'abc del codice criminale con il suo socio che a dispetto suo è un complessato fantoccio anonimo con la faccia da stupratore seriale.
E poi c'è lei Lucie Debay fantastica nel distruggere una personalità per crearne un'altra, liberare il demone che alberga in lei frustrato da un lavoro spossante e da un capo idiota che la manda di cantiere in cantiere per raggiungere la ciliegina finendo per essere beffata da uno psicopatico di cui si era fidata dopo qualche bicchiere di troppo.
Un film che di fatto non aggiunge nulla di che al genere e alla struttura ma trovando e azzeccando un ritmo fenomenale, lasciandosi guadare senza un attimo di tregua risultando micidiale nelle scene di violenza o quando lei decide di seguire i due psicopatici accettando di salire sulla loro macchina. Proprio in quella scena il cambiamento repentino di Arieh poteva lasciare presagire qualcosa di una violenza indicibile o volutamente in direzione torture mentre il film saggiamente sceglie deliberatamente un'altra strada.
Senza contare poi alcuni personaggi secondari come madre/figlio in mezzo al bosco come survivalist o la guardia che pensa di essere un maestro di arti marziali e tutto il finale nel loft di lusso senza farsi mancare un cane che fino alla fine non molla la presa del nemico.


lunedì 20 luglio 2020

Yummy


Titolo: Yummy
Regia: Lars Damoiseaux
Anno: 2019
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

Una giovane coppia si reca in un malandato ospedale nell'Europa dell'Est per un intervento di chirurgia plastica a basso costo. La ragazza desidera ridursi il seno nello stesso posto in cui la madre si sottoporrà all'ennesimo lifting. Ritrovandosi in un reparto abbandonato, il fidanzato si imbatte in una ragazza, imbavagliata e legata a un tavolo operatorio. Si è appena sottoposta a un trattamento sperimentale di ringiovanimento ed egli la libera, inconsapevole di aver dato via libera a un virus che trasformerà medici, pazienti e suocera in zombie assetati di sangue.

Dal Belgio un horror sugli zombie pieno di ironia e scene divertenti. Damoiseaux sfrutta soprattutto nell'idea una formula abbastanza astuta e di certo funzionale nel mischiare grottesco, scene di sesso, nudi, operazioni per farsi allungare il pene o accorciare il seno con la voglia poi per alcune milf di rimanere sempre giovani. Dosando splatter e dialoghi ai limiti del ridicolo, in alcuni casi, ci si diverte molto con questo film che solo nel terzo atto risulta monotono anche se il climax finale fa crollare qualsiasi happy ending.
Zombie, piccole creature da laboratorio, il sosia si Gosling. Yummy è stato definito come "un'orgia di sangue, violenza e divertimento", sfruttando i soliti clichè e stereotipi del genere per regalare ritmo e forte intrattenimento sfruttando il pretesto dello zombie come formula avariata per un esperimento al fine di ringiovanire i pazienti. Le scene esilaranti comunque ci sono e per fortuna non sono poche come l'uomo a cui prende fuoco il cazzo o via dicendo fino a un'epidemia finale che dalle fogne e nonostante l'intervento dell'esercito sembra propagarsi in tutto il mondo.

sabato 8 giugno 2019

Proprietà privata


Titolo: Proprietà privata

Regia: Joachim LaFosse
Anno: 2006
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

Thierry e François sono gemelli eterozigoti e vivono in un vecchio casale di campagna con la madre Pascale, separata e animosa col padre risposato dei suoi figli. Madre e figli sembrano convivere serenamente fino a quando Pascale, innamoratasi del vicino di casa, decide di mettere in vendita l'immobile e andare a vivere con lui. Thierry, fortemente contrariato, ostacola la relazione della madre e la sua balzana intenzione di vendere. Frustrata e incapace di sostenere le pressioni del figlio, Pascale parte. In sua assenza la situazione familiare esplode e Thierry e François finiranno col farsi male.

