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martedì 17 ottobre 2023

Let Us Prey


Titolo: Let Us Prey
Regia: Brian O'Malley
Anno: 2014
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 2/5

Un misterioso straniero viene fermato all'interno di una stazione di Polizia dove comincera' a controllare le menti di chi gli sta accanto.
 
Gli horror nelle prigioni sono sempre affascinanti, perchè hanno un'unica location dove sembra entrare il marcio che c'è in giro. DISTRETTO 13 su tutti, poi i vari Last Shift, EATER di Stuart Gordon. Ora trovandoci di fronte ad una produzione british mi aspettavo davvero molto di più.
E'un film sbagliato secondo me negli intenti dove il punto più debole per assurdo è proprio il misterioso straniero che non comunica e non riesce a empatizzare con lo spettatore.
Lo stesso discorso vale anche per la protagonista, per i suoi incubi, per il fatto di essere stata mandata lì dove trova colleghi che la scherniscono e dove il superiore ad un certo punto deraglia del tutto tale da diventare un villain quasi sotto certi aspetti improvvisato per la dinamica con cui si sviluppa la narrazione nel film. Le vittime fanno a gara per cercare di far più schifo e nascondere colpe inenarrabili come aver investito da ubriachi una povera fanciulla, aver massacrato di botte la propria moglie. In tutto questo con una coppia di agenti che appena può cerca di scopare il più possibile. L'uomo misterioso che all'inizio del film arriva direttamente dal mare con i corvi che sembrano vegliare su di lui e questa sua calma e capacità di leggere le menti altrui.
Un film pasticciato, vuoto e sterile per il fatto di ingranare marce nel nulla cosmico.

martedì 6 giugno 2023

Grazie ragazzi


Titolo: Grazie ragazzi
Regia: Riccardo Milani
Anno: 2023
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Antonio Cerami è un attore di teatro che da tre anni non calca il palcoscenico, vive da solo in un appartamento a Ciampino dove sente il passaggio di ogni aereo e doppia film porno per arrivare a fine mese. Il suo amico Michele, che ha un lavoro stabile presso un piccolo teatro romano, gli trova un incarico insolito: sei giorni di lezioni di recitazione presso un carcere di Velletri allo scopo di far mettere in scena ai detenuti una serie di favole. È un progetto finanziato dal Ministero cui la direttrice del carcere, Laura, ha acconsentito senza troppo entusiasmo, ma ad entusiasmarsi sarà Antonio, che deciderà di mettere in scena presso il teatro di Michele un progetto più grande: "Aspettando Godot" di Samuel Beckett, perché i detenuti "sanno cosa vuol dire aspettare: non fanno altro". Così Mignolo dalla moglie focosa, Aziz nato a Tripoli e arrivato in Italia col gommone, Damiano il balbuziente, Diego il boss e Radu l'addetto alle pulizie rumeno lavoreranno per interpretare un testo complesso e impegnativo, con risultati tutti da scoprire.
 
E' sempre bello quando il cinema entra dentro un carcere. Quando una commedia o un dramma entrano dentro il carcere. Ancora più bello quando chiama in causa i veri protagonisti e non attori professionisti. In questo caso non abbiamo nessuno dei due elementi soprattutto il primo dove di fatto vediamo solo le prove teatrali ma mai la vita dentro il carcere. Grazie Ragazzi è un'operazione simpatica, un dramma sociale che vive tanto grazie ad Albanese e il suo mettersi in gioco e di altri attori decisamente in buona forma.
“I detenuti sanno cosa vuol dire aspettare, non fanno altro”.
Con caratterizzazioni molto diverse e disparate, l'opera di Beckett come hanno già fatto in diverse parti del mondo, assurge il concetto di assurdità intesa (l'attesa) nell'assurdità attesa (il carcere) restituendo l'idea del teatro come opportunità di pacificazione ma senza mai analizzare troppo il dramma quanto più un'idea accomodante e edulcorata.

mercoledì 1 luglio 2020

Carandiru


Titolo: Carandiru
Regia: Hector Babenco
Anno: 2003
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

A Carandiru, la prigione piú grande del Brasile, il potere è in mano ad assassini, stupratori e drogati. Ma il giorno della rivolta 300 poliziotti fecero irruzione nel carcere uccidendo 111 detenuti disarmati. La storia vera del massacro di Carandiru nell'ottobre del 1992.

Carandiru è stato attaccato duramente dalla critica. Uno dei due importantissimi film di Babenco assieme a PIXOTE racconta le dinamiche del più grande carcere del Brasile nonchè il più affollato, il più degenerato e il più violento. Come un organismo, tutto al suo interno fatica a mantenere un ordine prestabilito, un'umanità feroce e disperata, che lotta per la sopravvivenza quotidiana, tra ordinaria sopraffazione e squarci di solidarietà, violenza onnipresente e rara speranza, secondo regole non scritte di convivenza. Il governo agisce tardivamente e male, l'incidente finale che a reso tragica una delle pagine più vergognose dei penitenziari ci mette molto tempo a decollare prima del doloroso terzo atto.
Un film molto romanzato, dove Babenco si prende tutto il tempo che gli occorre come uno storytelling per ascoltare e vedere le storie dei protagonisti, raccontando senza lesinare violenza e linguaggio con sofisticata leggerezza, matrimoni, tradimenti, screzi e quant'altro, tutto attraverso noi/lui, il protagonista, dottor Drauzio Varella chiamato a controllare i casi di Hiv presenti nella struttura.
Con il teorema del flashback assistiamo alle gesta a volte grottesche e spregiudicate di alcuni personaggi, del loro modo di prendere ciò che vogliono dalla vita vivendo e seguendo precisi codici d'onore.
“Attraverso quale sistema d’esclusione, eliminando chi, creando quale divisione, attraverso quale gioco di negazione e di rifiuto la società può cominciare a funzionare?”. Questa è una della domande centrali che Michel Foucault si pone nella sua trattazione di “A proposito della prigione d’Attica” e che sembra essere a tutti gli effetti la matrice alla base del film, la domanda che continuamente siamo chiamati a porci.




giovedì 16 aprile 2020

2013-La fortezza


Titolo: 2013-La fortezza
Regia: Stuart Gordon
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

In un prossimo futuro, negli Stati Uniti, una coppia si trova imprigionata in un carcere di massima sicurezza per aver violato le leggi relative alla natalità. I due decidono di tentare l'impossibile e fuggire.

