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lunedì 21 ottobre 2019

Golem

Titolo: Golem
Regia: Paz brothers
Anno: 2018
Paese: Israele
Giudizio: 3/5

In una piccola comunità ebrea del diciassettesimo secolo, una donna crea una spaventosa creatura per difendere il villaggio da un'ostica minaccia.

Film sul Golem ne sono stati fatti tanti nel corso degli anni. Quest'ultima rivisitazione andava quindi fatta? Sì. Perchè il film in questione rivisita la storia, la riscrive per certi aspetti, cambiando punti di vista, personaggi, ambienti. Il risultato è un'opera indie sconosciuta (o almeno lo era prima di Netflix che nel bene o nel male a qualcosa dunque è pur servito) con un budget risicato che riesce ancora una volta a descrivere molto bene il folklore locale, la leggenda, il sacrificio, assaporando il gusto per la tradizione, le usanze e le leggende ebraiche sempre molto affascinanti e in alcuni casi letali per il potere di riuscire ad auto infliggersi danni collaterali pazzeschi.
Il film apre le porte ad un piccolo e sconosciuto villaggio lituano povero e pacifico che per qualche motivo ha fatto i conti con la peste uscendone integro, ma non dalle calunnie e dall'odio degli esseri umani per gli ebrei. Difatti aprendosi con un incidente scatenante di forte impatto emotivo, Hanna la protagonista, nel suo rituale per salvare chi di dovere, si scontra proprio con quei pogrom che all'epoca erano quasi la normalità nei confronti degli ebrei ritenuti quasi sempre la causa di tutti i mali (quindi la peste e il fatto di esserne scampati raggiunge i fasti di questo odio). Il Golem completamente diverso ritrasformato con una messa in scena molto interessante, in fondo nasce per questo come risposta a questo male generato in particolar modo, come in questo film, dai cristiani dove la più affascinante e oscura delle creature rigurgitate dal ricco folklore ebraico, plasmata dalla terra e animata col soffio della parola di Dio, ha il compito di difendere chiunque la evochi da attacchi e soprusi. Il film nel finale cala di ritmo rifugiandosi in scene abbastanza discutibili e con alcuni effetti in c.g non proprio perfetti mentre invece risultavano funzionali nel film precedente della coppia di registi Jeruzalem, un suggestivo mockumentary apocalittico-esoterico.
Golem ha i suoi punti di forza nella recitazione, nelle atmosfere rurali infarcite fino al midollo di arcane tradizioni ancestrali ma soprattutto nel puntare tutto sulla donna per combattere le forze nemiche. Hanna creando la creatura rivivrà proprio il suo dramma, il suo defunto bambino, rievocando le sue tristi memorie e soprattutto affondando le radici nell’interiorità di una donna troppo ostinata e forte per essere asservita alla collettività maschile.
Un film di ribellione che se non avesse fatto l'azzardo finale poteva diventare un'altra di quelle chicchè folkloristiche che mi piacciono a prescindere.

lunedì 17 settembre 2018

Blush


Titolo: Blush
Regia: Michal Vinik
Anno: 2015
Paese: Israele
Giudizio: 4/5

La diciassettenne Naama Barash si diverte con i suoi amici tra alcol e droga mentre in famiglia deve vedersela continuamente prima con i genitori con cui è sempre in discussione e poi con la scomparsa della sorella, arruolata in un esercito ribelle. Appena arrivata in una nuova scuola, Barash si innamora per la prima volta e l'intensità dell'esperienza la confonderà fino a dare nuovo significato alla sua esistenza.

Il manifesto dell'adolescenza femminile a pari passo con le prime esperienze sessuali e trasgressive viene scandagliato regolarmente da molti paesi immergendosi in alcune sotto tematiche o semplicemente descrivendo l'ambiente.
Mancava all'appello un film coraggioso come quello israeliano che non ha nessun tipo di velo e censura mostrando una società o soprattutto un underground giovanile, una sub cultura, composta per lo più da una ricerca costante di eccessi, dalla perdita della verginità agli effetti della droga parlando di ribellione e della ricerca adolescenziale della libertà e al bisogno di infrangere ogni tabù
Un film che cerca di scardinare dogmi e valori ormai passati o trapassati dai millenial portando le ragazzine a scappare di casa o dalle caserme come gesto di estrema indipendenza o di come non si vogliano seguire alcune regole imposte dal nucleo familiare o addirittura fregandosene del parere degli altri arrivando a farlo praticamente nei posti in ultima fila di un pullman sapendo benissimo di essere visti e quindi sdoganando infine il voyeurismo proprio da parte delle protagoniste.
Un film che non ha niente di meno rispetto a pellicole come LA VITA DI ADELE o FUCKING AMAL (le analogie con il secondo sono però più palesi), o il coraggio di Much Loved, mostrando una Tel Aviv molto al passo coi tempi dove la parola d'ordine sembra essere Md.
Vinik è coraggiosa nell'avvicinarsi alle protagoniste, molto giovani e belle, nel descrivere e mostrare così tante scene dove le protagoniste si scoprono a letto e hanno questi baci a profusione intensi e lunghissimi dove le scene di sesso tra le due ragazze sono realizzate con dovizia di particolari e con molta sensibilità.
Come per Amal di Moodysson anche qui Vinik non affronta il tema dell’innamoramento tra due ragazze e tutte le sue implicazioni, ma cerca di riflettere su una gioventù annoiata e stanca di relazioni liquide e in cerca di qualcosa di nuovo o che almeno possa appagare la noia quotidiana, in questo caso le droghe dove si parte dai cannabinoidi per arrivare alla cocaina o alle droghe sintetiche è molto inquietante ma sicuramente post contemporaneo.
L'unica nota dolente al film di Vinik e che scoperte le carte il film si ripete abbastanza cercando di intraprendere il plot del thriller nella scomparsa della sorella ma non riuscendoci affatto rischiando di diventare macchinoso e superficiale.