LaFosse è un regista belga impegnato di quelli che amano buttarsi su storie sul sociale.
Drammi che parlino di crisi economiche, coppie a pezzi, insomma uno a cui piace osservare e monitorare i fatti sociali che più ci rappresentano in questa società capitalista.
Proprietà privata è un ottimo esordio con un cast importante che sigla parte dei risultati funzionali della pellicola (la Huppert è sinonimo di garanzia oltre ad essere una delle attrici più dotate di sempre) tessendo apparentemente un nucleo familiare nemmeno così distante dalla realtà, anzi, ma tagliandone il cordone ombelicale (la madre) per vedere fino a che punto è possibile una comunione. Egoismi familiari, conflitti, l'importanza di avere un nucleo familiare compatto e almeno un genitore di riferimento, la vitale ribellione al soffocante giogo materno e sociale e per finire un matrimonio a pezzi.
C'è tanta carne al fuoco nell'esordio del regista che riesce a sistemare tutto in modo preciso, perdendo solo qualche volta di vista l'obbiettivo per rincorrere alcune sotto trame ma rimanendo sempre fedele agli intenti di base.
E'un buon cinema il suo che tenderà a maturare col tempo fino ad arrivare a drammi contemporanei meno complessi come temi portati alla luce ma ancora più lucidi nella loro analisi come l'ottimo film passato in sordina Economie du Cople




lunedì 22 aprile 2019

Lenny to the nines


Titolo: Lenny to the nines
Regia: Jeremy Puffet
Anno: 2018
Paese: Belgio
Festival: Torino Underground Cinefest
Giudizio: 3/5

Quando lungo il suo cammino Lenny incrocia qualcuno vestito con una divisa o un costume, viene sopraffatto da un desiderio irresistibile di urinare, ma vi è una pulsione ancora più grande e più difficile da reprimere: la necessità di appropriarsi dell’identità delle persone incontrate.

Con 15.000 di budget, Puffet tira fuori questo viaggio on the road con un ritmo incredibile.
Lenny qualsiasi cosa incrocia, madre/figlia, commesse, poliziotti o altro, ha questa profonda ossessione compulsiva di dover entrare nel personaggio, scappando subito dopo aver pisciato per far perdere le tracce (la scena con la divisa da poliziotto le batte tutte).
Con una fotografia coloratissima, un montaggio scoppiettante e tanta ironia grottesca, lasciando da parte il non sense, in 16 minuti non sembra mancare davvero nulla fino ad un finale esplosivo che non poteva che chiudere nell'unico modo possibile una vicenda destinata ad arrestare il giovane biondo protagonista nella sua corsa contro il tempo.

mercoledì 6 febbraio 2019

Panico al villaggio


Titolo: Panico al villaggio
Regia: Stephane Aubier
Anno: 2009
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

C'era una volta, in un villaggio di nome Villaggio, un cavallo di nome Cavallo, che viveva con un cow-boy di nome Cow-boy e un indiano di nome Indiano. È il 21 giugno, il compleanno di Cavallo, e i suoi due compari pensano bene di ordinare 50 mattoni per costruirgli un barbecue. Peccato che, tra un gioco e una distrazione, l'ordine on line parta pieno di zeri e il Villaggio si ritrovi invaso da 50 milioni di mattoni, che fanno particolarmente gola a dei piccoli, imprendibili ladri notturni.

Panico al villaggio è una bella metafora della nostra società.
Folle e schizzato come i belgi spesso sanno essere, riesce pur sfruttando una tecnica d'animazione in stop-motion abbastanza desueta, ad avere un ritmo e una storia che assieme ai personaggi colpiscono per la loro linearità, caratterizzazione, scelte insolite, un ritmo sbalorditivo e una messa in scena che riesce a cogliere quei dettagli importanti per rafforzare la narrazione e l'impatto visivo che rimane un'esperienza visiva, prima di tutto, molto interessante.
Grazie anche ad un ottimo doppiaggio dove aiutano i cugini di SOUTHPARK, Panico al villaggio sembra partire in sordina per poi allargarsi al di là della porzione di spazio dove vivono ancorati i tre protagonisti.
Un'ambientazione per alcuni aspetti misteriosa dove i bambini non esistono, gli animali parlano, e gli esseri umani invece sembrano tornati alla fanciullezza a differenza degli animali più maturi e rigidi nelle scelte che si comportano quasi da genitori.
La casualità è il fattore di forza e che allo stesso tempo lascia inermi di fronte ad un ritmo dove tutto può succedere in qualsiasi momento e senza dover avere una causa o un nesso.
Un ritmo e una potenza inesauribile rischiano a volte di lasciare spiazzati, soprattutto per come dicevo in quanto non essendoci coordinate, al di là di qualche frase di Cavallo, il vero protagonista, a volte si fa fatica a comprendere gli intenti dei registi.
Altrimenti sembra regnare una sorta di anarchia democraticamente accettata.