Lambert deve solo baciare la terra sotto i piedi per la fortuna che ha avuto a poter recitare in alcuni splendidi film vista la sua totale assenza di talento ed espressività.
Gordon è uno dei quei registi che hanno saputo fare la differenza smarcandosi da produzioni low budget a piccoli blockbuster come questo, prediligendo l’horror e rimanendo sempre impantanato per fortuna nella sci fi regalando dei film indimenticabili in una limitata quanto straordinaria filmografia dove Dagon svetta inarrivabile dimostrando come in pochi hanno saputo e sapranno ricreare qualcosa che assomigli all’orrore cosmico.
B movie, sci fi, prison movie, atmosfera distopica, quasi cyberpunk ed exploitation per alcuni aspetti e in piccole dosi un pochino di splatter. Una galleria di scene d’azione davvero appaganti, un team di attori funzionali, una trama in fondo dedita alla causa raccontando poco ma mostrando con le immagini molto. Robot, AI, tecnologia d’avanguardia, e poi sono tanti i rimandi politici e sociali con cui Gordon tratteggia l’intera e unica location del film (a parte il penosissimo finale). Diventa quindi una potenza governativa, proprietà della MenTel Corporation, che può disporre in qualsiasi modo della vita dei propri prigionieri, per i quali riceve dal governo una paga giornaliera di 27 dollari cadauno, oltre a poterne disporre per le proprie attività impiegandoli nei durissimi lavori. Le regole all’interno visto il cinismo di Gordon non potevano che essere devastanti con prevaricazioni e dove vige la legge del più forte. I prigionieri di cui alcuni non si spiega cosa possano aver fatto, lavorano su turni coprendo le 24 ore, perdendo l’orientamento del giorno e della notte, sottoposti ad un durissimo condizionamento psicologico che comprende il controllo dei pensieri e dei sogni oltre ad un inibitore chiamato ‘fibrillatore gastrico’ che viene impiantato nell’organismo dei malcapitati e può indurre al dolore o alla morte a seconda della punizione da scontare. Le zone della Fortezza sono circoscritte da linee gialle o rosse in base alla gravità della limitazione, dividendo uomini e donne, mentre le prigioni hanno delle sbarre laser che bruciano i corpi dei detenuti.
Per gli amanti della sci fi alcuni ingredienti sembreranno riscaldati e presi direttamente da altro materiale cinematografico ancora più spesso, ma alla fine quella nota di cattiveria e di non lasciare proprio tutto così al caso danno al film un ritmo che mantiene un intrattenimento divertente e solo a tratti sofisticato.

venerdì 9 agosto 2019

Sleepers


Titolo: Sleepers
Regia: Barry Levinson
Anno: 1996
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Quattro giovani ladri, finiti in riformatorio negli anni sessanta per l’uccisione accidentale di un passante, vogliono vendicarsi delle angherie subite dalle guardie.

Sleepers è prima di tutto una parata di star alcune di grande successo, altri meno e infine qualcuno che non c'è l'ha fatta. Gassman, Hoffman, De Niro, Bacon, Pitt, Patric, Crudup, Renfro.
Sleepers non è esente da difetti, anzi, ma rimane un film importante con una vicenda davvero disturbante nonostante i film sugli abusi e sul carcere siano un tema ricorrente da anni a questa parte. Quello che colpisce al di là di alcune intense interpretazioni, è l'atmosfera del film, soprattutto nella prima parte, che sembra rimandare a Scorsese ma anche ad un certo cinema di genere. Ci sono pro e contro nel film, scelte che si possono ritenere giuste o valide e altre discutibili. Uno dei pochi film in cui la voce narrante non è un punto debole ad esempio.
Come nel conte di Montecristo citato a profusione, la vendetta va preparata e infine sfruttata nella maniera più funzionale quella per le strade ma soprattutto nell'aula di tribunale. Ci sono vari stereotipi che proprio sulla parte finale e i personaggi chiamati in causa, sostengono la giustizia privata attraverso la manipolazione della legge e della fede cattolica (il giuramento del prete De Niro) dando al film pregi e momenti debolucci in un altalenarsi dove i difetti sembrano andare di pari passo con la strategia per confezionare la vendetta.
Il coraggio di Levinson non si risparmia specie nelle scene in riformatorio, Rizzo il nero come capro espiatorio, le urla dei ragazzi nei corridoi mentre vengono abusati e torturati, l'incidente scatenante iniziale..il dialogo con Bacon da parte di Tommy e John.



venerdì 2 agosto 2019

Escape Plan 3


Titolo: Escape Plan 3
Regia: John Herzfeld
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

La figlia di un magnate di Hong Kong viene rapita e Ray Breslin, incaricato di salvarla, riceve una minaccia da Lester Clark jr., figlio del precedente socio in affari di Ray, che gli promette vendetta. Ray riceve anche l'aiuto di due esperti di sicurezza di Hong Kong, ossia Bao Yung che si sente in colpa per non essere riuscito a salvare la donna, e il misterioso Shen Lo, formidabile artista marziale che ha un interesse molto personale verso la vittima del rapimento. Ray poco dopo è a sua volta colpito negli affetti da Lester e così, insieme al sodale e massiccio Trent DeRosa, è deciso più che mai a portare a termine la missione.

