Titolo: Macchine che distrussero Parigi
Regia: Peter Weir
Anno: 1974
Paese: Australia
Giudizio: 4/5
Arthur e suo fratello George stanno guidando attraverso la campagna australiana una notte, quando improvvisamente un potente fascio di luci di un'altra auto li costringe fuori strada. George muore nello schianto, ma Arthur sopravvive e si risveglia in un ospedale della cittadina di Paris/Parigi, una città che, come egli scopre, vive grazie a quello che può essere ricavato da provocati incidenti stradali - comprese le persone ...
Weir è uno dei miei registi preferiti in primis per aver diretto uno dei miei film cult preferiti Picnic ad Hanging Rock un film ancora ad oggi in grado di lasciarmi basito di fronte a cotanto stupore. Un film in cui il cambio del finale divenne come per altre opere un elemento in grado di creare ancora più suspance e mistero in un finale aperto tra i più belli che il cinema ricordi.
Il suo primo lungometraggio non poteva essere che un film assolutamente fuori dalle righe, un Ozploitation di quelli che oggi non vediamo più, un racconto grottesco di neo-cannibalismo industriale.
L'Australia ancora una volta inquadrata nel suo degrado. Distante dal cult Wake in fright, il film è un sapiente cocktail di generi dall'horror alla fantascienza fino alla commedia e il western urbano. Un film appassionante con una miriade di spunti e di elementi che torneranno nel cinema del maestro australiano dalla sfiducia nel progresso tecnologico, l'impulso sovversivo della gioventù e infine il legame misterico tra Natura e Cultura.
Un protagonista mite e inquieto che rischia di diventare un membro di una congrega di svitati,
il medico che esegue esperimenti sulle vittime degli incidenti, trasformandoli in semi-vegetali, i giovani locali persi e alcolizzati che personalizzano le auto distrutte per creare dei veicoli con cui si aggirano per le strade.
E'un film importante, ambizioso, anarchico fino alla radice. Una versione horror del maggiolino tutto matto, un salto in avanti sulla macchina infernale, di nuovo l'outback australiano con i suoi bifolchi, la sua community freak alienata.
Un finale potente che scardina e distrugge tutto riportando ad un nuovo inizio o a una fine apocalittica dove tutti finiscono per perdere quel poco a cui rimanevano così attaccati e fedeli.
Visualizzazione post con etichetta 1974. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta 1974. Mostra tutti i post
domenica 29 settembre 2019
sabato 8 giugno 2019
Giustiziere della notte(1974)
Titolo: Giustiziere della notte(1974)
Regia: Michael Winner
Anno: 1974
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Paul Kersey è un architetto cui alcuni
balordi, penetrati nella sua abitazione, uccidono la moglie e
violentano la figlia. Nell'animo dell'uomo esploderà un furore
vendicativo che si rivolgerà verso chiunque ai suoi occhi
rappresenti un pericolo per la società. Prende l'abitudine di girare
armato in luoghi pericolosi e nel cuore della notte. Non gli è
difficile fare brutti incontri, che risolverà quasi sempre uccidendo
chi tenta di rapinarlo o importunarlo. La polizia è sulle sue
tracce, non per fini di giustizia, ma per una mal riposta
inaccettabilità del sovvertimento dei ruoli. Ma Paul Kersey riuscirà
a eludere il pericolo di essere arrestato e si trasferirà in
un'altra località, dove potrà proseguire la sua discutibile opera
di giustizia. Campione di incassi e di quella che viene definita la
maggioranza silenziosa.
Ci troviamo di fronte ad uno dei padri
del revenge movie.
La società americana attaccata tra le
proprie quattro mura in uno scenario che grida giustizia quando lo
Stato è debole, allora di fatto si auto proclama giudice e angelo
sterminatore.
Puzo scriveva che quando lo Stato è
debole viene aiutato dai cittadini e in tal modo nasce il fenomeno
mafioso. L'America ha origini diverse essendo nata sul sangue e vede
direttamente l'uomo qualunque a farsi giustizia.
Un'opera di denuncia sociale che
cominciava a scandagliare tutti quei temi poi abusati nel periodo
successivo come la violenza urbana, l'incapacità dello Stato di dare
una sicurezza ai propri cittadini, la giustizia sommaria privata.