giovedì 13 settembre 2018

Fidele


Titolo: Fidele
Regia: Michael R.Roskam
Anno: 2017
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

Bénédicte, detta Bibi, è pilota di macchina da corsa. Quando Gino, detto Gigi, la incontra per caso, è amore a prima vista. Bibi ha una carriera e una famiglia, Gigi ha solo un grande segreto, che rischia di divorare entrambi. Fedeli al loro amore, i due andranno incontro ad un destino difficile.

Gigi e Bibi.
Voglio troppo bene al cinema di Roskam e al suo attore feticcio, Schoenaerts , per maltrattare questo pasticciato e confuso film che regala però dei momenti molto intensi e potenti che non possono mancare in un polar.
Estremo verso il finale forse esageratamente allucinato nella sua idea di raggiungere l'utopico e irraggiungibile fantasma dell'amore assoluto (l'ultima scena è quasi folle) Fidelè che da noi finalmente è arrivato anche nei cinema è un toccante ma incongruente ed eccessivo mix tra polar, noir, gangster movie, love story e adrenalinica corsa tra macchine, cani e umani.
Un film che apparentemenete ha una trama molto flebile dove però Roskam sembra inserire di tutto fino a farlo diventare straripante procedendo per accumulo ma allo stesso tempo riuscendo sempre ad avere una sua alchimia e un'armonia seppur negli eccessi che non mancano.
Un film con tante e brusche ellissi temporali che si sposta da una corsa a delle ville fatiscenti fino a delle celle minuscole o addirittura gabbie dove venir confinati.
Dal macro al micro. Tutto è così come nel cinema del regista belga.
Il merito più grosso che altrimenti avrebbe decretato un mezzo fallimento è quello dell'alchimia tra i due attori dove entrambi hanno uno spessore psicologico importante nonostante i loro segreti ci vengano rivelati fin da subito e conferisce soprattutto a Bibi un personaggio molto complesso che dopo essere stata presentata come forte e indipendente pilota finisce per diventare una sorta di martire dell’inguaribile e rovinoso stile di vita del suo Gigi, annullando la propria personalità per la salvaguardia di un amore tragicamente impossibile, sul quale la sceneggiatura fa piovere ogni sciagura possibile e immaginabile.


lunedì 3 settembre 2018

Vampires(2010)


Titolo: Vampires
Regia: Vincent Lannoo
Anno: 2010
Paese: Belgio
Giudizio: 4/5

Le prime due troupe che hanno tentato di fare questo documentario sono scomparse, racconta il regista. Ma la terza ce la fa: entra nella casa dei Saint-Germain, la famiglia belga di vampiri che ha accettato di raccontarsi davanti alle telecamere, intervista i loro amici e i vicini, registra le crisi tra genitori e figli.