Escape Plan 3 chiude una brutta trilogia, inutile più che mai dal momento che copia e riprende stilemi di altri brutti film che non possono nemmeno essere considerati prison movie.
Arti marziali, cinesi fortissimi, Bautista, Stallone in difficoltà e la prigione del diavolo, questa volta nei paesi dell'est, vicino Tallin tra l'altro, una capitale bellissima e piena di gente interessante.
Il villain è il figlio di un vecchio cattivo che si vendica, c'è un cinese miliardario a cui hanno rapito la figlia e la squadra come dicevo è composta da 4 elementi di cui due cinesi che non fanno però una bella figura dal momento che sono i mercenari a dover fare il figurone.
Escape Plan 3 poteva almeno regalare qualche interessante scena d'azione, ma purtroppo sembra scritto da un celebroleso che ha cercato di fare meno schifo del secondo capitolo, ma di fatto rimane un prodotto inutile, stupido, vagamente reazionario e con un corollario di scene che sembrano montate malissimo senza continuità.
Herzfeld aveva dimostrato se non altro di saperci fare come mestierante. Qui tra location fasulle, scenografie da denuncia, combattimenti pacchiani, recitazione ai minimi storici e una storia noiosa, sembra aver fatto peggio di quanto ci si potesse aspettare. Fortuna che è finita!


giovedì 18 luglio 2019

Mustang(2018)


Titolo: Mustang(2018)
Regia: Laure de Clermont-Tonnerre
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Un prigioniero violento ha l'opportunità di partecipare ad un programma di riabilitazione che coinvolge cavalli selvaggi. Legherà con un cavallo particolarmente complesso, portando alla superficie ricordi pieni di emozioni.

Quando lasci a briglie sciolte un attore massiccio, un vero fisic du role del calibro di Matthias Schoenaerts (uno degli attori più in gamba del momento) il risultato vista tutta la sua filmografia precedente, non può che essere convincente.
Mustang sembra fin dall'inizio avere pochi elementi con cui giocarsela.
Il carcere, la redenzione, un mentore che gli fa scoprire un lato di sè che non conosceva, la horse terapy o meglio animal terapy che alle volte il cinema indaga e infine la consapevolezza di non diventare un gregario al soldo del boss della prigione e via dicendo.
Roman sente il richiamo della bestia in una scena emotivamente molto bella dove entrambi, l'uomo e la bestia, sentono di non poter essere contenuti dove il primo addirittura ammette fin dal dialogo iniziale con la psicologa del carcere di non essere bravo con le persone (una frase che riassume molti altri non detti).
Mustang è reale, pienamente convincente anche se alcuni sviluppi sono presto riassumibili e alcuni dialoghi molto didascalici ("Se vuoi controllare il cavallo, prima devi controllarti") ma si concentra sulla potenza e il carisma del protagonista che sempre di più dimostra un cammino di maturità e di scelta di film spesso anti commerciali.
Mustang poi vince una sfida tutt'altro che semplice per la regista di girare negli Stati Uniti e confrontarsi con due generi molto emblematici del grande West americano, il film di prigionia e l’immersione in un ambiente di cowboy, un'ambiente molto maschile tra detenuti e cow-boy in un connubio spesso anomalo ma che riesce ad avere un suo significato e una sua precisa collocazione.

sabato 8 giugno 2019

Profeta


Titolo: Profeta
Regia: Jacques Audiard
Anno: 2009
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Malik El Djebena ha 19 anni quando viene condannato a sei anni di prigione. Entra con poco o nulla, una banconota ripiegata su se stessa e dei vestiti troppo usurati, che a detta delle guardie non vale la pena di conservare. Quando esce ha un impero e tre macchine pronte a scortare i suoi primi passi. In mezzo c'è il carcere, la protezione offertagli da un mafioso corso, l'omicidio come rito d'iniziazione, l'ampliarsi delle conoscenze e dei traffici, le incursioni in permesso fuori dal carcere, dove gli affari prendono velocità.

Audiard è un regista francese che potremmo definire quasi internazionale. Il suo cinema almeno le sue ultime opere dimostrano talento e soprattutto la capacità di girare qualsiasi cosa, di qualsiasi genere e con qualsiasi attore internazionale.
I risultati seppur molto distanti confermano un innegabile talento. Sapore di ruggine e ossa
, Deephan, sono storie d'azione, drammatiche e coraggiose che parlano di questioni attuali mischiandole con la criminalità organizzata o la crisi del lavoro e i protagonisti quasi sempre dei perdenti.
Su tutto un aderenza ai generi minimale, un aspetto tecnico sempre squisitamente formidabile, un cast che aderisce perfettamente alla causa e infine tante bellissime scene che come quadri diventano indimenticabili nella psiche dello spettatore.
Il profeta è il film da cui il regista segna un importante passaggio, entrando nel mondo adulto e maturo e da lì in seguito sarà solo una discesa negli inferi.
Prison movie, dramma contemporaneo, vita criminale, viaggio di formazione nella violenza.
Il film discute e approfondisce tanti passaggi, immergendosi fin da subito nella sub cultura che racconta, soprattutto quelli in carcere con alcuni dialoghi squisiti e che istantaneamente rendono il film molto realistico e decisamente esagerato sotto certi aspetti.
Un film che non vacilla mai, sospendendo il pregiudizio, di fatto essendo lungo quanto complesso, ma che grazie ad un uso sapiente del montaggio, non lascia mai momenti di vuoto ma relega ogni momento ad una scena ben precisa, diventando significativo nella sua continuità come l'exursus del protagonista scandito da didascalie che suddividono la sua epopea in capitoli


mercoledì 5 dicembre 2018

A prayer before dawn


Titolo: A prayer before dawn
Regia: Jean Stephane Sauvaire
Anno: 2017
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Billy Moore è un giovane boxer inglese che combatte incontri clandestini in Thailandia. Non sappiamo perché si trovi lì, né perché si sia dato alla boxe, ma lo vediamo combattere, bere e fumare crack in un crescendo autolesionista e trasgressivo che culmina inevitabilmente in un arresto da parte della polizia locale. Ed è il suo ingresso all'inferno: nel carcere la violenza si consuma nella totale indifferenza delle guardie, e brutalità di ogni tipo stabiliscono il sistema gerarchico alla cui sommità si trovano belve umane tatuate dalla testa ai piedi che torturano i loro sottoposti in tutti i modi possibili.