venerdì 19 dicembre 2014

Snails the Rain

Titolo: Snails the Rain
Regia: Yariv Mozer
Anno: 2013
Paese: Israele
Giudizio: 3/5

Tel Aviv. Estate del'1989. Boaz, affascinante studente di lingue, riceve delle lettere d'amore anonime da parte di un uomo che mettono in dubbio la sua sessualità e rompono l'equilibrio con la sua amorevole ragazza.

Toccante, insolito, curioso, delicato e intenso, il secondo film di Mozer dopo il bel documentario THE INVISIBLE MEN, sulla difficoltà di essere palestinesi e omosessuali in Cisgiordania e a Gaza, si distacca per girare un vero e proprio lungo.
Toccare un tema come quello dell'omosessualità in Israele non deve essere affatto facile, ma Mozer è astuto raccontando prima di tutto un rapporto eterosessuale e poi la paura di vedersi cambiare, la repressione, i turbamenti che sempre di più spingono Boaz a fare una scelta decisiva.
Un cinema dunque quello israeliano capace di essere contemporaneo e moderno, di indagare il territorio, non toccando solo tematiche legate alla guerra e la politica, ma acquisendo maggiore approfondimento con una realtà sociale non più invisibile.
Il film è tratto dal racconto contenuto nel libro "The Garden of Dead Trees" di Yossi Avni Levy che significa "lumache sotto la pioggia". «The Garden of Dead Trees» (Il giardino degli alberi morti) invece è invece un luogo d’incontri omosessuali di Tel Aviv.
Mozer che interpreta anche il professore che poi è lo spasimante di Boaz, con uno stile asciutto e realista, crudo ma per niente cinico, narra e segue il suo protagonista con una precisione incredibile, mostrando nella sua routine, come una preoccupazione possa far saltare tutta la normalità e creare dubbi e contrasti con l'altro sesso.
Snails the Rain tuttavia pur rimanendo un film interessante e coraggioso, non manca di alcuni limiti della sceneggiatura e alcune forzature che sembrano servire per aggiungere minuti preziosi, come ad esempio da un lato la madre di Boaz buttata lì senza una ragione particolare e dall'altra il passato di guerra di Boaz che seppur serve a fare capire da dove tutto è nato, andava sviluppato meglio.

giovedì 24 aprile 2014

Flood aka Mabul

Titolo: Flood aka Mabul
Regia: Guy Nattiv
Anno: 2011
Paese: Israele
Festival:Cinemautismo
Giudizio: 2/5

Yoni Roshko ha quasi 13 anni e si sta preparando al suo Bar Mitzvah. Una settimana prima della cerimonia, mentre i genitori sono sull'orlo della separazione, suo fratello maggiore Tomer, affetto da autismo, dopo aver trascorso 10 anni in un istituto, si ripresenta d'improvviso a casa, rischiando di abbattere le già traballanti fondamenta della famiglia Roshko. Yoni non sa molto del fratello - tornato in seguito alla chiusura dell'istituto - e finisce per scoprire dolorose verità sui loro genitori e sulla condizione di Tomer. Yoni viene lasciato da solo ad affrontare i comportamenti ossessivi del fratello, finché i due trovano un interesse in comune: la storia dell'Arca di Noè, che Yoni sta studiando per il Bar Mitzvah. Mentre i due fratelli si immergono nel mondo fantastico del "gioco del diluvio", i loro genitori sono costretti a fare i conti con gli errori del passato e con le paure nascoste per anni.

Rendere un dramma con grande sensibilità non è sinonimo di buon cinema, o meglio non sempre. Presentato al Cinemautismo 2014, Mabul aka Il Diluvio aka The Flood è l'opera prima di Nattiv, regista israeliano che sa assolutamente cosa vuole e dalla sua ha un'ottima capacità a livello tecnico. Il problema di Mabul è quello di esagerare con i momenti di pathos, di non essere sempre realistico e di perdersi in un abbraccio simbolico, davvero singolare nellla sua ricerca di consensi, lacrime e difficoltà con la diversità.
E'un film che parla di fratelli e di legami famigliari più che di autismo.
Ci sono davvero delle belle scene all'interno del film e il cast è quanto di meglio ci si possa aspettare, soprattutto dai due ragazzini, davvero in gamba, e in grado di far emergere tutti i contrasti e le tensioni familiari e generazionali.
Il problema di Mabul è proprio quello di inserire al momento giusto alcuni simboli che cercano nel modo meno autoriale, e invece commerciale, di raccontarti come alla fine con tutte le difficoltà del caso, alla fine dopo il diluvio arrivano sempre i raggi di sole e quindi la speranza.
Quella cinematografica ma non palestinese...