Vampires è quella chicca che non ti aspetti. Un'opera che non deve essere passata inosservata al mockumentary di Waititi What we do in the shadows.
Sono davvero tanti gli elementi in comune. Il mockumentary di Lannoo purtroppo senza aver ancora trovato una distribuzione, è qualcosa di innovativo, un documentario che non perde mai la sua forza riuscendo in maniera straordinaria a dire ancora tante cose originali sui signori della notte, fondendo l'orrore quotidiano e le risate con un'atmosfera che diventa sempre più inquietante.
Tra le comunità mondiali, quella belga si distingue per la grande nobiltà dei suoi elementi, famiglie di un certo prestigio, come i Saint-Germain; George, il capofamiglia, Bertha, la devota moglie, e i due figli, Samson e Grace, quest'ultima in piena crisi adolescenziale, visto che si veste ostinatamente di rosa, con la speranza un giorno di ridiventare umana. Di questo allegro gruppo familiare fanno parte anche "la carne", una giovane prostituta che ogni giorno rifornisce di sangue gli abitanti della villa, e due inquilini per nulla amati, relegati per questo in cantina, Elisabeth e Bienvenu, appartenente ad una nobile casata di succhia sangue la prima, ex aiutante di Louis Pasteur il secondo, i quali sembrano vivere ancora più all'estremo se pensiamo a Elizabeth che vorrebbe avere figli ma li divora appena nascono o alla passione di Bienvenu per i bambini.
La vita di tutti viene sconvolta quando Georges commissiona ad un canale televisivo nazionale un documentario che dovrebbe aiutare il pubblico a comprendere meglio chi siano in realtà quelle creature così strane. Dopo due tentativi falliti (i giornalisti sono stati tutti sbranati), il terzo sembra funzionare. La telecamera della troupe tv entra nei meandri di questa società basata su regole ferree, impartite da un leader supremo che è un bambino di otto anni, vampirizzato secoli prima, e svela particolari sconosciuti ai più, assistendo a crisi di nervi o a confessioni incredibili quando un amico della famiglia sostiene di essere uno dei membri del gruppo The Doors.
Chi alla fine, tra vampiri e uomini, abbia davvero compreso qualcosa dell'altro è tutto da vedere.
I Saint German amano il sangue umano, non si fanno problemi ad uccidere i bambini o gli handicappati, sono promiscui, incestuosi, il figlio va spesso con la madre mentre la figlia che vuole diventare umana si porta il ragazzo nella bara e perlopiù ninfomani fino a che non vengono violate delle leggi che i vampiri devono rispettare e allora succede l'irreparabile.
Sotto questa superficie di apparente leggerezza, che permette di sdrammatizzare anche i momenti più sanguinolenti (la cena in una casa di vampiri non è esattamente un galà), si allude, infatti, anche a tematiche profonde e profondamente disturbanti senza negare una certa preferenza in campo culinario (sono stufi di mangiare i tipi di colore che tanto non verrà mai a cercare nessuno).

Un film che solo verso la fine quando il nucleo viene mandato in Canada dove addirittura vampiri e umani sembrano collaborare per via di una certa politica democratica e infatti alcune azioni sembrano susseguirsi dando l'idea di aver perso con la loro casa anche una parte d'anima dell'opera.

giovedì 26 aprile 2018

Fifo


Titolo: Fifo
Regia: Sacha Ferbus
Anno: 2017
Paese: Belgio
Festival: Torino Underground Cinefest 5°edizione
Giudizio: 4/5

Fifo è una tecnica espositiva utilizzata nei supermercati. Stephan deve posizionare i prodotti più freschi dietro quelli più vecchi, mentre quelli prossimi alla data di scadenza devono essere eliminati. Nel percorso per raggiungere i bidoni nello scantinato, Stephan deve fare i conti con chi potrebbe trarre benefici da questi prodotti ma che è però escluso dal sistema, oltre che confrontarsi con se stesso e con l'uomo che era prima di questo lavoro.

Il fatto che al giorno d'oggi sempre più supermercati di grosse catene adottino sistemi per tutelarsi e cercare di dare un messaggio chiaro e forte che non prevede nulla in termini di restituzione la dice lunga su come il consumismo stia andando avanti. Cosa fare dunque con i prodotti che vanno in scadenza quando non vanno resi al rappresentante?
Un paradosso per diversi aspetti.
Più produci e più scarti senza prendere in considerazione l'idea che lo scarto che butti potresti concederlo a chi non ha nulla da mangiare.
E' così è meglio versare litri e litri di candeggina sul cibo e fare l'interesse dell'azienda piuttosto che
schierarsi politicamente dalla parte del più debole come il commesso che all'inizio del corto viene licenziato perchè passava gli alimenti ai senza tetto anzichè buttarli.
Fifo è un corto attuale e molto importante. Ha una dimensione politica (il supermercato, la riunione della dirigente, i pareri dei commessi, la scelta del protagonista che accettando l'indeterminato accetta e sposa l'interesse della multinazionale), sociale, di marketing, etc.
Il lavoro di Ferbus merita di essere visto il più possibile, nelle scuole, dappertutto.
'12 di grande lezione su come il cinema e i cortometraggi possano servire e a volte fare la differenza.

domenica 22 aprile 2018

After Dawn


Titolo: After Dawn
Regia: Nicolas Graux
Anno: 2017
Paese: Belgio
Festival: Torino Underground Cinefest 5°edizione
Giudizio: 3/5

Pawel è assolutamente convinto che la separazione abbia completamente annullato i sentimenti verso il ragazzo di cui era innamorato. Tuttavia, quando trova un visitatore inaspettato ad attenderlo a casa in un pomeriggio piovoso, capirà che le cose non sono proprio come pensava.