A prayer before dawn è un prison movie robusto e anti convenzionale che ci porta in lande sconosciute e ci abbandona come un sacco di rifiuti in mezzo a scorie radioattive.
A differenza di molti altri film, il regista è interessato a monitorare in modo piuttosto dilatato e quasi senza azione, il micro cosmo, la sub cultura che si è impossessata delle carceri thailandesi con tutte le loro regole e i codici criminali.
Una prova che non si basa sulle solite azioni o sul revenge movie o su rivolte (i temi spesso più abusati nel sotto genere) ma mostra la dipendenza e le regole all'interno delle mura carcerarie. L'annichilimento di uomini che per riuscire ad ottenere la dose diventano oggetti di altri uomini (la scena dove uno di loro viene sodomizzato da tre boss è raccapricciante).
In tutto questo panorama dove la salvezza, l'onestà e qualsiasi valore sembra ormai aver abbandonato chiunque, Billy cerca di sopravvivere a suo modo confrontandosi con l'altro culturale e cercando fino alla fine di mantenere alta la dignità, data la sua diversità che lo pone come l'unico fantasma bianco in mezzo alla massa.
Una preghiera prima dell'alba è tratto dall'autobiografia omonima di William "Billy" Moore che ha dato minuziosa contezza della sua odissea carceraria

martedì 25 settembre 2018

Sulla mia pelle


Titolo: Sulla mia pelle
Regia: Alessio Cremonini
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

L'ultima settimana nella vita di Stefano Cucchi è un'odissea fra caserme dei carabinieri e ospedali, un incubo in cui un giovane uomo di 31 anni entra sulle sue gambe ed esce come uno straccio sporco abbandonato su un tavolo di marmo. Alessio Cremonini ha scelto di raccontare una delle vicende più discusse dell'Italia contemporanea come una discesa agli inferi cui lo stesso Cucchi ha partecipato con quieta rassegnazione, sapendo bene che alzare la voce e raccontare la verità, all'interno di istituzioni talvolta più concentrate sulla propria autodifesa che sulla tutela dei diritti dei cittadini, sarebbe stato inutile e forse anche pericoloso.

Sulla mia pelle è un film che andava fatto e che speriamo che possa aiutare dalla sua a velocizzare l'iter legale ancora in corso.
Il risultato è un film di denuncia. Il film di fatto narra senza prendere posizioni, con il suo taglio indie e la sua messa in scena solida e risoluta riuscendo dove altri film hanno finito per essere troppo esagerati e in fondo non così potenti e d'impegno civile come questo (Diaz-Non pulire questo sangue o Black Block ad esempio).
Gli ultimi sette giorni con un flash forward iniziale descrivono senza mezzi termini e senza scontare nulla ma riportando a galla i verbali e le testimonianze e descrivendo quel microcosmo togliendo le botte ma facendo star male con una violenza psicologica e una claustrofobia carceraria davvero notevole e di forte impatto.
La disperazione, la rabbia, la debolezza, l'arroganza del protagonista (con un ottimo Borghi) riescono a trasmettere quell'ansia e quella perdita di valori nei confronti di un ragazzo che sapeva di sbagliare ma che non meritava di finire in un buco, una cosa da posare nell'angolo e dimenticare.
Nove anni sono passati dall'arresto e dalla successiva incredibile morte di Stefano Cucchi, nel 2009 deceduto all'ospedale Sandro Pertini dopo sette giorni di indicibili sofferenze fisiche. Nove anni in cui la giustizia non ha ancora trovato un vero colpevole, con una sentenza di primo grado, un processo d'appello, un intervento della Cassazione, un secondo appello e una nuova inchiesta ad aver delineato realtà discordanti.



giovedì 13 settembre 2018

Fidele


Titolo: Fidele
Regia: Michael R.Roskam
Anno: 2017
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

Bénédicte, detta Bibi, è pilota di macchina da corsa. Quando Gino, detto Gigi, la incontra per caso, è amore a prima vista. Bibi ha una carriera e una famiglia, Gigi ha solo un grande segreto, che rischia di divorare entrambi. Fedeli al loro amore, i due andranno incontro ad un destino difficile.

