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martedì 6 giugno 2023

Super Mario Bros (1993)


Titolo: Super Mario Bros (1993)
Regia: Rocky Morton, Annabel Jankel
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

I due idraulici dei videogame trovano ora un loro spazio al cinema in una New York che è affiancata da un mondo parallelo in cui domina un cattivaccio. Saranno i due fratelli a risolvere i problemi. Film ipercitazionista che parla ai ragazzini con un linguaggio che ben conoscono
 
Dopo il successo di Tartarughe Ninja alla riscossa si provvede di rito a provare a sdoganare uno dei videogiochi più importanti di sempre. Devo ammettere che le premesse in parte c'erano pure contando che il mondo su cui tiranneggia Koopa aveva dalla sua quella tipica tendenza new age anni '90 che cercava di mischiare elementi sci-fi, fantasy, cyberpunk e distopici, mostrando una società allo sbando, frenetica ed egoista dove ognuno pensa solo ai propri interessi. Purtroppo il volersi esporre troppo con trasformazioni e quanto di peggio non riusciva a sostenere la c.g ha creato dei brutti sbalzi temporali anche nelle condutture tra le dimensioni contrapposte. Il mix di ironia e azione con due star abbastanza affermate riesce solo in parte a limitare un insuccesso clamoroso, un b movie che a vederlo ora sembra anche abbastanza trash e dove Dennis Hopper allora lanciatissimo esonda in un personaggio davvero troppo stereotipato.


martedì 12 gennaio 2021

Mondo perfetto


Titolo: Mondo perfetto
Regia: Clint Eastwood
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Nella notte di Halloween del 1963, i due detenuti Butch Haynes e Terry Pugh riescono ad evadere dal carcere di Huntsville, Texas. In cerca di un'auto con cui fuggire, Terry, il più pericoloso e perverso dei due, fa irruzione in casa di una famiglia di testimoni di Geova composta solo da madre e tre figli. Nel tentativo di molestare la donna, attira le attenzioni del vicinato e costringe Butch a scappare trattenendo in ostaggio il piccolo Phillip. Ad occuparsi del caso è il capo della polizia Red Garnett che, a un anno dalle nuove elezioni e a poche settimane dalla visita del presidente Kennedy a Dallas, viene investito, assieme allo sceriffo locale, al tiratore scelto dell'FBI Bobby Lee e all'esperta criminologa Sally Gerber, di poteri speciali e di un furgone all'avanguardia con il quale dare inizio alla caccia agli uomini.

Il mondo perfetto non esiste, nemmeno in Alaska. Eastwood ci riporta con i piedi per terra in Texas ad una vicenda cruda fatta di sentimenti, tenerezza e riflessione. Sembrano non esistere eroi e i delinquenti quelli alla Butch hanno un proprio codice personale, spietato, ma in grado allo stesso tempo di regalare affetto ad un bambino rapito a cui manca l'affetto di un padre.
Un road movie che viaggia per il Texas facendo tappa in ogni dove. Una caccia all'uomo da parte di un team stratificato dove non manca il cecchino, la psicologa buona di cuore e un ranger con la faccia granitica del solito ottimo Eastwood. Meno azione per dare spazio ai dialoghi e alla caratterizzazione di personaggi che come Butch non sono mai banali e stereotipati, in grado allo stesso tempo di uccidere e amare.

sabato 1 agosto 2020

Art of Fighting-L'occhio di Sirio


Titolo: Art of Fighting-L'occhio di Sirio
Regia: Hiroshi Fukutomi
Anno: 1993
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Ryo e Robert sono due amici per la pelle con la passione per le arti marziali. E mai avrebbero immaginato che la loro amicizia e la loro passione sarebbero tornate così utili. Tutto inizia sempre dal molto piccolo: un gatto siamese da riportare alla ricca proprietaria, un acrobatico inseguimento sui cornicioni per riacciuffare l'ostinato felino che porta fino ad un appartamento pieno di primitivi armati fino ai denti... E così Ryo e Robert vengono coinvolti in una storia maledettamente complicata al centro della quale si trova il favoloso Occhio di Sirio!

Ennesimo segmento della saga di ART OF FIGHTING. Questo come altri è una specie di costola appassita che cavalcava il successo degli anime a quei tempi, mettendo in scena due protagonisti mai così diversi esteticamente da quelli dei videogiochi per una storia molto semplice e un mediometraggio di 40'.
Anche l'animazione è meno curata, il budget è minore, il ritmo nonostante tutto si sforza di riuscire ad essere incalzante con il risultato che i combattimenti sono flosci tolto forse la sfida finale con il braccio destro del boss, una bionda che sa il fatto suo. Non si salva molto, i dialoghi sembrano improvvisati, l'equivoco iniziale come incidente scatenante è debole e non ha molto senso e poi il solito rapimento della sorella di Ryo nonchè futura ragazza di Robert per ottenere un diamante nascosto in un freezer è semplicemente ridicola.


lunedì 20 luglio 2020

Cliffangher


Titolo: Cliffangher
Regia: Renny Harlin
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Mr. Cliff, della “Rocky-Mountain-Soccorso”, se la deve vedere con un gruppo di feroci ladri internazionali precipitati fra le vette.