Dal Belgio arriva questo interessante cortometraggio che strizza l'occhio a Xavier Nolan e Ang Lee.
Un corto intimista che rimane quasi sempre sotto le coperte mostrando il rapporto ossessivo compulsivo di questi due giovani adulti e il sesso che diventa il vero protagonista ancor più dei dialoghi. Scene forti che non si vedevano da tempo e poi quel gesto di Pawel, attirato dall'altro così come è spaventato di se stesso e di dover ammettere un omosessualità che ormai non può più nascondere a differenza del suo "compagno"molto più sereno e disinibito.
Quel gesto che richiama tutta una dieprata analisi di se stesso, della difficoltà a mostrarsi per quello che si è e infine il bisogno di dover e poter possedere l'altro.
Un corto per nulla banale ma anzi che trovo singolare, raffinato e spinto seppur senza mai cercare quel sensazionalismo d'effetto che non amo particolarmente ma invece qui è tutto dosato grazie anche ad un'atmosfera che si concentra sui loro respiri e su quegli sguardi immobili e bisognosi di risposte.


venerdì 5 gennaio 2018

Harpya

Titolo: Harpya
Regia: Raoul Servais
Anno: 1979
Paese: Belgio
Giudizio: 5/5

Un baffuto uomo sta camminando lungo una strada buia, quando sente le grida di una donna strangolata in una fontana. L'uomo mette fuori combattimento il suo assalitore, solo per scoprire che lei è in realtà un'arpia , un uccello bianco alato, più grande di un'aquila, con la testa e il seno (calvi) di una donna. Affascinato, l'uomo porta la bestia a casa sua per ripararla e nutrirla. Presto scopre l'insaziabile appetito di Arpia. L'Arpia mangia tutto il suo cibo, poi mangia il suo pappagallo e inizia a guardare il suo ospite con uno sguardo sinistro. Una notte, quando l'uomo tenta di fuggire, l'Arpia lo travolge e mangia le sue gambe.

Ci troviamo di fronte ad un capolavoro assoluto. Un cortometraggio girato da un Servais dimenticato dal cinema che riesce a infondere in quest'importantissimo lavoro atmosfere di un horror cupo con un tono grottesco ma al contempo umoristico e scanzonato.
Bellissima l'atmosfera da incubo bislacco che Servais riesce a creare calando gli attori in scenografie disegnate e lugubramente colorate. Il finale è ampiamente prevedibile, ma l'insieme del corto è davvero ammirevole non solo per il tocco pittorico ma anche per l'ottimo soundtrack, la recitazione, la messa in scena e l'atmosfera che grazie a degli sfondi straordinari riesce sempre a fare effetto.
L'Arpia poi è una creatura con viso di donna, ma con il mostruoso corpo di un uccello. Un viso che pare dolce, ma soltanto a chi - perché s'inganna - non percepisce la freddezza del suo sguardo, il gelo della sua inespressività, l'abisso vorace dei suoi occhi vuoti e scuri. L'Arpia è una metafora del rapporto psicologico "Infermiere-Malato", in virtù del quale alcune persone buone, ma deboli, danno tutto il proprio animo per soccorrere amanti o amici sbagliati, che non guariranno né cambieranno mai, dai quali anzi verranno trascinati nello stesso baratro.
Incubi (arpie maschi) o Succubi (arpie femmine), che, obbedendo ad una propria natura ferina che nulla ha di umano, spremono l'anima delle persone che hanno accanto, insensibili ed incuranti del danno che arrecano. "Vampiri energetici", come vengono chiamati al giorno d'oggi.
L'Arpia odia la vita, averla vicino porta a vivere con paura e con disgusto. L'Arpia è affamata e divora impunemente ogni cosa: il pover'uomo del cortometraggio non potrà più mangiare, nemmeno di nascosto, perché la creatura lo scoverà e divorerà il suo cibo con la voracità di una bestia affamata (fantastici i primi piani dell'Arpia che mangia con foga).
L'Arpia gli divorerà persino le gambe, per impedirgli di fuggire. Ma, soprattutto, per renderlo simile a lei: un mostro appollaiato sul proprio trespolo, la cui vita si riduce a fissare in eterno la propria mostruosa compagna.



martedì 5 dicembre 2017

Follow Me

Titolo: Follow Me
Regia: Anthony Schatteman
Anno: 2015
Paese: Belgio
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 3/5

Jasper, diciannovenne, cerca di affrontare il suo primo amore con i suoi sentimenti e le relative
conseguenze. Frammenti di una telefonata.