Gigi e Bibi.
Voglio troppo bene al cinema di Roskam e al suo attore feticcio, Schoenaerts , per maltrattare questo pasticciato e confuso film che regala però dei momenti molto intensi e potenti che non possono mancare in un polar.
Estremo verso il finale forse esageratamente allucinato nella sua idea di raggiungere l'utopico e irraggiungibile fantasma dell'amore assoluto (l'ultima scena è quasi folle) Fidelè che da noi finalmente è arrivato anche nei cinema è un toccante ma incongruente ed eccessivo mix tra polar, noir, gangster movie, love story e adrenalinica corsa tra macchine, cani e umani.
Un film che apparentemenete ha una trama molto flebile dove però Roskam sembra inserire di tutto fino a farlo diventare straripante procedendo per accumulo ma allo stesso tempo riuscendo sempre ad avere una sua alchimia e un'armonia seppur negli eccessi che non mancano.
Un film con tante e brusche ellissi temporali che si sposta da una corsa a delle ville fatiscenti fino a delle celle minuscole o addirittura gabbie dove venir confinati.
Dal macro al micro. Tutto è così come nel cinema del regista belga.
Il merito più grosso che altrimenti avrebbe decretato un mezzo fallimento è quello dell'alchimia tra i due attori dove entrambi hanno uno spessore psicologico importante nonostante i loro segreti ci vengano rivelati fin da subito e conferisce soprattutto a Bibi un personaggio molto complesso che dopo essere stata presentata come forte e indipendente pilota finisce per diventare una sorta di martire dell’inguaribile e rovinoso stile di vita del suo Gigi, annullando la propria personalità per la salvaguardia di un amore tragicamente impossibile, sul quale la sceneggiatura fa piovere ogni sciagura possibile e immaginabile.


giovedì 30 agosto 2018

Escape Plain 2


Titolo: Escape Plain 2
Regia: Steven C.Miller
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Ray Breslin, l'uomo in grado di fuggire dalle prigioni più dotate di sistemi di sicurezza a prova di evasione, è ora a capo di un team che si occupa della stessa materia. Il suo agente più abile, Shu Ren, è finito insieme a quello che considera un fratello in una prigione denominata Ade da cui sembra davvero impossibile fuggire. Le sue coordinate cambiano costantemente e tutto ruota attorno a un'arena dove vengono convocati i prigionieri per combattere tra loro.

Sembra che stia diventando una moda o forse questi mercenari proprio non c'è la fanno ad andare in pensione visti i debiti o i mutui sulle ville o i castelli.
Cruise, Stallone, Cage, Willis, e molti altri ancora portano avanti franchise, sage interminabili, profetti disastrosi e disastrati che non meritavano nemmeno dei sequel e tante altre cose spiacevoli.
Eccoci al secondo capitolo di una saga che già non aveva senso in partenza portando l'attore a riprendere vecchi ruoli del passato cercando di fare ancora bella figura.
Stallone non mi sta nemmeno troppo antipatico seppur un mezzo reazionario, però il suo bisogno per salvare i suoi soldati di rientrare in una prigione di massima sicurezza con le spalle parate da Bautista e dal sempre più inutile 50% dopo che l'ex presidente della Californi ha dato forfait mi sembra forse eccessivo.
Dopo i film con Dwayne Johnson anche qui i cinesi stanno risalendo la china tra l'altro tutti giovani in ottima forma capaci di dare tante pedate ai vecchi mercenari e a rispondere alla domanda se veramente abbiano bisogno dei mercenari stanchi e imbruttiti dai troppi abbellimenti estetici a differenza di fisici tonici quasi tutti campioni di arti marziali.
Un film abbastanza vuoto dove i veri protagonisti non sembrano nemmeno esserci ma tutti cercano di trovarsi il loro momento in cui rubare la scena tra un fuggi fuggi per questi tortuosi corridoi in questo carcere di "massima" sicurezza

giovedì 4 gennaio 2018

Brawl in Cell Block 99

Titolo: Brawl in Cell Block 99
Regia: S. Craig Zahler
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Bradley, un ex pugile, perde il lavoro come meccanico di auto, e anche il suo tormentato matrimonio è in pericolo. In questo momento difficile, non vede davanti a sé altre scelte se non quella di lavorare come corriere per un trafficante, sua vecchia conoscenza. La situazione migliora fino al giorno tremendo in cui si trova coinvolto in una sparatoria tra un gruppo di poliziotti e i suoi spietati alleati. Bradley è gravemente ferito e finisce in prigione, dove i suoi nemici lo costringono ad atti di violenza che trasformeranno quel posto in un brutale campo di battaglia.

Zahler lo aspettavo al varco sperando che dopo l'ottimo Bone Tomahawk, uno dei western più cattivi in assoluto della passata stagione assieme a Outlaw and angels, riuscisse a regalarci un'altra perla.
Un vero viaggio negli inferi. E'davvero spiazzante e sbalorditiva la quantità di sofferenza e rabbia presente in questo film, senza contare ovviamente la violenza.
Bradleyè una macchina che non accetta compromessi e che arriva dritto al punto a suon di combinazioni di boxe e altre tecniche decisamente astute di chi conosce il mestiere.
Pur avendo visto innumerevoli prison-movie, non mi sono mai trovato di fronte a qualcosa che riuscisse a farmi star male. Un male positivo che nonostante la lunghissima serie di elementi non-sense presenti nel film e una sceneggiatura che se ne frega della realisticità dei fatti (quasi tutti sopra le righe ed esagerati) il film sembra essere interessato solo a riprendere questa carneficina che non risparmia nessuno dalle guardie ai detenuti e a chiunque ostacoli la "redenzione" del protagonista.
Un film che spesso e volentieri proprio nelle scene di violenza, per quanto girate in maniera impressionante e in alcuni casi decisamente realistiche, deraglia più volte sullo splatter (crani spappolati, arti spezzati come fossero grissini) come a voler sottolineare la poetica di inabissamento verso la morte (attraverso l’ultra violenza), percorso necessario, inevitabile, per riscattare esistenze in bilico.




sabato 23 settembre 2017

Shot Caller-La Fratellanza

Titolo: Shot Caller-La Fratellanza
Regia: Ric Roman Waugh
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Jacob Harlon, uomo d'affari e padre di famiglia, finisce in carcere con l’accusa di omicidio colposo dopo aver provocato la morte del suo miglior amico Tom in un incidente automobilistico. Per sopravvivere tra le sbarre si unirà alla fratellanza ariana…