Il film di Winner divenne una vera e
propria icona del genere superando il successo di tre anni prima CANE
DI PAGLIA, film ancora più assoluto nella sua esamina sul tema della
violenza e della giustizia.
Il film di Winner è una cupa storia di
vendetta che si rifaceva alle indagini dell'ispettore Callaghan e
dove come come accadeva per il capolavoro di Lang, M, i cittadini,
spronati dalle azioni del giustiziere, iniziano a far anche loro
qualcosa per difendersi dalla criminalità.
lunedì 1 maggio 2017
Gang dell'arancia meccanica
Titolo: Gang dell'arancia meccanica
Regia: Osman F.Seden
Anno: 1974
Paese: Turchia
Giudizio: 2/5
Tre psicopatici criminali vanno in giro
per Istanbul a uccidere e stuprare ragazze. Col fiato della polizia
sul collo, i tre irrompono in una villa e la occupano, sottoponendo
gli abitanti a ogni genere di cattiveria. Il padrone di casa è un
ricco medico con moglie e figlio piccolo a carico e comincia così
una serie inaudita di brutalità: l'uomo viene umiliato
ripetutamente, la donna picchiata e palpeggiata. Il bambino piccolo
inizialmente non capisce bene la situazione e prende tutto come un
gioco, ma quando i criminali lo affogano in piscina la mamma
impazzisce definitivamente. I tre finiranno in galera ma la pena che
riceveranno sarà breve e, all'uscita dal carcere, anche per loro ci
sarà una brutta sorpresa...
Purtroppo visionato in un'edizione
tagliata nel finale di almeno una quindicina di minuti, il film
maledetto di Seden rimane uno dei caposaldi del sotto genere horror
rape & revenge. Un titolo importante quasi quanto Spit
on you grave(1978) ovvero
quelle pellicole che hanno aperto le porta al tema anche se in questo
caso i riferimenti paiono più spingersi verso Craven e Kubrick.
A differenza del film del '78 di
Zarchi, il film di Sedem per fortuna gioca meno sulla tortura fisica
e sullo stupro per concentrarsi maggiormente sul lavoro di violenza
psicologica simile per certi versi al capolavoro che Haneke disegnerà
nel 97'..
Questa operetta qui sembra
semplicemente l'opera più sciocca senza concentrarsi sulla natura e
l'origine del male, ma mettendo in scena sevizie e soprusi del trio
ai danni del nucleo familiare.
In particolare per l'epoca ha fatto
discutere l'impiego del bambino nelle scene di violenza per arrivare
all'annegamento. Anche se nelle scene della piscina è chiaro che sia
un bambolotto, per l'anno di uscita una tale idea di violenza non era
ancora così abusata come oggi. I picchi comunque arrivano nella
scena madre e forse anche la più forte e lunga dell'intero film dove
la mamma del bambino viene presa a schiaffi per dieci minuti di
seguito, gettata a terra, fatta rialzare e colpita nuovamente
Il leader della band poi Savas Basar
con quel sorriso serafico riesce a dare davvero una grande prova
attoriale ricordando il Noe Hernandez di Tenemos
la carne.
"Cirkin dunya" il titolo
originale che in realtà dovrebbe suonare come "Mondo Cattivo"
è un home invasion con un ritmo forsennato che non si ferma mai,
senza smettere mai di gridare e di mostrare un certo compiacimento
tipico dei film anni ’70.
mercoledì 15 gennaio 2014
Terminal Island-L'isola dei dannati
Titolo: Terminal Island-L'isola dei dannati
Regia: Stephanie Rothman
Anno: 1974
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
In un prossimo futuro, il governo della California ha commutato la pena di morte - definitivamente abolita - con l'esilio perpetuo nell'isola di San Bruno. La colonia penale, conosciuta con il nome emblematico di "Terminal Island", non è sorvegliata dalla polizia poiché, da lì, un tentativo di fuga è impensabile, e i detenuti sono liberi di scegliere come organizzarsi, sia che decidano di orientarsi verso un modello di vita pacifico sia che preferiscano continuare a percorrere fino in fondo la strada della violenza. Nell'isola, inevitabilmente, regna la piú completa anarchia e il gruppo guidato dallo psicopatico Bobby Farr spadroneggia umiliando i rivali e schiavizzando le donne. L'arrivo sull'isola della giovane Carmen segna, però, l'inizio della rivolta da parte degli oppressi.