Ultimamente per qualche strano motivo sono passato tra le tante incursioni nei generi in una fase Stalloniana (nonostante fino a qualche anno fa l'attore l'abbia sempre considerato quasi una nullità). Di fatto il suo contributo attoriale e assai limitato ma come tanti fisic du role della sua generazione ha avuto la possibilità di interpretare ruoli in film davvero ben fatti.
Cliffangher un classico thriller d'azione è forse una delle dimostrazioni più emblematiche dove sicuramente il corpo dell'attore si presta a piene mani in una performance soprattutto fisica.
Un film dal ritmo incalzante in perenne tensione in grado di portare a casa scene intense e pericolosissime, un film d'evasione girato sulle Dolomiti, con incessanti scene roccambolesche ed effetti speciali davvero degni di nota come il lavoro degli stunt man.
Location spaziali, il freddo che non molla, l'arrampicata, gli inseguimenti, i personaggi per fortuna non abbozzati e basta, infine l'incalzante incidente scatenante e le perenni prove di forza.
Harlin che poi si è perso del tutto aveva all'attivo alcuni film di genere e action davvero interessanti come NIGHTMARE 4, 58 MINUTI PER MORIRE e Blu Profondo.




martedì 14 luglio 2020

Fatal Fury 2: La sfida di Wolfgang Krauser


Titolo: Fatal Fury 2: La sfida di Wolfgang Krauser
Regia: Kazuhiro Furuhashi
Anno: 1993
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Terry sta combattendo all'estero quando un ragazzo di nome Tony, che desidera diventare suo allievo, lo segue nonostante i desideri contrari di sua madre e di Terry stesso. Sconfitto dal nemico più potente che abbia mai incontrato, Terry cade in depressione e si rifugia nella bottiglia. Ad aiutarlo sarà il giovane Tony, che gli ridarà la fiducia in se stesso e facendogli realizzare di essere l'unico in grado di battere il nemico.

I fatti riprendono grossomodo da dove li avevamo lasciati dove Terry come sempre è il protagonista assoluto lasciando Andy in secondo piano e Joe in un ruolo da figurante.
Quello che passa in primo piano è un uso più articolato degli effetti speciali, le location, i combattimenti (anche se in minor numero rispetto al precedente) e i costumi soprattutto per quanto concerne i villain di turno.
La storia è meno coinvolgente rispetto a quella dell'armatura di Marte scimmiottando tra Alessandro il Grande e Babilonia in una saga videoludica che almeno ci provava. Qui il pretesto non è cosa è stato risvegliato ma un massiccio lottatore tedesco Wolfgang Krauser, di nobile stirpe e assetato di battaglie che si annoia cercando il lottatore più forte del mondo.
Compaiono diversi personaggi con la bella ninja Mai Shiranui, la durata è maggiore e ci si può permettere di spaziare maggiormente nelle tematiche e nelle psicologie dei personaggi anche se a lungo andare nonostante il ritmo incalzante ci sono troppe scene ironiche e dialoghi che non riescono a renderlo così appassionante come il film precedente.

sabato 16 maggio 2020

Matinèe


Titolo: Matinèe
Regia: Joe Dante
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Nel 1962, mentre infuria la crisi dei missili cubani, a Key West in Florida, Lawrence Woolsy, regista e produttore di B-movies a corto di ispirazione e di dubbio talento, tenta di rilanciare la propria carriera con "Mant", il film che racconta la mutazione di un uomo in una formica gigante per effetto delle radiazioni atomiche. Woolsy, consapevole dei propri limiti, pensa di riuscire nell'intento sostenendo l'uscita della pellicola con una trovata pubblicitaria tale da catturare il pubblico dei teenager: durante la proiezione, nel momento clou dell'avventura un figurante mascherato da uomo-formica apparirà in sala e le poltrone, scosse da un dispositvo elettrico - il "rumble-rama" - daranno una memorabile emozione agli spettatori

Negli ultimi tempi ho visto due filmoni di uno dei più grandi registi americani sottovalutati della nuova Hollywood. Burbs e questo Matinèe. Film così incredibilmente diversi ma con tanti elementi comuni dalla paura dell'invasore (In Burbs era il nuovo vicinato russo) mentre qui la paura dell'atomica o di un'altra guerra fredda sempre con i russi. Insomma quando c'è la guerra alla base Dante non riesce proprio a non buttarla su una metafora o meglio un'allegoria profonda, originale, perfetta in scelta di tempi e ritmo, dialoghi, ironia, dramma e molto altro ancora dove con uno sguardo al passato sonda le paure immortali della gente.
Un film maturo, una critica sociopolitica, che oltre tutti i temi sopracitati è un viaggio di formazione per un ragazzo, un'analisi sul cinema e tutto ciò che appartiene alle scelte di marketing, al lato oscuro di alcuni di noi, tutto come una sorta di contorno dove la base è la tribolata anteprima di un film con sottofondo un clima di psicosi anticomunista. Matinèe è cinema puro, denso e profondo, semplice quanto ingenuo in alcuni passaggi (ma è sempre una scelta dell'autore per bilanciare seriosità e intrattenimento).
Un film ispiratissimo, in bilico tra commedia adolescenziale e cinefilia sofisticata, che parla anche di sci fi, che omaggia i b movie di mostri e che chiama in cattedra William Castle e Ed Wood e dove il tema del weird e dell'horror compare più di tutti nel dialogo formidabile tra Gene e Lawrence sul bisogno di film che facciano paura e il potere e gli effetti benefici che l'horror può arrecare allo spettatore.