Shot Caller- Las Fratellanza è un ibrido già visto e rivisto. Un prison movie senza nessun guizzo narrativo ma lavorando solamente con il montaggio scandito in tre archi narrativi diversi della vicenda (quindi il "traguardo" della regia e di non aver usato il tipico montaggio su due piani temporali ma di averne aggiunto uno...)
Sono tanti gli elementi che non funzionano nel film. Dal protagonista assolutamente non in parte a tutta una serie di artifici e accessori che sinceramente trovo pacchiani e noiosi così come inquadrare l'interno del carcere sempre allo stesso modo.
E'la saga del già visto con un immaginario razziale banale e grossolano e in cui i personaggi, sia neri che bianchi neonazisti sono tutti grezzi e bidimensionali come la regia noiosa e scontata di Waugh che sembra essere il primo a non crederci e infine Lannister che riesce a non togliersi quel fastidioso sorrisetto nemmeno nelle scene più violente e drammatiche.
E poi la parte finale con il figlio che a distanza decide di perdonarlo proprio non si può sentire.



lunedì 6 marzo 2017

Robinù

Titolo: Robinù
Regia: Michele Santoro
Anno: 2016
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Un mondo di soldati bambini che imparano a sparare a 15 anni, a 20 sono killer professionisti e talvolta non arrivano ai 30. Michele Santoro li incontra e li fa parlare. Ma non si trovano, come si potrebbe pensare, in qualche area del continente africano. Vivono e combattono una guerra, che è arrivata a contare fino a 80 morti, nelle vie e nei vicoli di Napoli.

Ormai il cinema d'inchiesta non viene solo più fatto da registi ma anche da ex politici e giornalisti.
La critica più grossa che si può muovere a Santoro è lo scarso lavoro sugli intenti e sugli obbiettivi che il documentario si pone. Sembra una videocamera che in alcuni momenti di nascosto filma dialoghi e monologhi a caso nei quartieri spagnoli di Napoli, in cui gli stessi intervistati spesso e volentieri risultano spiazzati, alcuni presi alla sprovvista mentre altri semplicemente non capiscono se sia una cosa seria o interviste che magari non verranno nemmeno trasmesse.
Il (macro)cosmo napoletano della paranza dei bambini quel fenomeno che ha fatto si che la camorra, soprattutto in zone centrali di Napoli, continui le sue faide armando minorenni e distruggendo famiglie e quartieri interi ha dalla sua alcune scoperte e volti che si imprimono nella psiche dello spettatore con una forza e una violenza tremenda.
Vengono intervistate tante famiglie, tante persone, tante storie narrate con l’occhio investigativo da inchiesta e con il giusto tempo filmico affinché vengano esplicate per bene le condizioni dei ragazzi, la cui unica sfortuna è quella di vivere in quei territori. Viene raccontato tutto, dal mondo che li attornia fin dalla nascita, a come vengono attratti dal sistema e fino alla loro incarcerazione, per i più fortunati che sono in carcere e che hanno la possibilità di replica.
Le riprese attraversano le case, i quartieri ma soprattutto entrare dentro Poggioreale per scoprire la storia di Michele, un ragazzo che va per la sua strada, non appartiene a nessuna fazione, vuole una propria paranza, riceve lettere d’amore dalle ragazze in visibilio per lui, incosciente, sarcastico, sopportando il carcere con disinvoltura sapendo che la sua unica strada è quella.
L'unica vera domanda e riposta che il documentario ottiene è anche quella che fa più male, lascia perplessi e lascia la domanda aperta in questo caso alle istituzioni, su cosa vogliano fare.
Tutti i ragazzi ribadiscono la stessa cosa e il dato è davvero inquietante. Il primo a dirlo manco a farlo apposta è proprio Michele.Ma che futuro può avere un ragazzo incarcerato a 17 anni, che se va bene esce a 40 anni, quando l’unica cosa che ha conosciuto è la malavita, come si spaccia, l’estorsione e la prostituzione? Quale futuro gli si propone se in carcere non vengono avviati alcuni programmi di recupero, scolastico o di rieducazione? "Dentro il carcere non avviene nulla e quando usciremo saremo ancora più cattivi "
Questa frase e questa immagine dolorante dovrebbe far riflettere e cercare in qualche modo di porre un rimedio o almeno sperare che in futuro qualcuno riprenda in mano la situazione cercando di investire proprio all'interno delle carceri. Robinù così viene chiamato Michele dal padre, rubava ai ricchi per dare ai poveri, insegnando tra l'altro che proprio in quelle zone nessuno dei baby aspiranti boss mostra di aver avuto bisogno dei personaggi della fiction per desiderare di entrare nel mondo della criminalità più o meno organizzata come dice GOMORRA e i libri di Saviano.
Robinù è una tragedia in corso quotidiana, un'emergenza che non si vuole vedere, un documentario sporco, disorientante, segno di un’esperienza non collaudata e pure girato con una certa fretta.



domenica 18 settembre 2016

Banshee-Season 4

Titolo: Banshee-Season 4
Regia: AA,VV
Anno: 2013
Paese: Usa
Stagioni: 4
Episodi: 38
Giudizio: 3/5

Il protagonista principale è un criminale, che dopo aver scontato quindici anni di prigione a seguito di un tentativo di rapina finito male, ritorna in libertà. Immediatamente si mette sulle tracce della sua ex amante e complice, Ana, mentre si ritrova braccato dagli uomini del boss criminale che aveva tentato di rapinare, Mr. Rabbit. Le sue ricerche lo conducono quindi in un luogo immaginario, ossia a Banshee, una piccola città della Pennsylvania abitata prevalentemente da una popolazione Amish. Banshee, come viene detto in una presentazione della serie, è una creatura femminile della mitologia irlandese che porta sfortuna e probabilmente ciò ha ispirato il nome della città, che è rappresentata come una località in apparenza bella, pacifica, ma in realtà abitata da alcune persone orribili, come Proctor, un potente gangster che nasconde le proprie attività criminali dietro la facciata di uomo d'affari e praticamente tiene in pugno la città. Il protagonista qui rintraccia Ana, che ha cambiato identità ed è nota come Carrie Hopewell, moglie del procuratore distrettuale. Dopo essersi ritrovato casualmente in uno scontro a fuoco tra il nuovo sceriffo appena arrivato in città, Lucas Hood, e alcuni criminali del posto, i quali finiscono tutti uccisi, decide di rubare l'identità dello sceriffo e rimanere in città, nel tentativo di convincere l'ex complice a riprendere il rapporto con lui.