Corto a tematica queer sullla scoperta della sessualità di un giovane esordiente protagonista. I suoi incontri all'interno di un locale e gli intensi sguardi di ricerca di conferme da parte degli altri. Nel vuoto e nel calderone di uomini nudi, Jasper incontrerà il suo vero amore in un finale romantico e con una musica travolgente in grado di restituire pathos all'opera.
Un cortometraggio composto da luci calde, pochi dialoghi e i gesti e le fragilità dei suoi protagonisti


giovedì 15 giugno 2017

Ardenne

Titolo: Ardenne
Regia: Robin Pront
Anno: 2015
Paese: Belgio
Giudizio: 4/5

Dopo aver commesso un crimine, Dave scappa via con la fidanzata di suo fratello Kenny, Sylvie, mentre proprio Kenny viene arrestato e trascorre in prigione quattro anni. Quando Kenny torna libero, sforzandosi di restare sulla retta via, Dave e Sylvie vivono insieme ma lottano per mantenere segreta la loro relazione. Ben presto, il passato tornerà a bussare alle loro porto e, pur di fronte al diniego di Sylvie, Kenny non è disposto ad accettare che tra loro due sia finita.

A volte alcuni film soprattutto indipendenti insegnano che basta poco per lasciare il segno.
Ardenne, titolo che attendevo da molto tempo, finalmente è riuscito ad arrivare anche da noi per fortuna ancora senza doppiaggio ( almeno per ora).
Il film di Pront fin da subito non nasconde le sue fonti d'ispirazione che per quanto ci siano all'interno del film, riescono comunque a dare l'idea di uno stile e una ricerca nuova di una forma di cinema autoriale anche se non ancora completa dal punto di vista della messa in scena e della difficoltà ad avere sempre la massima coerenza all'interno degli sviluppi e degli intrecci narrativi.
Una faida familiare, un segreto che non può non portare ad una tragedia (qui i rimandi shakespiriani non si risparmiano) e una piccola galleria di personaggi che riescono subito a creare una perfetta empatia con il pubblico. Belgio, ma più precisamente Le Fiandre e l'Anversa, un luogo cupo e inospitale, un insieme di location tutta grigia e industriale tra pioggia e buio perenne.
Tutto questo, ovviamente nei territori cari al regista, servono per dare subito prova di come Pront conosca benissimo quell'hinterland culturale e il lavoro sui personaggi diventa quasi naturale.
Il pessimismo e l'immobilità di questa cittadina fiamminga porta subito alla paralisi di una cittadina che distrugge ogni tipo di prospettiva portando a enormi problemi legati alla delinquenza ma soprattutto alla tossicodipendenza.
"Il mio film è profondamente legato al territorio, altrimenti non girerei un lavoro di questo tipo. I miei personaggi sono più che reali, ogni giorno apro le pagine dei giornali in Belgio e trovo storie ancor più folli".
Storie quasi reali di vita che spesso e volentieri spaventano ancora di più perchè ci toccano nel profondo.
Il finale di Ardenne è così tragico che mette insieme il pulp tarantiniano e il grottesco dei Coen con una marcia in più.
Senza dimenticare un cast misuratissimo e dei dialoghi che in alcuni momenti lasciano alla deriva sull'impossibilità di poter cambiare vita e intenti ma magari cercando solo di rifarsi una vita e redimersi.
In alcuni casi questa possibilità l'ambiente non sembra proprio permetterlo e Ardenne sembra tastare questo terreno.




domenica 19 febbraio 2017

Ragazza senza nome





















Titolo: Ragazza senza nome
Regia: Dardenne
Anno: 2016
Paese: Belgio
Giudizio: 4/5

Jenny Davin è una giovane dottoressa molto stimata al punto che un importante ospedale ha deciso di offrirle un incarico di rilievo. Intanto conduce il suo ambulatorio di medico condotto dove va a fare pratica Julien, uno studente in medicina. Una sera, un'ora dopo la chiusura, qualcuno suona al campanello e Jenny decide di non aprire. Il giorno dopo la polizia chiede di vedere la registrazione del video di sorveglianza dello studio perché una giovane donna è stata trovata morta nelle vicinanze. Si tratta di colei a cui Jenny non ha aperto la porta. Sul corpo non sono stati trovati documenti.