giovedì 16 aprile 2020

2013-La fortezza


Titolo: 2013-La fortezza
Regia: Stuart Gordon
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

In un prossimo futuro, negli Stati Uniti, una coppia si trova imprigionata in un carcere di massima sicurezza per aver violato le leggi relative alla natalità. I due decidono di tentare l'impossibile e fuggire.

Lambert deve solo baciare la terra sotto i piedi per la fortuna che ha avuto a poter recitare in alcuni splendidi film vista la sua totale assenza di talento ed espressività.
Gordon è uno dei quei registi che hanno saputo fare la differenza smarcandosi da produzioni low budget a piccoli blockbuster come questo, prediligendo l’horror e rimanendo sempre impantanato per fortuna nella sci fi regalando dei film indimenticabili in una limitata quanto straordinaria filmografia dove Dagon svetta inarrivabile dimostrando come in pochi hanno saputo e sapranno ricreare qualcosa che assomigli all’orrore cosmico.
B movie, sci fi, prison movie, atmosfera distopica, quasi cyberpunk ed exploitation per alcuni aspetti e in piccole dosi un pochino di splatter. Una galleria di scene d’azione davvero appaganti, un team di attori funzionali, una trama in fondo dedita alla causa raccontando poco ma mostrando con le immagini molto. Robot, AI, tecnologia d’avanguardia, e poi sono tanti i rimandi politici e sociali con cui Gordon tratteggia l’intera e unica location del film (a parte il penosissimo finale). Diventa quindi una potenza governativa, proprietà della MenTel Corporation, che può disporre in qualsiasi modo della vita dei propri prigionieri, per i quali riceve dal governo una paga giornaliera di 27 dollari cadauno, oltre a poterne disporre per le proprie attività impiegandoli nei durissimi lavori. Le regole all’interno visto il cinismo di Gordon non potevano che essere devastanti con prevaricazioni e dove vige la legge del più forte. I prigionieri di cui alcuni non si spiega cosa possano aver fatto, lavorano su turni coprendo le 24 ore, perdendo l’orientamento del giorno e della notte, sottoposti ad un durissimo condizionamento psicologico che comprende il controllo dei pensieri e dei sogni oltre ad un inibitore chiamato ‘fibrillatore gastrico’ che viene impiantato nell’organismo dei malcapitati e può indurre al dolore o alla morte a seconda della punizione da scontare. Le zone della Fortezza sono circoscritte da linee gialle o rosse in base alla gravità della limitazione, dividendo uomini e donne, mentre le prigioni hanno delle sbarre laser che bruciano i corpi dei detenuti.
Per gli amanti della sci fi alcuni ingredienti sembreranno riscaldati e presi direttamente da altro materiale cinematografico ancora più spesso, ma alla fine quella nota di cattiveria e di non lasciare proprio tutto così al caso danno al film un ritmo che mantiene un intrattenimento divertente e solo a tratti sofisticato.

Totally fucked up


Titolo: Totally fucked up
Regia: Gregg Araki
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il film racconta l'esistenza e gli amori tormentati di un gruppo di ragazzi gay (quattro omosessuali e due lesbiche) nella Los Angeles.

A mio malgrado per la prima volta mi tocca recensire una delle opere minori di uno dei miei registi cult.
Araki poi ho avuto modo di stringergli la mano a Venezia mentre presentava il suo capolavoro Mysterious Skin, un film che finora si mantiene come una delle vette più alte dei film che trattano il tema sulla pedofilia e molto altro ancora.
Totally fucked up non lo vidi al tempo perché non trovai mai i sottotitoli, ma avevo avuto modo di fruire gli altri due tasselli della trilogia i successivi Doom Generation (cult assoluto) e EXTASY GENERATION.
Con il primo della Teenage apocalypse trilogy, Araki si confronta con la solitudine e i turbamenti devastanti accresciuti dai toni malinconici dei Cocteau Twins una delle band preferite del regista per un gruppo di ragazzi che vogliono solo ricevere attenzioni ed essere visti dalla società per quello che sono.
Realtà marginalizzata, dialoghi che cercano sempre di farsi portatori di un bisogno di mostrarsi e sperimentare il più possibile, il sesso visto come un bisogno naturale e una consumazione di corpi a volte senza nemmeno i sentimenti. Araki qui è decisamente delicato, sperimenta con delle riprese tradizionali e amatoriali, mostra il suo attore feticcio che sarà per diversi film James Duval. Araki comincia ad esplorare e analizzare la sub cultura che lo interesserà per quasi tutta la sua filmografia, eppure il film sembra una docu intervista dove di fatto non c’è una storia vera e propria e il ritmo è sancito solo da un continuum di interviste e monologhi dove spesso assistiamo a scene chiuse in una stanza dove nella noia mortale i nostri protagonisti cercano di inventarsi qualcosa per smorzare la loro frustrazione.