Banshee ha qualcosa di infinitamente idiota ed esageratamente tamarro questo è vero.
Si prende poco sul serio o meglio quando lo fa non ci riesce comunque.
Diciamo proprio: e'una serie di ignoranza senza precedenti.
Eppure è adorabile, fantasticamente pieno di ritmo e di insensatezze che piacciono perchè incasellate in modo furbo, certo banale, ma d'effetto.
E'un telefilm di uomini duri che bevono in silenzio whisky, scopano senza un domani e fanno rapine con una facilità degna dei serial americani.
Ho deciso per limiti di tempo di essere coinciso e perchè sinceramente trovo esagerati e inutili tutti coloro che recensiscono, magari con due o tre pagine, ogni singolo episodio di tutte le lunghe e disparate serie che guardano.
Nel mio caso sarò estremamente veloce contando che provare a dare un giudizio su quattro stagioni tutte assieme per 38 episodi e opera folle come non ho quasi mai fatto.
Seppur con tante trovate, alcune davvero banali e scontate mentre altre quasi d'effetto, la serie trova nell'esagerazione, nella continua diversificazione dei personaggi l'elemento più imprevedibile e divertente. Poi senza stare a prendersi in giro, in Banshee ci sono un sacco di fighe, spogliarelli e altro che fanno capire quale è stato l'elemento in più della Cinemax, costola della HBO, ex canale sporcaccione dei porno softcore.
Veniamo per ordine. Che cosa c'è in Banshee: violenza, nudi, scopate, indiani, amish, freaks, checche che spaccano i culi, tette e culi, inseguimenti, sparatorie, religioni caratterizzate col culo, fbi, azione a gogò, mafiosi russi e ucraini, branchie del governo che appaiono e scompaiono, zii che scopano le nipoti, motociclisti, albini che sodomizzano, sceriffi senza uno scopo nella vita, tutori del disordine, nazisti e bambini malati.
In mezzo a tutto questo poi non esiste solo la città di Banshee, vero tesoro per gli scambi di identità, ma altri coloratissimi e insensati luoghi che danno e creano disordine e ovviamente uniscono i tasselli di una trama che come per molte altre serie tende a lavorare per accumulo.
Ho un problema grosso.
Ho visto questa serie qualche mese fa ma per strani, arcani e sinistri motivi non l'ho mai recensita. Quindi inserire le trame di quattro stagioni non avrebbe senso e quindi non lo farò.
La parola chiave di Banshee comunque rimane una: l'adrenalina, quella che piace perchè spegne il cervello.
Continuando sono davvero tanti i luoghi comuni che vengono buttati sullo schermo senza pensare alle conseguenze, come un giocattolone che forse si pensava non sarebbe mai andato oltre il primo episodio, ma che invece è stato addirittura ed esageratamente tirata avanti e non a caso le ultime due serie sono quelle che hanno i maggiori wtf.
Da questo punto di vista l'ultima serie infatti è forse quella campata più in aria e l'antagonista con quelle corna da minchione sembra una parodia del satanismo e delle new-religion.
L'unico aspetto politicamente scorretto (il vero colpo di genio se vogliamo), ma dubito che appartenesse negli intenti dei due creatori, è quello di dare potere ad un uomo comune tutto rapine e discutibile senso della morale. Come a dire che chiunque potrebbe fare lo sbirro o lo sceriffo in America (o forse un po ovunque...) e che tanto non bisogna sapere e capire niente sulla legge perchè in fondo basta trovare un minimo di coerenza e buon senso quando la circostanza lo ritiene.



giovedì 4 agosto 2016

Colonia

Titolo: Colonia
Regia: Florian Gallenberger
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

Lena e Daniel sono una coppia di giovani tedeschi innamorati. Lei è una hostess della Lufthansa, lui un grafico e un fotografo, che si è messo a servizio delle speranze rivoluzionarie del Cile di Salvador Allende. Daniel ha appena deciso di tornare in Europa con lei, quando rimane bloccato dal colpo di stato del 1973. Segnalato come collaboratore dei comunisti, viene rapito dalla polizia segreta di Pinochet, torturato orrendamente, e segregato nella cosiddetta Colonia Dignidad, nel sud del paese: una missione guidata dal carismatico Pius, alias Paul Schafer, dalla quale nessuno è mai riuscito a fuggire. Abbandonata dai compagni di Daniel, che hanno preso la via della clandestinità, Lena decide di entrare sola e volontaria a far parte della setta, per ritrovare il suo fidanzato e cercare di portarlo in salvo.

Non è mai facile attraversare alcuni momenti bui della storia.
Il cinema ci prova spesso con risultati contraddittori a seconda di quanto vengano premiati gli intenti e la storicità del fenomeno storico.
In questo caso Colonia Dignidad con il suo leader a dir poco carismatico ma autoritario Schafer è un'altra di quelle storie malate e inquietanti che il cinema si è preso la briga di raccontare e mostrare attraverso le immagini.
Quando però si punta troppo sull'azione esasperando un dramma e spettacolarizzandolo, si rischia di finire su un terreno poco fertile e irto di spine. Per fortuna il film tedesco riesce nonostante alcuni momenti traballanti, quasi tutti nella seconda parte, ha scampare da questo problema ma purtroppo senza focalizzarsi mai troppo bene sul dramma, preferendo una improbabile storia d'amore assai stereotipata e con alcuni eccessi davvero poco convincenti.

