Titolo: Prodigy
Regia: Nicolas McCarthy
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Montgomery County, Ohio. Una ragazza,
Margaret, riesce a fuggire da una casa in cui era segregata. Viene
soccorsa da una automobilista che, con orrore, si rende conto che la
mano destra della ragazza è stata amputata. Fox Chapel,
Pennsylvania. I coniugi John e Sarah si precipitano in ospedale
perché è prossima la nascita del loro figlio. Intanto, in Ohio, la
polizia arriva alla casa di Edward Scarka, l'uomo che aveva rapito
Margaret. Edward esce tenendo qualcosa dietro la schiena. Quando la
porta in avanti, la polizia gli spara temendo si tratti di un'arma,
ma scoprendo che ciò che teneva era la mano amputata di Margaret.
Pochi istanti dopo la morte di Edward, nasce il figlio dei Bloom,
Miles. Sin dall'inizio Miles si mostra un bambino particolare: a
parte il fatto di avere gli occhi di due diversi colori (che non è
in sé preoccupante), è molto calmo e intelligente, schiaccia i
ragni e parla ungherese nel sonno (il che è già più strano). Ma,
come si accorgeranno ben presto i genitori, c'è di peggio.
Gli horror che navigano nel sotto
genere dei bambini posseduti o di origine demoniaca sono uno dei
soggetti più abusati e i risultati negli ultimi anni sono spesso
deludenti come in questo caso.
Ormai parlare di film tecnicamente
girato bene dovrebbe essere un dato assolto contando che le
produzioni costano sempre meno e ci si è sempre più specializzati
nelle scenografie, trucchi, effetti speciali, color correction e post
produzione
Purtroppo lo stesso non si può dire
per delle storie che seppur nascono bene, dimenticano dopo pochissimo
tempo le loro origini per promuovere un ritmo ed un'azione più
legata ai jump scared o all'audio che non invece al motore propulsivo
del genere: puntare alle nostre paure quelle incontrovertibili che
non meritano di durare solo una manciata di secondi.
Il pubblico dell'horror che sta uscendo
in maniera sempre più massiccia nei cinema è fortemente influenzato
da queste tecniche le quali si allontanano dal compito e l'intento
ovvero far riflettere e disturbare al contempo.
Il figlio del male non ci riesce. Tutto
è disarticolato come il dialetto ungherese che il protagonista
enuncia nel letto sotto effetto di un attacco che sembrerebbe
epilessia ma epilessia non è.
Banale e inutile il confronto con
alcuni capisaldi del genere che non andrò nemmeno a citare e
scomodare per quanto è grigia e apatica la regia di Nicholas
McCarthy che è stato definito uno dei mestieranti più in gamba sul
genere ma basta guardare come cresce questo film per capire che è un
altro specchietto per le allodole.