lunedì 30 dicembre 2019

Demon city Shinjuku


Titolo: Demon city Shinjuku
Regia: Yoshiaki Kawajiri
Anno: 1993
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Tokyo, un futuro molto prossimo. Shinjuku, un tempo uno dei quartieri più vitali, è diventato una landa oscura e abbandonata, preda di creature demoniache scese sulla Terrra attraverso un varco aperto dieci anni prima ad opera di un folle sanguinario. Lo stesso che oggi ha rapito un illuminato presidente, e intende precipitare il mondo intero nelle tenebre con un nuovo rituale. Dieci anni fa, il padre di Kyoya aveva tentato di fermarlo. Ora tocca a Kyoya scoprire i suoi poteri latenti e terminare la battaglia iniziata da suo padre, prima che l'umanità venga distrutta per sempre.

Il sequel non proprio accreditato di Città delle bestie incantatrici, continua la lezione del maestro nipponico disegnando mondi ormai saturi di violenza e ambiguità, dove i soprusi e gli omicidi sono all'ordine del giorno e i demoni come i mostri convivono con la nostra specie senza dover per forza essere più crudeli.
L'incipit della storia è l'aggancio a farci capire quali saranno gli intenti e gli obbiettivi del protagonista.
Avendo ormai visionato e recensito quasi tutti i film di Kawajiri devo ammettere che ci troviamo di fronte ad un maestro straordinario che ha saputo dare enfasi ed essere un piccolo precursore di alcune derive dell'horror ma soprattutto della sci-fi. Se è vero che i capolavori del maestro rimangono altri, il film come per il predecessore, ha il medesimo stile di disegno, le atmosfere macabre e cupe, le scene d'azione girate molto bene e il continuo scontro del protagonista con tutta la galleria di demoni che lo porteranno al boss finale.
Anche se la trama è fin troppo lineare e scontata ciò che conta spesso in film come questo è
l'aspetto molto dark, cupo, da vero e proprio film horror, che lo mette su un piano diverso e più maturo rispetto alle pellicole d'animazione di quel periodo, prendendosi rischi enormi ma allo stesso tempo dimostrando un enorme coraggio.


domenica 27 ottobre 2019

Ninja Scroll


Titolo: Ninja Scroll
Regia: Yoshiaki Kawajiri
Anno: 1993
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Per impossessarsi di un giacimento aurifero, uno dei signori del castello di Yamashiro ordina ai propri ninja, capitanati da Himuru Gemma, di assassinare i rivali. Gemma mette poi i suoi ninja l'uno contro l'altro, ma Jubei sopravvive e decapita il diabolico leader. Cinque anni dopo, Gemma si reincarna ed entra al servizio della casa di Toyotomi. Solo Jubei potrà fermarlo...

Ninja Scroll continua la fortunata carriera e filmografia di Kawajiri, regista nipponico d'animazione immenso, che riesce a fare ciò che gli piace senza avere paletti di censure da dover rispettare.
Il suo cinema infatti è pieno di violenza, scene splatter di squartamenti, scene di sesso, dialoghi feroci e tanta tanta atmosfera di morte che impregna sempre l'ambientazione delle sue opere.
Tutti i mondi da lui sdoganati fanno paura, nessuno ci vorrebbe mai vivere, gli stessi mostri metafore degli umani, ricalcano quella perfidia e corruzione che diventa il loro modus operandi per andare avanti nella società. Intrighi, complotti, mattanze, Ninja Scroll ha una storia molto semplice per affondare la sua katana in quello che interessa sempre a Yoshiaki ovvero non avere una visione troppo manichea, ma tracciando spietati i cattivi come i buoni, puntando sempre su racconti visionari dal carattere marcatamente erotico. Gli scontri qui si superano, spettacolari e cruenti con personaggi, protagonista e demoni, caratterizzati molto bene e con un design magnifico (un altro dei meriti dei suoi film).
Come sempre essendo autore a tutti gli effetti cura anche il soggetto, lo script, il character design imprimendo come dicevo il proprio stile personale con ampia libertà di manovra.
Ninja Scroll funziona anche perchè nonostante abbia già qualche annetto invecchia molto bene, rivederlo è sempre un toccasana e se qualcuno volesse approfondire di più la materia è stata fatta anche una serie di 13 episodi, interessante ma che non ha i fasti del film.