Regia: Stephanie Rothman
Anno: 1974
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
In un prossimo futuro, il governo della California ha commutato la pena di morte - definitivamente abolita - con l'esilio perpetuo nell'isola di San Bruno. La colonia penale, conosciuta con il nome emblematico di "Terminal Island", non è sorvegliata dalla polizia poiché, da lì, un tentativo di fuga è impensabile, e i detenuti sono liberi di scegliere come organizzarsi, sia che decidano di orientarsi verso un modello di vita pacifico sia che preferiscano continuare a percorrere fino in fondo la strada della violenza. Nell'isola, inevitabilmente, regna la piú completa anarchia e il gruppo guidato dallo psicopatico Bobby Farr spadroneggia umiliando i rivali e schiavizzando le donne. L'arrivo sull'isola della giovane Carmen segna, però, l'inizio della rivolta da parte degli oppressi.
Bisogna ammettere che sono divertenti questi film del filone women in prison sottogenere dell'exploitation anni '70 in cui fondamentalmente i registi e gli sceneggiatori avevano la possibilità di creare previsioni sul futuro come in questo caso un'isola/carcere dove i prigionieri sono liberi di uccidersi e di organizzarsi come vogliono.
Dal punto di vista del soggetto è decisamente originale contando che molti anni dopo uscì un fumetto giapponese chiamato BATTLE ROYALE che per alcuni aspetti sembra riprenderne l'idea modificando però la storia e il contesto e in più cercando di allargare la denuncia sul mondo civile che espelle i problemi dandogli più una connotazione sociologica e in particolare nel film emerge tutta un'importanza legata al potere e al controllo dell'incertezza.
I personaggi sono tutti bene o male caratterizzati in modo comunque funzionale per la storia e gli obbiettivi del film e a fare da sfondo durante lo svolgimento del film ci pensano delle solide musiche beat.
La donna qui è fondamentale per la rinascita e per cambiare la dittatura che si era imposta sull'isola, una afro-americana diventa la scelta perfetta analizzando quindi diverse sotto-storie, ma anche non risparmiando una certa idea maschilista di relegarla a serva o a cortigiana.
Un film che certo và visto rapportato all'anno di uscita e quindi con tutti i limiti sugli effetti speciali e anche sembra sul budget e purtroppo le scene che soffrono di più di questo fattore sono proprio i combattimenti e le scene di lotta e contando che in un film come questo non sono certo poche si fa fatica a digerirle.
Dal punto di vista del soggetto è decisamente originale contando che molti anni dopo uscì un fumetto giapponese chiamato BATTLE ROYALE che per alcuni aspetti sembra riprenderne l'idea modificando però la storia e il contesto e in più cercando di allargare la denuncia sul mondo civile che espelle i problemi dandogli più una connotazione sociologica e in particolare nel film emerge tutta un'importanza legata al potere e al controllo dell'incertezza.
I personaggi sono tutti bene o male caratterizzati in modo comunque funzionale per la storia e gli obbiettivi del film e a fare da sfondo durante lo svolgimento del film ci pensano delle solide musiche beat.
La donna qui è fondamentale per la rinascita e per cambiare la dittatura che si era imposta sull'isola, una afro-americana diventa la scelta perfetta analizzando quindi diverse sotto-storie, ma anche non risparmiando una certa idea maschilista di relegarla a serva o a cortigiana.
Un film che certo và visto rapportato all'anno di uscita e quindi con tutti i limiti sugli effetti speciali e anche sembra sul budget e purtroppo le scene che soffrono di più di questo fattore sono proprio i combattimenti e le scene di lotta e contando che in un film come questo non sono certo poche si fa fatica a digerirle.
sabato 4 agosto 2012
School of the Holy Beast
Titolo:
School of the Holy Beast
Regia: Norifumi
Suzuki
Anno: 1974
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5
La diciottenne Maya Takigawa, dopo essersi regalata un
ultimo momento di piacere, entra nel convento di St. Kuroashi, non perché
spinta da qualche tipo di vocazione spirituale ma semplicemente per venire a
conoscenza delle circostanze in cui morì sua madre, aspirante direttrice dello
stesso convento, e per sapere chi sia suo padre. All' interno del convento
troverà un mondo con delle sue regole, che se trasgredite porteranno a delle
inevitabili punizioni
E’ strano notare come Suzuki nel suo film abbia citato
tanto il cinema italiano addirittura mostrando la scena iniziale come puro
omaggio al nostro bel cinema dei tempi andati.