L'ennesima riprova di come il cinema belga sia in ottima salute. Pur non avendo una filmografia vasta come quella dei vicini francesi, rimane sempre ad un livello molto alto contando alcuni outsider come i fratelli Dardenne che non sbagliano mai un colpo.
Di nuovo un film sul sociale, in questo caso complesso, perchè abbiamo un morto, trattando una tematica attuale e scomoda. Per altri versi potremmo dire che invece tocca una tematica di cui non si fa altro che parlare, ma il duo belga concentra e trova il punto di forza sapendo insistere in un paese e un Europa così distante e assuefatta alla visione in tv dei corpi morti.
Sempre di corpi infatti parliamo. In questo caso di quelli dimenticati a cui non è importante dare una degna sepoltura dal momento che non si conosce la biografia di quell'individuo. La donna in questione è africana e la nostra protagonista incomincerà una dura battaglia per scoprire la verità anche a costo di perdere preziosi clienti dopo aver ottenuto un importante studio medico.
Potrebbe essere il tipico dramma con successiva indagine alla ERIN BROCKOVICH ma qui siamo in Europa e si preferisce dare un approfondimento meno commerciale e un taglio meno plateale e più complesso parlando di sensi di colpa e di quanto la morte di alcune persone possa pesare sulle nostre vite in modo inaspettato.
La responsabilità, il dolore per la liquidità con cui alcune persone vengono troppo velocemente dimenticate pone la matassa più critica e stratificata, difficile soprattutto nella gestione della galleria di personaggi che interagiranno con la protagonista e con cui i registi portano avanti la lotta di Jenny.
L'incidente scatenante poi è di una semplicità estrema, girato con due lire, a cui però si intersecano così tante giustificazioni da parte dei suoi collaboratori e soprattutto quando lo spettatore comprende cos'è successo, crea un effetto davvero di enorme impatto emotivo, dimostrando ancora una volta come l'escamotage non debba per forza essere costruito in modo sofisticato.
E'un film che fa emergere il contrasto e la battaglia interiore di Jenny che da un lato ha il compito di salvare le persone, mentre dall'altro chiede a chi lavora con lui, il dottorando mite e sensibile, di distaccarsi empaticamente da ciò che vede per non rimanere scioccato e commettere errori quando lui si giustifica dicendo "Sono stato sopraffatto dalle emozioni" rimanendo bloccato alla vista di una crisi epilettica di un bambino.
Il cinema dei Dardenne offre sempre dei personaggi che lottano per qualcosa, per cambiare le sorti di una società egoista per indagare i tumori contemporanei e offrirne un'esamina multi sfaccettata e completa come la risposta del medico anziano che lascia lo studio a Jenny e che la difende essendo un medico dalla responsabilità "Era tardi non è colpa tua se non hai risposto". Ancora una volta un film incredibile che lascia storditi per la rabbia che suscita e al contempo per la speranza che personaggi come quello di Jenny continuino ad esistere mantenendo forza, coraggio, professionalità e speranza in ciò che fanno "non è morto se continua ad agire nel nostro pensiero" .

