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mercoledì 14 marzo 2012

E ora parliamo di Kevin


Titolo: E ora parliamo di Kevin
Regia: Lynne Ramsay
Anno: 2011
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Eva Khatchadourian, una donna armeno-americana, ha messo da parte tutte le sue ambizioni professionali per mettere al mondo un figlio, lasciando la città per vivere in provincia. Dalla nascita di Kevin la sua vita cambia radicalmente, e tra madre e figlio nasce subito un rapporto conflittuale. Mentre con il padre, Kevin si dimostra un bambino tranquillo, con la madre continua a piangere, passando dal provocatorio mutismo infantile fino alla ribellione adolescenziale agli ordini della madre. Non ancora sedicenne, Kevin compie una strage scolastica, con il suo arco, la sua grande passione. Mentre Kevin è in carcere, Eva è costretta ad abbandonare il suo quartiere, passando gli anni seguenti nel senso di colpa, interrogandosi sulle proprie responsabilità.

Quando una donna deve provare a motivare le cause di una dilaniante e straziante violenza causata da quello che secondo lei appare come un senso di colpa, allora diventa fondamentale la catarsi dell’attrice. Tilda Swinton, vergognoso il fatto che non abbia vinto niente, riesce a regalare un’interpretazione magistrale come da anni non si vedeva su grande schermo.
La ragione della perfetta mistura tra il soggetto (tratto dal controverso romanzo della Lionel Shriver), la sceneggiatura e la regia fanno sì che il terzo film della Ramsay diventi uno dei più reali drammi sociali di questi tempi.
Possiamo definirla su un altro piano come una discesa negli inferi di una famiglia borghese, nota in cui negli ultimi anni non pochi registi si sono apprestati a sondare. Un dramma psicologico in piena regola scandito da un montaggio funzionale quanto spiazzante.
Disperato,realistico,onirico,disturbato,Ramsay cerca di trovare le cause che dilaniano la psiche della protagonista-madre nei confronti del carnefice-figlio. A questo proposito il conflitto tra le due parti, se così possiamo chiamarlo, si svolge prima nell’isolamento della casa in cui vive la famiglia per poi spostarsi nel carcere.
Ramsay sembra voler a tutti i costi esasperare il dramma anche con gli strumenti tecnici e infatti la fotografia di Seamus McGarvey diventa potente ed esplosiva sottolineando ogni particolare e ingigantendo ogni ruga e ogni smorfia di Eva. Dalla festa iniziale, il rosso assume una sorta di monito e campanello d’allarme per la tragedia imminente. Il sangue, il pomodoro, la marmellata, la vernice, tutto ritorna e si mescola come lo strano e contorto rapporto che Kevin sviluppa nei confronti della madre.
Alcune scene sono inquietanti quanto indimenticabili.
La sofferenza diventa la deriva su cui viene tracciato il dramma e la speranza infine propone una strada anomala ma incoraggiante.
Cosa deve fare una madre quando si trova a dover fare i conti con un figlio che senza aver problemi o ritardi cognitivi mostra semplicemente una biologica propensione per la violenza?