lunedì 21 ottobre 2019

Tombstone

Titolo: Tombstone
Regia: George Pan Cosmatos
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

L'ex sceriffo Wyatt Earp raggiunge i suoi fratelli Virgil e Morgan a Tombstone, cittadina in pieno sviluppo economico, con lo scopo di stabilizzarsi e di raggiungere facili guadagni attraverso una attività commerciale. Ben presto, però, sarà costretto a scontrarsi con un gruppo, i Cowboys, che seminano il terrore in città. Lo scontro sarà inevitabile, e porterà a conseguenze devastanti anche per la famiglia Earp

Tombstone per me è un cult del western. Un flm imperfetto con alcune scelte discutibili, ma potente al punto giusto e con un manipolo di attori che è riuscito a dare il meglio e dove Kilmer si trova ad interpretare uno dei personaggi più interessanti e discussi della sua filmografia, Doc Holliday ovvero il pistolero più forte in circolazione, amante delle belle donne, malato terminale e provocatore nato.
La venerazione di Kilmer nei confronti di Russel emerge tutta dai suoi diario dove sembra che pur non essendo accreditato, abbia girato Kurt stesso il film, in un progetto in cui ci credeva molto. Un film di genere dove come in altre situazioni il western fa da sfondo per un film action con pochi dialoghi, situazioni didascaliche, personaggi tagliati con l'accetta e tante sparatorie e scontri tra due fazioni diverse. Il taglio politico con la descrizione dei Cowboys, di "Curly Bill" Brocious amante dell'oppio e dal suo braccio destro Ringo e del loro segno di riconoscimento, anticipava i cartelli del narcotraffico imponendo la loro supremazia e il loro controllo a suon di uccisioni e soprusi. Earp in realtà fin dall'inizio è un personaggio detestabile che pensa solo a fare i conti con il faraone, un gioco di carte europeo che ebbe grande diffusione nel far west, volendo dare un taglio al codice morale che lo impegnava a cercare di far vincere la legge su tutto. I colpi di scena del film sono telefonati, la ricostruzione rimane inequivocabilmente non male, ma siamo anni luce distanti come anche il biopic uscito l'anno seguente da opere veramente western e molto più epiche come SFIDA INFERNALE di John Ford e SFIDA ALL'OK CORRAL di John Sturges.

domenica 29 settembre 2019

Last action hero

Titolo: Last action hero
Regia: John McTiernan
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Il piccolo Danny assiste in anteprima alla proiezione di JACK SLATER IV, il nuovo film di Arnold Schwarzenegger. Un biglietto magico è causa di strane interferenze tra finzione e realtà…

Di fatto uno dei più importanti e il più ambizioso film di McTiernan a parte essere costato moltissimo, segna un punto di svolta nel metacinema e nel genere action riuscendo a regalare a profusione scene indimenticabili, un ritmo forsennato, personaggi memorabili, citazioni colte e altre meno, personaggi che si prendono in giro e tante risate oltre a riuscire a inserire più generi all'interno della stessa pellicola.
Tutti gli amanti di cinema da piccoli sono stati un po Danny, intrufolandosi nei cinema, godendosi estasiati maratone di film a volte vietate ai minori, avendo in testa solo e solamente il cinema.
Last action hero esagera e sembra farlo sempre di più con scene ai limiti della spettacolarità anche se l'elemento di finzione voluto e mai ignorato, è sempre dietro l'angolo in un astuto gioco di forze tra ciò che è reale e ciò che succede dentro al film. Una galleria goliardica e demenziale sarcastica, con stuntmen spericolati, botte da orbi, personaggi iconici che escono dai loro film per incrociare il destino del protagonista
Last Action Hero è diventato un cult amato in tutto il mondo: con un Arnold Schwarzenegger sempre in parte all’apice della sua popolarità. Ma soprattutto il grande merito va alla regia dal momento che in pochi al mondo sono in grado di girare un action come il cineasta di Albany e in questa occasione le scene estremamente spettacolari, che a prima vista potrebbero far storcere il naso per la loro inverosimiglianza e assurdità, in realtà sono funzionali all’obbiettivo della pellicola.
Un film che si supera, che invecchia bene, riuscendo a prendere in giro il mondo di Hollywood e gli stereotipi delle pellicole action anni Ottanta/Novanta.

lunedì 17 giugno 2019

Giorno di ordinaria follia


Titolo: Giorno di ordinaria follia
Regia: Joel Schumacher
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Michael Douglas riveste i panni di D-Fense, un anonimo cittadino il cui equilibrio psichico si è spezzato. Il suo viaggio all'interno della metropoli per raggiungere la moglie che vuole uccidere sarà una continua caduta verso il fondo di un abisso interiore.

