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lunedì 11 marzo 2013

Spring Breakers

Titolo: Spring Breakers
Regia: Harmony Korine
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Quattro studentesse sexy pensano di trovare i soldi per le loro vacanze di primavera rapinando un fast food. Ma questo è solo l’inizio. In una notte di pazzie, vengono arrestate a un posto di blocco per detenzione di droga. Ubriache e con addosso solo il bikini, le ragazze sono portate dal giudice, ma vengono rilasciate grazie alla cauzione pagata da Alien, un criminale del posto dal cuore tenero che le prende sotto la sua protezione e fa vivere loro un’indimenticabile vacanza di primavera.

«Poema liquido su una generazione cresciuta a videogame» così il regista definisce il suo ultimo film.
A tutti è noto chi è Harmony Korine. Quindi armatevi di calma e pazienza e preparatevi all’insopportabile visione di un concentrato di cattiveria e immagini psichedeliche che vi faranno pensare e pensare al termine della visione quasi come un incubo con cui ci si è costretti a confrontare in loop continuo da trip, soprattutto quando la materia in questione è trattata con impareggiabile realisticità (pure nella sferzata del suo gioco/metafora finale).
Un film indimenticabile e detestabile nella sua violenza e nella sua catarsi nel regno dello sballo.
Un film duro e potente che di certo non si riesce a sopportare di vedere una seconda volta.
Spring Breakers è anche un importante, anche se va preso con le pinze, quadro e spaccato su un fatto sociale degno di rilievo, ovvero il lato oscuro degli adolescenti americani, tema molto caro e ricorrente nei film del regista.
Korine sonda e s’infiltra in questo idilliaco tessuto sociale che fa acqua da tutti i pori dimostrando come gli eccessi spesso annoiano e portano a un alienante depressione cronica spesso dannosa per i suoi effetti a lungo termine. E’così le ninfette, il pappone, i boss, il divertimento, i simboli di potere, le tette e i culi su cui la telecamera non lesina di argomentare con i suoi primi piano portandoti a non poterne più di tale meccanico e plateale teatrino estetico, diventano tutti e tutte macchiette, maschere di loro stessi e della loro allarmante banalità, stupidità e fretta nel concludere e nel non sapersi accontentare.
L’american dreams o l’american way, come dice di nuovo Alien, sono sempre e solo il denaro, vero deus ex machina che traina le sorti dei destini dei protagonisti. I conflitti generazionali con i genitori, una continua ricerca della menzogna per difendere il proprio status, sono alcuni dei dati drammatici che emergono dal film, come anche l’egoismo da parte di una comunità o una collettività che non si sforza neppure di entrare in contatto con gli effetti allarmanti della post-modernità e del consumismo più cieco.
Il sesso di gruppo, le rapine a mano armata, la cocaina, le feste scatenate e infinite, l’alcol da bere dall’imbuto sono solo alcuni dei dati statistici che confermano l’emergenza sostanze e abuso di alcool in America proprio nelle vacanze dai college e via dicendo.
La rottura degli schemi, il narcisismo fine a se stesso quasi come una tac pornografica di se stessi, gli stereotipi sulla rottura degli schemi, i sempre più spiazzanti comportamenti a rischio di una generazione impegnata in attività che richiedono il minimo sforzo e promettono una ricompensa emozionale elevata (la sostanza ma anche le armi e il pensiero di poter dominare “qualcosa”o “qualcuno”).
Lo Spring Breakers, unica pensiero costante e ricorrente di Alien, diventa dunque un ideale da alternare e alimentare come risposta a una realtà mai così vuota in cui si è posseduti da ciò che si insegue e in cui ci si rende conto di soffrire di un’eccessiva solitudine abbandonati ai propri oggetti.
C’è tutto all’interno della pellicola quasi come uno spot infinito, un super giocattolone trash, divertente, patinato, ultra estetizzante e mignottesco inno al girl power di cui l’America, e non solo purtroppo, sta facendo i conti dopo il violento bombardamento mass-mediatico di questi ultimi tempi legato ai cartelli della pubblicità e ai mentori (icone spesso e tragiche testimoni) della loro inevitabile rovina.
Il lavoro di Korine se visto con un occhio critico e attento è un lavoro interessante per il suo continuo cambiamento di ritmo, di forma, un attenzione minimale al montaggio e ai dialoghi e alle stesse insopportabili ripetizioni (la scena della canzone di Alien al pianoforte ne è un chiaro esempio…) così come al ricorso continuo alla telecamera in spalla, alle immagini a rallenty e ai colori mai così accesi.