Il pinku Eiga non è certo tra i miei sotto-generi
preferiti ma il film di Suzuki è un’eccezione rara che esce fuori dagli schemi
portando alla luce una vicenda piuttosto anomala.
L’interno del monastero è scioccante mostrando
flagellazioni così come tutte le terribili punizioni corporali a cui la nuova
adepta viene sottoposta.
Ancora una volta il potere della religione su come mortificare
il corpo mostra il suo lato peggiore (in particolare il corpo femminile
portatore di peccato) e come sempre la morale assoluta che non accetta nessun compromesso
costituisce uno dei tasselli cardini della denuncia.
A metà tra il Sexyploitation e il Nunsploitation, Suzuki
crea un lavoro estetico niente male alzando il livello sulla qualità del
montaggio, della fotografia e della recitazione.
I rapporti saffici, il sadismo e la blasfemia sono
intriganti quanto il soggetto e la messa in scena che non deve rispettare
nessun target e nessuna ideologia di mercato sperimentando al massimo e osando
laddove sembrava quasi impossibile farlo.
Alcuni momenti sono davvero eclatanti per la denuncia che
si potrebbe fare a priori su cosa consente ai fanatici religiosi di poter fare
senza contare la dignità delle persone. Dall’interrogatorio e le botte con mazzi di rose spinose, il
prete che si porta a letto le sorelle, per arrivare fino alla scena super
blasfema che se ne fotte della censura e il resto e in cui una suora torturata
e immobilizzata viene obbligata ad urinare su un'immagine sacra sono alcuni tra
i passaggi più estremi.
E’interessante notare come tutto questo non sia
fantascienza ma il vanto integralista del Cristianesimo.
domenica 20 marzo 2011
Rabid Dogs
Titolo: Rabid Dogs
Regia: Mario Bava
Anno: 1974
Paese: Italia
Giudizio: 5/5
Giudizio: 5/5
Quattro uomini rapinano un portavalori e lo uccidono. Nella fuga uccidono altre persone e perdono un compagno. Rimangono così in tre, 32, Bisturi e il Dottore. Il primo è un gorilla senza troppo cervello che impazzisce appena vede un paio di tette. Bisturi sembra apparentemente tranquillo se non fosse per la voglia di affettare tutto con il suo coltello. L’ultimo, il dottore, dovrebbe essere la mente del gruppo.
I criminali prendono in ostaggio una donna e dopo un uomo che sta recando il suo piccolo in una clinica privata per curarlo. Almeno così sembra…
Il mio film preferito di Bava.
Un film devastante. Devastante è la tensione che ti accompagna dal primo minuto all’ultimo, nervosissimo e disturbante e il viaggio in cui ci condurranno i tre criminali che hanno la stoffa di essere dei veri e disperati cattivi.
Non ci sono sorprese superflue per i “buoni”. Viene bloccato ogni tentativo di far vincere il bene usando un buon meccanismo di semina e raccolta che spiazza molti tentativi di certezza per lo spettatore.
Fantastico il tentativo di Maria, l’ostaggio, di scappare verso un casolare in mezzo alla campagna. La ragazza riesce a raggiungere il luogo con 32 e Bisturi alle spalle ma…
In ultima analisi la recitazione azzeccatissima d’ogni attore, bravissimi i criminali ad esprimere disagio, frustrazione e rabbia.
Bava fa un lavoro eccellente sulle personalità di tutte le persone candidate a fare questo lungo viaggio verso la morte.
Ritmi veloci e primissimi piani hanno l’effetto di avvicinarti alla rabbia e pazzia che mostrano i protagonisti dal primo all’ultimo minuto.
Bellissimo, anche se non troppo originale, il colpo di scena finale.
Etichette:
1974,
Cult,
Drammatico,
Horror,
Italia,
Italiani,
Rabid Dogs,
Thriller,
Torture
Iscriviti a:
Post (Atom)