Molti registi negli anni hanno denunciato i malesseri della società contemporanea in cui viviamo dall'alienazione del lavoro, all'assurdità della vita metropolitana, infine i ritmi di una società sempre più capitalista e consumista ma soprattutto egoista. Peculiarità che hanno ripreso in parti del mondo diverse e in anni diversi svariati autori con la loro politica.
Schumacher in questo film chiama in ballo molti argomenti, uno tra questi che ho trovato decisamente il più spiazzante e drammatico è stato proprio il legame di coppia tra i due coniugi post divorzio, dove appena si notano segnali allarmanti di qualcosa che non và anzichè arrivare alla radice del problema per semplicità si preferisce farla finita con tutti i rischi e i problemi che questa scelta comporta.
Questo non vale nemmeno come assoluto vista la quantità di notizie di cronaca in cui proprio non notando quei segnali allarmanti o sminuendoli si arriva alla tragedia domestica.
Prima di arrivare al climax finale dove tutta questa parte viene giostrata in maniera un po troppo frettolosa, i primi due atti sono molto potenti e hanno un ritmo incredibile portandoci come ha fatto Gordon nel 2005 con EDMOND a vedere una galleria di situazioni e personaggi improbabili che incrociano il destino o la strada del protagonista.
Ciò che più affascina in un personaggio come quello di D-Fense è che potrebbe essere uno di noi e forse proprio vedere un altro al posto nostro ci fa compatire ancor più il protagonista anzichè farci riflettere sul fatto che le strategie di recupero quando ormai si è passata la soglia rischiano di essere inutili.

domenica 28 aprile 2019

Schramm


Titolo: Schramm
Regia: Jorg Buttgereit
Anno: 1993
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Lothar Schramm sta imbiancando le mura del suo appartamento imbrattate di sangue per un omicidio appena compiuto, ma la scala sulla quale è salito cede e lo fa cadere. Prima di esalare l’ultimo respiro rivivremo con lui gli ultimi avvenimenti della sua vita malata e tormentata.

Schramm rappresenta per il gore un certo traguardo (detta così sembra un paradosso).
Nelle cerchie dei film malati o esageratamente estremi, che trasudano sofferenza e di una violenza inaudita, il film dell'artista tedesco tocca dei vertici a cui film di genere di questo tipo non sono mai arrivati. Slacciandosi dalla sola equazione per cui il gore significa solo torture, splatter e slasher, qui si compie a mio avviso in alcuni momenti un mezzo miracolo parlando anche di sentimenti e descrivendo una mente deviata un po come succedeva per Bad Boy Bubby e White Lightnin anche se in modi completamente diversi dove anche qui in comune c'è quel rinchiudersi nella follia pura.
Questo viaggio nella psiche criminale e deviata porta Buttgereit a esplorare ancor più le paure e le fobie di Lothar in un disagio angosciante e universale, inquadrato senza fronzoli e tecniche particolari ma rimanendo fissi con la camera e svuotando ogni forma di intrattenimento.
La scena in cui vede una vagina che lo tormenta e lo angoscia, nella sua malattia e nella sua messa in scena è profetica per mostrare quanto questo individuo voglia e tema allo stesso tempo l'amore e la donna potendo rifugiarsi solo in una masturbazione ossessiva e compulsiva.
Senza contare poi il suo complesso rapporto con una prostituta che vive vicino a lui che vorrebbe aiutare ma non sa in che modo, mostrando l'evidente limite e risultando patetico e allo steso tempo inquietante prima di arrivare al climax finale che non potrà che richiedere un tasso di violenza e sangue esagerato.


giovedì 19 luglio 2018

Body Melt



Titolo: Body Melt
Regia: Philip Brophy
Anno: 1993
Paese: Australia
Giudizio: 4/5

Più vicende che vedono protagonisti alcuni personaggi legati fra loro da un unico filo conduttore: la vitamina Vimuville. Si tratta di un prodotto realizzato da un'omonima industria farmaceutica, mirato alla cura e al mantenimento del fisico. Una volta entrato in circolo nel nostro corpo, il Vimuville crea dapprima allucinazioni, per poi culminare con uno spaventoso effetto a catena che si sviluppa rabbiosamente all'interno dell'organismo, sciogliendo i corpi di chi ne ha fatto uso.

Tra i film che hanno reso interessante il sotto filone dell'horror Body bags è sicuramente il Melt Movie (film dove sono presenti liquefazioni di corpi) e figlio di quel Body Horror che tutti amiamo.
Un genere bizzarro e weird che sempre con sangue a profusione ha avuto una sua piccola filmografia dopo i successi dei primi due film di Jackson evidenti caposaldi del genere e dopo altre incursioni da parte per esempio degli orientali su tematiche simili come gli esperimenti sul corpo ad esempio in NAKED BLOOD dopo essere passati dalla lente di Tsukamoto per i suoi Body Horror.
Body Melt è un po Troma, soprattutto la parte dei bifolchi, è un po tante cose che ci raccontavano la vita e la "quotidianità" degli australiani.
Multinazionale farmaceutica, trasformazioni, palestrati impasticcati, nella galleria di elementi con cui Brophy farcisce il suo film per farlo diventare quella schifezza purulenta che tutti aspettavamo non si è davvero risparmiato niente cercando però fino all'ultimo di portare avanti anche la sua critica e la sua politica su quanto queste pasticche e gli interessi da parte di dottori e squali delle grosse aziende pensino solo ai profitti senza avere nessun tipo di riguardo nei confronti dei pazienti (la scena della donna incinta con il feto/poltiglia che attacca il marito è incredibile).
Le scene cult sono davvero troppe è inutile provare ad elencarle tutte.
Un cult con una messa in scena che ha dell'incredibile a partire dalla fotografia e dai colori sgargianti senza mai arrestare il ritmo del film ma anzi passando da uno scenario all'altro in cui le situazioni tragicomiche, quelle poche che ci sono, si susseguono senza sosta .
Un horror trash favoloso che a distanza di anni non perde nessun colpo, anzi e in cui le fantasiose scene splatter sono montate in maniera rapida e convulsa, con vorticosi ed improvvisi movimenti di macchina per sottolineare gli effetti letali della vitamina come succedeva in Baby Blood prodotto anch'esso anarchico e splatter uscito in Francia tre anni prima.