In più a riprova dell'impianto perfetto di sceneggiatura ci tengo ad analizzare un ultimo passaggio, ad esempio nel finale scopriamo chi è stato ad uccidere la donna ma ormai a noi non interessa più sapere chi ha ucciso e perchè. L'indagine e le domande e la sofferenza di Jenny è riuscita già a fare tutto il resto nel corso del film ponendoci domande e facendoci riflettere sul peso delle responsabilità. "L'assassino" si trova con le spalle al muro non certo per il lavoro della squadra investigativa ma per i sensi di colpa e la sensibilità con cui Jenny non si da pace per dare degna sepoltura alla vittima.

martedì 17 gennaio 2017

L’étrange couleur des larmes de ton corps

Titolo: L’étrange couleur des larmes de ton corps
Regia: Helene Cattet
Anno: 2013
Paese: Belgio
Giudizio: 4/5

Una donna scompare. Il marito indaga sulle circostanze della sua sparizione…

All'apparenza leggendo questa sorta di log-line sembrerebbe la storia e la struttura narrativa più semplice del mondo. Però stiamo parlando del duo Cattet/Forzani, due nomi che forse ai più non diranno molto, ma che nel cinema indipendente e sperimentale hanno un certo peso dopo AMER.
Film particolarissimo con atmosfere e stili di regia complessi e in disuso. Una galleria di citazioni che faranno godere gli amanti del neo-gotico italiano e dei vari Fulci e Argento.
L'indagine che fa da sfondo in questo thriller psichedelico è assurda quanto impossibile da decifrare del tutto e ancor più da raccontare. Il viaggio allucinato all'interno di questo palazzo, l'inferno, dove personaggi si alternano in un vortice sempre più angosciante e stralunato, sembra uscire dalle menti e dagli incubi malati di Polanski e Lynch. Sicuramente L’étrange couleur des larmes de ton corps ha una sorta di orizzonte più lineare rispetto alla pellicola precedente, infatti pur non negando la narrativa classica, ci riporta continuamente in un mondo surreale e straniante concentrato quasi del tutto sull’aspetto visivo, la fotografia, i frame particolareggiati e il montaggio.
Il problema è quando si inizia a mettere assieme i pezzi dopo un ora abbondante, in cui cominci, preso dal fascino delle inquadrature, a non capire più nulla di chi è l'assassino, dei dubbi dell'investigatore e della tenacia del marito.
Alla fine quello che lo spettatore si domanda rapito dalle immagini e proprio l'interesse a sapere chi è il colpevole, a svelare le trame del rapimento o del delitto. L'incidente scatenante comunque ricorda tantissimo il primo racconto poliziesco di Edgar Allan Poe "I delitti della Rue Morge" che al tempo fu una novità assoluta per tempi, modi e idee. E sì perchè come nel racconto del maestro del brivido, anche lì l'appartamento era chiuso dall'interno creando immediatamente un'ambientazione e un interrogativo di immediato interesse.



giovedì 21 aprile 2016

Pulsar

Titolo: Pulsar
Regia: Alex Stockman
Anno: 2010
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

Samuel vive a Bruxelles, dove esegue consegne di prodotti farmaceutici. La sua ragazza, Mireille, parte per assolvere uno stage a New York, in un prestigioso studio di architettura. Poco dopo la sua partenza, il computer di Sam viene preso di mira da un hacker. Tutti i tentativi per proteggere la sua rete wireless falliscono, l'hacker misterioso sembra intenzionato a mandare a rotoli la sua vita e la sua relazione con la bella Mireille. Scatta la mania persecutoria. Sam comincia a sospettare di tutti i vicini, le onde WiFi diventano la sua ossessione... Amore, paranoia e una coppia di innamorati divisi da un oceano e persi nella rete.

Il film di Stockman è un indie di pregevole fattura che si occupa di parlare di un problema noto a tutti ma che il cinema ha mostrato poco.
Il mondo della rete può fare paura e costringere a sviluppare una lenta paranoia e angoscia che può arrivare a chiuderti tra le quattro mura di casa.
I pericoli della rete come l’attacco degli hacker, le invasioni della privacy, sono ancora più terribili per il semplice fatto che non si sa chi sia il nemico o colui che sta agendo contro di noi.
Samuel cerca di mantenere la calma e il sangue freddo ma quando i messaggi rivolti a Mireille cominciano ad essere inopportuni e volgari, Samuel prenderà una decisione.

Pulsar è molto attuale e tratta un problema che potrebbe capitare a chiunque in quest'epoca post-contemporanea super hi-tech in cui si rimane incollati agli schermi senza guardare in faccia chi si ha di fronte. Ed è anche una bella prova di regia che senza spettacolizzare la materia e i contenuti riesce in modo moderato e minimale a creare lo stesso effetto claustrofobico dentro le mura di casa e sfruttando pochi elementi in modo più che mai funzionale.