lunedì 25 novembre 2013

Big Bad Wolves

Titolo: Big Bad Wolves
Regia: Aharon Keshales, Navot Papushado
Anno: 2013
Paese: Israele
Festival: TFF 31°
Giudizio: 4/5

Una serie di brutali omicidi fa incontrare e scontrare la vita di tre uomini: Il padre dell'ultima vittima in cerca di vendetta, un investigatore che usa spesso operare aldilà dei confini della legge e il principale sospettato degli omicidi, un insegnante di religione arrestato e rilasciato a causa di un errore della polizia.

Il secondo lavoro della coppia israeliana è ancora più interessante di KALEVET aka RABIES, con cui avevano già avuto modo di distinguersi all'interno dei festival di tutto il mondo.
Big Bad Wolves è un accesissimo confronto tra diverse diversi personaggi caratterizzati tutti in modo sorprendente. La coppia di registi ha dato luce a un genere che sembrava sconosciuto e non appartenere ad un paese come quello della terra promessa e i due manco a farlo apposta catturano gli elementi più scomodi e nascosti girando due film con dichiarate venature horror poco inclini alla filmografia copntemporanea israeliana.
Il fatto che siano arrivati con un film che non solo è interessante per le scelte di camera, il soggetto e la messa in scena, ma è di una crudeltà mostruosa rispettando così le regole del genere impreziosendole con elementi culturali a noi sconosciuti e scherzando come fanno in alcuni dialoghi tra ebrei e palestinesi.
La critica feroce sui modi di agire della Mossad, il linguaggio sporco ma spesso efficace e tuttavia ironico e trasgressivo senza essere mai pacchiano ma sempre molto innovativo.
Un thriller venato di cinico humor nero post-contemporaneo che parla di sospetto, violenza, colpa e i lati oscuri dell'animo umano. Continua così il discorso già iniziato nel primo film che qui però diventa indubbiamente più maturo con due atti principali che determinano la struttura del film.
Coadiuvato da grandissimi attori davvero tutti molto bravi, si aspetta solo come farà il qui presente, il loro terzo lavoro, sperando che non siano solo i festival ad interessarsi a opere di così grande valore estetico e morale come questo.

domenica 1 aprile 2012

Kalevet


Titolo: Kalevet
Regista: Aharon Keshales, Navot Papushado
Anno: 2010
Paese: Israele
Giudizio: 4/5

Un gruppo di quattro amici, composto da due ragazze e due ragazzi, si sta dirigendo a un torneo di tennis cui dovranno partecipare. Ma si perdono nel bosco.
Una ragazza vestita di rosso è tenuta prigioniera in un pozzo del bosco, da uno spietato assassino.
Due poliziotti cercano di mantenere l'ordine a modo loro. Nel bosco.
Un guardiacaccia saluta l'amata e gelosissima moglie, e con il suo fidato cane si appresta a fare il giro di ricognizione nel bosco.

E’poi scopri che gli israeliani fanno anche un altro tipo di cinema non solo quello che sonda i drammi sociali e compagnia bella. Riuscire come in questo caso ha regalare una perla grottesca di indubbio valore merita veramente un encomio particolare.
Il plot in questione è abbastanza comune ovvero una galleria di personaggi che chi per un motivo chi per un altro si trovano immersi in un bosco tema quanto mai abusato dal genere anche se in questo caso la location risulta perfetta e giocata in maniera labirintica per i protagonisti.
La prima cosa interessante è ad esempio la questione di depistare lo spettatore ad esempio con l’incidente scatenante del presunto killer per poi spostare l’azione su binari molto più agghiaccianti in maniera tale da inquadrare tutte le diverse tipologie di personaggi includendo naturalmente le forze dell’ordine, senza tuttavia risultare mai banale.
La saggezza e la capacità che i due registi hanno saputo guadagnarsi dopo questo ottimo esordio è proprio la scelta di giocare su un soggetto che in fondo altro non fa che estremizzare la rabbia umana.
Come il titolo chiaramente esplicito, la cosa che stupisce è che il film oltre ad essere di una certa innata violenza senza mai scadere nel gratuito ma con alcune scene splatter e delle inquadrature davvero niente male, si concentra su quei meccanismi che ti portano a provare una rabbia accecante nel vedere come si sviluppano alcuni drammi.
Il cast come la caratterizzazione è funzionale anche se i due fratelli, autori anche della sceneggiatura, hanno lesinato un po’ troppo con alcuni personaggi come ad esempio Yuval (ad esempio non si capisce cosa abbia fatto).
La rabbia degenera e porta a degli assurdi assolutamente imprevedibili…ed è proprio questo il cocktail che i due registi hanno saputo miscelare con tutta la loro enfasi.