lunedì 19 marzo 2018

Cuba Libre


Titolo: Cuba Libre
Regia: Stephen Hopkins
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Quattro amici partono per andare ad assistere ad un incontro di boxe. Durante il tragitto però sbagliano strada e finiscono in un quartiere malfamato, dove si ritrovano testimoni dell'omicidio di uno spacciatore; inseguiti dai killer dovranno cercare di sfuggire alla morte.

Stephen Hopkins è uno di quei registi che definirei di serie b nel senso che ha girato tantissima roba di cui la maggior parte andrebbe dimenticata tra risultati televisivi, film mainstream commerciali e serie tv.
Forse CUBA LIBRE possiamo annoverarlo tra i suoi film migliori.
Un filmetto divertente con una buona atmosfera che riesce a coinvolgere per quasi tutta la sua durata. Un film dove all'interno nel cast figurano alcuni volti che poi sarebbero diventati "famosi".
Un thriller poliziesco dove dall'incidente scatenante tutto il film diventa una fuga disperata per non essere uccisi, una caccia all'uomo, anzi una caccia ad un gruppo di amici. Certo in alcuni momenti il film è inflazionato da dei dialoghi che non reggono e un fuggi fuggi generale che perde alcuni tasselli soprattutto nella scrittura e nella messa in scena.
Ma nel finale è uno di quei film degli anni '90 che per qualcuno è diventato anche un piccolo cult.
E'un film su cui in molti hanno detto che manca di approfondimento e i personaggi sono tagliati con l'accetta. E' vero il conflitto morale è debole ma se vogliamo almeno questi giovani protagonisti agiscono d'istinto senza avere già tutte quelle intuizioni e dando propriol'impressione di non sapersi comportare che spesso è l'arma migliore per un film del genere dove questi amici hanno solo un compito: sopravvivere.

sabato 8 aprile 2017

Bodyguard Kiba

Titolo: Bodyguard Kiba
Regia: Takashi Miike
Anno: 1993
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Junpei, uno Yakuza di basso livello, ruba 500 milioni di yen al suo capo. Mentre viene interrogato, un colpo di fortuna gli salva la vita facendolo restare in prigione per cinque anni. Al rilascio, assume l'invincibile guardia del corpo professionista Kiba per scortarlo a recupeare i soldi prima nascosti, in modo che possa egli possa ritrovare la sua ragazza e fuggire per sempre. Ad ogni passo del lor cammino i due sono vittime di imboscate da parte dell'ex capo di Junpei, e dagli studenti di un Dojo rivale di Kiba, arrabbiati dal fatto che il Dojo di Kiba sia migliore del loro.

Era uno dei pochissimi film di Miike ha inizio carriera che non avevo ancora visto, contando la fortuna di aver partecipato ad una rassegna a Torino anni fa al Cinema Massimo dove partecipava anche il regista e in cui noi italiani sfortunati abbiamo potuto gustarciu quasi tutte le sue opere inedite o mai arrivate nel nostro paese.

Bodyguard Kiba è fondamentale nel curriculum di uno dei registi più interessanti della settima arte. Già erano presenti in questo film tutti gli ingredienti che Takashi avrebbe usato e ingigantito nei prossimi film. Il genere yakuza, l'appartenenza al clan, l'azione quasi sempre esplosiva e impulsiva che sembra deflagrare da un momento all'altro. Il sesso, la tortura, gli inseguimenti, i dialoghi e soprattutto l'onore. Kiba rappresenta il totem di tutti questi elementi che spalmati su una trama piuttosto convenzionale riescono ad avere quei guizzi di genio e dare conferma anche solo per la disposizione delle luci e alcune inquadrature che confermano il talento di un regista inesauribile.

martedì 10 febbraio 2015

Bad Boy Bubby

Titolo: Bad Boy Bubby
Regia: Rolf De Heer
Anno: 1993
Paese: Australia
Giudizio: 4/5

È da trentacinque anni che Bubby vive in una stanzetta senza finestre, solo, con sua madre e un gatto. La vita in casa procede tranquilla: Bubby e la mamma fanno il bagno insieme, vanno a letto insieme e non solo per dormire. Poi un giorno arriva papà e per Bubby non c'è altra soluzione che ripetere il trattamento riservato al gatto: avvolgere nel domopack i genitori e farli morire d'asfissia.