Se poi all'espressività enigmatica di Bruhl poniamo accanto la tipica mono espressione della Watson, davvero poco credibile come scelta e come recitazione, allora alcuni sforzi sembrano vani.

giovedì 21 luglio 2016

Atmen

Titolo: Atmen
Regia: Karl Markovics
Anno: 2011
Paese: Austria
Giudizio: 4/5

Roman ha appena compiuto i diciotto anni ma non ha alcun motivo per festeggiare. Non ha famiglia, è senza amici e per di più sta scontando una lunga condanna all’interno di un penitenziario minorile. Presto gli si presenta, però, la possibilità di lasciare l’istituto a patto che si trovi un lavoro che gli permetta di reinserirsi nella società. Dopo vari tentativi andati a vuoto, il ragazzo è assunto in un obitorio. Qui, di fronte al cadavere di una donna che porta il suo stesso cognome, decide di mettersi alla ricerca della madre e delle sue origini.

L'Austria quasi sempre ci porta a sondare scenari drammatici e situazioni molto pesanti.
Markovics non sembra allontanarsi troppo da questa specie di reputazione e punta tutto su un viaggio di redenzione reale, quasi silenzioso, lasciato sulle spalle del suo giovane protagonista.
Un anti eroe già segnato da una maledizione che non lo molla per tutta la durata della pellicola.
Soffocare, non sentirsi mai liberi, spostarsi da una prigione per recarsi in "altre" prigioni dell'anima che lasciano sempre un senso di vuoto e di morte che non è solo quella che si vede nelle vittime con cui Roman ha a che fare ma che diventa metafora di un male sociale e di istituzioni incapaci di creare soluzioni diverse che non schiaccino la voglia di vivere dei giovani anche quando questi per ragioni complesse e strazianti arrivano ad uccidere un coetaneo.
Fine pena mai, sembra quasi il leitmotiv della sua vita, senza colpi di scena, amici o entusiasmo.
Il controllo della respirazione diventa la nota principale attraverso cui si dipana il film almeno fino a quando non lascia spazio al desiderio di scoprire e di dare e darsi una propria identità.

Solo in questo modo si scopre un'altra vita, un altro percorso di ricerca e infine un obbiettivo che anche se non porterà alla risposta che si vuole, diventa quell'unica possibilità per slacciarsi dall'alienazione e dall'omologazione che rischia di distruggere il protagonista.

lunedì 18 luglio 2016

Fiore

Titolo: Fiore
Regia: Claudio Giovannesi
Anno: 2016
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Carcere minorile. Daphne, detenuta per rapina, si innamora di Josh, anche lui giovane rapinatore. In carcere i maschi e le femmine non si possono incontrare e l'amore è vietato: la relazione di Daphne e Josh vive solo di sguardi da una cella all’altra, brevi conversazioni attraverso le sbarre e lettere clandestine. Il carcere non è più solo privazione della libertà ma diventa anche mancanza d'amore. FIORE è il racconto del desiderio d'amore di una ragazza adolescente e della forza di un sentimento che infrange ogni legge.

Fiore è un dramma toccante sulla possibilità e il coraggio di andare avanti.
Un prison-movie che spinge verso una storia d'amore quasi impossibile tra le mura del carcere, un rapporto genitoriale complesso e una natura selvaggia ricca di sfumature.
Un film che non cerca sensazionalismi o scene melense ma lascia sempre una scia di sofferenza e di cattività come le celle in cui vengono destinati i due amanti.
Fiore è la metafora della speranza, le cui gesta rimarranno impresse dalla grande prova della giovane protagonista Daphne ed è un film indie italiano che ricerca e si pone degli interrogativi interessanti su temi sociali poco avvezzi alla nostra cinematografia.

Lascia un segno profondo di consapevolezza e di verosimilità come capita di rado nei film di fiction italiani.

lunedì 16 novembre 2015

Last Shift

Titolo: Last Shift
Regia: Anthony Di Blasi
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Passare la notte da sola in una stazione di polizia si trasforma in incubo per la poliziotta in questione.

Last Shift è una piacevola sorpresa di un regista poco conosciuto che al suo attivo vanta pochi discutibilissimi film, oltre ad avere un amore per Barker che non smette mai di citare come anche in questo suo ultimo, e più riuscito film.
Strizzate d'occhio a DISTRETTO 13 e all'episodio di FEAR IT SELF-EATER di Stuart Gordon, anche se sulla carta la sceneggiatura di Scott Poiley sa anche essere originale.
Gli ingredienti di Last Shift sono pochi ma miscelati a dovere dimostrando come si possano ottenere degli ottimi risultati quando ci sono un insieme di elementi favorevoli.
Un'attrice, una location e tanti incubi a gogò come da un po non se ne vedevano, riuscendo nella difficile prova di sviluppare un ritmo e una tensione sempre costante.
Il merito è anche di giocare tra follia e stati di allucinazione, una protagonista che parte sana di mente per poi deviare verso il terrore più totale, tirare fuori la family di Manson e mettere a segno alcuni ottimi effetti speciali che sembrano usciti da HELLRAISER.
Di Blasi trova sicuramente una moderatezza e una funzionalità nei tempi e nella narrazione che prima non aveva mostrato. Anche se il climax finale poteva sembrare leggermente telefonato, i pregi come dicevo sono molti e anche i colpi di scena che non smettono di metttere alla prova lo spettatore.