Stranamente co-prodotto dalla Fandango, il film di De Heer, olandese, si ritaglia fin dalla scena madre inziale una sua particolare atmosfera in cui per tutta una prima e malatissima parte, rimaniamo semplicemente in uno scantinato fatiscente che sembra riflettere il caos e la patologia che segue madre e figlio, in un rapporto morboso che non sembra lasciare spazio al cambiamento, ma riflettendo una silenziosa sintonia di schiavitù e dipendenza da ambo le parti.
Poi Bobby scopre il mondo e si rivela curiosissimo di entrarci dentro con tutta la sua carica eversiva, la sua schizofrenia e la metafora del male sociale che spesso e volentieri è molto più manifesto nella società che non latente tra le mura di casa, come nel caso di Bobby, o forse ancora una semplice metafora di un estraneo al progresso della società.
Un viaggio di formazione tra amicizie improvvisate, donne con enormi tette, maternage in strutture psichiatriche, rapine e concerti, e infine lo scontro fede/ragione in due interessanti scene che non nascondono da parte del regista una certa critica di fondo.

Premiato a Venezia, il film di De Heer, che non tralascia per tutta la seconda parte una certa ironia, è spiazzante, crudo e minimale, senza prendere mai strade troppo contorte ma rimanendo quasi una trip metafisico volutamente provocatorio e gratuito, sgradevole ed eccessivo con cui l’ottimo interprete segue e da uno sguardo privo di giudizio con quegli enormi occhioni azzurri che piangono la miseria di questa società.

martedì 12 febbraio 2013

Freaked

Titolo: Freaked
Regia: Tom Stern/Alex Winter
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Ricky Coogin, una star televisiva che si è venduto a una multinazionale, il suo aiutante Ernie e Julie, una giovane ecologista, finiscono per caso in uno strano parco divertimenti. Le attrazioni del parco sono dei personaggi mostruosi, frutto degli esperimenti perversi di un certo Elijah C. Skuggs e anche Ricky, Ernie e Julie diventeranno vittime della sua follia.

Il bello del cinema trash e che proprio non avendo regole è capace di invertire e stravolgere ogni tipo di storia distruggendo ogni canone tipico del genere e ribaltando i propri schemi.
E’il caso del bellissimo Freaked che già solo per il fatto di appartenere al cinema degli anni’90 merita una standing ovation in più. I mostri, questo il tema insieme alla diversità e il potere mass-mediatico, sono tanti, diversi, e caratterizzati molto bene, oltre che godere di quell’irresistibile make-up condito da lattice e plastilina. Sembra un film della Troma, demenziale al punto giusto, anche se caratterizzato da un’assenza totale di elementi splatter ma quasi per certi versi una parodia del geniale CABAL (se letto ovviamente nel modo giusto) ma poi continua con FREAKS e THE ELEPHANT MAN oltre che storpiare Shakespeare accoppiandolo con il Gobbo di Notre Dame. Il parco dei divertimenti iniziale poi è fantastico, omaggiando quasi tutto in campo freak e del circo in generale, poi però il film acquisisce quella spinta in più diventando di fatto una favola ecologista e non solo.
Un cultone imperdibile e un film trash delirante, citazionista, onirico, e con delle idee davvero geniali (basta pensare al Freak uomo calzino, oppure uomo verme o uomo cane)il resto merita solo di essere visto.
Mi sono davvero scassato dalle risate!

lunedì 24 dicembre 2012

Ghoulies IV


Titolo: Ghoulies IV
Regia: Jim Wynorski
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Jonathan Graves dimessi i panni di apprendista stregone è ora un agente della polizia che si trova a combattere contro la propria fidanzata. Questa, infatti, per qualche strano motivo è appena uscita dal manicomio in quanto un tempo dedita a sacrifici umani per riportare in vita un antico demone...

Ghoulies fa parte di quella lunga e sterminata serie di film horror a budget limitato. Se da un lato la caratteristica di queste pellicole è quella di puntare sul più gore possibile grazie a stratagemmi casalinghi, dall’altra risulta pesantemente comica e demenziale sotto il profilo del make-up e a volte della recitazione.
In questo caso il numero quattro non dice nulla e non apporta nulla di significativo su una saga che si poteva dire conclusa dopo il primo squallido capitolo.
Contando che i demoni etti vengono rimpiazzati da una storia che cerca di prendere palesemente per il culo la stregoneria…il resto è tutto detto.
Per quanto riguarda i mostri sono una via di mezzo tra TROLLS egli EWOKS.
Wynorski comprando i diritti della saga pensava di dare un suo contributo personale senza rendersi conto che era una sfida con se stesso già persa in partenza.